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Gli esordi narrativi di Elio Vittorini - Biblioteca Provinciale di Foggia ...

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Giuseppe De Matteis<br />

<strong>Gli</strong> <strong>esor<strong>di</strong></strong> <strong>narrativi</strong> <strong>di</strong> <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong><br />

<strong>di</strong> Giuseppe De Matteis<br />

Quando si affronta il <strong>di</strong>scorso sull’opera <strong>di</strong> <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong>, si è soliti farlo<br />

iniziare dal periodo fi orentino; lo scrittore si trasferì, infatti, a Firenze nel 1930,<br />

dove iniziò un’intensa collaborazione a «Solaria», rivista sulla quale apparve la<br />

sua prima prova letteraria signifi cativa, Piccola Borghesia. Se si vuole, però, essere<br />

più precisi, bisogna collocare il vero e proprio <strong>esor<strong>di</strong></strong>o letterario vittoriano tra il<br />

1926 e il 1929: è in questo triennio che lo scrittore sarà tutto impegnato nell’esaltazione<br />

e nella <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> idee che vanno collocate nell’atmosfera culturale e<br />

confusa e un poco caotica dei primi anni del fascismo. La critica ha quasi sempre<br />

ignorato questo periodo in ossequio forse allo stesso <strong>Vittorini</strong> che in Diario in<br />

pubblico 1 scan<strong>di</strong>sce la propria avventura intellettuale in quattro perio<strong>di</strong>: ragione<br />

letteraria (1929-1936); ragione antifascista (1937-1945); ragione culturale (1945-<br />

1947); ragione civile (1948-1957).<br />

In questo modo lo scrittore defi nisce il proprio <strong>esor<strong>di</strong></strong>o come ‘ragione letteraria’,<br />

ignorando volutamente il periodo precedente (1926-1929), dove sarebbe<br />

invece possibile rinvenire un <strong>Vittorini</strong> pubblicista, proiettato nell’atmosfera<br />

culturale del fascismo: egli posticipa il suo impegno politico ad un periodo posteriore,<br />

ossia agli anni 1948-1957, corrispondenti al momento della “ragione<br />

civile”, in cui prende posizione con interventi pubblici, interviste, trasmissioni<br />

ra<strong>di</strong>ofoniche. È questa una maniera per allontanare da sé gli in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> un giovanile<br />

rapporto con il fascismo, in contrasto con l’impegno politico posteriore.<br />

Si sa che alle spalle del <strong>Vittorini</strong> ‘fi orentino’ v’è un <strong>esor<strong>di</strong></strong>o politico, datato<br />

1926, caratterizzato dall’incontro con Curzio Malaparte, dall’accettazione delle<br />

sue idee e dall’infl uenza della «Ronda».<br />

Nel primo gruppo <strong>di</strong> scritti politico-letterari, infatti, in<strong>di</strong>cato complessivamente<br />

con il Sermone dell’or<strong>di</strong>narietà 2 , è facile scorgere come <strong>Vittorini</strong> accolga le<br />

posizioni ideologiche del gruppo cosiddetto ‘selvaggio’, raccolto intorno a «La<br />

conquista dello Stato» 3 e come l’idea nazionalista <strong>di</strong> ‘popolo’ si sia venuta elabo-<br />

1 E. VITTORINI, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1957.<br />

2 In realtà il Sermone dell’or<strong>di</strong>narietà comprende: Lettere a Vossignoria e Tre Prolegomeni.<br />

3 «La conquista della Stato» era un perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong>retto dal Malaparte, il cui primo numero uscì il 10/7/1924,<br />

con il preciso intento <strong>di</strong> interpretare le passioni del fascismo provinciale e regionale.<br />

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<strong>Gli</strong> <strong>esor<strong>di</strong></strong> <strong>narrativi</strong> <strong>di</strong> <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong><br />

rando, assumendo connotazioni particolari, nel fascismo <strong>di</strong> ‘sinistra’.<br />

<strong>Vittorini</strong>, coerente con quest’ultima tendenza nella Lettera a Vossignoria,<br />

ipotizza nel popolano comune, ossia nell’uomo or<strong>di</strong>nario, l’essenza <strong>di</strong> italianità,<br />

contrapponendo l’immagine dell’Italia barbara-naturale all’Europa civile e negando<br />

l’esistenza <strong>di</strong> uno Stato italiano sullo stampo <strong>di</strong> quello liberal-borghese<br />

europeo. La confl ittualità è tutta da cogliere tra l’Italia barbara e l’Europa civile:<br />

l’Europa civile aveva cercato <strong>di</strong> assimilare l’Italia attraverso la linea <strong>di</strong> intervento<br />

liberal-borghese, e questa operazione sarebbe approdata a buon esito se il fascismo<br />

non si fosse messo alla testa della reazione per recuperare la ‘neutralità-or<strong>di</strong>narietà’<br />

italiana e per combattere le manovre borghesi. Così nei tre Prolegomeni<br />

che seguono alla Lettera, il concetto già chiarito <strong>di</strong> ‘or<strong>di</strong>narietà’ dell’Italiano viene<br />

contrapposto alla ‘straor<strong>di</strong>narietà’ dello straniero.<br />

Il ‘mal d’Europa’ contagia la genuina barbarie italiana, corrompendo il<br />

nostro spirito e depauperando la nostra nazionalità. È chiaro riscontrare in questi<br />

concetti non solo lasciti del pensiero malapartiano, in<strong>di</strong>scutibili, ma anche<br />

l’esercizio <strong>di</strong> allenamento con la campagna che in quel periodo il regime fascista<br />

organizzava con gran lena per la buona conservazione del ‘corpo’ e del ‘costume’<br />

italici, assumendo al proprio servizio molti intellettuali che avevano il compito<br />

<strong>di</strong> sbozzare nelle loro opere i ‘ritratti dell’italiano’.<br />

La contrapposizione tra europeismo-straor<strong>di</strong>narietà da un lato e italianitàor<strong>di</strong>narietà<br />

dall’altro, è alla base <strong>di</strong> tutti e tre i Prolegomeni; anche in questo<br />

contesto, «tutto malapartiano – osserva giustamente la Panicali – ma anticipato<br />

stilisticamente nella poetica xenofoba rondesca, <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong> viene proponendo<br />

il suo antiborghesismo politico: il borghese italiano è la personifi cazione della<br />

straor<strong>di</strong>anarietà perché si indentifi ca con lo straniero» 4 . Il primissimo <strong>Vittorini</strong><br />

ingaggia, dunque, la lotta contro la borghesia esterofi la, colpevole <strong>di</strong> aver rinunciato<br />

ai caratteri della stirpe italica e <strong>di</strong> aver introdotto i tratti dell’Europa moderna;<br />

sarà proprio a quest’ultima, anzi, che si contrapporrà l’uomo ‘or<strong>di</strong>nario’,<br />

‘classico’ e ‘italico’. Non a caso proprio in quel periodo la cultura fascista scopre<br />

il senso della romanità, ritorna al classicismo delle forme per celebrare i propri<br />

fasti, così come in campo poetico si ritorna al culto della bella forma, ricalcando<br />

i caratteri propri della poetica ron<strong>di</strong>sta.<br />

Di stampo ron<strong>di</strong>sta sarà, infatti, il Ritratto <strong>di</strong> re Gianpiero, pubblicato dal<br />

<strong>Vittorini</strong> il 12 giugno del 1927 sulla «Fiera letteraria», con una presentazione <strong>di</strong><br />

Enrico Falqui. Re Giampiero è un uomo all’antica, ‘or<strong>di</strong>narissimo’, <strong>di</strong> saggezza<br />

popolare profonda; nonostante queste sue doti, egli non riesce a governare il suo<br />

popolo e <strong>di</strong> ciò si addolora e si sdegna.<br />

La causa del suo fallimento non è, però, da ricercarsi nella mancanza <strong>di</strong><br />

abilità o nella poca fermezza del suo carattere, bensì nel fatto che i citta<strong>di</strong>ni si<br />

4 A. PANICALI, Il primo <strong>Vittorini</strong>, Milano, Celuc, 1974, p. 7.<br />

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Giuseppe De Matteis<br />

sono irrime<strong>di</strong>abilmente perduti nella ‘straor<strong>di</strong>narietà’. Come non cogliere qui<br />

l’analogia tra la Lettera e i Prolegomeni? Si potrebbe affermare quasi che il Ritratto<br />

<strong>di</strong> Re Gianpiero è la traduzione in termini letterari dell’ideologia politica<br />

dello scrittore tra il 1926-1927: re Giampiero sembra essere il ritratto del modello<br />

stabilito in precedenza dal <strong>Vittorini</strong> nel Sermone dell’or<strong>di</strong>narietà. E questo nesso<br />

va sottolineato, ché chiarisce come, fi n dall’inizio della sua attività <strong>di</strong> scrittore, il<br />

<strong>Vittorini</strong> abbia tenuto presente la stretta e irrinunciabile connessione tra politica<br />

e cultura.<br />

Si è accennato poc’anzi alla matrice rondesca presente nel Ritratto <strong>di</strong> Re<br />

Gianpiero e a questo proposito paiono interessanti le osservazioni che fa la Panicali,<br />

mettendo a confronto il Sermone dell’or<strong>di</strong>narietà con il Ritratto <strong>di</strong> re Gianpiero:<br />

«…il dettato rigorosamente ron<strong>di</strong>sta dei primi testi vittoriani (considerati<br />

nella loro globalità) è verifi cabile nel rimando esplicito ad un programma che,<br />

rigettando l’effervescenza sentimentale e la effusività espressiva insieme all’incontrollata<br />

aggressività linguistica (che costituiscono altrettante derivazioni del<br />

lavoro letterario del primo Novecento), privilegia la ricerca formale, raggiunta<br />

ricorrendo a tutti gli inganni della logica, dell’ironia, del sentimento» 5 .<br />

<strong>Vittorini</strong> accetta, è vero, come sul primo esercizio letterario e linguistico la<br />

frequentazione della lettura e dello stu<strong>di</strong>o della rivista romana, ma al suo interno<br />

svolge le proprie variazioni letterarie, appoggiandosi su un lessico e su una sintassi<br />

perfi no più arcaici, a volte, della stessa tendenza ron<strong>di</strong>sta. La Panicali ha messo in<br />

evidenza nel Ritratto <strong>di</strong> re Gianpiero soprattutto la valenza ironica che si presenterebbe<br />

‘come un tardo espe<strong>di</strong>ente per ironizzare il classicismo’ 6 ; l’introduzione<br />

dell’elemento ironico riesce, anzi, a mettere in crisi la teoria dell’eleganza della<br />

lingua cinquecentesca, cioè il concetto rondesco <strong>di</strong> ‘classicismo moderno’.<br />

Questa <strong>di</strong>versifi cazione dal modello ron<strong>di</strong>sta, si ba<strong>di</strong> bene, non è una peculiarità<br />

dell’opera <strong>di</strong> <strong>Vittorini</strong>, solo sta ad in<strong>di</strong>care un preciso orientamento storico<br />

e culturale inteso al recupero, in epoca fascista, della ‘provincia’, <strong>di</strong> cui si faceva<br />

portatore il gruppo toscano <strong>di</strong> «Strapaese».<br />

Il concetto <strong>di</strong> ‘italianità’, infatti, dalle chiare connotazioni nazionali tra il<br />

gruppo dei ron<strong>di</strong>sti, si verrà colorando <strong>di</strong> sfumature regionali e il <strong>Vittorini</strong> si inserirà<br />

proprio in questa tendenza <strong>di</strong> continuità ideologica che legherà la «Ronda»<br />

al movimento <strong>di</strong> «Strapaese».<br />

Nel Commendatore, opera apparsa qualche anno più tar<strong>di</strong>, nel 1928, si<br />

nota con maggiore chiarezza l’infl usso della forma scrittoria malapartiana, ché,<br />

se la mascheratura ideologica aveva funzionato alla perfezione nel Ritratto <strong>di</strong><br />

re Gianpiero, confi gurando il racconto come un esempio <strong>di</strong> prosa ron<strong>di</strong>sta, nel<br />

Commendatore, invece la lingua esagitata e robusta, fantasiosa e popolaresca,<br />

5 Ibidem, p. 16.<br />

6 A. PANICALI, op. cit., p. 17.<br />

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<strong>Gli</strong> <strong>esor<strong>di</strong></strong> <strong>narrativi</strong> <strong>di</strong> <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong><br />

richiama più da vicino i mo<strong>di</strong> ‘dell’Italiano’ e del ‘Selvaggio’. Quest’opera, come<br />

già il Ritratto <strong>di</strong> re Gianpiero, si pone come trascrizione letteraria dell’ideologia<br />

espressa nel Sermone dell’or<strong>di</strong>narietà, prendendo nello stesso tempo <strong>di</strong> mira la<br />

straor<strong>di</strong>narietà per contrapporla alla or<strong>di</strong>narietà-naturalità italiane. È, dunque,<br />

assai chiaro il nesso tra queste prime prove vittoriane, proprio in virtù <strong>di</strong> quello<br />

spirito malapartiano selvaggio da cui esse sono pervase.<br />

Papa Pompilione e la sua storia avrebbero dovuto collocarsi al centro <strong>di</strong><br />

questo primo ciclo narrativo con il titolo Il brigantino del papa che segue l’altro<br />

racconto, Commendatore; in realtà fi no al 1985, anno della scoperta del primo<br />

romanzo del <strong>Vittorini</strong>, <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>rà fra poco, si era a conoscenza del solo capitolo,<br />

Racconto all’antica, e dell’appen<strong>di</strong>ce, Dolcezza del navigare. In questi<br />

frammenti si narra del papa Pompilio che, come re Gianpiero, è abbandonato e<br />

schivato da tutti, vivendo immerso nelle sue fantasie. Pompilione è una fi gura’or<strong>di</strong>naria’,<br />

come era Gianpiero, ‘all’antica’, ‘comune’. Questa convergenza fu, del<br />

resto, già notata più <strong>di</strong> un decennio fa dalla Corti: «Le due favole <strong>di</strong> Re Gianpiero<br />

e papa Pompilione ci consentono non <strong>di</strong> mettere a fuoco, bensì <strong>di</strong> intravedere<br />

un gioco combinatorio <strong>di</strong> costanti e varianti, <strong>di</strong> funzioni, <strong>di</strong> simboli e attributi<br />

in questa bizzarra, veemente, un po’ enfatica coppia Re-papa» 7 . Non molto<br />

tempo fa è uscito, nella collezione della casa e<strong>di</strong>trice Rizzoli La Piccola Scala, Il<br />

brigantino del papa (titolo originale del primo romanzo del <strong>Vittorini</strong>). Va detto<br />

che, oltre a Rizzoli, anche la casa e<strong>di</strong>trice <strong>di</strong> Armando Ver<strong>di</strong>glione, ‘Spirali’,<br />

aveva il romanzo in bozze; ma l’originale scoperto alcuni anni ad<strong>di</strong>etro, giaceva<br />

nella cassa del primo destinatario, Enrico Falqui, al quale lo scrittore siciliano lo<br />

aveva spe<strong>di</strong>to tra il 1929 e il 1930, quando si trovava a Firenze, dove si era stabilito<br />

con la moglie e il fi glio Giulio, dopo aver lasciato la Venezia Giulia, dov’era<br />

stato assistente presso un’impresa <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> ponti e <strong>di</strong>rigente sindacale.<br />

Il brigantino del papa non incontrò le simpatie <strong>di</strong> Falqui e fi nì in una cassa del<br />

<strong>di</strong>rettore della ‘Fiera letteraria’, dove è rimasto fi no a qualche anno fa. Da lì,<br />

anzi, è venuta fuori la copia che ‘Spirali’ aveva già in bozze, e che bloccò quando<br />

venne a conoscenza che Rizzoli avrebbe pubblicato il libro con l’autorizzazione<br />

del fi glio, Demetrio <strong>Vittorini</strong>. ‘Allegoria in prosa lirica’ – osserva Nico Orengo<br />

– Il brigantino del papa racconta l’incontro, in ‘una notte biblica <strong>di</strong> tempesta’,<br />

sul litorale versiliese, fra la ciurma <strong>di</strong> pirati, senza patria e Dio, e un piccolo prete<br />

in barchetta; costui rivelerà d’essere il papa <strong>di</strong> Roma, Pompilio, in fuga da una<br />

città in cui ‘il prete vuol fare il laico e vi si crede sbirro, galeotto, moschettiere,<br />

conquistatore, buongustaio, fottidonne, artigiano, bevitore e mecenate, nonchè<br />

fanfarone e rompiganasce come un qualsivoglia provenzale’. Capitan Fregoso e<br />

la sua ciurma imbarcano il reverendo-papa, cercando correnti <strong>di</strong> Francia e approdando<br />

in Spagna; qui imbarcheranno Annunciatela, una femmina in fuga da<br />

7 M. CORTI, Prefazione a E. <strong>Vittorini</strong>, Le opere narrative, Milano, Mondadori, 1974, vol. I, p. XVIII.<br />

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Giuseppe De Matteis<br />

Barcellona, solare e <strong>di</strong>abolica, che sconvolgerà i ritmi della navigazione. Accettati<br />

il religioso e la donna, sapranno accogliere la rivelazione che il prete è un papa e<br />

la giovinetta un demonio. Del papa si faranno scudo e protezione per anarchiche<br />

scorrerie, della ragazza sogni per la loro lunga vita d’orizzonte. Ma papa Pompilio<br />

sul guscio del San Martino conosce la propria metamorfosi: prima si rifà della<br />

stessa pasta dei marinai, si imbarbarisce, come la Roma che l’ha messo in fuga,<br />

poi, attraverso questa regressione, capirà la decadenza della ‘Città eterna’. Il brigantino<br />

<strong>di</strong>venta metafora <strong>di</strong> Roma e la natura del mare, con i suoi draghi, orche,<br />

tritoni, simboleggia i mostri che la tentano. Pompilio si ribellerà, cercando per<br />

tutti la salvazione, si opporrà alla gioia che l’Annunciatella, con i suoi balli e gesti<br />

seducenti, va <strong>di</strong>stribuendo fra l’equipaggio, Morirà, violentemente e poco onorevolmente,<br />

martire, cercando <strong>di</strong> restituire loro ‘il dono della leggerezza, il pregio<br />

dell’innocenza’ 8 . Appena <strong>di</strong>ciannovenne, nel 1927, <strong>Vittorini</strong> non poteva offrirci,<br />

è evidente, una prova letteraria compiuta e <strong>di</strong> sicuro effetto: a rileggerlo in questa<br />

sua primitiva, giovanissima veste <strong>di</strong> scrittore, egli appare piuttosto sprovveduto,<br />

illeggibile quasi, con toni tutt’altro che sinceri; non riscontriamo, insomma, alcun<br />

‘lampo <strong>di</strong> quella passione e intelligenza che hanno sempre contrad<strong>di</strong>stinto<br />

anche le opere non riuscite <strong>di</strong> <strong>Vittorini</strong>’ 9 . Lo stesso Pautasso, che dell’opera <strong>di</strong><br />

<strong>Vittorini</strong> è stato sempre un interprete completo e intelligente, ha osservato nella<br />

prefazione al libro che non possono essere attribuiti a questo primo documento<br />

della prosa vittoriniana ‘meriti e valori che non ha’; averlo pubblicato oggi, a <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> tanto tempo dal suo concepimento e dalla sua stesura, ‘equivale a mattere<br />

qualche carta al posto giusto’ e non a dare la sensazione che si sia scoperto<br />

‘un capolavoro segreto e nascosto’.<br />

Agli stessi anni del Brigantino del papa e del Commendatore risale un<br />

blocco romanzesco da cui <strong>Vittorini</strong> estrapola e dà alle stampe, tra il 1929-1930,<br />

cinque episo<strong>di</strong>: Nome ispirato, Il tranvai n.13, Caffè Lagrange, Per ringraziare<br />

una fanciulla, Gilda, tutti appartenenti al romanzo programmato Il ballo dei Lagrange.<br />

Ora, se il Brigantino del papa rappresenta la piena realizzazione dell’in<strong>di</strong>rizzo<br />

narrativo avviato con il Ritratto <strong>di</strong> re Gianpiero, Il ballo dei Lagrange<br />

pare contenga già in nuce dei motivi che avranno un loro organico sviluppo e un<br />

loro compimento in Piccola borghesia e, in parte anche, nel Garofano rosso. La<br />

coppia Adolfo-Gilda, infatti, che incontriamo nel Ballo dei Lagrange, sarà pienamente<br />

sviluppata nella coppia Alessio-Giovanna, così come il nome <strong>di</strong> Adolfo<br />

non può non far pensare o non può non suggerire il riferimento all’Adolfo <strong>di</strong><br />

Piccola borghesia.<br />

Quest’ultimo non può essere defi nito un romanzo ‘impegnato’, nel senso<br />

<strong>di</strong> una vasta aderenza al linguaggio e ai mo<strong>di</strong> malatestiani-selvaggi: ormai la<br />

8 N. ORENGO, «La Stampa», (Tuttolibri), 2 febbraio 1985.<br />

9 L. PICCIONI, «il Tempo», 18 ottobre 1985.<br />

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<strong>Gli</strong> <strong>esor<strong>di</strong></strong> <strong>narrativi</strong> <strong>di</strong> <strong>Elio</strong> <strong>Vittorini</strong><br />

poetica malapartiana ha già assunto il carattere <strong>di</strong> guida nelle opere del <strong>Vittorini</strong><br />

o perlomeno non ha più la funzione <strong>di</strong> musa ispiratrice e trainante in senso assoluto.<br />

Si registrerà proprio ora, anzi, il primo segno <strong>di</strong> frattura tra prosa letteraria<br />

e politica, che si consumerà a poco a poco nel periodo in cui lo scrittore<br />

collaborerà a «Solaria», con la conseguente apertura europeistica, fi no al <strong>di</strong>stacco<br />

del fascismo avvenuto nel 1936, con la guerra <strong>di</strong> Spagna. Questo è quanto sostenne,<br />

del resto, lo stesso <strong>Vittorini</strong> qualche decennio dopo: «Scrissi fi no al 1929 su<br />

giornali <strong>di</strong>retti da lui (Malaparte), ma la tendenza letteraria cosiddetta barbara o<br />

strapaesana che lui sosteneva e che lo faceva passare agli occhi dei superfi ciali per<br />

ultra-fascista mi riusciva augusta» 10 .<br />

Così in effetti, è stato sul piano creativo, mentre su quello strettamente<br />

ideologico l’affermazione del <strong>Vittorini</strong> pare sia poco cre<strong>di</strong>bile, dal momento che<br />

dal 1931 in poi egli collaborerà al «Barcello». Ma torniamo a qualche anno in<strong>di</strong>etro.<br />

Nel 1930, come si è detto, <strong>Vittorini</strong> si trasferì a Firenze, dove venne a contatto<br />

con i solariani. La rivista «Solaria», uscita a Firenze nel 1926 sotto la <strong>di</strong>rezione<br />

<strong>di</strong> Alberto Carocci, si pone come momento <strong>di</strong> apertura verso la letteratura<br />

europea e come tentativo <strong>di</strong> uscire dal chiuso provincialismo, nel quale era stata<br />

relegata la cultura italiana durante il fascismo. In questo suo sforzo la rivista non<br />

opera, però, un taglio netto con il passato e con la «Ronda»; cerca piuttosto <strong>di</strong><br />

mettere a frutto le conquiste formali ron<strong>di</strong>ste, aprendosi contemporaneamente<br />

alle sollecitazioni e ai messaggi della letteratura straniera. «Solaria» porta, infatti<br />

all’attenzione dei nostri scrittori, in quegl’anni, poeti e narratori dell’avanguar<strong>di</strong>a<br />

europea, da James Joce a Marcel Proust, da Franz Kafka a Valery Larbaud,<br />

da Katherine Mansfi eld a Virginia Wolfs, a Henri Alain Fournier, ecc. <strong>Vittorini</strong>,<br />

venuto a contatto con la rivista, ne è fortemente infl uenzato, tanto che ad un tratto<br />

scoprirà i suoi veri maestri, come <strong>di</strong>rà in Scarico <strong>di</strong> coscienza, pubblicato nel<br />

1929, sull’«Italia letteraria», dove viene teorizzata per la prima volta l’esperienza<br />

solariana. Nel saggio <strong>Vittorini</strong> in<strong>di</strong>vidua anzitutto il legame strettissimo esistente<br />

tra «Ronda» e «Solaria», tra<strong>di</strong>zione culturale italiana e apertura europea; riconosce<br />

la limitatezza del nostro orizzonte culturale e <strong>di</strong>chiara suoi maestri Proust<br />

e Gide; liquida frettolosamente tutta la nostra letteratura, da Carducci in poi,<br />

e chiama in causa l’800 <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> e <strong>di</strong> Stendhal come momento <strong>di</strong> incontroscontro<br />

tra la nostra letteratura e quella europea, salvando dalle sue stroncature<br />

o dai suoi forti accenti demolitori unicamente l’opera <strong>di</strong> Italo Svevo.<br />

L’aggancio che il <strong>Vittorini</strong> fa con la «Ronda» testimonia <strong>di</strong> come fosse restaurativa<br />

l’operazione <strong>di</strong> apertura europea auspicata dalla rivista. La «Ronda»,<br />

infatti, riven<strong>di</strong>cava la restaurazione corporativa dell’arte, teorizzava il recupero<br />

estetico <strong>di</strong> essa me<strong>di</strong>ante il classicismo, guardava sì all’Europa ma col primato<br />

10 E. VITTORINI, Della mia Vita fi no ad oggi, in «Pesci Rossi», marzo 1949, p. 7.<br />

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Giuseppe De Matteis<br />

assoluto della cultura italiana e ciò fa capire come fosse regressiva la sua operazione,<br />

fosse cioè il risultato <strong>di</strong> una delusione storica e <strong>di</strong> una profonda crisi<br />

intellettuale sopraggiunta all’avventura post-bellica. <strong>Vittorini</strong>, in sostanza, non<br />

recupera sola la «Ronda», ma vede «Solaria» come l’erede <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> questa.<br />

L’originalità dei solariani è data, oltre che da quell’anelito ad un’apertura<br />

europea, anche dal desiderio che i giovani intellettuali degli anni ’30, contemporanei<br />

del <strong>Vittorini</strong>, manifestano per il mondo dell’arte e per una più esatta defi nizione<br />

<strong>di</strong> essa, non più illuminata e vincolata alle categorie crociane o alle poetiche<br />

estetiche del nostro primo Novecento.<br />

La ridefi nizione dell’intellettuale percorre l’intero arco dell’itinerario artistico<br />

vittoriniano, dagli <strong>esor<strong>di</strong></strong> strapaesani o malapartiani al delinearsi <strong>di</strong> una<br />

prospettiva europea, dal ripensamento del suo rapporto con il fascismo alla rottura<br />

operata con l’annuncio degli astratti furori <strong>di</strong> Conversazioni in Sicilia. In<br />

questo periodo, l’operazione <strong>di</strong> ridefi nizione dell’intellettuale che, come <strong>di</strong>mostra<br />

il saggio Scarico <strong>di</strong> Coscienza, rompe i ponti con la tra<strong>di</strong>zione letteraria italiana<br />

e contemporaneamente si apre agli scrittori europei, non può essere intesa<br />

come rifi uto del sistema. <strong>Vittorini</strong>, in Scarico <strong>di</strong> Coscienza, vuole sostanzialmente<br />

recuperare il concetto <strong>di</strong> ‘modernità’, ossia <strong>di</strong> apertura verso l’Europa, rifacendosi<br />

alla tra<strong>di</strong>zione (si è ricordato il Leopar<strong>di</strong> e lo Stendhal), poiché è attraverso<br />

questa che si riescono a stabilire con maggiore incisività i contatti tra la nostra<br />

letteratura e quella europea.<br />

Lo sforzo per superare le categorie crociane viene testimoniato ancora dal<br />

<strong>Vittorini</strong> nell’antologia Scrittori Nuovi 11 , redatta in collaborazione con Enrico<br />

Falqui. Va osservato a questo proposito che se lo scrittore in Scarico <strong>di</strong> Coscienza<br />

liquidava piuttosto frettolosamente il Croce, nell’antologia la scelta delle opere<br />

è presieduta dai concetti <strong>di</strong> ‘novità, originalità, attualità’, poggianti proprio sulla<br />

nozione crociana <strong>di</strong> arte, da cui il <strong>Vittorini</strong> avrebbe certamente voluto prendere<br />

le <strong>di</strong>stanze.<br />

Si deve, però, ammettere che il Croce, seppure tante volte e da più parti<br />

sconfessato, rimane il regista occulto degli scrittori degli anni ’30, che non fi -<br />

nivano <strong>di</strong> interrogarsi sulla loro con<strong>di</strong>zione e sui loro strumenti, dando vita –<br />

come qualche critico ha osservato – a numerosi <strong>di</strong>battiti sul rapporto tra cultura<br />

e politica e sulla defi nizione <strong>di</strong> una cultura nuova, sintonizzata anche all’ascolto<br />

costante ed intelligente <strong>di</strong> quella europea e mon<strong>di</strong>ale.<br />

11 E. FALQUI - E. VITTORINI, Scrittori Nuovi, Lanciano, Carabba, 1930.<br />

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