DON BOSCO
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Dentro i cortili<br />
Chiamato a “gestire il confine”<br />
Il dr. Si l va n o va g h i – direttore delle Risorse Umane di una grande azienda –<br />
sollecitato dai nostri liceali, riflette con loro su come orientarsi<br />
nelle scelte future, senza mai perdere di vista<br />
l’impegno di essere degli onesti cittadini e dei buoni cristiani<br />
Per quale motivo lei sostiene spesso che è meglio scegliere la facoltà universitaria in base alle<br />
proprie attitudini ed inclinazioni e non secondo le esigenze del mondo del lavoro?<br />
Una persona, solo se ha passione per un tipo di lavoro o di studi, riesce a farli volentieri, accettando<br />
la fatica e il sacrificio che questi richiedono. Se invece si affida solo al criterio economico<br />
— al fatto cioè che, con una determinata scelta, guadagnerà molto — magari potrà anche<br />
farcela, ma con grande fatica. E non sarà contenta dentro. Parto dal presupposto che, se si ha<br />
passione per una cosa, la strada la si trova per raggiungerla; se invece si adotta come unico<br />
criterio quello economico, forse ci si potrà arrivare, ma... con l’amaro in bocca. Ad esempio, di<br />
fronte alla possibilità di iscriversi alla facoltà di filosofia perché piace questa materia, oppure di<br />
scegliere quella di economia e commercio perché poi un impiego è più facile, io consiglio di frequentare<br />
filosofia. Certo, se uno vuole diventare architetto non può iniziare dalla sociologia — o<br />
se ha deciso che sarà ingegnere non può studiare filosofia...<br />
In realtà, spesso non è chiaro in chi deve decidere lo sbocco che dà ciascuna laurea. Filosofia,<br />
ad esempio, può premettere ad un’attività anche nell’IBM, perché la filosofia aiuta a crearsi un<br />
metodo, che in ambito informatico/matematico costituisce una risorsa essenziale. Quindi, se<br />
fossero anche più chiari i reali sbocchi di ciascun indirizzo di studi, la scelta sarebbe più facile.<br />
Lei sostiene che la sua attività rappresenta il suo modo di partecipare alla costruzione del Regno<br />
di Dio. Però, tramite la pubblicità la sua azienda trasmette messaggi che sembrano in contraddizione<br />
con il modo in cui lavora. E le persone non conoscono chi lavora in una società, ma<br />
vedono solo la pubblicità di un determinato prodotto: non vi è contraddizione in questo?<br />
Se penso a me come persona che crede, mi viene in mente la parabola del seminatore: semina<br />
dovunque e anch’io ho idea di essere un seme che è sotto la siepe — o sul confine. Ecco: penso<br />
di essere una persona chiamata a gestire il confine: a gestire (parlo da credente) un’esperienza<br />
di fede e a coniugarla con la vita: con tutte le sue contraddizioni, delle quali deve tener conto<br />
continuando a lavorare sul loro confine. E che cerca — ogni volta — di spostare questo confine.<br />
Io vivo così la mia presenza (ma ci sono tanti come me): come quella di una persona che porta<br />
un valore, che aiuta a dare il giusto peso alle cose, a dare loro la giusta proporzione.<br />
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