Ritrovati & Restaurati sonori.pdf - Cineteca di Bologna

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DOCUMENTARI FRANCESI da CNC – Archives Françaises du Film FRENCH DOCUMENTARIES from CNC – Archives Françaises du Film LETTRE DE PARIS Francia, 1946 Regia: Roger Leenhardt █ Prod.: Les Films du Compas █ 35mm. D.: 22’. Bn. Versione francese / French version █ Da: CNC – Archives Françaises du Film Roger Leenhardt è un uomo curioso: l’aria perpetuamente assonnata, borbottante nel modo più pittoresco, non si contenta di essere uno dei nostri migliori critici cinematografici e un eccellente radio-reporter, ma firma anche dei documentari affascinanti. L’altra sera ne hanno presentati due: Départ en Allemagne, abile montaggio di attualità e modellini nello stile di Perché combattiamo, e Lettre de Paris, la cui sceneggiatura è di Claude Roy. Destinato ai nostri amici stranieri, questo piccolo film incanterà anche i francesi; ci descrive la Parigi dell’estate 1945, i G.I. e i loro compagni che scoprono la rue de la Paix dove fra i cabaret di Montmartre, i bagnanti lungo la Senna e i viaggi in metrò, e intorno ai caffé letterari della rive gauche, si incontrano Paul Eluard, Jean- Paul Sartre e André Gide mentre conversano con Jean-Louis Barrault davanti alla statua di Diderot... Ariane, Un bonjour de Paris, “L’Ecran français”, n. 23, 5 dicembre 1945 Roger Leenhardt is an unusual man: he seems constantly sleepy and mumbles in the most spectacular way. He is not satisfied with being one of our best film critics and an excellent radio-reporter but has also made fascinating documentaries. The other evening they presented two of them: Départ en Allemagne, a skilled montage of current events and models in the style of Why We Fight, and Lettre de Paris, a screenplay by Claude Roy. Made for our foreign friends, this small film will also enchant the French; it describes the Paris of the summer of 1945, the GIs and their mates who discover la rue de la Paix where between the cabarets of Montmartre, the bathers along the Seine, trips on the metrò and the literary cafes of the rive gauche, they encounter Paul Eluard, Jean-Paul Sartre and André 158 Gide conversing with Jean-Louis Barrault near the statue of Diderot... Ariane, Un bonjour de Paris, “L’Ecran français”, n. 23, December 5, 1945 PACIFIC 231 Francia, 1949 Regia: Jean Mitry █ Scen.: Marc Ducouret, Jean Mitry; F.: Jean Jarret, André Périé, André Tadié; Mo.: Marc Ducouret, Jean Mitry; Mu.: Arthur Honegger; Su.: Georges Leblond; Prod.: Tadié-Cinéma █ 35mm. D.: 10’. Bn. Versione francese / French version █ Da: CNC – Archives Françaises du Film Benché le immagini di Pacific 231 siano dirette dalla partitura nella loro natura e nel loro svolgersi, per quanto riguarda la realtà materiale che rappresentano sono indipendenti dalla musica, cioè non hanno essenzialmente carattere illustrativo. (…) Si tratta dunque di esprimere nello spazio un ritmo che si dispiega e si esprime già nella durata, di trovargli un equivalente plastico, agendo in modo tale che i movimenti formali si associno alle cadenze musicali come le inquadrature del montaggio alle frasi dello spartito (...). Certamente, dato che le immagini sono sempre immagini di una realtà, occorre “rendere astratto” il reale per cancellare l’aspetto troppo figurativo dell’oggetto filmico, facendo in modo però che essa non perda mai la carica emotiva dovuta alla sua realtà tangibile. Bisogna conservare il suo movimento, il suo ritmo, la sua tonalità (...). Infatti, come sottolinea magistralmente Gaston Bachelard, “solo una materia può ricevere il peso di impressioni e di sensazioni molteplici; solo i valori dei sensi danno delle corrispondenze. I valori della percezione non danno altro che traduzioni”. Ecco perché è necessario aggiungere alla percezione il movimento, la sensazione della materia in movimento; ma in modo che questa materia intervenga soltanto per questo valore sensoriale che essa ci dà e che ci appaga. Ragion per cui abbiamo cercato delle corrispondenze plastiche in seno alla realtà materiale piuttosto che ai grafismi astratti, e scelto di cantare il movimento della realtà che è il solo in grado di avere un senso. Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, Mazzotta, Milano 1971 Even if the nature and evolution of the images of Pacific 231 are guided by the score, the material reality they represent is not dependent on the music; in other words, they are not fundamentally illustrative. (…) It is about expressing in space a rhythm that unfolds and expresses itself firstly in the duration, about finding a visual equivalent for it, working in a way that the movements of form are linked with the musical rhythm like the edited shots with the bars of the score (...). Undoubtedly, considering that the images are always images of a reality, what is real must be “made abstract” in order to eliminate the overly figurative qualities of the object, but in a way that the emotional charge linked to the image’s tangible reality is not lost. Its movement, rhythm and tone all must be preserved (...). In fact, as Gaston Bachelard superbly pointed out, “only matter can bear the weight of impressions and multiple sensations; only the values of the senses can provide a correspondence. The values of perception provide nothing other than translations.” This is why movement needs to be added to perception, the sensation of matter in motion, but in a way that matter intervenes only for the sensorial value it give us and satisfies us. This is the reason why we tried to find visual correspondences in material reality rather than abstract graphics and why we chose to sing the movement of reality, which is the only movement that can generate sense. Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, Mazzotta, Milan 1971 LA CIRCONCISION Francia, 1949 Regia: Jean Rouch █ Prod.: Jean Rouch per CNRS e Secrétariat d’État à la Coopération █ 16mm. D.: 14’. Col. Ver-
sione francese / French version █ Da: CNC – Archives Françaises du Film Riti di circoncisione di bambini songhay nel villaggio di Hombori (Mali). I futuri circoncisi vengono condotti nella boscaglia dove il circoncisore li prepara e li opera. Dopo l’operazione, i bambini ricevono delle cure. La sera, escono per la prima volta e cantano il primo canto dei circoncisi. Premio del Reportage, Festival di Misguich, 1949. Jean Rouch cinéma et anthropologie, a cura di Jean-Paul Colleyn, Cahiers du Cinéma-INA, Parigi 2009 Circumcision rituals of Songhai boys in the village of Hombori (Mali). The boys to be circumcised are led into the bush where the circumciser prepares them and operates on them. After the operation, the children receive care. In the evening, they go out for the first time and sing their first song as circumcised boys. Reportage Award, Misguich Festival, 1949. Jean Rouch cinéma et anthropologie, edited by Jean-Paul Colleyn, Cahiers du Cinéma-INA, Paris 2009 LE SANG DES BÊTES Francia, 1949 Regia: Georges Franju █ T. it.: Il sangue delle bestie; Scen.: Georges Franju; Comm.: Jean Painlevé, letto da Georges Hubert, Nicole Ladmiral; F.: Marcel Fradetal; Mo.: André Joseph; Mu.: Joseph Kosma; Prod.: Paul Legros, FVF – Forces et Voix de France █ 35mm. D.: 22’. Bn. Versione francese / French version █ Da: CNC – Archives Françaises du Film Franju si presta di buon grado a spiegare il segreto della scena iniziale del suo film. “Nella finzione, la fantasia si ottiene solitamente dando a ciò che è artificiale (le scenografie del teatro di posa, ecc.) l’apparenza del reale. Nei nostri film noi vogliamo restituire al realismo documentario la sua vera qualità di apparente artificiosità. Ci siamo riusciti riprendendo direttamente la facciata degli edifici (come il Moulin de Panton) oppure scegliendo case con profili netti (al Port du Flandre) ed evitando qualsiasi accenno di profondità... Che si trattasse della chiatta che emerge ‘nella’ desolazione... come un fondale teatrale, o di quegli alberi che sembrano elementi scenici, ci interessava sempre esprimere il carattere plastico della scenografia, e spesso aspettammo vari giorni le condizioni atmosferiche giuste, cioè un tempo brumoso accompagnato da un cielo denso e opprimente, oppure che tutto fosse illuminato da quel particolare colore del luogo che colpisce come una bizzarria della luce...”. Le scene violente non sono osservate con minore sensibilità (anche se il tema probabilmente cattura per primo l’attenzione consapevole dello spettatore). “La scelta del mese di novembre per girare gli interni fu dettata dal fatto che in quella stagione dell’anno gli animali vengono macellati sotto la luce artificiale, e il vapore del sangue bollente dei cavalli nel freddo glaciale ci permise, malgrado tutti i problemi tecnici, di comporre le nostre immagini...”. Questa costante sensibilità, non solo nei confronti dell’estetica ma anche della realtà, permette a una doppia immagine, analoga a quella della casa-terreno abbandonato, di riapparire nel cuore della violenza: per citare Henri Agel, “il procedimento della macellazione acquista un carattere quasi rituale, il cavallo stordito cade in ginocchio mentre gli assassini, immersi in vapori di sangue, sembrano officiare un rito...”. Raymond Durgnat, Franju, Studio Vista, Londra 1967 Franju cheerfully explains he secret of his film’s opening. “In fiction, fantasy is usually obtained by giving the artificial (studio decor, etc) the appearance of reality. In our films we set out to restore to documentary realism its actual quality of apparently artificial decor. We managed it by shooting buildings from directly in front (like the Moulin de Panton) or else we chose houses with sharp profiles (at the Port du Flandre) and avoided any hint of depth... Whether in the business of the barge emerging “in” the wasteland... like a theatre flat, or with those trees which look like theatre props, we were constantly preoccupied with expressing the plastic character of the decor, and we often waited for several days for the weather to be simultaneously diffuse (misty) and dense in the sky, or else for everything to be lit up with that particular, local colour which strikes one as a freak of the sunlight...”. The violent scenes are no less sensitively observed (although the subject matter is likely to pre-empt the spectator’s conscious attention).”The choice of the month of November for shooting the interiors was dictated by the fact that at this season of the year the animals are slaughtered by electric light, and the blood steaming in the glacial cold of the scalding bays allowed us, despite all the technical problems, to compose our images...”. This unvarying sensitivity, not simply to aesthetics, but to reality, enables a double image, analogous to that of the homewasteland, to reappear in the heart of the violence: in Henri Agel’s words, “the ordering of the dismemberments takes on an almost ritual character, the stunned horse falls in a curtsey, while the killers, bathed in vapours of blood, seem to officiate...”. Raymond Durgnat, Franju, Studio Vista, London 1967 ARITHMÉTIQUE Francia, 1951 Regia: Pierre Kast █ Scen.: Pierre Kast, Raymond Queneau; F.: André Thomas; Mo.: Léonide Azar; Mu.: Georges Van Parys; Testo letto da Raymond Queneau; Prod.: Christin-Falaize per Le Trident █ 35mm. D.: 7’. Bn. Versione francese / French version █ Da: CNC – Archives Françaises du Film Il film Arithmétique che ho realizzato l’anno seguente [1952], da un’idea di Queneau, era concepito per essere più o meno un lungometraggio. Faceva parte di un insieme di dieci film, L’Encyclopedie filmée, per cui lo stesso Grémillon ha realizzato due film nello stesso periodo: Astrologie e Alchimie. Arithmétique è un film che mi stava a cuore, perché amavo Raymond Queneau, che incontravo spesso con Boris [Vian]. Erano tutti e due molto legati. In effetti, Queneau era uno dei pochi ad essersi resi conto che Vian era un grande scrittore (...). Il quadro era una classe scolastica, ma dalla finestra si vede una scenografia che era stata concepita nello stile di un film tedesco alla 159
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