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6.
L’aemulatio del III proemio delle Georgiche, i topoi
dell’eternità del canto e dell’orgoglio dei conterranei
L’aemulatio del III proemio delle Georgiche
S’è già accennato che il proemio del terzo libro delle Georgiche ha fornito
materiali per l’aemulatio all’Ode I 1 e che le Odi I 1 e III 30 furono scritte
insieme (l’estate dell’anno 23 a.C.), destinate rispettivamente ad aprire e
chiudere la raccolta dei tre libri. Sulle connessioni tra I 1 e III 30 da un lato, e
tra III 30 e proemio virgiliano dall’altro, si leggano queste illuminanti
considerazioni di A. Ghiselli (op. cit., pp. 21 ss.).
Il carme I 1 rappresenta di III 30 una vera e propria citazione, dato che il
richiamo di prammatica è spesso limitato all’identità del metro: qui asclepiadei
minori in serie continue, soli due esempi nell’intera raccolta. A conferma, più
che altre citazioni o autocitazioni oraziane, basti richiamare il parallelo con
Catullo 51 e 11, uniche due saffiche dei 116 carmi, duplice parentesi che apre
e chiude nel ricordo amaro e struggente la vicenda dell’amore con Lesbia.
Superfluo è ricordare che citazione vuol dire, in tali casi, integrazione del tono.
Torniamo al proemio di Georgiche III: perché Orazio ne è stato attratto? e qual
è il suo significato in quel punto del poema? «Era qui il punto – scrive il
Castiglioni – in cui Virgilio doveva e poteva rivolgere la propria riflessione
all’opera intrapresa, com’era naturale che l’Ennio degli Annali sostasse, giunto
alle guerre Puniche, e si volgesse con il canto al punto dal quale era partito…
Nessun tema si presentava più coerente alla materia e più saldamente
ancorato alla tradizione, di quello relativo alla novità del canto. Modello
immediato era qui Lucrezio con i versi che Virgilio, non altrimenti che noi,
leggeva prefissi al quarto del poema». Esaurito in certo modo il tema più
propriamente georgico, raggiunto dalla gloria e divenuto consapevole del suo
respiro poetico, Virgilio concepisce ora un’aspirazione più alta, celebrare
Ottaviano o semplicemente lo splendore di grandi imprese, e configura per sé
una sorta di trionfo poetico.
Da un volgersi indietro all’opera compiuta nel segno di una conquistata
originalità, dall’orgoglio per il suo carmen Latinum nasce appunto l’ispirazione

del carme III 30.
Che il modello immediato di Orazio sia il brano delle Georgiche virgiliane, balza
subito agli occhi dal confronto dello schema semico e figurativo, cui aggiunge
peso l’affinità retorica di proemi e commiati:
VIRGILIO ORAZIO
1° Metafora poesia/architettura 13 templum … ponam 1 Exegi monumentum
2° Vanto di priorità nel
trasferimento di un genere a
Roma
3° Immortalità personale
tramite la poesia
10-11 primus ego in
patriam … Aonio rediens
deducam vertice Musas
8-9 temptanda via est,
qua … possim virum
volitare per ora
4° Orgoglio locale 12-15 Mantua … tardis
ingens ubi flexibus errat
Mincius et tenera
praetexit harundine ripas
L’eternità del canto
10-14 dicar … princeps
Aeolium carmen ad
Italos deduxisse modos
6-9 non omnis moriar …
usque ego postera
crescam laude recens
10-12 qua violens
obstrepit Aufidus et qua
pauper aquae Daunus
agrestium regnavit
populorum
Simonide, fr. 531 Page (riferendosi agli onori dovuti ai morti delle Termopili).
Questa veste funebre non la ruggine, né il tempo che tutto vince oscurerà.
Pindaro, Pyt. VI 5 ss. (riferendosi al «tesoro» dei suoi inni).
Né tempestosa pioggia, né esercito spietato di nuvole tonanti che s’abbatta, né vento
colpendo coi residui d’ogni genere che trasporta potranno mai spingerlo negli abissi
marini.

Il motivo rientra anche nella tradizione romana, a partire dall’autoepitaffio di
Ennio citato da Cicerone:
Tusculanae disputationes I 33-34.
È molto radicato nell’animo umano un presentimento del futuro, e ciò è tanto più
facilmente riscontrabile quanto più grande è l’ingegno ed elevato l’animo … Ho parlato
degli uomini politici, ma anche i poeti, non desiderano forse restare famosi dopo la
morte?
Seguono i versi di Ennio (certo noti ad Orazio):
nemo me lacrimis decoret, nec funera fletu / faxit (= faciat). Cur? volito vivos (= vivus)
per ora virum (= virorum).
Nel citato congedo oraziano II 20, al motivo dell’immortalità s’unisce quello,
enniano, dell’inutilità dei funerali:
Orazio, Odi II 20.
Col volo vigoroso un’ala insolita / mi leverà per l’etere fluente / vate biforme. Non
starò più a lungo / su la terra: intangibile all’invidia / lascerò le città. Io nato d’umile/
stirpe, che tu desideri vicino, / diletto Mecenate, io non muoio: / non graverà su me
l’onda di Stige. Ecco ruvide pelli su le gambe / stendersi, in bianco uccello il petto e il
capo / mutarsi e su le dita e su le spalle / le piume mi rivestono leggere … Dalla mia
bara vuota si allontanino / le nenie e i lutti e i torbidi lamenti; / in silenzio tralascia i riti
funebri/ e della tomba l’onoranza inutile.
(Trad. E. Cetrangolo)
Il motivo dell’eternità s’intreccia, in Orazio, a quello callimacheo del primus 1 :
Odi I 32.
1 Per questo motivo, cfr. Lucr. I 926 ss. = IV 1 ss.; Virg., Georg. II 174 ss., III 291 ss.

M’invitano: se all’ombra senza altri pensieri/ con te ho scherzato, ispirami, lira, un
canto/ che per noi possa sopravvivere nel tempo,/ tu che da Alceo/ fosti intonata per la
prima volta…
(Trad. M. Ramous)
Epistole I 19, 32.
Questo poeta [Alceo] da nessuno prima di me imitato, ho divulgato io lirico Latino.
A sua volta Orazio sarà imitato da Properzio e da Ovidio:
Properzio, Elegie III 1, 1 ss.
(Trad. E. Cetrangolo)
Spirito di Callimaco, ombra del coo Filita, lasciatemi vi prego nel vostro bosco entrare.
Primo da pura fonte io sacerdote intendo portare ai cori greci i sacri riti italici … Antica
fama rende ogni cosa più grande dopo la morte, più grande rinomanza s’esprime dalle
tombe.
Ovidio, congedo delle Metamorfosi XV 871 ss.
Ho compiuto un’opera (exegi opus) che né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il
tempo che tutto corrode (edax) potranno annullare … Io volerò eterno tra gli astri
sublimi né perirà mai la memoria del mio nome indelebile. E sarò letto dalla bocca
della gente (ore legar populi) dovunque si estenda l’impero di Roma sulle terre domate,
e per tutti i secoli in virtù della fama, se qualcosa di vero hanno presagi dei poeti, vivrò.
Un riecheggiamento moderno dell’ode III 30 è in questa «barbara» di Carducci:
«Nell’annuale della fondazione di Roma» 9 ss.
Se al Campidoglio non più la vergine/ tacita sale dietro il pontefice,/ né più per Via
Sacra il trionfo/ piega i quattro candidi cavalli,/ questa del Foro tua solitudine/ ogni
rumore vince, ogni gloria…

L’orgoglio dei conterranei
Per questa topica, riportiamo le considerazioni di Fraenkel.
Conosciamo l’interesse con cui gli abitanti di un municipium erano soliti seguire le
carriere dei loro concittadini a Roma e parlare di essi. Cicerone, nella sua orazione pro
Plancio (19-23), ci fornisce un piacevole resoconto del modo in cui questa forma
particolare di patriottismo locale operava ad Arpino e in altri municipia di quella
regione. A proposito dei cittadini del proprio paese natale Cicerone dice 2 : in
quemcumque Arpinatem incideris, etiam si nolis, erit tamen tibi fortasse etiam de nobis
aliquid, sed certe de C. Mario audiendum. Properzio, all’inizio dell’ultimo libro 3 , dice:
ut nostris tumefacta superbiat Umbria libris,
Umbria Romani patria Callimachi;
e Ovidio, nell’epilogo dei suoi Amores 4 :
Mantua Vergilio, gaudet Verona Catullo;
Paelignae dicar gloria gentis ego.
Seguendo le orme di Ovidio, Marziale scrive 5 :
Verona docti syllabas amat vatis,
Marone felix Mantua est,
e applica quindi la stessa idea a varie città e ai loro figli divenuti famosi come
scrittori o poeti; così ad esempio (vv. 5-8):
Apollodoro plaudit imbrifer Nilus,
Nasone Paeligni sonant,
2 Ibidem, 20.
3 IV 1 63 ss.
4 III 15 7 ss.
5 I 61 1 s.

duosque Senecas unicumque Lucanum
facunda loquitur Corduba.
(E. Fraenkel, Orazio, Salerno Edit., Roma 1993, pp. 418 ss.)