Significato tossicologico degli indicatori biologici - Giornale Italiano ...
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, 267-428 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
67° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII<br />
75° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA DEL LAVORO<br />
MONITORAGGIO BIOLOGICO E AMBIENTI CONFINATI NON INDUSTRIALI:<br />
AGGIORNAMENTI E PROSPETTIVE<br />
RELAZIONI<br />
Sorrento, 3-6 novembre 2004<br />
a cura di M. Manno, M. Imbriani, N. Sannolo
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, 269-321 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
NUOVI INDICATORI BIOLOGICI IN MEDICINA DEL LAVORO<br />
Basi razionali e significato <strong>tossicologico</strong> <strong>degli</strong> <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong>
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, 270-277 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
M. Manno 1 , N. Sannolo 2<br />
<strong>Significato</strong> <strong>tossicologico</strong> <strong>degli</strong> <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong><br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Università <strong>degli</strong> Studi di Napoli Federico II<br />
2 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del Lavoro, Tossicologia ed Igiene Industriale, Seconda Università <strong>degli</strong> Studi di Napoli<br />
RIASSUNTO. Il monitoraggio biologico (MB) è l’insieme delle<br />
procedure (raccolta del campione, analisi in laboratorio,<br />
interpretazione, valutazione e gestione del risultato) atte a<br />
determinare quali-quantitativamente in fluidi, sistemi o<br />
campioni <strong>biologici</strong> il grado di esposizione, effetto o suscettibilità<br />
ad agenti tossici occupazionali. L’obiettivo più frequente del MB<br />
è quello di individuare più precocemente possibile<br />
un’alterazione, generalmente reversibile, dei parametri<br />
bioumorali, funzionali o strutturali secondaria all’esposizione a<br />
fattori di rischio occupazionali prima che diventi di rilevanza<br />
clinica. Il MB integra le informazioni fornite dal monitoraggio<br />
ambientale (MA) e permette di personalizzare ed ottimizzare la<br />
valutazione del rischio soprattutto nel singolo lavoratore, in<br />
quanto consente una valutazione più completa e accurata<br />
dell’esposizione reale totale. Alle tre categorie di <strong>indicatori</strong><br />
<strong>biologici</strong> (IB) tradizionali, ovvero quelli di esposizione, di<br />
risposta/effetto e di suscettibilità, si sono aggiunte recentemente<br />
alcune sottocategorie: gli <strong>indicatori</strong> di dose interna, quelli di dose<br />
biologicamente efficace e quelli precoci di malattia.<br />
L’introduzione di queste nuove tipologie rende più completa e<br />
articolata la valutazione del processo che parte dall’esposizione<br />
al fattore di rischio e arriva alla patologia conclamata. Tuttavia,<br />
non è sempre facile attribuire un dato IB all’una o all’altra<br />
categoria, come dimostrano, ad esempio, le difficoltà<br />
interpretative incontrate nell’uso del fenotipo metabolico del<br />
citocromo P450 (CYP-2E1) per il MB di soggetti esposti a<br />
solventi. Particolarmente complesse sono le implicazioni sociali,<br />
etiche e deontologiche connesse con l’uso di tali strumenti e con<br />
l’interpretazione dei dati così ottenuti, in particolare per quanto<br />
riguarda la valutazione della suscettibilità individuale. Anche il<br />
Codice Etico dell’International Commission of Occupational<br />
Health (ICOH), che pure è stato recentemente aggiornato, non<br />
fornisce una soluzione esaustiva dei problemi etici sollevati dai<br />
nuovi IB. L’obiettivo della presente relazione è quello di<br />
richiamare i diversi tipi di IB oggi disponibili o in via di<br />
validazione, con un duplice approccio: valutandone da un lato le<br />
basi razionali e il significato <strong>tossicologico</strong> e dall’altro le<br />
differenze esistenti nel loro uso nella pratica o nella ricerca in<br />
medicina del lavoro. Lo sviluppo di nuovi IB, sempre più validi<br />
ed efficaci, dipende in larga misura dalla comprensione non solo<br />
dei meccanismi tossicocinetici e tossicodinamici dei composti in<br />
causa, ma anche dei fattori di suscettibilità individuale, genetici<br />
o acquisiti. È auspicabile, comunque, che un uso integrato di più<br />
<strong>indicatori</strong> di diverso significato (monitoraggio biologico<br />
razionale) possa portare ad una migliore valutazione del rischio<br />
nei lavoratori, sia come individui che come gruppo.<br />
Parole chiave: monitoraggio biologico, significato <strong>tossicologico</strong>,<br />
suscettibilità.<br />
ABSTRACT. www.gimle.fsm.it<br />
TOXICOLOGICAL SIGNIFICANCE OF BIOLOGICAL MARKERS. Biological<br />
monitoring or, simply, biomonitoring (BM), refers to the periodic<br />
measurement of biological markers, or biomarkers (BMKs), in<br />
human fluids and tissues to assess the interaction (absorption,<br />
early health effects, susceptibility) between physical, chemical or<br />
biological agents and the human organism. The primary aim of<br />
BM in the workplace is to integrate environmental monitoring<br />
data and detect early, reversible biochemical or functional<br />
changes in workers exposed to chemicals before they become<br />
clinically relevant. BM also contributes to the assessment of<br />
chemical risk to workers, as individuals or as a group.<br />
Biomarkers are generally divided into three main types:<br />
biomarkers of exposure (BME), response/effect (BMR), and<br />
susceptibility (BMS). Other, more specific types of biomarkers<br />
are those of internal dose (BID), those of biologically effective<br />
dose (BED) and early biomarkers of disease (EBD). It is not<br />
always easy, however, to allocate a given BMK - such as the<br />
measurement of cytochrome P450 phenotype in subjects exposed<br />
to organic solvents - to one or the other type. Biomonitoring<br />
provides several advantages over environmental monitoring or<br />
health surveillance. For example, it allows an estimate of interand<br />
intra-individual variability in the absorption, distribution<br />
and excretion of chemicals. It also allows the detection of<br />
reversible changes before the appearance of a clinically relevant<br />
occupational impairment or disease. For these reasons, BM has<br />
become a routine procedure in occupational health practice<br />
throughout the world. Even the widely acknowledged, recently<br />
updated Code of Ethics for Occupational Health Professionals, a<br />
milestone in occupational health practice, only provides the basic<br />
ethical principles associated with biological monitoring. The aim<br />
of the present paper is to survey the various types of BMK<br />
available today with two main objectives: to discuss their<br />
toxicological significance and highlight the substantial differences<br />
that exist between their use in the practice of occupational health<br />
and in medical research. The development of new, more valid and<br />
reliable BMKs is strongly dependent on the understanding not<br />
only of the toxicokinetic and toxicodinamic mechanisms of<br />
chemicals, but also of the various susceptibility factors involved,<br />
whether genetic or environmental. It is hoped that the concurrent<br />
use of BMKs of different types may improve chemical risk<br />
assessment in workers, both individually and as a group.<br />
Key words: biological monitoring, toxicological significance,<br />
susceptibility.<br />
Introduzione<br />
La determinazione di <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong> (IB), o bio<strong>indicatori</strong><br />
o biomarkers, in liquidi, tessuti o più in generale<br />
in campioni <strong>biologici</strong> di soggetti esposti a fattori di rischio<br />
presenti negli ambienti di vita o di lavoro, è nota come monitoraggio<br />
biologico (MB). Essa costituisce oggi, o almeno<br />
dovrebbe costituire, una pratica routinaria in tutte le situazioni<br />
di esposizione professionale in cui esistano IB<br />
scientificamente validi, analiticamente affidabili ed eticamente<br />
accettabili. L’obiettivo principale del monitoraggio<br />
biologico in medicina del lavoro, in estrema sintesi, è quello<br />
di integrare i dati forniti dal monitoraggio ambientale,
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4 271<br />
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ove essi siano fattibili e disponibili, e dalla sorveglianza<br />
sanitaria (anamnesi, visita medica, accertamenti clinici) al<br />
fine di ottenere una valutazione più completa dello stato di<br />
salute del lavoratore e della sua “interazione” con l’ambiente<br />
di lavoro per valutarne l’idoneità alla mansione specifica.<br />
Il monitoraggio biologico mira quindi ad ottenere,<br />
nel singolo soggetto esposto o in gruppi di soggetti esposti<br />
ad uno specifico fattore di rischio, indicazioni precoci e<br />
preferibilmente, ma non esclusivamente, reversibili sull’esposizione,<br />
la suscettibilità e gli effetti <strong>biologici</strong> secondari<br />
a quel fattore di rischio.<br />
La rapida evoluzione delle scienze, sia di base che mediche,<br />
fornisce oggi nuovi strumenti d’indagine estremamente<br />
sensibili e specifici le cui possibili applicazioni in<br />
Medicina del Lavoro sono ancora largamente inesplorate.<br />
Questi includono, ad esempio, la determinazione su base<br />
individuale, in vivo o ex vivo, dei polimorfismi genetici<br />
<strong>degli</strong> enzimi metabolici (fenotipizzazione e genotipizzazione),<br />
la misura nel singolo lavoratore della dose biologicamente<br />
efficace nel sangue o, in alcuni casi, direttamente<br />
all’organo bersaglio, mediante la determinazione <strong>degli</strong> addotti<br />
macromolecolari all’Hb o al DNA, la determinazione<br />
contemporanea dell’espressione multigenica mediante microchips<br />
ed altre tecniche di biologia molecolare applicata,<br />
l’uso di nuove matrici biologiche come il condensato<br />
dell’aria espirata, ed altre ancora. L’applicazione routinaria,<br />
tuttavia, di queste nuove tecniche nella pratica della<br />
medicina del lavoro è ancora in molti casi di là da venire.<br />
Gli IB possono venir utilizzati in contesti diversi, quali<br />
sorveglianza sanitaria, programmi di screening di vario<br />
genere e ricerca clinica su patologie comuni. Ci si limiterà<br />
qui ad esaminare esclusivamente il primo contesto, ovvero<br />
l’uso <strong>degli</strong> IB per la valutazione dell’esposizione e per la<br />
tutela della salute dei lavoratori. Vedremo che la distinzione<br />
ormai classica <strong>degli</strong> IB in <strong>indicatori</strong> di esposizione, risposta<br />
o suscettibilità non è sempre agevole. Per quanto riguarda,<br />
ad esempio, i fattori di rischio chimici, l’interpretazione<br />
del significato <strong>tossicologico</strong> di un IB richiede la<br />
conoscenza non solo dei meccanismi tossicocinetici e tossicodinamici<br />
del/dei composto/i in questione, ma anche<br />
un’attenta valutazione dei numerosi fattori metodologici o<br />
individuali in giuoco: le circostanze in cui il campione è<br />
stato raccolto, le modalità con cui l’IB è stato misurato, le<br />
caratteristiche dei soggetti esaminati, ivi compresa<br />
l’eventuale esposizione ad altri fattori di rischio<br />
occupazionali o extra-occupazionali, quali abitudini<br />
alimentari, fumo, stile di vita ed altri ancora.<br />
L’obiettivo di questa relazione è quello di discutere<br />
brevemente e in termini essenzialmente teorici<br />
il significato <strong>tossicologico</strong> e le basi razionali dei<br />
diversi tipi di <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong> oggi già in uso o<br />
in corso di validazione (scientifica, analitica, etica).<br />
Inoltre, come esempio di approccio metodologico<br />
razionale allo sviluppo di nuovi IB si userà il test di<br />
fenotipizzazione dell’isoforma 2E1 del citocromo<br />
P450 (CYP-2E1), un enzima inducibile e polimor-<br />
fico (Plee-Gautier et al. 2001) coinvolto nell’attivazione<br />
di numerosi xenobiotici epato-, nefro-, emo-,<br />
pneumo- o neurotossici, quali benzene, n-esano, tetracloruro<br />
di carbonio, cloroformio, tricloro- e per-<br />
cloroetilene ed altri ancora. Il fenotipo CYP-2E1 può, a seconda<br />
delle circostanze, essere appunto considerato come<br />
un indicatore di esposizione, di risposta/effetto, di suscettibilità<br />
e in determinate circostanze persino di dose biologicamente<br />
efficace. Solo un attento esame delle condizioni di<br />
campionamento e del ruolo del CYP-2E1 nei meccanismi<br />
tossicocinetici e tossicodinamici del composto in esame, ci<br />
può chiarire quale significato attribuire al test.<br />
Infine, richiamando alcuni concetti fondamentali connessi<br />
con la programmazione, esecuzione, interpretazione e gestione<br />
dei programmi di monitoraggio biologico, si cercherà<br />
di anticipare alcune delle (molte) domande tuttora aperte circa<br />
i vantaggi e i limiti nell’uso <strong>degli</strong> IB in medicina del lavoro.<br />
Sarà fatto, inoltre, un breve cenno alle differenze di<br />
metodi e contenuti esistenti nell’uso <strong>degli</strong> IB in due contesti<br />
concettualmente molto diversi tra loro ma che spesso vengono<br />
tra loro confusi, consapevolmente o inconsapevolmente:<br />
la pratica della medicina del lavoro e la ricerca in medicina<br />
del lavoro. Le analisi costo/beneficio o rischio/beneficio, che<br />
pure sono parte integrante della valutazione e gestione di<br />
ogni programma di MB, non saranno qui discusse.<br />
Cenni storici<br />
Il monitoraggio biologico è oggi considerato una componente<br />
fondamentale dell’attività del medico del lavoro.<br />
Tuttavia, se rapportato alla scala temporale e all’evoluzione<br />
della medicina del lavoro come disciplina medica, esso<br />
rappresenta un’acquisizione ancora relativamente recente<br />
in quanto sviluppatosi solo nel corso <strong>degli</strong> ultimi 40 anni.<br />
Se confrontiamo, ad esempio, il numero di pubblicazioni<br />
su riviste peer review citate da PubMed che abbiano come<br />
parola-chiave “biological monitoring”, vedremo che dai<br />
soli 9 lavori pubblicati nel quinquennio1960-64 si passa ai<br />
579 del quinquennio 1980-84, e a ben 13.876 negli ultimi<br />
cinque anni, includendo il solo primo semestre dell’anno<br />
in corso (Figura 1). Ciò non è attribuibile, o quanto meno<br />
non lo è solamente, come invece si potrebbe pensare, all’aumento<br />
del numero delle pubblicazioni medico-scientifiche<br />
in genere. Se confrontiamo, infatti, il numero delle<br />
medesime pubblicazioni con quelle che, negli stessi anni,<br />
hanno invece la parola chiave “protein”, vediamo che que-<br />
Figura 1. Distribuzione del numero di pubblicazioni citate da PubMed<br />
e contenenti le parole-chiave “biological monitoring” o “protein” dal<br />
1980 ad oggi (i valori di “protein” e del rapporto “protein/biological<br />
monitoring” sono stati corretti per farli rientrare nel grafico)
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ste ultime passano da 10.436 nel quinquennio 1960-64, a<br />
266.987 nel 1980-84, a “solo” 713.279 negli ultimi cinque<br />
anni. Conseguentemente negli stessi anni il valore del rapporto<br />
numerico protein/biological monitoring è diminuito<br />
di un ordine di grandezza, passando da 1159 nel 1060-64 a<br />
solo 51 nel 2000-04. Quindi, l’enorme aumento delle pubblicazioni<br />
sul monitoraggio biologico <strong>degli</strong> ultimi anni è<br />
un dato reale e non dipende dall’aumento della letteratura<br />
scientifica nel suo complesso.<br />
Il monitoraggio biologico è stato già tema di precedenti<br />
congressi della S.I.M.L.I.I. (Sorrento, 1982; Pavia, 1985; Palermo,<br />
1989; Fiuggi-Fonte, 1994; Bologna, 1995; Genova,<br />
1999) e costituisce oggi per il Medico Competente, ma non<br />
solo per lui, uno strumento essenziale alla valutazione del rischio<br />
ed un’integrazione ormai consolidata della sorveglianza<br />
sanitaria, come peraltro recepito anche dalla recente, e per<br />
certi versi discussa (Manno et al., 2002), normativa sul Rischio<br />
Chimico (D.Lgs. 25/2002). Si è ritenuto pertanto utile<br />
fare il punto sulle metodiche di MB oggi disponibili, riconsiderando<br />
il significato <strong>degli</strong> <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong>, vecchi e nuovi,<br />
alla luce dello sviluppo tecnologico e delle più recenti acquisizioni<br />
scientifiche in biologia e tossicologia molecolare e<br />
della scienza medica nel suo complesso.<br />
Definizioni e classificazione<br />
In senso lato, il MB può essere definito come l’analisi,<br />
singola o ripetuta nel tempo, di fluidi o tessuti <strong>biologici</strong> per<br />
documentare e quantificare l’interazione di un agente fisico,<br />
chimico o biologico con l’organismo. Un IB è dunque<br />
un qualsiasi indicatore di un evento o modificazione in un<br />
sistema o campione biologico che sia in rapporto con l’esposizione<br />
ad uno di tali agenti. In senso stretto, il termine<br />
è più spesso usato in riferimento all’esposizione, risposta o<br />
suscettibilità ad agenti chimici. Gli IB possono essere classificati<br />
in base a criteri diversi:<br />
a) alla matrice biologica in cui vengono testati (urine,<br />
sangue, tessuti, aria espirata, ecc.)<br />
b) all’organo o tessuto in cui hanno origine o che li ha<br />
prodotti (renali, epatici, del sistema nervoso, ecc.)<br />
c) alle caratteristiche chimico-fisiche (volatili, idro/liposolubili,<br />
ecc.)<br />
d) al significato <strong>tossicologico</strong> e al valore predittivo che<br />
viene loro attribuito rispetto al fattore di rischio di cui<br />
sono appunto <strong>indicatori</strong>.<br />
In base a quest’ultimo criterio, gli IB vengono divisi<br />
tradizionalmente in tre categorie: gli <strong>indicatori</strong> di esposizione,<br />
quelli di risposta (o effetto) e quelli di suscettibilità<br />
(IPCS, 1993). All’interno di queste categorie sono stati individuati<br />
dei sottogruppi che, per le loro caratteristiche o il<br />
loro significato particolari, meritano di essere citati separatamente.<br />
Esamineremo ora brevemente i diversi tipi di<br />
IB oggi disponibili, dandone una breve definizione e riassumendone<br />
le caratteristiche principali e il ruolo, potenziale<br />
o reale, in medicina del lavoro. Per un’analisi approfondita<br />
dei diversi tipi di biomarcatori, con particolare<br />
riguardo a quelli di recente o possibile futura acquisizione,<br />
si rimanda alle specifiche relazioni dei gruppi di esperti<br />
pubblicate nel presente volume.<br />
Indicatori <strong>biologici</strong> di esposizione (IBE)<br />
Un indicatore biologico di esposizione secondo la definizione<br />
classica del National Research Council (NRC,<br />
1987) statunitense è una “sostanza esogena o un suo metabolita<br />
o il prodotto dell’interazione tra uno xenobiotico<br />
ed una molecola o cellula bersaglio, misurati in un<br />
compartimento dell’organismo”. Gli IBE rappresentano<br />
certamente la categoria di IB più numerosa e sono, peraltro,<br />
in continua espansione grazie alle nuove tecniche<br />
analitiche sempre più sofisticate oggi disponibili. In pratica<br />
essi sono costituiti dalla misura di elementi o composti<br />
chimici esogeni (xenobiotici) assorbiti nel corso<br />
dell’esposizione professionale, ma non solo professionale,<br />
o di loro metaboliti o di complessi con molecole endogene<br />
(es. CO-Hb), presenti nei diversi fluidi o matrici<br />
biologiche. Il loro uso, individuale o di gruppo, è in molti<br />
casi ampiamente validato e routinario, costituendo<br />
un’utile integrazione dei dati di monitoraggio ambientale,<br />
soprattutto nei casi in cui esistano/coesistano modalità<br />
di esposizione (cutanea, gastroenterica) non valutabili<br />
con gli strumenti del monitoraggio ambientale.<br />
Il principale vantaggio <strong>degli</strong> IBE, rispetto agli altri IB,<br />
consiste nella specificità per il composto/elemento testato<br />
(es. Pb, benzene, ecc.) o per la classe di composti testati (es.<br />
PCB, diossine, ecc.). La principale applicazione pratica <strong>degli</strong><br />
IBE sta nella possibilità di confrontare i valori riscontrati<br />
nei lavoratori coi valori limite di esposizione disponibili,<br />
quali ad esempio i Biological Exposure Indices (BEI)<br />
dell’American Conference of Government Industrial Hygienists<br />
(ACGIH) o gli Occupational Exposure Limits<br />
(OEL) dell’Unione Europea (EU). L’utilizzo <strong>degli</strong> IBE in<br />
molti casi è condizionato, tuttavia, alla possibilità di confrontare<br />
i valori misurati nei lavoratori con quelli presenti<br />
in una adeguata popolazione di controllo non professionalmente<br />
esposta, detta di riferimento. Tale esigenza ha motivato<br />
la costituzione nel nostro Paese di una società scientifica<br />
ad hoc, la Società Italiana Valori di Riferimento (SI-<br />
VR), che ha come compito statutario appunto quello di promuovere<br />
la misura e la pubblicazione dei valori di riferimento<br />
presenti in diverse zone e gruppi della popolazione.<br />
L’abbassamento dei livelli di esposizione occorso negli<br />
ultimi anni/decenni in molti settori industriali e artigianali<br />
ha motivato una rivalutazione critica di molti IBE, che un<br />
tempo venivano usati comunemente, ma che oggi non sono<br />
più validi in quanto non sono in grado di discriminare i soggetti<br />
professionalmente esposti da quelli non-esposti, ovvero<br />
i lavoratori in corso di esposizione da quelli lontani dall’esposizione.<br />
Si pensi, ad esempio, alla determinazione del<br />
fenolo urinario in soggetti esposti a benzene. Ciò ha stimolato<br />
fortemente la ricerca di Nuovi Indicatori <strong>biologici</strong> di<br />
Esposizione (NIE) più sensibili e specifici (come ad esempio<br />
l’acido t,t-muconico o l’acido S-fenilmercapturico urinari<br />
nel caso, già citato, del benzene). Per una trattazione<br />
dettagliata e sistematica dei NIE si rimanda alla relazione di<br />
Apostoli et al., 2004, pubblicata nel presente volume.<br />
Indicatori <strong>biologici</strong> di risposta o effetto (IBR)<br />
Un indicatore biologico di risposta/effetto, sempre secondo<br />
il NRC, è “un’alterazione biochimica, fisiologica o<br />
di altro tipo misurabile in un organismo che, a seguito del-
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l’esposizione ad un determinato fattore di rischio e a seconda<br />
dell’entità, indica un danno effettivo o potenziale<br />
alla salute o una vera e propria malattia”. Gli IBR rappresentano<br />
la categoria più vicina alla clinica (ma non ancora<br />
clinicamente rilevante) nella sequenza dall’esposizione<br />
alla malattia e sono quindi particolarmente utili per la<br />
valutazione del rischio nei lavoratori, sia a livello individuale<br />
che di gruppo. Essi inoltre, se utilizzati in studi epidemiologici<br />
ad hoc, permettono di individuare i cosiddetti<br />
“livelli di non effetto avverso osservabile” o no observed<br />
adverse effect level (NOAEL) utili alla definizione dei valori<br />
limite di esposizione occupazionali ed ambientali. Per<br />
una trattazione del ruolo del MB nella valutazione del rischio<br />
si veda la relazione di Lotti et al. in questo volume.<br />
Mentre per l’uso del MB nella sorveglianza sanitaria ed<br />
epidemiologica si rimanda a quelle di Consonni e Bertazzi<br />
e di Assennato e Bisceglia, sempre in questo volume.<br />
Indicatori <strong>biologici</strong> di suscettibilità (IBS)<br />
Gli IBS per il NRC indicano una “intrinseca o acquisita<br />
diminuzione della capacità di un organismo di rispondere<br />
ai possibili effetti conseguenti l’esposizione ad un determinato<br />
xenobiotico”. L’utilità pratica di un test di suscettibilità,<br />
come peraltro di qualsiasi tipo di test, dipende essenzialmente<br />
da due fattori: a) il suo valore predittivo, ovvero<br />
la sua validità (sensibilità e specificità) nel predire una determinata<br />
suscettibilità ad una data patologia, e b) l’effettiva<br />
prevalenza di quella patologia nella popolazione studiata.<br />
L’esclusione dall’esposizione di soggetti ritenuti suscettibili<br />
in base ad un test predittivo di suscettibilità porterebbe<br />
all’allontanamento dal lavoro anche di un certo numero,<br />
talora elevato e quindi non accettabile, di soggetti non suscettibili.<br />
Ammettiamo, ad esempio, che una patologia abbia<br />
una prevalenza del 10% nella popolazione esaminata e<br />
che un test genetico (o di altro tipo) abbia una sensibilità ed<br />
una specificità, diciamo, del 90%. Il test è cioè in grado di<br />
individuare correttamente come positivi il 90% dei soggetti<br />
“suscettibili” (sensibilità) e correttamente come negativi<br />
il 90% dei soggetti “non suscettibili”. In questo caso l’uso<br />
del test con l’obiettivo di escludere tutti i soggetti positivi,<br />
in quanto ritenuti appunto suscettibili, porterebbe anche all’esclusione<br />
di un numero elevato di soggetti risultati falsamente<br />
positivi al test. In questo specifico caso, su 100 soggetti<br />
testati, ne risulterebbero positivi al test ben 18 ma i veri<br />
positivi sarebbero solo 9, così che 9 lavoratori, ovvero il<br />
50% dei soggetti risultati positivi, sarebbero esclusi dall’esposizione<br />
senza motivo. Tale percentuale di soggetti inutilmente<br />
allontanati dal lavoro, nel caso di un test di pari<br />
sensibilità e specificità ma applicato ad una patologia che<br />
avesse una prevalenza nella popolazione pari all’1% (valore,<br />
questo, non infrequente nel caso, ad esempio, di polimorfismi<br />
genetici <strong>degli</strong> enzimi metabolici, come discusso<br />
nella relazione di Pavanello e Clonfero, 2004), salirebbe ad<br />
oltre il 90% dei soggetti positivi al test! Una percentuale<br />
ovviamente non accettabile.<br />
Indicatori <strong>biologici</strong> di dose interna (IDI)<br />
Rappresentano una particolare categoria di IBE in<br />
quanto sono in grado di misurare direttamente, o indirettamente<br />
attraverso la misura dei metaboliti, la quantità/con-<br />
centrazione di xenobiotico presente o accumulata in un determinato<br />
compartimento od organo, come ad es. il piombo<br />
urinario dopo chelazione (PbU). Gli IDI sono spesso<br />
più informativi dei corrispondenti IBE in quanto forniscono<br />
un’informazione più mirata e che si presta ad una valutazione<br />
del rischio più precisa, soprattutto nei casi in cui la<br />
dose venga misurata a livello dell’organo bersaglio.<br />
Indicatori di dose biologicamente efficace (IDBE)<br />
Anche gli IDBE appartengono alla categoria <strong>degli</strong> <strong>indicatori</strong><br />
di esposizione e rispetto agli <strong>indicatori</strong> tradizionali<br />
rappresentano una misura dell’esposizione più vicina al<br />
bersaglio, in quanto sono in grado di fornire indicazioni altamente<br />
sensibili e specifiche della piccola o minima frazione<br />
di xenobiotico che, generalmente dopo attivazione<br />
metabolica, ha legato un determinato bersaglio. Il bersaglio<br />
può essere critico, ovvero strettamente connesso con l’eziopatogenesi<br />
della patologia (es. addotti al DNA nell’organo<br />
bersaglio per i cancerogeni genotossici), o non-critico,<br />
ovvero indipendente dall’organo bersaglio (es. addotti<br />
all’emoglobina per composti epato- o nefrotossici). È forse<br />
inutile ricordare che l’effetto tossico dipende dalla piccola<br />
o piccolissima frazione di composto, o di suoi metaboliti,<br />
che interagisce col bersaglio critico, e non già dalla quota<br />
preponderante di essi che viene eliminata dagli organi<br />
emuntori e che costituisce gli IBE tradizionali. Per una più<br />
ampia trattazione deli IDBE vedi Miraglia et al., 2004.<br />
Indicatori precoci di malattia (IPM)<br />
Ai tipi di biomarcatori già citati se ne è aggiunto un altro<br />
che, nella sequenza di eventi che vanno dall’esposizione<br />
alla patologia conclamata, si colloca in una fase subito<br />
precedente quella dei test clinico-diagnostici di malattia<br />
usati nella sorveglianza sanitaria. Il termine <strong>indicatori</strong> precoci<br />
di malattia indica appunto quelle alterazioni dei parametri<br />
biochimici, funzionali o biomolecolari di base di un<br />
individuo che, pur non essendo il risultato di un quadro di<br />
malattia clinicamente conclamata, dimostrano tuttavia che<br />
tale processo è in corso. Vi è quindi un’elevata probabilità<br />
che, qualora si verifichino o persistano determinate condizioni,<br />
ad esempio l’esposizione al fattore di rischio (professionale<br />
o non-professionale che sia), la malattia si svilupperà<br />
effettivamente. La rivista Biomarkers ha recentemente<br />
aggiunto agli <strong>indicatori</strong> tradizionali anche questo tipo<br />
di indicatore con il nome di biomarker of disease. Appare<br />
evidente che la classificazione di un test come appartenente<br />
alla categoria <strong>degli</strong> <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong> piuttosto<br />
che a quella dei test propriamente clinici, come pure la distinzione<br />
tra i diversi tipi di IB, non è facile né ovvia e richiede<br />
un’attenta valutazione sia del significato fisiopatologico<br />
del test medesimo che del ruolo eziopatogenetico<br />
(causale o concausale) del fattore di rischio nello sviluppo<br />
e nell’evoluzione della patologia. Per una discussione più<br />
approfondita del significato diagnostico dei test di monitoraggio<br />
biologico ed in particolare dei criteri da adottare per<br />
distinguere gli IBR dagli IPM, si veda anche la relazione<br />
di De Palma et al. in questo volume.<br />
Riassumendo, la corretta individuazione di un IB come<br />
IBE, IBR o IBS e a quale sottocategoria esso appartenga<br />
all’interno di ciascuna categoria, come già detto, non è
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sempre facile ma è necessaria al medico del lavoro per poter<br />
attribuire al test il suo vero significato, sia in termini di<br />
valutazione del rischio (interpretazione del test, diagnosi,<br />
ecc.) che di gestione del rischio (giudizio d’idoneità, provvedimenti<br />
sul lavoratore, eventuale terapia, ecc.). Sarà utile<br />
quindi considerare ora con alcuni esempi quali sono i<br />
problemi interpretativi relativi ad un nuovo IB, ovvero la<br />
caratterizzazione fenotipica in vivo nell’uomo di alcune<br />
isoforme del citocromo P450 (CYP), in particolare il<br />
CYP-2E1. Tale test, tuttora in corso di validazione, è potenzialmente<br />
assai specifico e sensibile, come dimostra il<br />
crescente interesse negli ultimi anni di molti gruppi di ricerca<br />
in questo settore.<br />
Citocromo P450 e monitoraggio biologico<br />
È noto che gli effetti sulla salute, sia deterministici che<br />
stocastici, di molti inquinanti ambientali e occupazionali<br />
sono il risultato della loro biotrasformazione (attivazione e<br />
detossificazione) nel fegato e in altri organi (Manno &<br />
Saia, 1994). Il principale sistema enzimatico responsabile<br />
dell’attivazione <strong>degli</strong> xenobiotici è il citocromo P-450, una<br />
superfamiglia di circa 1000 proteine presenti in quasi tutti<br />
gli organismi viventi e situate nel reticolo endoplasmatico<br />
<strong>degli</strong> epatociti e di altre cellule/organi. Solo nell’uomo sono<br />
state isolate e caratterizzate alcune decine di isoforme<br />
costitutive di cui però solo alcune sono quantitativamente<br />
e cataliticamente importanti. Individui diversi hanno diverse<br />
quantità di ciascuna isoforma. Inoltre, alcuni CYP<br />
sono geneticamente polimorfici ed altri sono inducibili,<br />
ovvero la loro sintesi (e quindi la loro attività metabolica)<br />
è stimolata da vari fattori, quali la dieta, l’alcol, il digiuno,<br />
i farmaci ed altri ancora. Ne consegue che individui diversi<br />
presentano capacità di metabolizzare gli xenobiotici anche<br />
molto diverse tra loro (Puga et al., 1997). Tali differenze<br />
individuali nel contenuto e attività del CYP si ritiene<br />
possano spiegare, almeno in parte, la variabilità umana<br />
nella risposta tossicologica agli agenti chimici (Perera F.P.,<br />
1996, 1997; Meyer & Zanger, 1997; Caporaso & Landi<br />
1995). Vari studi di epidemiologia molecolare che cercavano<br />
di stabilire una correlazione tra genotipo di questi enzimi<br />
e risposta tossica o cancerogena in soggetti esposti ad<br />
un dato composto non hanno potuto, eccetto che per alcune<br />
eccezioni (D’Errico et al, 1996), confermare l’ipotesi di<br />
partenza. E ciò solo in parte a causa delle piccole dimensioni<br />
dello studio o di altre limitazioni metodologiche<br />
(Boffetta, 1995). Il motivo principale di queste scarse correlazioni<br />
sta invece nel fatto che l’individuazione di un<br />
singolo, anche se importante, passaggio metabolico di attivazione<br />
o di detossificazione non costituisce un indicatore<br />
sufficientemente sensibile e specifico in grado di predire<br />
se l’esposizione a (determinate concentrazioni di) quel<br />
composto determinerà tossicità o cancerogenesi (Hong &<br />
Yang, 1997). È necessario pertanto riflettere sulla necessità<br />
di un approccio più complesso, che permetta una valutazione<br />
integrata dei vari fattori in gioco, inclusi quelli di suscettibilità,<br />
sia genetica che acquisita.<br />
La possibilità di determinare in vivo, con metodiche<br />
relativamente semplici e poco o per nulla invasive, l’atti-<br />
vità metabolica individuale di specifiche isoforme del citocromo<br />
P450 ha ovvie implicazioni in tossicologia industriale.<br />
Questo è stato uno <strong>degli</strong> obiettivi di due progetti di<br />
ricerca interdisciplinari condotti in collaborazione tra<br />
gruppi europei e latinoamericani, che miravano a studiare<br />
il citocromo P450 come bioindicatore di suscettibilità nell’esposizione<br />
umana e sperimentale a diversi agenti, quali<br />
composti organici volatili (VOC), idrocarburi aromatici<br />
policiclici (IPA), e idrocarburi da benzine e diesel (Manno<br />
M. e Albores A., 2003). Lo studio prevedeva la determinazione<br />
nei lavoratori e in un gruppo di controllo del<br />
test di fenotipizzazione del CYP-2E1 mediante la metodica<br />
del clorzoxazone (CHZ), un farmaco miorilassante di<br />
largo uso in molti paesi. Questa consiste nella misurazione,<br />
mediante un semplice metodo isocratico HPLC, del<br />
rapporto metabolico tra il metabolita 6-idrossiclorzoxazone<br />
(6-OH-CHZ) e il CHZ stesso rilevato nel sangue del<br />
soggetto due ore dopo l’assunzione di una compressa di<br />
CHZ (500 mg). Poiché il CHZ è un substrato altamente<br />
specifico per il CYP-2E1, il rapporto metabolico 6-OH-<br />
CHZ/CHZ in vivo indica con buona precisione e accuratezza,<br />
purché effettuato a distanza dall’assunzione di alcol,<br />
la capacità metabolica, ovvero, il fenotipo CYP-2E1<br />
in quel soggetto. Per una descrizione più dettagliata della<br />
metodica si veda altrove (Lucas et al., 2001).<br />
È stata pertanto utilizzata questa metodica per cercare di<br />
valutare la suscettibilità metabolica di soggetti esposti a<br />
solventi clorurati in un’industria calzaturiera, dopo l’approvazione<br />
dello studio da parte dei Comitati Etici dei laboratori<br />
partecipanti, sia europei (Italia, Francia) che messicano.<br />
Un’osservazione interessante fatta nel corso dello studio<br />
è stato il riscontro di una riduzione altamente significativa<br />
(di circa 40-50%) del fenotipo CYP-2E1, rispetto ai<br />
controlli, in soggetti messicani (lavoratori calzaturieri)<br />
esposti a vari VOC, tra cui toluene, xilene ed altri, presenti<br />
nell’aria a concentrazioni pari o addirittura inferiori al TLV-<br />
TWA e quindi prive di effetto tossico (Martinez-Hernandez<br />
et al. 2000, Lucas et al., 1999). Il dato, confermato dalla ripetizione<br />
delle analisi in tre laboratori diversi, in Messico,<br />
Francia e Italia, suggerisce che la determinazione del fenotipo<br />
CYP-2E1 usata per valutare la potenziale suscettibilità<br />
metabolica dei soggetti esaminati, può rappresentare invece<br />
un nuovo indicatore biologico di esposizione o di risposta/effetto.<br />
Tale nuovo IB mostra di essere estremamente<br />
più sensibile e specifico di molti IBE o IBR per il MB dei<br />
solventi oggi in uso (i soggetti non presentavano alterazioni<br />
dei principali test di citolisi e colestasi, né individualmente<br />
né come gruppo rispetto ai controlli non esposti).<br />
Il meccanismo di inibizione del CYP-2E1 osservato<br />
nei lavoratori messicani non è ancora chiaro e sarebbe pertanto<br />
difficile inserire il test tra gli IBE, gli IBR o gli ID-<br />
BE. Possiamo tuttavia fare delle ipotesi:<br />
1. Le basse concentrazioni di solventi cui erano esposti i<br />
lavoratori non erano di per sé tossiche ma potrebbero<br />
essere state in grado di inibire funzionalmente e reversibilmente<br />
l’attività catalitica del CYP-2E1, diminuendo<br />
la disponibilità dell’enzima per il substrato CHZ<br />
(inibizione competitiva).<br />
2. Il CYP-2E1 e/o il reticolo endoplasmatico (RE) dell’epatocita,<br />
in cui il CYP-2E1 si trova, potrebbero essere
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particolarmente sensibili alle specie reattive dell’ossigeno<br />
(ROS) o di altra natura prodotte dai solventi o da<br />
loro metaboliti (inibizione non competitiva).<br />
3. Il sito cataliticamente attivo dell’enzima, cioè l’eme<br />
e/o l’apoproteina, è stato attaccato selettivamente e irreversibilmente<br />
proprio dagli intermedi reattivi dei solventi<br />
dallo stesso enzima prodotti (inibizione suicida)<br />
Ciascuna delle tre ipotesi è ragionevole e supportata<br />
da dati della letteratura. L’inibizione competitiva di diversi<br />
substrati per lo stesso enzima è un capitolo importante<br />
della farmacologia e della tossicologia generale e<br />
costituirebbe la spiegazione più semplice tra le tre qui<br />
ipotizzate. Sarebbe inoltre quella più tranquillizzante in<br />
termini di valutazione del rischio, per la sicura reversibilità<br />
e lo scarso o nullo significato <strong>tossicologico</strong> dell’effetto<br />
osservato. In questo caso l’osservazione si configurerebbe<br />
come un IBE.<br />
La sensibilità e specificità dell’epatocita in generale, e<br />
del RE più in particolare, per alcuni solventi quali tetracloruro<br />
di carbonio, cloroformio e, in misura minore, tricloro-<br />
e percloroetilene sono anch’esse note. Questa possibilità,<br />
più allarmante da un punto di vista <strong>tossicologico</strong>,<br />
porterebbe, se confermata, a ribadire l’inadeguatezza del<br />
rispetto dei singoli TLV-TWA per la tutela della salute dei<br />
lavoratori nel caso di esposizione a miscele. In questo caso<br />
si tratterebbe di un IBR.<br />
Infine, l’inattivazione del CYP-2E1 durante il metabolismo<br />
di vari composti, detti appunto “substrati suicidi”,<br />
tra cui l’alotano, alcuni idroclorofluorocarburi (HCFC), il<br />
CCl 4 ed altri alometani, è stata ampiamente documentata<br />
(Ferrara et al. 1997, Manno et al. 1988, 1991, 1995). Inoltre,<br />
da studi in vitro si è visto che l’inattivazione dell’enzima<br />
è dovuta al legame covalente di metabolici reattivi di<br />
natura radicalica o elettrofilica all’eme o all’apoproteina<br />
del CYP, in un rapporto stechiometrico di 1:1 a quindi altamente<br />
selettivo. In questo caso la perdita di attività CYP-<br />
2E1 si configurerebbe pertanto come IDBE.<br />
L’esempio sopra esposto dimostra, due cose. La prima<br />
è che il ruolo e l’utilità <strong>degli</strong> IB in medicina del lavoro e,<br />
in pratica, la loro classificazione come IBE, IBR o IBS,<br />
non sono sempre ovvi né sempre gli stessi, in quanto di-<br />
pendono dalla comprensione del loro significato <strong>tossicologico</strong><br />
e del contesto in cui di volta in volta vengono usati. Il<br />
secondo messaggio è in realtà la conferma di quanto già<br />
sapevamo e cioè che un avanzamento delle conoscenze<br />
molto spesso si basa dall’osservazione di risultati non previsti<br />
o addirittura opposti a quelli attesi.<br />
Approccio razionale per lo sviluppo di nuovi IB<br />
La procedura qui proposta auspica un approccio integrato<br />
multidisciplinare (sperimentale, clinico, epidemiologico)<br />
allo sviluppo di nuovi IB di esposizione, effetto o suscettibilità<br />
atti a migliorare la valutazione del rischio da<br />
agenti chimici. Essa si basa sulla necessità di considerare<br />
tutte le diverse fasi che vanno dall’esposizione ad un fattore<br />
di rischio fino al manifestarsi della relativa patologia,<br />
come riportato qui di seguito (Tabella I).<br />
Brevemente, una valutazione razionale ed efficace dei<br />
rischi per la salute derivanti dall’esposizione occupazionale<br />
ad un dato composto deve considerare, idealmente, varie<br />
fasi in sequenza logica. La prima fase è la descrizione<br />
qualitativa e quantitativa dell’esposizione all’agente in<br />
questione. Sono necessarie cioè l’identificazione e la<br />
quantificazione dei livelli di composto presenti nell’ambiente<br />
(monitoraggio ambientale). Inoltre, è necessaria la<br />
determinazione della concentrazione del tossico, o quella<br />
dei suoi metaboliti o addotti, nei liquidi o tessuti <strong>biologici</strong><br />
dei soggetti esposti, in modo da valutarne la biodisponibilità<br />
(biomonitoraggio dell’esposizione). La seconda fase<br />
consiste nel chiarimento delle vie metaboliche del composto,<br />
sia di attivazione che di detossificazione, ad esempio<br />
di quelle CYP-dipendenti come nel caso descritto sopra.<br />
La terza fase è costituita dai fattori genetici e ambientali<br />
che modulano la suscettibilità individuale, compresa la determinazione<br />
del fenotipo e del genotipo <strong>degli</strong> enzimi polimorfici<br />
coinvolti, soprattutto quelli responsabili della<br />
biotrasformazione. La quarta fase consiste nel chiarimento<br />
dei meccanismi con cui il composto esercita l’effetto<br />
tossico e nello sviluppo di biomarcatori di effetto. Ciò è ottenibile<br />
soprattutto dagli studi in vitro e in modelli speri-<br />
Tabella I. Sequenza di eventi tossicologicamente rilevanti nel continuum che va dall’esposizione al manifestarsi<br />
della patologia e relativi <strong>indicatori</strong> <strong>biologici</strong><br />
Evento tossicologicamente rilevante Indicatore biologico (IB)<br />
1. Assorbimento dello xenobiotico nell’organismo (via inalatoria, di esposizione (IBE)<br />
digestiva, cutanea, parenterale) • corrente (IBEC),<br />
• recente (IBER)<br />
• pregressa/remota (IBEP)<br />
2. Distribuzione e accumulo (ossa, lipidi, SNC, ecc.) di dose interna (IDI)<br />
3. Escrezione (urinaria, epatica, polmonare) di esposizione (IBE) o di dose interna (IDI)<br />
4. Legame con bersaglio critico o non-critico (DNA, Hb, enzimi, ecc.) di dose biologicamente efficace (IDBE)<br />
5. Alterazioni biochimiche, funzionali o strutturali precoci di risposta/effetto (IBR)<br />
• deterministico (d’organo, sistemici)<br />
• stocastico (tumore, effetti immunoallergici)<br />
6. Suscettibilità genetica o acquisita di suscettibilità (IBS)<br />
7. Lesione d’organo o sistema precoce di malattia (IPM)
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mentali animali, ma si basa anche sull’osservazione nell’uomo<br />
di alterazioni biologiche, preferibilmente precoci e<br />
reversibili, indotte dal composto stesso. Una nuova area di<br />
ricerca che sta nascendo, quella della tossicogenomica/proteomica,<br />
è ad esempio in grado di studiare,<br />
mediante tecniche potenti (“DNA array”), gli effetti del<br />
composto sull’espressione di un gran numero di geni e<br />
proteine contemporaneamente. Questo nuovo approccio,<br />
peraltro in fase ancora molto prematura, potrebbe portare<br />
a nuove e inattese scoperte, sia nell’uomo che nei modelli<br />
animali, circa i meccanismi di tossicità <strong>degli</strong> agenti chimici.<br />
Infine, nell’ultima fase, gli IB sviluppati nelle fasi precedenti<br />
vanno convalidati da studi epidemiologici su gruppi<br />
di soggetti esposti al composto in questione.<br />
Aspetti etici<br />
La discussione <strong>degli</strong> aspetti etici del MB è oggetto di<br />
una relazione specifica (Van Damme et al., 2004) e non si<br />
entrerà qui in dettaglio se non per sottolineare la crescente<br />
attenzione e importanza che il medico del lavoro oggi più<br />
che mai è chiamato a dare, nello svolgimento della sua attività<br />
professionale, alla valutazione <strong>degli</strong> aspetti socio-etici<br />
del MB. Il Codice Etico dell’International Commission<br />
on Occupational Health (ICOH), recentemente aggiornato,<br />
non può dare, pur trattando specificamente il MB in<br />
uno dei suoi capitoli, raccomandazioni dettagliate sulla<br />
prassi da adottare in tutte le possibili situazioni in cui il<br />
medico del lavoro o, per citare testualmente il Codice, l’operatore<br />
di medicina del lavoro (OML) si possa venire a<br />
trovare nell’esecuzione di un programma di MB (ICOH,<br />
1993). La valutazione di questi aspetti riguarda, com’è ovvio,<br />
tutti gli IB ma per alcuni di essi, in particolare gli IBS,<br />
riveste un’importanza molto particolare, ponendo quesiti<br />
etico-deontologici di non facile soluzione. Un problema è<br />
rappresentato, ad esempio, dalla non sempre chiara distinzione<br />
tra test di monitoraggio biologico da applicare ai lavoratori<br />
già occupati (e quindi potenzialmente esposti) per<br />
proteggerli e test di screening genetico da applicare a soggetti<br />
non ancora occupati (e quindi non ancora esposti) per<br />
valutarne l’eventuale suscettibilità a fattori di rischio presenti<br />
nell’ambiente di lavoro (Van Damme e Castleyn,<br />
1998). L’uso di test di screening genetico, o di altro genere,<br />
per prevenire l’esposizione dei soggetti suscettibili o ritenuti<br />
tali, non solo è scientificamente discutibile ed eticamente<br />
inaccettabile, come discusso sopra, ma, nel nostro<br />
paese, non è nemmeno previsto dalla legge. Solo i lavoratori<br />
già assunti possono, infatti, essere sottoposti ad accertamenti<br />
sanitari e di MB.<br />
Un altro punto che si vuole qui sottolineare è che il<br />
MB, prima di essere applicato ai lavoratori, deve essere<br />
sottoposto ad una valutazione di qualità in tutti i suoi<br />
aspetti, soprattutto scientifici, metodologici ed etici. L’affermazione<br />
che i primi requisiti etici di uno studio di monitoraggio<br />
biologico devono essere un’impostazione adeguata<br />
ed una corretta metodologia (Bertazzi et al., 2001)<br />
non può che trovarci pienamente d’accordo. La qualità del<br />
dato di MB è un tema trattato dettagliatamente da una specifica<br />
relazione (Manini et al., 2004).<br />
Il monitoraggio biologico nella pratica e nella ricerca in medicina<br />
del lavoro<br />
L’ultimo tema cui si vuole qui accennare è quello relativo<br />
alla differenza, non sempre chiara, tra MB all’interno<br />
della pratica professionale della medicina del lavoro e<br />
quello effettuato in un contesto di ricerca scientifica in medicina<br />
del lavoro o, più in generale, di ricerca medica. Le<br />
differenze sono talora sostanziali e riguardano tutte le fasi,<br />
dalla programmazione dello studio alla sua esecuzione, dall’analisi<br />
in laboratorio alla raccolta, elaborazione ed interpretazione<br />
dei dati, fino alla comunicazione, pubblicazione<br />
ed utilizzazione dei risultati. La ricerca scientifica, sia quella<br />
epidemiologica che quella sperimentale, segue, com’è<br />
noto, una metodologia ben definita. Essa parte dall’osservazione<br />
della realtà per poi formulare un’ipotesi, testarla<br />
sperimentalmente e dedurne una regola generale che varrà<br />
fino a quando un’ulteriore osservazione non permetterà di<br />
formulare, testare ed eventualmente confermare una nuova<br />
regola o sottoregola. Per evitare di raggiungere risultati e<br />
conclusioni errati, infatti, tutte le fasi innovative del processo<br />
devono essere programmate e controllate direttamente,<br />
in quanto sono, per definizione, “sperimentali”. I risultati,<br />
generalmente di gruppo, hanno valore solo se statisticamente<br />
significativi rispetto ad un appropriato gruppo di<br />
controllo in base a un test parametrico o non parametrico<br />
che sia adeguato al tipo di misura e alla variabilità del dato.<br />
Nella pratica della medicina del lavoro, invece, la metodica<br />
di raccolta del campione e di analisi deve essere già<br />
validata e i valori riscontrati nel/nei lavoratore/i hanno valore<br />
in sé, anche senza gruppo di controllo. È comunque necessario<br />
un loro confronto con i più appropriati valori di riferimento<br />
disponibili (per una definizione dei “valori di riferimento”<br />
e il loro uso nell’interpretazione <strong>degli</strong> IBE vedasi<br />
la relazione di Apostoli et al. 2004). Non è sempre metodologicamente<br />
corretto, quindi, considerare come “scientifica”<br />
l’interpretazione, pur rigorosa, dei risultati di uno<br />
studio di MB eseguito e mirato ad esigenze di sorveglianza<br />
sanitaria, solo per il fatto che include anche la valutazione<br />
di nuovi test non precedentemente validati.<br />
Le differenze tra i problemi etici del MB incontrati nei<br />
due contesti qui esaminati, quello della ricerca e quello<br />
della pratica in medicina del lavoro, sono discussi specificamente<br />
in altra relazione (Van Damme et al. 2004) e non<br />
saranno qui ulteriormente trattati.<br />
Conclusioni<br />
In sintesi, nuovi biomarcatori di esposizione, effetto e<br />
suscettibilità che siano sensibili e specifici potranno essere<br />
sviluppati a patto che si tengano in considerazione non solo<br />
le caratteristiche strutturali e le vie di biotrasformazione<br />
dei composti in questione, ma anche il loro meccanismo<br />
d’azione, i bersagli molecolari ed i fattori di suscettibilità<br />
che modulano la risposta individuale. Nel caso dell’esposizione<br />
a basse dosi poi, gli effetti tossici, sia deterministici<br />
che stocastici, sono quasi sempre di natura multifattoriale e<br />
dipendono largamente da fattori di suscettibilità individua-
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le, sia genetici che ambientali. Un importante elemento di<br />
variabilità individuale è, ad esempio, il rapporto in un dato<br />
soggetto tra capacità di attivazione (es. citocromo P450) e<br />
quella di detossificazione (es. enzimi metabolici di II fase).<br />
Tuttavia, questo non è l’unico fattore critico nel determinare<br />
la suscettibilità ad agenti chimici. Fattori di suscettibilità<br />
tossicodinamica, anch’essi genetici o ambientali, sono pure<br />
importanti, soprattutto per quanto riguarda gli effetti stocastici<br />
come le reazioni immunoallergiche e il cancro.<br />
Questo della suscettibilità è l’aspetto del monitoraggio<br />
biologico, e più in generale della valutazione del rischio<br />
chimico, in cui le nostre conoscenze sono più carenti e in<br />
cui l’approccio tradizionale, basato sui test di tossicità e<br />
sui soli concetti di dose-risposta e dose-soglia, risulta del<br />
tutto insoddisfacente (Manno, 1995). È importante pertanto<br />
studiare nell’uomo, se possibile, o in modelli sperimentali<br />
nell’animale non solo il profilo metabolico dei composti<br />
indagati, ma anche il loro meccanismo di tossicità e i<br />
principali fattori genetici e ambientali che si ritiene siano<br />
alla base della suscettibilità (o della resistenza) individuale<br />
alla risposta tossica.<br />
Infine, è importante tener presente che le conoscenze<br />
generate da questo approccio di tipo meccanicistico sono<br />
assai utili anche nell’affrontare e tentare di risolvere i problemi<br />
etici e sociali legati all’uso dei nuovi possibili biomarcatori<br />
in medicina del lavoro ed ambientale, soprattutto<br />
quelli di suscettibilità.<br />
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