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relazione archeologica

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COMUNE DI MONASTIR PROVINCIA DI CAGLIARI<br />

PROGETTO DEFINITIVO - ESECUTIVO<br />

RELAZIONE ARCHEOLOGICA<br />

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ALLEGATO<br />

DATA<br />

LUGLIO 2009


COMUNE DI MONASTIR<br />

PROVINCIA DI CAGLIARI<br />

“Lavori di Conservazione, tutela, valorizzazione e<br />

scavi archeologici in prossimità delle aree di cava:<br />

Pedrera, Monte Zara, Vacca e Mozzarini, all’interno<br />

dell’area parco di Monte Zara e Pedrera”.<br />

RELAZIONE ARCHEOLOGICA<br />

Dott.ssa Archeologa Emanuela Atzeni<br />

1


INDICE.<br />

INTRODUZIONE 3<br />

I. INQUADRAMENTO DELLA NATURA ARCHEOLOGICA DEL<br />

TERRITORIO 4<br />

II. IL VILLAGGIO NURAGICO DI MONTE ZARA 7<br />

III. IL NURAGHE SU CUCCUMEU 15<br />

IV. IL CASTELLO DI BARATULI 18<br />

V. LA NECROPOLI IPOGEICA DI IS ARUTTAS 22<br />

VI. BIBLIOGRAFIA 27<br />

2


I. INTRODUZIONE<br />

In seguito all’incarico professionale di Consulenza <strong>archeologica</strong> tecnico-<br />

scientifica conferitomi dal Comune di Monastir (CA), la sottoscritta Dott.ssa Archeologa<br />

Emanuela Atzeni ha redatto uno studio archeologico finalizzato alla procedura di<br />

verifica dell’interesse archeologico integrativa del Progetto “Lavori di Conservazione,<br />

tutela, valorizzazione e scavi archeologici in prossimità delle aree di cava: Pedrera, Monte Zara,<br />

Vacca e Mozzarini, all’interno dell’area parco di Monte Zara e Pedrera”.<br />

I dati archeologici e il loro posizionamento topografico sono stati ottenuti<br />

raccogliendo le informazioni contenute in:<br />

Principali pubblicazioni che si riferiscono allo studio storico del territorio;<br />

Fotografie aeree;<br />

Immagini satellitari;<br />

Ricognizioni archeologiche.<br />

Sono stati rilevati, nella discontinuità della documentazione esistente, molti limiti<br />

oggettivamente non superabili, dovuti in parte alla storia delle ricerche, che si sono<br />

concentrate in aree particolari, e in parte alla scarsità e alla lacunosità dei dati, che anche<br />

nei siti più intensamente indagati, non sono mai esaurienti né riguardano mai il sito<br />

nella sua estensione totale. A ciò si aggiunga che fenomeni naturali e attività umane<br />

hanno spesso alterato la morfologia originale, distruggendo le superfici di antica<br />

frequentazione ed eliminando di conseguenza la comprensione dei dati archeologici che<br />

servono da collegamento fra gli elementi delle strutture funzionali.<br />

I contesti analizzati presentano caratteristiche diverse caso per caso, sia per le<br />

situazioni sia hanno condizionato la ricerca sul terreno, sia perché differiscono tra loro<br />

non solo per le caratteristiche e per i diversi livelli della documentazione acquisita, ma<br />

sopratutto per le tipologie alquanto diversificate delle evidenze strutturali.<br />

3


II. INQUADRAMENTO DELLA NATURA ARCHEOLOGICA DEL<br />

TERRITORIO<br />

La superficie d’interesse è compresa nella cartografia dell’I.G.M., in scala<br />

1:25.000, nel Foglio 557 sezione IV della tavoletta di San Sperate; nella Carta Tecnica<br />

Regionale, in scala 1:10.000, ricade nel foglio 557 n. 010 Monastir.<br />

Inquadramento geografico (IGM San Sperate n. 557, sezione IV).<br />

L’area interessata dal progetto, sottoposta a vincolo archeologico ai sensi della<br />

Legge n. 1089/1939, è sicuramente tra le meglio conosciute nell’ambito del territorio<br />

comunale, a seguito della generalizzata analisi autoptica del terreno che ha portato a<br />

numerose segnalazioni di natura <strong>archeologica</strong>, che hanno permesso di arricchire la<br />

conoscenza del patrimonio storico-archeologico dell’area che ricade all’interno del<br />

Parco di Monte Zara.<br />

La morfologia del territorio è stata un elemento importante nella definizione<br />

degli insediamenti, soprattutto per il lungo periodo che va dalla preistoria fino al<br />

medioevo, e, contestualmente, nella tipologia dei modelli insediativi adottati.<br />

4


L’aspetto geomorfologico dell’area collinosa in esame, situata nella parte<br />

meridionale della piana alluvionale del Campidano, è tipico delle zone costituite da<br />

prodotti della sequenza vulcanica.<br />

Il reticolo idrografico è poco sviluppato. Infatti, se si eccettuano il Rio Mannu e<br />

Flumineddu, che drenano la pianura a Nord del Monte Zara, non sono presenti corsi<br />

d’acqua degni di nota. A ridosso delle colline, si segnalano alcuni corsi d’acqua a<br />

carattere torrentizio: Rio Abis a Sud, Cora de Arriali a Sud-Ovest, e a Est del Monte<br />

Zara, il Rio Cora de Monte Acutzu, tributario del Rio Flumineddu, che scorre nei pressi<br />

delle cave dismesse in località Su Pardu. Sempre in quest’ultima località si segnala<br />

un’emergenza idrica, Mitza de S’Ilixi, che in questo momento è a carattere stagionale.<br />

Localizzazione sull’ortofoto dei siti archeologici interessati dal Progetto.<br />

5


Sulla base delle fonti bibliografiche, la valutazione complessiva del grado di<br />

interesse archeologico del territorio compreso all’interno dell’area parco di Monte Zara<br />

è alta. Infatti, i dati archeologici finora raccolti hanno documentato un’occupazione del<br />

territorio caratterizzata da insediamenti sparsi, localizzati su basse colline di origine<br />

vulcanica che, grazie alla differenza altimetrica rispetto alle aree circostanti, offrivano le<br />

condizioni necessarie allo stanziamento umano.<br />

Considerando l’estensione cronologica dell’occupazione del territorio, la<br />

formazione di aree di superficie che presentano materiale e resti di strutture di natura<br />

<strong>archeologica</strong> è, infatti, il risultato dello sconvolgimento delle condizioni stratigrafiche<br />

del terreno e della distruzione parziale o totale delle evidenze fino al livello di<br />

sottosuolo interessato. Tuttavia non è possibile formulare delle ipotesi conclusive sul<br />

rapporto morfologia-insediamento sulla base di indagini preliminari, poiché si tratta di<br />

un territorio molto dinamico, modificato nei secoli da fenomeni naturali e<br />

dall’intervento umano, che avuto un forte impatto sulla conservazione delle<br />

testimonianze archeologiche.<br />

I dati altimetrici evidenziano una tendenza generale per l’ubicazione a quote<br />

elevate, e l’esame degli aspetti morfologici conferma la predilezione per zone di elevato<br />

valore strategico e dominio visivo. I dati raccolti evidenziano scelte condizionate da<br />

esigenze economiche, con particolare riguardo alla vocazione agricola dei terreni, e da<br />

esigenze di natura strategico - difensiva.<br />

In questo paesaggio, i resti materiali della storia si sono fossilizzati sul territorio<br />

come aree archeologiche, ma anche come ruderi monumentali. E’ necessario che questo<br />

patrimonio sia ben individuato e vi si applichino le metodologie analitiche<br />

dell’archeologia più avanzata, sia sul terreno della diagnostica sia su quello degli<br />

interventi di conservazione. I resti archeologici devono quindi essere analizzati,<br />

conosciuti in profondità, integrati nel loro contesto territoriale e ambientale e inseriti in<br />

una politica organica di valorizzazione.<br />

Di conseguenza è necessario trovare un equilibrio per rendere lo sviluppo<br />

contemporaneo compatibile con la conservazione di tale risorsa attraverso<br />

un’ottimizzazione degli interventi conoscitivi e attraverso una sua intelligente ed<br />

economica fruizione.<br />

6


III. IL VILLAGGIO NURAGICO DI MONTE ZARA<br />

Fin dal passato la località di Monte Zara ha rivestito un interesse archeologico<br />

per gli studiosi che si sono interessati degli aspetti storico-archeologici del territorio di<br />

Monastir, oggetto di rinvenimenti occasionali, che hanno permesso di identificare<br />

l’estensione dell’area di interesse archeologico oggetto degli interventi di scavo.<br />

Localizzazione sull’ortofoto del sito di Monte Zara.<br />

Dagli inizi del 1900, iniziano a essere segnalate da R. Mannai e E. Loddo sulle<br />

pendici trachitiche del monte le domus de janas di età prenuragica. Si tratta di tombe<br />

scavate interamente nella roccia, di schema planimetrico semplice, composte da<br />

dromos, anticella e cella.<br />

La prima notizia di rinvenimenti archeologici effettuati dal Mannai nella Stazione<br />

di Monte Zara risale al 1905.<br />

Nel 1958 E. Atzeni segnala la presenza di sei domus de janas e di un’officina di<br />

ossidiana ai piedi del monte, di cui fornisce un’accurata descrizione.<br />

Sino ad allora generiche e piuttosto sporadiche, le notizie diventano più<br />

numerose intorno agli anni ’70 e ‘80, con l’intensificarsi delle prospezioni sul territorio e<br />

con alcuni interventi di scavo.<br />

Le ricognizioni archeologiche di superficie condotte da E. Atzeni e da G. Ugas<br />

hanno portato all’individuazione di un vasto insediamento di età prenuragica e<br />

nuragica, punica e romana.<br />

7


Dal 1986, a seguito di diverse campagne di scavo a cura di G. Ugas, sono di<br />

notevole apporto scientifico i dati provenienti dal villaggio di Bia de Monti, alle pendici<br />

del colle, in occasione degli sbancamenti per l’ampliamento della strada statale 131, che<br />

hanno riguardato un villaggio nuragico del Bronzo recente/finale e della I Età del Ferro<br />

di Bia de Monti, un’area sacra della I Età del Ferro, sepolture di età punica. Nel corso<br />

dell’indagine furono ritrovati anche sporadici reperti neolitici, eneolitici e del Bronzo<br />

antico.<br />

Sulla base dei dati raccolti attraverso i diversi tipi di indagine si può tentare una<br />

ricostruzione topografica del sito di Monte Zara, e proporre alcune ipotesi<br />

interpretative e sul suo sviluppo diacronico.<br />

Il sito ha conosciuto diverse fasi di frequentazione, apparentemente senza<br />

soluzione di continuità, a partire dall’età prenuragica fino a quella romana.<br />

La prima occupazione di Monte Zara, è ascrivibile a una generica epoca<br />

preistorica (Neolitico - Eneolitico), come testimoniano le tracce rinvenute sul versante<br />

occidentale della collina, relative a un insediamento prenuragico comprendente un’area<br />

funeraria. Il reale sviluppo del sito avviene con l’età nuragica, per proseguire in età<br />

punica e romana con la presenza sul pendio e sulla sommità del monte di un<br />

insediamento provvisto di supposta cinta perimetrale. Al momento è impossibile<br />

fornire delle scansioni precise cronologiche che segnano il passaggio dall’insediamento<br />

prenuragico a quello romano, che potranno essere definite solo con un adeguato<br />

intervento di scavo.<br />

Possiamo comunque individuare quattro fasi principali, che segnano le<br />

trasformazioni:<br />

Dalla fine dell’Età Neolitica è rilevabile la presenza di una necropoli sul<br />

versante occidentale del monte, relativo a un villaggio di età prenuragica, attestato dalla<br />

presenza di materiale mobile in superficie, presumibilmente sorto alla base del rilievo;<br />

Dall’Età del Bronzo sono chiare le tracce di un insediamento di notevoli<br />

dimensioni, articolato in corpi edificati distinti disposti ai piedi, sulla sommità e lungo il<br />

versante occidentale e orientale del monte. Nella zona sommitale è presente una<br />

scalinata monumentale di accesso, con elementi architettonici distintivi, forse<br />

riconducibile a un’area, dove non sono da escludere anche pratiche cultuali. Le tracce di<br />

8


altre strutture, cisterne per la raccolta delle acque, si osservano proseguendo sulla<br />

sommità.<br />

Nell’Età del Ferro, l’abitato nuragico sembra subire una prima crisi,<br />

accompagnata probabilmente da un periodo d’abbandono. Infatti, le strutture<br />

insediative oggetto di indagini archeologiche, non restituiscono materiali posteriori alla<br />

fine dell’VIII secolo a. C.<br />

Nell’età punica e romana riappaiono sicure tracce riferibili a una<br />

rioccupazione parziale, attraverso il riutilizzo a scopo funerario delle pendici<br />

occidentali del monte. I dati disponibili consentono di rilevare una continuità tra l’età<br />

nuragica e romana del complesso di strutture presenti sulla sommità e sul versante<br />

orientale del monte, che indicano una struttura ancora vitale, testimoniato da materiale<br />

mobile di età punica e romana, e dal reimpiego delle strutture abitative di età nuragica<br />

anche nei secoli successivi.<br />

Le emergenze archeologiche relative al villaggio nuragico di Monte Zara,<br />

perdurato fino all’età romana, interessate dal progetto, si trovano sul versante orientale<br />

del rilievo, e più precisamente nella zona retrostante, a controllo di una via naturale e a<br />

dominio a Sud del Golfo di Cagliari, della Piana di Siliqua a Ovest e del Cixerri a Est.<br />

Panoramica dell’area interessata dal progetto.<br />

9


L’occupazione da parte dell’uomo del sito (quota m. 225.307 s.m.l.) ha<br />

comportato alcune trasformazioni dello spazio abitato che, se non hanno subito<br />

alterazioni, si manifestano sotto forma di strutture evidenti indiziate sul terreno da una<br />

consistente concentrazione, in corrispondenza degli alberi di olivastro, di materiale<br />

lapideo relativa al crollo dei filari più alti dei muri perimetrali, la cui funzione è<br />

chiaramente riconoscibile, e di strutture latenti, ossia mediante la disposizione areale, i<br />

rapporti spaziali delle evidenze archeologiche e le varie categorie di reperti.<br />

Resti di strutture edilizie localizzati nel versante orientale del Monte Zara.<br />

L’opera muraria, di cui residuano brevi tratti curvilinei, è costituita da pietre<br />

basaltiche di medie e grandi dimensioni, disposti a file orizzontali, irregolari e<br />

normalizzati da numerose lastrine in conglomerato in matrice arenacea arrossata,<br />

squadrate e di piccola pezzatura, utilizzate come zeppe di rincalzo.<br />

10


Particolare dell’opera muraria di una struttura.<br />

A Nord-Est del monte, dove le condizioni di visibilità hanno offerto un’indagine<br />

più approfondita, sono riconoscibili anche i resti di un pozzo di età nuragica (quota m.<br />

210.729 s.l.m.).<br />

Panoramica del pozzo nuragico.<br />

L’edificio è costituito da una struttura, ora a cielo aperto, di pianta circolare e<br />

sezione ogivale; il pietrame di crollo che lo riempie completamente non consente di<br />

conoscere la profondità originaria del bacino di raccolta dell’acqua. Il perimetro esterno<br />

del monumento si segue con nitidezza in tutta la sua circonferenza.<br />

È possibile che sotto la vegetazione e il crollo si conservino ancora le articolazioni<br />

planimetriche caratteristiche di questa tipologia monumentale, giacchè allo stato attuale<br />

11


tutto l’insieme appare di una certa monumentalità, anche se le dimensioni restano<br />

comunque difficili da stabilire.<br />

Particolare del pozzo nuragico.<br />

Sono visibili sparsi sul terreno un concio isodomo di forma regolare pertinente a<br />

un elemento di architrave, conci in trachite finemente lavorati, e numerose lastrine in<br />

conglomerato in matrice arenacea arrossata, sagomate e di piccola pezzatura,<br />

appartenenti a un monumento che doveva essere di particolare pregio architettonico.<br />

Elemento di architrave relativo al pozzo visibile sul terreno.<br />

12


Elementi architettonici relativi al pozzo visibili sul terreno.<br />

Nell’area immediatamente antistante affiorano in superficie le tracce evidenti di<br />

un tratto murario curvilineo, residuo di un solo filare di base, in stretta connessione con<br />

il pozzo.<br />

Tratto murario curvilineo affiorante connesso all’area del pozzo.<br />

Il perdurare della vita del sito in età punica e romana è attestato dai frammenti<br />

fittili che ancora si raccolgono sul terreno.<br />

Purtroppo, lo stato di notevole rovina e l’interramento non consentono di<br />

definire meglio la planimetria di questo complesso pluristrtificato, che presumibilmente<br />

doveva estendersi per lungo tratto. L’insieme, s’inquadra all’interno di un territorio che<br />

ha restituito numerose testimonianze materiali relative ai periodi preistorico,<br />

protostorico e storico, senza che però sia stato possibile individuare con sicurezza, in<br />

assenza di indagini archeologiche, le strutture riguardanti gli insediamenti.<br />

13


Il grado di visibilità dei resti archeologici è in parte condizionato dagli alberi di<br />

olivastro che sono cresciuti attorno e sopra e dalla vegetazione spontanea e rigogliosa di<br />

tipo erboso che ricopre l’area, che non ha permesso di cogliere la consistenza e l’area di<br />

pertinenza del sito.<br />

Nonostante ciò, la ricognizione condotta nel corso del presente lavoro ha<br />

riscontrato la presenza di alterazioni della naturale morfologia del terreno tali da porre<br />

in evidenza nuove emergenze, e ha rilevato elementi di novità rispetto ai dati<br />

archeologici finora pubblicati. Si è proceduto altresì a identificare, mediante<br />

georeferenziazione tramite GPS, l’esatta ubicazione topografica degli elementi ritrovati.<br />

La verifica e l’interpretazione della documentazione fotografica aerea non ha<br />

evidenziato anomalie significative.<br />

IV. IL NURAGHE SU CUCCUMEU<br />

Ubicato sul colle omonimo (quota m. 201.094 s.l.m.), tra il Monte Zara e il Monte<br />

Olladiri, in posizione dominante, al centro di un sistema difensivo complesso e a<br />

controllo di un vasto territorio, poggia su un costone roccioso, seguendone a Sud-Est<br />

quasi il profilo.<br />

Localizzazione sull’ortofoto del sito di Su Cuccumeu.<br />

14


Panoramica della collina di Su Cuccumeu.<br />

Nel 1905 il R. Mannai, a seguito della segnalazione dell’evidenza <strong>archeologica</strong>,<br />

pubblicò la notizia del rinvenimento di “quattro teste di mazza frammentarie, due lisciatoi,<br />

un pestello e moltissimi frammenti per lo più uguali a quelli di Monte Zara”.<br />

Nel 1958, E. Atzeni, a seguito delle sue ricerche nel territorio di Monastir,<br />

aggiunge “di aver notato sul fianco Ovest della ripida collina, frammenti di macinelli e di teste<br />

di mazza discoidali e cocci di terrecotte nuragiche”.<br />

Si tratta di un nuraghe monotorre, a pianta circolare, che conserva in elevato<br />

due/tre filari di blocchi di trachite di medie e grandi dimensioni, appena sbozzati e<br />

messi in opera a filari irregolari. Il diametro è di circa 10 metri, e lo spessore murario è<br />

di circa 2 metri.<br />

Paramento Ovest del nuraghe di Su Cuccumeu.<br />

15


Paramento Est del nuraghe di Su Cuccumeu.<br />

Il grado di visibilità dei resti archeologici è in parte condizionato dalla<br />

vegetazione spontanea e rigogliosa di tipo erboso e arbustivo che ricopre l’area, che non<br />

ha permesso di cogliere la consistenza e l’area di pertinenza del sito. Non è possibile a<br />

causa del crollo, determinare la posizione dell’ingresso e l’articolazione degli spazi<br />

interni. Si è proceduto altresì a identificare, mediante georeferenziazione tramite GPS,<br />

l’esatta ubicazione topografica del nuraghe.<br />

La ricognizione condotta nel corso del presente lavoro non ha riscontrato la<br />

presenza di alterazioni della naturale morfologia del terreno tali da porre in evidenza<br />

nuove emergenze, e non ha rilevato elementi di novità rispetto ai dati archeologici<br />

finora pubblicati. Le condizioni fisiche del terreno, possono motivare l’apparente<br />

assenza di emergenze e di reperti mobili. La verifica e l’interpretazione della<br />

documentazione fotografica aerea non ha evidenziato anomalie significative.<br />

V. IL CASTELLO DI BARATULI<br />

La tradizione attribuisce la costruzione del castello ai conti della Gherardesca,<br />

nella persona del famigerato Ugolino, ricordato nell'Inferno dantesco. Di fatto, in<br />

mancanza di sicure attestazioni documentarie, l'impianto della fortificazione si può<br />

collocare per via ipotetica nel XII-XIII secolo. I Donoratico della Gherardesca entrarono<br />

in possesso della parte Sud-Ovest della Sardegna dopo la caduta del regno di Cagliari.<br />

16


Il castello passò nelle mani dell'amministrazione pisana e in seguito, finì sotto il<br />

controllo della Corona d'Aragona. La sua distruzione dovrebbe risalire a un’epoca<br />

intermedia tra il 1289 e il 1324.<br />

Localizzazione sull’ortofoto del sito di Baratuli.<br />

Nel 1454, il castello distrutto con il vicino villaggio spopolato di Baratuli, già<br />

proprietà di Michele Ferrer, fu acquistato dal feudatario di Monastir Pietro Bellit<br />

insieme alla villa già spopolata di Nurgi (Bidda Nuxis) che faceva parte, insieme alle<br />

altre piccole ville di Santu Sadurru e Santa Lucia delle dipendenze del castello di<br />

Baratuli.<br />

Il Fara (sec. XV) scrive che il castello di Baratuli apparteneva alla famiglia dei<br />

Donoratico e che con il vicino borgo, da identificarsi con Santu Sadurru, fu fortificato da<br />

Comita Golfo (nel 1151) insieme con altre fortezze. Meno di due secoli fa, l’Angius<br />

scriveva: “... sono tuttora visibili le rovine di un castello di notevole costruzione, le cui muraglie<br />

nelle due facce erano vestite a calcina e cementi o pietre di taglio, nell’interiore piene di argilla<br />

mescolate di petruzze onde risulta un insieme di meravigliosa consistenza”.<br />

Nell’edizione del 1860 dell’Itinerario dell’Isola di Sardegna di A. Della Marmora, si<br />

legge: “Tra Monastir e Ussana si eleva un gruppo di montagnole di forma conica, sulle quali ho<br />

richiamato l’attenzione del geologo per la natura della roccia, una trachite anfibolica che le forma<br />

per intero. Il monte più centrale e più alto merita una menzione speciale per le rovine che vi si<br />

trovano in cima, nel punto preciso in cui ho sistemato in passato il mio segnale trigonometrico.<br />

17


Questo rilievo porta, sia nella mia descrizione geologica, sia nella mia grande carta in due fogli, il<br />

nome di “Monte Olladiri”, che gli è stato dato anche dall’Angius nella sua voce sull’antica<br />

diocesi di Dolia. Alla voce “Monastir”, lo stesso autore parla delle rovine del castello di<br />

Bauladiri, che dice di aver visto sull’altura che domina la riva sinistra del Flumineddu, e che,<br />

secondo tale indicazione, dovrebbe essere la montagnola più settentrionale del gruppo dei monti<br />

di Monastir, e cioè quello che domina l’omonimo villaggio; non ho potuto osservare quei resti<br />

che, secondo l’Angius, sarebbero costruiti con argilla e ghiaia (argilla ghiaiosa); ma tutte le volte,<br />

circa otto o dieci, in cui ho dovuto raggiungere nel punto più alto del Monte Olladiri la mia<br />

stazione trigonometrica, alla base del mio segnale ho sempre notato un lembo di muro di una<br />

costruzione non in argilla, ma in buon cemento a calce, simile a quello dei muri degli antichi<br />

castelli medievali. In base alla semplice ispezione della malta, ho sempre considerato questo muro<br />

un’opera dei Pisani anziché degli Spagnoli. Nelle mie ricerche sui testi degli antichi storici della<br />

Sardegna non ho mai trovato una qualunque menzione di un castello che avesse il nome di<br />

Olladiri; vi si legge però di un castello di Baratuli che apparteneva, con altre fortezze della<br />

regione, al famoso conte Ugolino della Gherardesca, immortalato da Dante a causa della sua<br />

triste fine nella torre di Pisa. Ora, non ho mai potuto trovare traccia di un castello con questo<br />

nome nella valle del Cixerri, dove si ergono ancora oggi le rovine del castello di Gioiosaguardia e<br />

di quello d’Acquafredda, già appartenenti alla stessa famiglia; d’altra parte, dopo aver perlustrato<br />

accuratamente la zona in cui si trovano queste rovine, situate su due alture isolate,<br />

rapportandomi mentalmente alla maniera di concepire l’arte della guerra dei castellani del<br />

Medioevo, sono giunto alla conclusione che gli ingegneri dell’epoca scegliessero preferibilmente<br />

le cime più isolate e inaccessibili, per costruirvi dei “nidi d’aquila” che comunicassero tra loro<br />

mediante segnali luminosi; vedendo da lontano il Monte Olladiri mi sono chiesto: perché non vi<br />

avrebbero potuto erigere un castello? Questa supposizione è adesso avvalorata sia dallo stesso<br />

nome di Monte Olladiri, che probabilmente non è esatto e che, credo, debba essere sostituito da<br />

quello di Boladiri, sia dalle rovine dei muri di cui si è detto. Perciò penso in primo luogo che<br />

l’antico castello di Baratuli non debba essere cercato nella valle del Cixerri ma nel gruppo dei<br />

monti di Monastir; poi che il castello di Bauladiri di cui parla l’Angius sia lo stesso Baratuli del<br />

Fara ma, anziché essere collocato sul monticello del gruppo di Monastir che domina il villaggio a<br />

nord, esso debba, al contrario, essere cercato sulla cima più isolata e più alta del gruppo, che è<br />

quella del mio segnale, dove ci sono i ruderi di un vero muro costruito nel genere tipico del<br />

Medioevo. Probabilmente, quando mi è stato indicato il nome della cima, al mio orecchio di<br />

straniero il nome pronunciato Olladiri dalla guida sarà suonato come Boladiri. In base alle<br />

18


icerche poi intraprese su questa collina conica, ho saputo che il nome dell’antico castello (di cui<br />

si è conservata la memoria) sarebbe quello di Baladiri: ora sembra che quest’ultimo non sia che<br />

l’alterazione di quello di Baradili o Baratuli che lo storico Fara associa ai castelli di Acquafredda<br />

e Gioiosaguardia. Quanto alla storia del castello di Baratuli, essa si riallaccia, insieme a quella<br />

delle due fortezze di cui sopra, alle vicissitudini della famiglia della Gherardesca, di cui si dirà a<br />

proposito della città di Iglesias e dei castelli d’Acquafredda e di Gioiosaguardia. Dopo la caduta<br />

di Guelfo e Lotto, figli del famoso conte Ugolino, questo castello, come gli altri, cadde in mano ai<br />

Pisani. Da quell’epoca, densa di episodi sanguinosi e di peripezie dei membri di questo illustre<br />

casato, la storia non fa più menzione del castello di Baratuli; non è nominato nemmeno nell’atto<br />

che concludeva nel 1324 la pace tra i Pisani e gli Aragonesi, con cui i conti di Donoratico<br />

mantennero in feudo il castello di Gioiosaguardia e delle terre circostanti; essi cedettero al re tutti<br />

gli altri castelli che possedevano nell’Isola, compreso quello d’Acquafredda; ciò sembra provare<br />

che la distruzione di quello di Baratuli risale a un’epoca intermedia tra il 1289 e il 1324. Del<br />

resto, si legge nel Fara che tra le elargizioni fatte dal re d’Aragona nel 1358 viene nominato il<br />

villaggio di Baratuli, della regione di Dolia, dato in feudo a Giovanni Vacadano; in seguito egli<br />

parla dei paesi di Nuracati, Donori, Moduli e Baratuli, della curatoria di Dolia. Comunque<br />

s’interpreti questa duplice versione, risulterà sempre che all’epoca indicata, e cioè nel 1358, il<br />

castello di Baratuli non esisteva più. Lo stesso autore parla del paese di Monasterii come facente<br />

parte anch’esso della curatoria di Dolia, a riprova del fatto che, vicino all’attuale villaggio di<br />

Monastir, si trovassero il castello e il villaggio di Baratuli, appartenenti alla stessa curatoria di<br />

Dolia.”.<br />

Tra i ruderi in mattoncini di laterizio emergenti sulla cima del Monte Olladiri<br />

(quota 234,600 m s.l.m.), oggi in avanzato stato di degrado e ricoperti da una<br />

vegetazione rigogliosa e spontanea di tipo erboso e arbustivo, relativi ai perimetri<br />

murari di un’opera di fortificazione esterna, si trova ancora uno dei punti fiduciali del<br />

punto trigonometrico posto dal La Marmora nel XIX secolo.<br />

Sul complesso non è stata individuata nessuna traccia monumentale di avvenute<br />

sovrapposizioni, ma sul costone prospiciente a Sud del castello si notano frammenti<br />

ceramici di età nuragica e resti di pasto pertinenti a bivalvi, a conferma dell’ipotesi che<br />

l’insediamento abbia conosciuto diverse fasi di frequentazione dall’età nuragica a quella<br />

storica, ma non si possono escludere a priori preesistenze più antiche.<br />

19


Dal punto di vista archeologico la zona sovrastata dal Monte Olladiri presenta<br />

una frequentazione antropica già da epoca molto antica. Si può ritenere che il territorio<br />

fosse frequentato fin dal Neolitico. Nell’area, sottoposta a opere di trasformazione<br />

agraria che ne hanno compromesso l’integrità, la presenza umana è attestata dalla<br />

notevole presenza dai ritrovamenti di emergenze e materiale mobile riferibile agli<br />

insediamenti prenuragici, nuragici, punici, romani e medioevali.<br />

La ricognizione condotta nel corso del presente lavoro non ha riscontrato la<br />

presenza di alterazioni della naturale morfologia del terreno tali da porre in evidenza<br />

nuove emergenze, e non ha rilevato elementi di novità rispetto ai dati archeologici<br />

finora pubblicati. Le condizioni fisiche del terreno, possono motivare l’apparente<br />

assenza di emergenze e di reperti mobili. La verifica e l’interpretazione della<br />

documentazione fotografica aerea non ha evidenziato anomalie significative.<br />

VI. LA NECROPOLI IPOGEICA DI IS ARUTTAS<br />

Localizzazione sull’ortofoto della necropoli a domus de janas di Is Aruttas.<br />

Le prime notizie delle grotticelle artificiali di Is Aruttas si devono a R. Loddo ed<br />

E. Mannai, e risalgono al 1903. Da allora la necropoli rimase ignorata fino al 1958,<br />

quando E. Atzeni, alle quattro domus, in precedenza descritte e disegnate, ne segnala<br />

una quinta.<br />

20


Le cinque domus de janas che costituiscono la necropoli ipogeica di Is Aruttas<br />

sono scavate nel bancone trachitico che affiora sul versante Sud-Est della collina (quota<br />

160,000 m s.l.m.), sfruttando probabilmente delle aperture naturali. Tutte le domus<br />

hanno un’anticella e una cella, esclusa la tomba 4 che sembra aver avuto due celle<br />

oppure una sola cella divisa in due parti. Per secoli sono state il cimitero del vicino<br />

villaggio prenuragico, situato ai piedi del Monte Olladiri. Nel corso dei millenni sono<br />

state depredate degli oggetti che contenevano, e con il passare del tempo hanno<br />

cambiato la loro funzione (rifugio per animali, ovili improvvisati, ricovero per pastori).<br />

I portelli sono del tipo quadrangolare o trapezoidale, con o senza risega.<br />

La tomba 1, con ingresso a Est, è costituita da un dromos a pareti concave,<br />

seguito da una cella irregolarmente ellittica, quasi semicircolare, con il soffitto piano.<br />

Domus 1 di Is Aruttas.<br />

La tomba 2, con ingresso a Est, è costituita da un dromos, anticella e cella con<br />

pareti concave e soffitti piani. Sulla parete della cella, prospiciente all’ingresso, si nota<br />

l’abbozzo di un portello per una nuova cella. Sopra il portello c’è una canaletta<br />

orizzontale per il deflusso delle acque piovane. Un’altra canaletta è visibile alla base del<br />

portello e dell’anticella.<br />

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Domus 2 di Is Aruttas.<br />

La tomba 3, con ingresso a Sud-Ovest, è formata da un dromos che introduce in<br />

una anticella con pareti concave e soffitto piano, attraverso cui si accede alla cella di<br />

forma circolare, che presenta il soffitto piano.<br />

Domus 3 di Is Aruttas.<br />

La tomba 4, con ingresso a Sud, è costituita da un dromos rettangolare, con<br />

portello rettangolare, anticella, in cui si aprono due portelli che conducono alla cella. La<br />

cella, di forma allungata, in origine era divisa in due ambienti; i soffitti sono piani.<br />

22


Domus 4 di Is Aruttas.<br />

La tomba 5, con ingresso a Sud, è composta da un breve dromos irregolarmente<br />

semicircolare e anticella di pianta ellittica. Dall’anticella, tramite un gradino si accede<br />

alla cella di pianta trapezoidale. Il pavimento della cella è leggermente rialzato rispetto<br />

a quello dell’atrio e dell’anticella; soffitti sono piani, leggermente ricurvi. Nella parte<br />

finale della cella, nella parete destra del soffitto si nota un taglio, fatto probabilmente<br />

per inserire una chiusura mobile che divideva la cella in due ambienti.<br />

23


Domus 5 di Is Aruttas.<br />

La ricognizione condotta nel corso del presente lavoro non ha riscontrato la<br />

presenza di alterazioni della naturale morfologia del terreno tali da porre in evidenza<br />

nuove emergenze, e non ha rilevato elementi di novità rispetto ai dati archeologici<br />

finora pubblicati. Le condizioni fisiche del terreno, possono motivare l’apparente<br />

assenza di emergenze e di reperti mobili. La verifica e l’interpretazione della<br />

documentazione fotografica aerea non ha evidenziato anomalie significative.<br />

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VII. BIBLIOGRAFIA<br />

Angius V., in Casalis, Dizionario storico-statistico commerciale degli Stati di S.M. il re di<br />

Sardegna, volume X, Monastir, Torino 1839-1851.<br />

Atzeni E., Stazioni all’aperto e officine litiche nel Campidano di Cagliari, in Studi Sardi XIV-<br />

XV, (1955-1957), Sassari, 1958, pp. 67-76.<br />

Atzeni E., I villaggi preistorici di San Gemiliano di Sestu e di Monte Olladiri di Monastir<br />

presso Cagliari e le ceramiche della facies di Monte Claro, in Studi Sardi, XVI-XVII, 1959-1961,<br />

Sassari, 1962, pp. 113-180.<br />

Barreca F., La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986, p. 303.<br />

Barreca F., Ricerche puniche in Sardegna, Roma, 1970, pp. 26-28; 41; 47-48.<br />

Della Marmora A., Itinerario dell’isola di Sardegna, Nuoro, 1997, volume I, pp. 215-218.<br />

Fara D., De Corographia Sardiniae, Munster 1535, p. 153.<br />

Loddo R. – Mannai E., Oggetti litici di Serdiana e Domus de Janas di Monastir, nella<br />

provincia di Cagliari, in Bullettino Paletnologico Italiano, 1902, p. 195.<br />

Loddo R. – Mannai E., Serdiana e Monastir. Ricerche Paletnologiche nel territorio dei due<br />

comuni, in Notiziario di Scavi, 1903, p. 97.<br />

Lilliu G., La civiltà dei Sardi, Torino, 1988, pp. 76, 106, 109, 131, 141-142, 150, 161, 165,<br />

170, 239, 242, 318-319, 344, 421, 588, 598-599, 602-603, 605.<br />

Mannai E., Monte Olladiri, in Bollettino del Club Alpino Sardo, 1894, I trim.<br />

25


Mannai E., Stazioni neolitiche presso Ussana e Monastir, in Bollettino Paletnologico Italiano,<br />

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Convegno Un millennio di relazioni tra la Sardegna e il Mediterraneo, a cura di G. Ugas e G.<br />

Lai, Selargius - Cagliari, 1986, pp. 41-53.<br />

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in Quaderni della Soprintendenza <strong>archeologica</strong> di Cagliari, 4,1, 1987, pp. 201-202; 206-218;<br />

tavv. VII-IX.<br />

Ugas G., Note su alcuni contesti del Bronzo medio e recente della Sardegna meridionale. Il caso<br />

dell’insediamento di Monte Zara-Monastir, in Atti del III Convegno Un millennio di relazioni<br />

tra la Sardegna e il Mediterraneo, Cagliari, 1992, pp. 201-227.<br />

Ugas G., Scheda <strong>archeologica</strong> del territorio, in Censimento Comune di Monastir, 1997, pp. 4-5.<br />

Ugas G., Torchio nuragico per il vino dall’edificio –laboratorio n. 46 di Monte Zara in<br />

Monastir, in Architettura arte e artigianato nel Mediterraneo dalla Preistoria all’Alto medioevo,<br />

Atti in Memoria di Giovanni Tore, Oristano 2002, pp.77-112.<br />

Ugas G. - Zucca R., Il commercio arcaico in Sardegna, Cagliari, 1984, pp. 20-30; 32-33, tavv.<br />

XV 1-7; XX 4-8.<br />

Zervos C., La civilisation de la Sardaigne, Paris, 1954, pp. 139-140.<br />

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