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CONNESSIONE E RITO NELLE CONTROVERSIE LOCATIZIE. IL ...

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<strong>CONNESSIONE</strong> E <strong>RITO</strong> <strong>NELLE</strong> <strong>CONTROVERSIE</strong> <strong>LOCATIZIE</strong>. <strong>IL</strong> PROCEDIMENTO PER<br />

CONVALIDA DI SFRATTO<br />

Relatore:<br />

dr.ssa Maria Giuliana CIVININI<br />

giudice del Tribunale di Pistoia<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Cause pendenti alla data del 1° gennaio 1993: il sistema introdotto<br />

dalla l. n. 392/1978 e succ. mod. – 2.1. Segue. In particolare: le controversie relative alla<br />

determinazione, aggiornamento e adeguamento del canone. – 2.1.1. Segue. In particolare:<br />

il tentativo obbligatorio di conciliazione. – 2.2. Competenza e rito. – 2.3. Cause connesse<br />

soggette a riti differenti. – 3. Cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993. L’entrata in vigore<br />

dei commi 3°, 4°, 5° dell’art. 40 c.p.c.. – 3.1. Effetti della nuova disciplina sulle<br />

controversie in materia di locazione. – 3.2. La nozione di rito speciale. – 3.3. Problemi di<br />

costituzionalità. – 4. Cause introdotte dopo le cause pendenti alla data dell’entrata in<br />

vigore integrale della l. n. 353/1990. In particolare: l’ntrata in vigore dell’art. 447 bis<br />

c.p.c.. – 4.1. Il problema del cumulo di più domande attribuite alla competenza di giudici<br />

diversi. – 5. Il mutamento di rito nel procedimento per convalida di sfratto.<br />

DIBATTITO SU ALCUNI PUNTI CONTROVERSI:<br />

A) Cause iniziate prima del 1° gennaio 1993:<br />

aa) quali controversie rientrano nella nozione di “controversie relative alla determinazione,<br />

all’aggiornamento e all’adeguamento del canone”?<br />

ab) quando la domanda di “equo canone” è introdotta in via riconvenzionale o in sede di<br />

opposizione a decreto ingiuntivo deve farsi luogo al tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi<br />

degli artt. 43 e 44 l. n. 392/78?<br />

ac) è possibile realizzare il “simultaneus processus” quando in un giudizio di competenza del<br />

tribunale è proposta in via riconvenzionale la domanda c.d. di “equo canone”? in caso positivo,<br />

innanzi al giudice superiore o al giudice inferiore?<br />

ad) è possibile realizzare il “simultaneus processus” quando le domande cumulate<br />

soggiacciono a riti differenti?<br />

af) formatasi una preclusione in punto di competenza, la questione di rito può ancora essere<br />

messa in discussione?<br />

B) cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993 (data di entrata in vigore dei commi 3°, 4° e 5°<br />

dell’art. 40 c.p.c., aggiunti dall’art. 51. n. 353/1990):<br />

b1) rito lavoro e rito locatizio sono riti speciali differenti ai fini del verificarsi della “vis<br />

actractiva” dell’uno rispetto all’altro?<br />

b2) è costituzionalmente legittima la previsione della prevalenza del rito speciale sul rito<br />

ordinario solo per il rito lavoro in senso stretto e non anche per il rito locatizio?<br />

b3) la norma si applica anche in caso di cumulo soggettivo?<br />

b4) come deve essere interpretato il criterio della prevalenza del rito della causa in ragione<br />

della quale viene determinata la competenza?


C) cause che saranno introdotte (o risulteranno pendenti) dopo l’entrata in vigore degli artt. 38,<br />

667 (come sostituiti dalla l. n. 353/1990) e 447 bis c.p.c.:<br />

c1) è possibile il cumulo di domande di competenza del tribunale soggette al rito ordinario e<br />

domande di competenza del pretore soggette al rito speciale? e la realizzazione del “simultaneus<br />

processus” è possibile davanti al giudice inferiore?<br />

c2) disposto il mutamento di rito ai sensi dell’art. 667 c.p.c., si apre una nuova fase<br />

preparatoria? quando si formano le preclusioni?<br />

1. Premessa.<br />

La l. n. 353/1990 ha operato un intervento razionalizzatore della disciplina processuale in<br />

materia di locazione di immobili urbani. Preso atto della situazione di “vero e proprio caos<br />

processuale” (1) cui aveva dato luogo la l. 27 luglio 1978, n. 392, con la frammentazione dei riti<br />

(ordinario, speciali c.d. a cognizione piena, sommari) e dei giudici competenti in primo grado<br />

(conciliatore, pretore, tribunale) ivi prevista (2) (situazione ulteriormente complicata dalla l. n.<br />

399/1984), il legislatore del 1990 da un lato ha sottoposto alla competenza per materia del pretore e<br />

al rito lavoro tutte le controversie relative ai rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani<br />

e di affitto di aziende (v. art. 8 n. 3 nuovo testo e art. 447 bis), dall’altro lato “assoggettando le<br />

controversie in materia di comodato di immobili urbani e di affitto di azienda alle stesse scelte<br />

effettuate in punto di competenza per materia e di rito per le controversie in materia di locazione di<br />

immobili urbani” ha evitato “che l’individuazione del giudice competente per materia e del rito<br />

dipendano da complesse qualificazioni giuridiche del rapporto (rilevanti anche ai fini della<br />

decisione di merito..)” (3).<br />

Se, dunque, la nuova disciplina è destinata a far venir meno pressoché tutti i problemi insorti<br />

nella vigenza del sistema attuato dalla l. n. 392/1978 e succ. mod. (4), i plurimi e rinnovati rinvii<br />

dell’entrata in vigore dell’intera riforma (v. l. n. 447/1992, d.l. 14-2-1994, 14-4-1994) spostano nel<br />

futuro tale risoluzione e rendono tuttora attuali i problemi medesimi.<br />

D’altro lato l’entrata in vigore, a far data dal 1-1-1993, dei commi 3°, 4° e 5° dell’art. 40 c.p.c.<br />

(aggiunti dall’art. 5 l. n. 353/1990), che disciplinano il cumulo di cause soggette a riti differenti, e la<br />

previsione (contenuta nell’art. 92, 1° comma, l. n. 353/90 mod. dall’art. 2, 5° comma l. n. 477/1992)<br />

che tale disposizione non si applica ai giudizi pendenti al 1-1-1993 (ai quali, fino alla data di entrata<br />

in vigore dell’intera riforma, “si applicano … le disposizioni anteriormente vigenti”), dà luogo oggi<br />

all’esistenza di un doppio regime processuale (ordinario-preriforma e transitorio o “di transizione”),<br />

destinato ad essere superato dalla completa vigenza della riforma.<br />

Tenteremo nel prosieguo di dar conto delle principali questioni legate ai temi dei rapporti tra<br />

competenza e rito e della cumulabilità di cause soggette a riti differenti e attribuite alla competenza<br />

di giudici diversi; tenuto conto di quanto si è detto sopra sull’esistenza di più regimi processuali, nel<br />

far ciò distingueremo per gruppi di controversie identificate in base al criterio temporale dell’epoca<br />

di introduzione.<br />

2. Cause pendenti alla data del 1° gennaio 1993: il sistema introdotto dalla l. n. 392/1978 e succ.<br />

mod..<br />

Lo schema dei riti e delle competenze relativi alle controversie in materia di locazione di<br />

immobili urbani, in base alla disciplina di cui alla l. n. 392/78 e 399/84, è il seguente:<br />

a) rito speciale ex artt. 46-53 l. n. 392/78 per le controversie:


aa) relative alla determinazione, aggiornamento ed adeguamento del canone;<br />

ab) relative alle opere di conservazione ex art. 23, all’indennità di avviamento ex art. 34 e<br />

all’indennità per i miglioramenti apportati dal conduttore col consenso del locatore devolute alla<br />

competenza per materia del pretore;<br />

b) procedimento speciale ex art. 30 e 46 per le controversie relative al diritto di recesso nei casi<br />

previsti dagli artt. 29, 59 e 73 devolute alla competenza per materia del pretore;<br />

c) procedimento per convalida di sfratto ex art. 657 ss. c.p.c. devoluto alla competenza per<br />

materia del pretore;<br />

d) rito ordinario per ogni altra controversia e in particolare per quelle:<br />

da) sulla cessazione del rapporto di locazione per cause diverse da quelle indicate negli artt.<br />

29, 59 e 73 l. n. 392/78, 657, 658, 659 c.p.c. o per finita locazione o morosità quando vi sia stata<br />

opposizione da parte del conduttore;<br />

db) sul diritto di riscatto e di prelazione ex artt. 38, 39 e 40 l. cit.;<br />

dc) sul diritto al ripristino ex art. 31;<br />

dd) sugli obblighi di manutenzione la competenza a conoscere le quali è ripartita secondo gli<br />

ordinari criteri di competenza per valore.<br />

2.1. Segue. In particolare: le controversie relative alla determinazione, aggiornamento e<br />

adeguamento del canone.<br />

La formula di cui agli artt. 43-45 l. n. 392/78 (“controversie relative alla determinazione,<br />

all’aggiornamento e all’adeguamento del canone”) ha fatto sorgere problemi interpretativi, la cui<br />

risoluzione è di particolare rilievo dipendendo dalla qualificazione della controversia<br />

l’individuazione del giudice competente e del rito applicabile (5).<br />

Gli orientamenti della giurisprudenza possono così riassumersi:<br />

A) è pacifico che rientrino nella categoria di controversie in esame quelle riguardanti la misura<br />

del canone da determinarsi o aggiornarsi secondo la precedente legislazione vincolistica, in<br />

riferimento sia alla richiesta del locatore di ottenere l’ammontare del corrispettivo dovuto sia alla<br />

richiesta del conduttore di restituzione di somme indebitamente pagate, e anche se aventi ad oggetto<br />

la validità ed efficacia delle clausole ISTAT; v. Cass., 4 luglio 1981, n. 4397 in FI, 1982, I , 2126;<br />

Cass., 1 settembre 1982, n. 4771, in FI, 1983, I, 76; 8 marzo 1983, n. 1712, in Rass. Equo Can.,<br />

1983, 119; Cass., 26 aprile 1983, n. 2873 e Cass., 29 marzo 1983, n. 2285, ibid., 1983, 116 ss.;<br />

Cass., 25 giugno 1985, n. 3816 (sulla clausola ISTAT); Cass., 27 febbraio 1987, n. 2120; Cass., 10<br />

agosto 1988, n. 4916, ibid., 1990, 136 (le ultime due specificano che sussiste la competenza<br />

ratione materiae del pretore anche quando la controversia abbia ad oggetto canoni di locazioni in<br />

corso al momento dell’entrata in vigore della legge e relativi al periodo ad essa antecedente);


B) costante è anche l’indirizzo secondo cui rientrano tra le controversie in esame quelle aventi<br />

ad oggetto la restituzione delle somme che il conduttore assume corrisposte al locatore oltre la<br />

misura del canone legalmente dovuto; v. Cass., n. 4771/82, cit.; n. 1712/83, cit., che espressamente<br />

qualifica controversia sulla misura dei canoni la causa avente “per oggetto la pretesa dell’attore alla<br />

restituzione di somme che sostiene essere state indebitamente percepite dalla locatrice per aumenti<br />

illegittimi del canone”; Cass., 10 agosto 1988, n. 4916, secondo cui la competenza funzionale e<br />

inderogabile del giudice monocratico “si estende alla domanda di pagamento di canoni rimasti<br />

insoluti ed alla riconvenzionale di restituzione delle somme pagate in più per (pretesi) aumenti<br />

illegittimi del canone, le quali, in quanto accessorie rispetto a quella principale (per manifesta<br />

priorità logica e giuridica) di determinazione del canone, vanno devolute allo stesso giudice per<br />

ragioni di concentrazione e di economia processuale” (la massima è ripetitiva; v. anche Cass., 16<br />

dicembre 1988, n. 6860; 18 febbraio 1986, n. 967; 6 settembre 1985, n. 5452; Cass., 26 agosto<br />

1983, n. 5484; Cass., 25 giugno 1985, n. 3816); Cass., 9 aprile 1993, n. 4334, in Arch. loc., 1993,<br />

482, secondo cui “l’azione di ripetizione delle somme pagate dal conduttore al locatore in più del<br />

dovuto nel corso del rapporto per effetto di illegittimo aumento del canone può anche essere<br />

proposta, congiuntamente alla domanda di accertamento del canone di locazione dovuto, al pretore<br />

competente su quest’ultima domanda, rispettato alla quale quella di ripetizione è accessoria, atteso<br />

che, ai sensi dell’art. 31 comma 2 c.p.c., al giudice competente per materia sulla causa principale<br />

possono essere proposte domande accessorie anche se eccedenti la sua competenza per valore”;<br />

Cass., 10 febbraio 1990 n. 972, in FI, 1991, I, 1203 in cui si afferma che “le controversie sulla<br />

misura dei canoni di locazione devolute alla competenza esclusiva del pretore non sono soltanto<br />

quelle dirette a stabilire quale percentuale di aumento vada applicata, sul canone iniziale, ma per il<br />

principio della concentrazione processuale, anche quelle aventi ad oggetto le conseguenti statuizioni<br />

circa il pagamento delle somme dovute (o la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto)”; per<br />

la giur. di merito si v. Pret. Napoli, 7 febbraio 1986, n. 296 in Arch. Loc., 1987, 747, secondo cui<br />

rientra nella competenza pretorile di cui all’art. 45 l. n. 392/78 la domanda di ripetizione di somme<br />

pagate in più; Pret. Ventimiglia, 16 febbraio 89, secondo cui anche la domanda di ripetizione di<br />

canoni indebitamente corrisposti, che postula la domanda di adeguamento del canone, deve essere<br />

preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione.<br />

Come dimostra l’esame delle citate pronunce, la giurisprudenza ricomprende le controversie in<br />

materia di rivalsa tra quelle di cui all’art. 45 cit. o direttamente o in quanto consequenziali rispetto a<br />

quelle di determinazione del canone, rinvenendo il diritto alle restituzioni di cui all’art. 79 l. n.<br />

392/78 fondamento nella violazione degli artt. 12 ss. l. cit. (6). La ratio decidendi maggiormente<br />

ricorrente appare essere quella relativa al nesso di accessorietà che lega la domanda di restituzione<br />

alla domanda di accertamento del canone, con conseguente applicazione dell’art. 31 c.p.c. (e deroga<br />

alla competenza per valore in favore del giudice della causa principale competente per materia).<br />

Perquanto non vengano indicate esplicitamente le scelte dogmatiche sottese a tale soluzione, la<br />

costante affermazione secondo cui la domanda di ripetizione di canoni indebitamente corrisposti<br />

“postula concettualmente le operazioni di adeguamento del canone”; il fatto che in nessun caso<br />

venga posta la questione della realizzabilità della trattazione simultanea nonostante la diversità dei<br />

riti (non ricomprendendosi la causa di restituzione direttamente tra quelle di cui all’art. 45 cit., la<br />

medesima dovrebbe ritenersi soggetta al rito ordinario di cognizione); la circostanza, infine, che si<br />

affermi la competenza per materia del pretore anche allorquando non vengono proposte due distinte<br />

domande – una pregiudiziale di accertamento del canone e l’altra dipendente di restituzione – ma<br />

una sola avente ad oggetto il diritto alla rivalsa, inducono a ritenere che la giurisprudenza nei casi in<br />

esame accolga una nozione di accessorietà nel senso di “pregiudizialità logica o interna allo stesso<br />

rapporto” (7).


Consegue a tale ricostruzione che domanda principale e domanda accessoria risultano inserite in<br />

un medesimo rapporto e, quand’anche sia dedotta in giudizio esclusivamente la coppia pretesaobbligo<br />

relativa al diritto di rivalsa, l’oggetto del processo (e del giudicato) non è limitato alla stesso<br />

ma si estende direttamente all’intero rapporto giuridico complesso e in particolare all’accertamento<br />

del canone (8). Significativa in tal senso è Cass., 13 luglio 1992, n. 8495 (in Rass., 1993, 145); nel<br />

caso di specie la corte d’appello aveva respinto l’eccezione di incompetenza in materia del tribunale<br />

affermando che oggetto del giudizio era lo sfratto per morosità e che il convenuto non aveva<br />

espressamente richiesto la determinazione del canone; la S.C. osserva che la corte di merito “non ha<br />

considerato che la domanda riconvenzionale proposta dalla conduttrice per la restituzione delle<br />

somme che asseriva di aver corrisposto in precedenza rispetto all’ammontare legalmente dovuto per<br />

i canoni, postulava il preliminare accertamento della misura del canone e dei successivi aumenti<br />

legali…Se la corte d’appello avesse tenuto conto della sostanziale volontà della conduttrice – la cui<br />

domanda di restituzione delle somme che avrebbe corrisposto alla locatrice in eccedenza rispetto a<br />

quelle dovute, non avrebbe avuto alcun senso senza l’accertamento e la determinazione del canone<br />

legalmente avuto – avrebbe dovuto ritenere … che la domanda di restituzione non poteva non<br />

contenere quella di accertamento e determinazione del canone …”.<br />

C) la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la domanda di risoluzione del<br />

contratto di locazione per morosità sia retta dagli ordinari criteri di competenza per valore (e nel<br />

negare che la medesima sia legata da un nesso di accessorietà alla domanda riconvenzionale con cui<br />

il convenuto, contestata la morosità, chieda la determinazione legale del canone); v. Cass., 24<br />

novembre 1982, n. 6362, in FI, 1983, I, 335 con n. di PIOMBO; 21 agosto 1985, n. 4470, id., 1986,<br />

I, 2266; 28 marzo 1986, n. 2209; 27 febbraio 1987, n. 2113; gli ordinari criteri di competenza per<br />

valore si ritengono applicabili anche alle controversie di mero accertamento sulla durata del<br />

rapporto, sulla disciplina ad esso applicabile e in genere sul contenuto del negozio; v. Cass., 18<br />

aprile 88, n. 3061, in FI, 1989, I, 1915 ed ivi ult. rif.; Cass., 28 novembre 1992, n. 12716 in Arch.<br />

loc., 1993, 271; Cass., 18 giugno 1992, n. 7542; in senso contr., v. Cass., 29 maggio 1991, n. 6053<br />

(in Giust. civ., 1992, I, 141), secondo cui “le controversie relative alla determinazione,<br />

all’aggiornamento e all’adeguamento del canone ai sensi dell’art. 45 …comprendendo anche quelle<br />

consistenti nello stabilire l’esistenza, la validità e la liceità degli accordi intervenuti tra le parti circa<br />

la determinazione del canone e quindi anche l’eventuale simulazione di essi in violazione della<br />

disposizione dell’art. 79 … che dichiara la nullità di ogni pattuizione diretta, tra l’altro, ad attribuire<br />

al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla stessa o altro vantaggio sempre in<br />

contrasto con tale legge”; Pret. Monza 18 febbraio 1989 (in FI, 1989, I, 1915), il quale fa espresso<br />

riferimento ai principi in materia di pregiudizialità in senso logico di cui sopra al fine di attrarre<br />

nella competenza funzionale del pretore le domande pregiudiziali rispetto all’accertamento del<br />

canone: rilevato che la competenza per materia non prevista con riferimento al rapporto<br />

fondamentale (locazione) ma a “un rapporto giuridico-effetto del contratto di locazione, id est il<br />

diritto soggettivo di una delle parti del contratto locatizio a ottenere l’accertamento di un<br />

determinato modo di essere del contratto stesso, costituito dal canone”, sulla base di una analisi<br />

delle fattispecie in cui in concreto può rilevare la determinazione del canone e del cumulo di azioni<br />

prospettabili, conclude ritenendo che l’art. 43 cit. disciplina un’ipotesi di competenza che “non è<br />

relativa solo alle controversie concernenti il rapporto giuridico-effetto del rapporto giuridico<br />

fondamentale di locazione, costituito dal modo di essere di quest’ultimo quoad canone, bensì<br />

involge tutti quegli accertamenti che possono definirsi afferenti a un modo di essere del rapporto<br />

fondamentale giustificativo dell’applicazione della disciplina dell’equo canone. Detti accertamenti<br />

possono concernere rapporti giuridici effetto della fattispecie locazione che di quella applicazione<br />

sono il presupposto” (9).<br />

D) in giur. si è ritenuto che appartengano alla competenza per materia del pretore ex artt. 43-45<br />

l. cit. anche le controversie:


– relative alla determinazione del corrispettivo dovuto ex art. 1591 c.c. dal conduttore in mora<br />

nella restituzione dell’immobile locato, poiché quel corrispettivo “mantiene … tutte le<br />

caratteristiche del normale canone di locazione, anche in ordine alle norme applicabili alla sua<br />

determinazione” (Cass., 13 luglio 1992, n. 8499 in FI, 1993, I, 122 ed ivi ampi riferimenti);<br />

– relative all’accertamento della legittimità degli aumenti del canone richiesti e pagati nel corso<br />

di rapporto di locazione di immobile destinato ad uso non locativo, in quanto per i relativi contratti<br />

il canone può subire aumenti solo nei modi di cui all’art. 32 l. cit. (Cass., 9 aprile 1993, n. 4334, in<br />

Arch. loc., 1993, 482).<br />

2.1.1. Segue. In particolare: il tentativo obbligatorio di conciliazione.<br />

L’inquadramento di una determinata controversia tra quelle di cui all’art. 45 l. n. 392/78 implica<br />

che l’introduzione della medesima deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione<br />

ex artt. 43 e 44 l. cit. (10).<br />

In giur., v. Pret. Ventimiglia, 16 febbraio 89, cit., che ha affermato il principio con riferimento<br />

ad una domanda di ripetizione di canoni indebitamente corrisposti.<br />

La giurisprudenza di merito ritiene che ricorra la necessità del tentativo di conciliazione solo<br />

allorquando la domanda sia proposta in via principale e non anche in via riconvenzionale; v. Pret.<br />

Pisa, 18 febbraio 1986, n. 27 in Arch. loc., 1988, 207; Pret. Foggia, 7 dicembre 1985, in FI, 1987, I,<br />

1147; Pret. Firenze, 9 ottobre 1986, in Arch. Loc., 1987, 174; contra: Cass., 13 gennaio 1993, n.<br />

353, in cui ritenuta l’improcedibilità della domanda riconvenzionale non preceduta dal tentativo di<br />

conciliazione, si afferma: “tuttavia, se il tentativo di conciliazione sia stato esperito dal locatore in<br />

relazione ad una sua pretesa inerente alla misura del canone, il conduttore non ha l’onere di<br />

rinnovare il tentativo medesimo per la proposizione della domanda riconvenzionale perché quello<br />

esperito dal locatore ha realizzato lo scopo di promuovere un confronto fra le parti sulle rispettive<br />

posizioni in sede non contenziosa, perseguito dal citato art. 44”.<br />

Nel primo senso in dottrina: PAPARO-PROTO PISANI (11), argomentando dal fatto che “l’art.<br />

48, comma 1°, disciplinando esplicitamente l’ipotesi di passaggio dal rito ordinario al rito speciale<br />

(diversamente dal testo originario del primo comma dell’art. 445) non fa menzione alcuna della<br />

necessità di sperimentare previamente il tentativo di conciliazione ove si sia alla presenza di una<br />

controversia relativa alla determinazione, aggiornamento o adeguamento del canone”; VERDE (12);<br />

CEA (13), che argomenta tra l’altro dall’inutilità dell’istituto, finalizzato ad evitare che i contrasti<br />

sfocino in sede contenziosa, allorquando tale evento siasi già verificato (14); contra TARZIA (15),<br />

il quale ritiene che il tentativo di conciliazione possa essere instaurato dopo che la questione sul<br />

canone è sorta.<br />

2.2. Competenza e rito.<br />

Si è già osservato come nel sistema della l. n. 392/1978 i problemi più rilevanti sorgano con<br />

riferimento alla previsione del rito speciale del lavoro per alcune soltanto delle controversie inerenti<br />

al rapporto di locazione cui si accompagnano ipotesi di competenza per materia (16).<br />

Pur rinviando agli studi in materia (17), è opportuno riassumere brevemente i risultati cui è<br />

pervenuta la dottrina in ordine: alla individuazione della nozione di rito, alle conseguenze<br />

dell’errore sul rito, all’intreccio tra questioni di rito e questioni di competenza (18):


a) il rito non è un requisito di validità della domanda giudiziale e l’errore sul rito “non<br />

determina la conclusione del processo con un provvedimento di rigetto per motivi di mera forma,<br />

ma è solo causa di rilievo d’ufficio e di un provvedimento ordinatorio di mutamento di rito allo<br />

scopo di consentire che il processo, anche se iniziato con rito erroneo, si concluda secondo il rito<br />

prescritto con una sentenza di merito che decida chi ha ragione e chi ha torto”;<br />

b) le questioni di rito sono rilevabili d’ufficio dal giudice sia in primo grado che in appello; gli<br />

atti posti in essere secondo le regole di un rito errato non sono affetti da nullità e possono essere<br />

utilizzati nel prosieguo del procedimento purché non incompatibili col rito esatto;<br />

c) le questioni di rito sono risolte dal giudice con provvedimento avente forma di ordinanza,<br />

inidoneo quindi a pregiudicare la risoluzione della controversia e soggetto al regime di stabilità di<br />

cui all’art. 177 c.p.c.;<br />

d) le norme sul rito, a differenza delle norme sulla competenza, “sono norme sul procedimento e<br />

come tali possono (anche se non necessariamente) per definizione condizionare il contenuto della<br />

decisione di merito”; tali norme devono essere rispettate al momento della decisione di merito e<br />

pertanto (e come indicano l’assenza di un regime di preclusioni sulla rilevabilità della questione e la<br />

normale revocabilità dell’ordinanza di mutamento di rito) il rito deve essere “individuato anche<br />

sulla base della qualificazione giuridica dell’oggetto della controversia così come emerge al termine<br />

dell’istruzione”;<br />

e) il controllo da parte del giudice sulla scelta del rito deve essere effettuato in limine litis sulla<br />

base degli atti e ad istruzione esaurita sulla base della valutazione globale delle risultanze<br />

dell’istruttoria;<br />

f) quando le questioni di competenza e di rito dipendono dai medesimi presupposti, dato il<br />

diverso regime di preclusione cui sottoposto il rilievo di tali questioni, possono darsi i seguenti casi:<br />

fa) se al momento del rilievo dell’erroneità del rito la questione di competenza non è preclusa, il<br />

giudice che a seguito di mutamento di rito divenga incompetente deve, secondo la giurisprudenza<br />

con sentenza impugnabile con regolamento ex art. 42 c.p.c. (secondo parte della dottrina con<br />

ordinanza non impugnabile con regolamento), dichiarare la propria incompetenza, rimettere le parti<br />

al giudice competente e fissare un termine per la riassunzione col rito prescritto; fb) se la questione<br />

di competenza è preclusa, il giudice deve disporre il mutamento di rito con ordinanza<br />

“indipendentemente da qualsiasi indagine in ordine al se, senza la intervenuta preclusione sulla<br />

competenza, sarebbe stato competente ad applicare il rito speciale in quel grado di giudizio”.<br />

2.3. Cause connesse soggette a riti differenti.<br />

Il problema del cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi – già sorto con<br />

riferimento alla connessione tra cause civili e cause commerciali e tra cause soggette al rito del<br />

lavoro e cause soggette a rito ordinario – si è posto in tutta la sua gravità dopo l’entrata in vigore<br />

della l. n. 392/78 (19).


Tale problema si presenta come duplice, articolandosi nelle due questioni: a) se, rientrando le<br />

cause connesse nella competenza del pretore, la differenza di rito sia di ostacolo alla trattazione<br />

simultanea; b) se, rientrando le cause connesse l’una – quella soggetta al rito ordinario – nella<br />

competenza per valore del tribunale e l’altra – soggetta al rito speciale – nella competenza per<br />

materia del pretore, possa farsi luogo al cumulo (e innanzi a quale giudice). È evidente che la<br />

risposta alla seconda questione implica che la prima sia stata positivamente risolta. Ancora evidente<br />

è che il problema si configura come più o meno grave a seconda del tipo di nesso che lega le cause<br />

che si intendono cumulare. Infatti: A) qualora le cause siano connesse per identità di causa petendi<br />

(es.: domanda di rilascio dell’immobile e domanda di risarcimento del danno per inadempienze<br />

contrattuali; domanda di rilascio per finita locazione e domanda di ripetizione di somme corrisposte<br />

oltre il canone legalmente determinato), le differenze di rito e di competenza non danno luogo a<br />

difficoltà, ben potendo farsi luogo a separazione (20); B) qualora le cause siano legate da un nesso<br />

di pregiudizialità dipendenza (es.: domanda di risoluzione del contratto per morosità e – previa<br />

contestazione della morosità – domanda di determinazione del canone; domanda di rilascio<br />

dell’immobile locato e domanda di determinazione dell’indennità di avviamento), le conseguenze<br />

dell’impossibilità di realizzazione della trattazione simultanea sono assai più gravi, laddove si<br />

ritenga che debba farsi luogo a sospensione necessaria della causa pregiudicata.<br />

Poiché tormentatissimo tema della realizzabilità della trattazione unitaria di cause soggette<br />

a riti differenti è stato oggi risolto positivamente dal legislatore (art. 40, comma 3°, 4°, 5° c.p.c.<br />

in vigore dal 1 gennaio 1993 di modo che il relativo problema non si presenta per le cause di<br />

nuova introduzione), appare superflua una sua specifica trattazione, limitandoci qui a ricordare<br />

come la dottrina più attenta alle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale avesse tentato<br />

di enucleare – dagli artt. 416, 2° comma, 418 e 420, 9° comma c.p.c. richiamati dall’art. 46 l. n.<br />

392/78 – un principio generale secondo cui, ove due cause soggette a riti diversi, ne sarebbe<br />

possibile la simultaneità di trattazione nelle forme del rito speciale (21).<br />

La seconda delle prospettate questioni si è posta soprattutto con riferimento all’ipotesi in<br />

cui il conduttore, convenuto innanzi al tribunale competente per valore in un giudizio di<br />

risoluzione del contratto per morosità, non si limiti ad eccepire che la morosità non sussiste ma<br />

proponga domanda riconvenzionale di determinazione del canone. La giurisprudenza ritiene<br />

ormai pacificamente che il “simultaneus processus” non può essere attuato, a ciò ostando le<br />

norme sulla competenza – “essendo inutilizzabile il criterio dell’accessorietà di cui all’art. 31<br />

c.p.c., sia per la maggiore importanza della domanda di risoluzione (incidente sull’intero<br />

rapporto) rispetto a quella di determinazione del canone (attinente ad una sola delle prestazioni<br />

corrispettive), sia per la non configurabilità di un tale criterio nel caso in cui detta<br />

determinazione sia richiesta in via riconvenzionale” (Cass., n. 5484/1983) –, e che deve farsi<br />

luogo a sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente di risoluzione del contratto (v.<br />

Cass., 9 ottobre 1980, n. 5411 in FI, 1981, I, 433; Cass., SU, 11 febbraio 1982, n. 839, id.,<br />

1982, I, 1955; Cass., 14 aprile 1983, n. 2622 in Giur. it., 1985, I, 1, 1128; 23 agosto 1983, n.<br />

5484; 6 ottobre 1988, n. 5373 in Arch. loc., 1989, 293; 7 maggio 1988, n. 3387 e altre) (22).


Tale soluzione è stata contrastata da una parte della dottrina (23) affermandosi la<br />

possibilità della trattazione simultanea innanzi al giudice inferiore, competente per materia<br />

sulla causa pregiudiziale, sulla base di una lettura correttiva dell’art. 34 c.p.c. alla luce del<br />

disposto dell’art. 31, 2° comma c.p.c. fondata “sulla strutturale identità quanto meno fra alcune<br />

ipotesi di accessorietà e pregiudizialità, e sull’art. 107, 3° comma Cost.” (oltre che sulla base<br />

della ritenuta vis actractiva del rito speciale) (24); ove questa soluzione non si ritenesse<br />

accoglibile si è affermato che “non resterebbe … che interpretare l’art. 34 alla luce del canone<br />

ermeneutico fondamentale della effettività della tutela giurisdizionale …, e conseguentemente<br />

ritenere che ove una domanda (proposta in via riconvenzionale o ex art. 34 c.p.c.) comporti un<br />

accertamento che si pone come pregiudiziale rispetto alla domanda principale e non possa<br />

essere trattata simultaneamente a questa per motivi di competenza (o di giurisdizione) o di rito,<br />

in tal caso …le questioni che stanno alla base della domanda riconvenzionale dovranno pur<br />

sempre essere conosciute, ma solo incidenter tantum, dal giudice della domanda originaria,<br />

garantendo così in modo pieno il diritto di difesa del convenuto senza pregiudicare l’effettività<br />

del diritto d’azione dell’attore…” (25).<br />

3. Cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993. L’entrata in vigore dei commi 3°, 4°, 5° dell’art. 40<br />

c.p.c..<br />

I commi 3°, 4° e 5° dell’art. 40 c.p.c., introdotti dalla l. n. 353/1990, risolvono il problema della<br />

trattazione simultanea di cause connesse soggette a riti differenti, individuando in quali ipotesi è possibile<br />

la trattazione simultanea e quali sono i criteri in base ai quali stabilire il rito applicabile. Niente dice la<br />

norma sulla realizzazione del simultaneus processus allorquando le cause appartengano alla competenza<br />

di giudici diversi e deve ritenersi che la sua applicazione presupponga risolto l’altro problema della<br />

competenza (originaria o prorogata ex art. 31 ss. c.p.c.) del giudice innanzi al quale il cumulo si realizzi<br />

ab origine o a seguito di riunione (ex artt. 39, 40, 1° comma, 274, 274 bis c.p.c.).<br />

Per quanto concerne le ipotesi di connessione in cui è possibile la trattazione simultanea, l’art. 40, 3°<br />

comma richiama espressamente solo “i casi previsti dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36” (26), esclusi i casi<br />

previsiti dall’art. 33 in tema di cumulo soggettivo (27).<br />

I criteri tramite cui risolvere i conflitti tra riti di domande connesse sono schematicamente i seguenti:<br />

a) nel conflitto tra rito ordinario e rito speciale prevale il rito ordinario, salvo che la domanda soggetta a<br />

rito speciale non rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 nel qual caso prevale il rito del lavoro; b) nel<br />

conflitto tra rito speciale del lavoro in senso stretto e altro rito speciale prevale il primo, in forza<br />

“dell’argomento a fortiori agevolmente desumibile dal nuovo testo del terzo comma dell’art. 40” (28); c)<br />

nel conflitto tra rito speciale del lavoro in senso lato (fuori dai casi di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c.) e altro<br />

rito speciale, se le cause sono soggette alla competenza di giudici diversi prevale il rito relativo alla<br />

domanda “in ragione della quale viene determinata la competenza”, se le cause sono soggette alla<br />

competenza dello stesso giudice prevale il rito previsto per la causa di maggior valore (29).<br />

Secondo alcuni Autori il criterio della prevalenza del rito speciale della causa in ragione della<br />

quale viene determinata la competenza trova applicazione anche quando le cause appartengono fin<br />

dall’origine alla competenza dello stesso giudice, dovendo in tal caso farsi riferimento al rito della<br />

causa che astrattamente attratto l’altra causa (30).<br />

Il 5° comma dell’art. 40 rinvia per il mutamento di rito alle regole dettate per il processo del<br />

lavoro, artt. 426, 427, 439 (31).<br />

3.1. Effetti della nuova disciplina sulle controversie in materia di locazione.<br />

Come già si è osservato, la disciplina dettata all’art. 40, 3°, 4°, 5° comma trova applicazione per<br />

le cause introdotte a partire dal 1 gennaio 1993, col che – almeno per queste ultime – potrebbero<br />

ritenersi risolte le questioni in tema di trattazione simultanea di cause soggette a riti differenti<br />

permanendo il problema del cumulo tra cause attribuite alla competenza di giudici diversi.


Peraltro, l’entrata in vigore della nuova disciplina su connessione e rito indipendentemente dalle<br />

norme su competenza e rito in materia di locazione (art. 8 n. 3 e 447 bis) rischia di creare un effetto<br />

perverso e sicuramente contrario all’intento perseguito dal legislatore. Infatti, la novella del 1990<br />

aveva previsto la competenza per materia del pretore e il rito del lavoro per tutte le controversie in<br />

materia di locazione, comodato di immobili urbani e affitto di azienda (32) e, se il corpus normativo<br />

fosse entrato unitariamente in vigore, l’art. 40, 3°, 4° e 5° comma avrebbe giocato un ruolo affatto<br />

residuale con riferimento al settore che qui interessa, nel senso che non avrebbe mai potuto porsi un<br />

problema di rito tra cause di locazione ma solo nelle rare ipotesi di cumulo tra una causa di<br />

locazione e una causa fuoriuscente da detta materia (es.: domanda di pagamento canoni e eccezione<br />

in compensazione di un credito fondato su un titolo diverso da quello su cui si fonda il credito<br />

principale). Solo in queste ultime ipotesi, dunque, il rito speciale sarebbe stato derogato in favore<br />

del rito ordinario, restando nella quasi totalità dei casi a regolare il procedimento delle controversie<br />

locatizie. La discrasia nell’entrata in vigore dell’art. 40, 3°, 4° e 5° comma da un lato e degli artt. 8 e<br />

447 bis dall’altro rischia di provocare l’effetto opposto: essendo tutt’oggi numerose le ipotesi di<br />

controversie locatizie soggette a rito ordinario (v. supra sub 2), ogniqualvolta risultano cumulate<br />

una di tali cause e una di quelle di cui agli artt. 43 e 45 l. n. 392/78 il rito da applicare è quello<br />

ordinario in deroga a quello speciale (33).<br />

Tenuto conto di quello che era l‘intento perseguito dal legislatore e del fatto che il meccanismo<br />

che si è appena descritto è il frutto più che di una scelta ragionata di un irrazionale frazionamento<br />

della riforma, appare lecito tentare una interpretazione che, ampliando al massimo l’attuale<br />

competenza per materia del pretore, riduca conseguentemente l’ambito di applicazione dell’art. 40<br />

(34). Si tratta del resto di ripercorrere una strada già battuta, cogliendo e valorizzando gli spunti già<br />

fortemente presenti nella giurisprudenza e indirizzati nel senso di offrire una definizione ampia di<br />

controversia sul canone, quale comprendente anche gli antecedenti logici necessari (ad es. esistenza<br />

e validità del contratto) e i vari effetti del rapporto complesso (v. supra sub 2.1.).<br />

3.2. La nozione di rito speciale.<br />

In ordine ai rapporti tra rito lavoro e rito locatizio (cioè quel rito speciale disciplinato mediante<br />

richiamo di singole disposizioni sul rito del lavoro ma in modo da dar luogo ad un rinvio pressoché<br />

globale) si è negato in dottrina che la controversia locatizia possa considerarsi diversa dal rito del<br />

lavoro in senso stretto, potendo parlarsi di rito speciale “solo nei casi di vera e propria autonomia<br />

del corpo normativo destinato a disciplinare il singolo processo, e non invece dove, accanto a una<br />

serie di disposizioni speciali, vi sia poi un rinvio residuale alle norme del modello originario, oppure<br />

ancora vi sia un rinvio nella sostanza “globale” ancorché concepito come selettivo rispetto ad un<br />

modello originario chiaramente identificato” (35). Le conseguenze dell’esclusione del caso in esame<br />

dalla fattispecie del concorso di riti diversi sarebbero da un lato la realizzabilità del cumulo<br />

indipendentemente dalla tipologia della connessione, dall’altro lato una possibilità di convivenza<br />

dei due modelli, per cui potrebbe “affermarsi, anziché la prevalenza tout court del rito della causa di<br />

lavoro, la possibilità che all’interno del medesimo processo e nella convivenza dei due modelli<br />

contigui, si assicuri …il rispetto di quelle norme che attengono al piano della tutela” (36).<br />

3.3. Problemi di costituzionalità.


Viene prospettata in dottrina “l’illegittimità della norma” in esame “per l’irragionevole<br />

discriminazione tra le cause di lavoro e previdenziali (che, in funzione della rilevanza degli interessi<br />

ad essi sottesi, sono state sottoposte al rito speciale), e le altre cause che, per un’analoga valutazione<br />

di interessi, il legislatore ha assoggettato al medesimo rito del lavoro o ad un rito affine, e per le<br />

quali viceversa prevarrebbe, in caso di connessione, il rito ordinario” (37). In merito si osser-va<br />

come un tale dubbio può risultare fondato solo laddove la specialità del rito risponda a specifiche e<br />

particolari esigenze di tutela delle situazioni sostanziali tutelate mediante quelle forme e non anche<br />

laddove si sia solo inteso perseguire un obbiettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia<br />

in un determinato settore di controversie (come nel caso di specie sembrerebbe). Si aggiunga che,<br />

una volta entrata in vigore per l’intero la riforma, la deroga al rito speciale locatizio dovrebbe<br />

configurarsi come ipotesi del tutto residuale e che tale deroga avverrebbe in favore del rito<br />

ordinario, così come razionalizzato dal legislatore del 1990.<br />

4. Cause introdotte dopo le cause pendenti alla data dell’entrata in vigore integrale della l. n.<br />

353/1990. In particolare: l’entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c..<br />

L’entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c., che prevede l’applicazione di un unico rito speciale<br />

ricalcato pressoché interamente sul rito speciale del lavoro per tutte le controversie di cui all’art. 8,<br />

2° comma n. 3 (locazione, comodato, affitto), porrà definitivamente fine alle questioni di rito,<br />

venendo meno anche i problemi che l’art. 40 c.p.c. pone nella fase transitoria (o di transizione).<br />

Quella disposizione trova infatti applicazione anche nei giudizi pendenti “previa ordinanza di<br />

mutamento di rito ai sensi dell’art. 426” (art. 90, 7° comma l. n. 353/90 e succ. mod.), mentre il<br />

cumulo tra le cause pendenti al 1-1-1993, e che non fossero definite, potrà essere attuato attraverso<br />

la riunione.<br />

4.1. Il problema del cumulo di più domande attribuite alla competenza di giudici diversi.<br />

L’unica ipotesi problematica resta quella della connessione tra una controversia locatizia,<br />

attribuita pertanto alla competenza per materia del pretore, e una controversia rientrante secondo il<br />

criterio del valore nella competenza del tribunale. Quanto si è detto sull’estensione della<br />

competenza pretorile (ricomprendente tutta la materia delle locazioni, del comodato, dell’affitto)<br />

indica come la questione sarà molto meno grave, dopo l’entrata in vigore degli artt. 8 e 447 bis<br />

c.p.c., di quanto non lo sia oggi, trovando soluzione i casi che più frequentemente si sono presentati<br />

nella pratica (riconvenzionale di equo canone nel giudizio di risoluzione del contratto per morosità;<br />

domanda di determinazione dell’indennità di avviamento nel giudizio di risoluzione del contratto).<br />

Sulla risoluzione della anzidetta questione un’influenza decisiva sarà esercitata dalle conseguenze<br />

che dottrina e giurisprudenza ritrarranno in ordine alla modificazione della competenza per ragioni<br />

di connessione dalla nuova disciplina sul rilievo dell’incompetenza di cui all’art. 38, 1° comma.


Tale disposizione prevede che “l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per<br />

territorio nei casi previsti nell’art. 28, sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di<br />

trattazione”, così assimilando la disciplina della competenza per valore a quella della competenza<br />

per materia e per territorio inderogabile. Sulla base di tale assimilazione – la quale scardina le<br />

fondamenta della lettura tradizionale degli artt. 31 ss. (38) – si è giustamente osservato che “ove si<br />

vadano oggi a rileggere gli artt. 31 ss. alla luce del nuovo testo dell’art. 38, 1° comma …ne dovrebbe<br />

discendere in modo piano la seguente conseguenza: ogni qual volta il legislatore prevede la deroga alla<br />

competenza per valore, è da dedurne la derogabilità anche della competenza per materia e per territorio<br />

inderogabile sulla base dell’argomento a simili, nonché della competenza per territorio derogabile sulla<br />

base dell’argomento a fortiori. Ne segue che nelle ipotesi di connessione previste dagli artt. 31, 32, 34, 35<br />

e 36 (cioè in tutte le ipotesi di domande connesse tra le stesse parti o tra parti diverse per ragioni di<br />

pregiudizialità-dipendenza) la simultaneità di trattazione sarebbe sempre possibile ove le due domande<br />

pendano nello stesso grado di giudizio” (39).<br />

Quanto al giudice davanti al quale realizzare la simultaneità di trattazione, lo stesso per quanto qui<br />

interessa andrà individuato: a) “nel giudice ‘inferiore’ competente per materia sulla domanda principale o<br />

pregiudiziale ove la domanda accessoria o dipendente rientri nella competenza per valore del giudice<br />

superiore e sia proposta ab initio dall’attore cumulativamente alla domanda principale o pregiudiziale: e<br />

ciò in forza della regola emergente dall’art. 31”; b) nel giudice originariamente adito ove la domanda<br />

originaria sia la domanda pregiudiziale o principale e nel corso del processo sia proposta (in via<br />

riconvenzionale o di chiamata in garanzia) domanda dipendente: e ciò in forza di quanto è da desumere<br />

dagli art. 31 e soprattutto 32”; c) “nel giudice ‘superiore’ competente per valore o per materia sulla causa<br />

dipendente, ove la domanda originaria sia la domanda dipendente e nel corso del processo sia proposta<br />

(in via riconvenzionale di accertamento ex art. 34 o di eccezione in compensazione di controcredito che<br />

sia contestato) domanda pregiudiziale che rientri nella competenza per materia o per valore del giudice<br />

inferiore: e ciò in forza di quanto si desume implicitamente dall’art. 34 (e 35, 36) che prevede solo<br />

spostamenti a favore del giudice superiore e non verso il giudice inferiore…” (40).<br />

Seguendo tale interpretazione anche quell’ultimo problema può trovare infine soluzione.<br />

5. Il mutamento di rito nel procedimento per convalida di sfratto.<br />

Trattando delle questioni di rito nelle controversie in materia di locazione un ultimo cenno merita<br />

l’art. 667 c.p.c. nel testo sostituito dalla l. n. 353/90 (non ancora in vigore), secondo cui “Pronunciati i<br />

provvedimenti previsti dagli articoli 665 e 666, il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa<br />

ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426”, previsione che si è resa necessaria a seguito delle<br />

modifiche introdotte dagli artt. 8 e 447 bis in tema di competenza e rito (41). Dal richiamo di cui all’art.<br />

426, 1° comma “si desume senza alcuna possibilità di dubbio che alla notificazione della intimazione e<br />

della citazione ex art. 657 ss. non segue una fase preparatoria soggetta alle preclusioni di cui agli artt. 167<br />

e 183: la fase preparatoria del giudizio a cognizione piena si perfezionerà solo a seguito dell’ordinanza di<br />

mutamento di rito prima tramite l’integrazione degli atti introduttivi (integrazione del tutto libera, giacché<br />

nessuna decadenza è ricollegata alla fase speciale della convalida) e poi nel corso della udienza di cui<br />

all’art. 420” (42).<br />

In particolare non sembra che possano estendersi al mutamento di rito in esame le conclusioni cui<br />

erano pervenute dottrina e giurisprudenza per l’ipotesi prevista dall’art. 426 c.p.c., di causa di lavoro<br />

introdotta con rito ordinario innanzi al pretore territorialmente competente a conoscerla; si affermava,<br />

infatti, che qualora si fossero verificate delle preclusioni secondo le regole del rito erroneamente adottato<br />

– nella specie quello ordinario –, queste dovevano permanere a seguito del mutamento di rito (43).


Tale soluzione non appare riproponibile con riferimento all’art. 667, sia perché – come già rilevato –<br />

non epressamente prevista alcuna decadenza ricollegata alla fase della convalida, sia perché non paiono<br />

estensibili le preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c. (preclusioni collegate alla costituzione in giudizio<br />

mediante comparsa di risposta, cioè un atto della difesa tecnica) con riferimento ad una udienza per la<br />

quale l’ordinamento consente al convenuto di comparire e difendersi personalmente.<br />

(1) L’espressione è di PROTO PISANI, Le controversie in materia di locazione, in ANDRIOLI,<br />

BARONE, PROTO PISANI, PEZZANO, Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma,<br />

1987, 183.<br />

(2) Sul tema, v. PROTO PISANI o.u.c., 183 ss; ID., Rapporti fra competenza, rito e merito<br />

nella legge n. 392 del 1978 (e nel rito speciale del lavoro, in FI, 1981, V. 185 ss.; COSTANTINO,<br />

Controversie in materia di locazione di immobili urbani, voce del N. ss. Dig. It., App., Torino,<br />

1981, 759 ss.; TARZIA, Sulla tutela giurisdizionale nelle locazioni urbane, in Riv. Trim. Dir. Proc.<br />

Civ. 1979, 102 ss.; SALETTI, in Equo canone. Commentario a cura di BIANCA, IRTI, LIPARI,<br />

PROTO PISANI, TARZIA, Padova, 1980, 529 ss.; GUARINO S., Aspetti processuali della nuova<br />

disciplina delle locazioni di immobili urbani, in Riv. trim. dir. proc. civ.; GARBAGNATI, I<br />

procedimenti d’inquinazione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, 291 ss.; CEA, I procedimenti<br />

locativi, in FI, 1985, V, 353 ss.<br />

(3) PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 3; sul tema v.<br />

TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1991, 18; LUISO, in CONSOLO,<br />

LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 1991, sub artt. 3, 5, 70; NELA, in Le<br />

riforme del processo civile a cura di CHIARLONI, 48 ss.; GIANCOTTI, ibidem, 568 ss.;<br />

CARBONE, in Corriere giur., 1991, 1, 85 ss.; ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo<br />

civile, Padova, 1991, 219 ss.<br />

(4) Detti problemi riguardavano essenzialmente: a) l’individuazione delle controversie soggette<br />

a rito speciale; b) la possibilità di realizzazione del cumulo tra cause soggette a riti differenti; c) la<br />

possibilità di realizzazione del cumulo tra cause soggette a riti differenti e attribuite l’una alla<br />

competenza per valore del tribunale e l’altra alla competenza per materia del pretore; per<br />

un’illustrazione dei medesimi, oltre agli A. cit. alla nota precedente, v. infra.<br />

(5) V.PROTO PISANI, Le controversie in materia di locazione, cit., 189 ss.; TARZIA, in Equo<br />

canone. Commentario, cit., 495 ss.<br />

(6) Cfr. PROTO PISANI, Le controversie, cit., 189-190.<br />

(7) Sul tema v. MENCHINI, Il giudicato civile, Torino, 1988, 43 ss., spec. 55 ss. ed ivi ult. rif.<br />

di dottor. e giur.; ID., I limiti oggettivi del giudicato, Milano, 1987, 59 ss., spec. 87 ss.; tale A.così<br />

tratteggia la distinzione tra ‘pregiudizialità logica’ e ‘pregiudizialità tecnica’: “punto di partenza è il<br />

riconoscimento di una differenza, sul piano strutturale, tra il nesso che collega il rapporto complesso<br />

ai suoi singoli effetti (c.d. pregiudizialità logica) e quello riscontrabile nei casi di incompatibilità<br />

oppure di dipendenza tra rapporti giuridici distinti (c.d. pregiudizialità tecnica). In particolare,<br />

mentre nella pregiudizialità tecnica vengono in considerazione più rapporti giuridici eterogenei,<br />

giacché l’effetto che rappresenta un elemento della fattispecie del diritto controverso trova origine<br />

da un rapporto distinto rispetto a quello costitutivo di questo …, nella pregiudizialità logica si è in<br />

presenza di un nesso tra un rapporto ed un suo effetto, ossia di una relazione tra la parte ed il tutto,<br />

esprimendo il rapporto fondamentale l’aggregato, il complesso dei diritti da esso nascenti; si ha cioè<br />

un collegamento tra entità omogenee, l’una delle quali è mera irradiazione dell’altra…”; sul tema v.


anche PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. Dir. Proc.,<br />

1990, 386 ss., spec. 393 ss.<br />

(8) Cfr. PROTO PISANI, o.u.c., 395 ss.<br />

(9) Risolto nel modo di cui nel testo il problema della competenza, discende che il rito applicabile è<br />

sempre quello speciale cfr. ANDRIOLI, in ANDRIOLI, BARONE, PEZZANO, PROTO PISANI,Le<br />

controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1ª edizione, 1974, 153 ss: constatata la tendenziale<br />

inconciliabilità tra rito ordinario e rito speciale osservava l’illustre A.: “a proposito dell’accessorietà è da<br />

ricordare il contrasto tra chi ritiene sufficiente il nesso logico di dipendenza e finisce con il confonderlo<br />

con la pregiudizialità, e chi stima migliore il partito di affiancare all’or ricordato nesso logico<br />

l’accessorietà sostanziale tra le due domande (ANDRIOLI, Commento, I, sub art. 31). Se viene accettata<br />

la tesi più rigorosa, la connessione per l’oggetto o per il titolo comporta la inserzione della domanda<br />

principale ed accessoria nello stesso rapporto e, pertanto, l’assoggettamento dell’una e dell’altra allo<br />

stesso rito, ma, se si segue la tesi meno rigorosa, l’inammissibilità della trattazione simultanea si verifica<br />

le quante volte l’unico collegamento tra le due domande è dato dal nesso logico”. Nella sentenza citata<br />

nel testo, il Pretore di Monza precisa, peraltro, “che la ricomprensione nella competenza per materia<br />

secondo il rito speciale di cui all’art. 46 delle controversie in ordine alla soggezione del contratto all’equo<br />

canone sussiste se ed in quanto le relative domande vengono proposte congiuntamente alla domanda<br />

volta a sollecitare l’inserzione nel contratto del canone di legge. Così, ad es., se il conduttore è interessato<br />

solo a che si accerti che il contratto apparentemente stipulato per soddisfare esigenze abitative transitorie<br />

ex art. 26, lett. a), dissimula in realtà un contratto destinato a soddisfare esigenze abitative primarie, dovrà<br />

proporre le domande secondo il rito ordinario.<br />

(10) Cfr. PIOMBO, n. a Cass., n. 8499/92, in FI, 1993, 123.<br />

(11) PAPARO-PROTO PISANI, in Equo canone. Commentario, cit., 595 n. 27; v. anche<br />

PROTO PISANI, Rapporti fra competenza, rito e merito, cit., 196, n. 50; COSTANTINO, o.c., 763,<br />

secondo cui, introdotta con rito ordinario innanzi a giudice incompetente una delle cause soggette a<br />

rito speciale, la riassunzione non deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione.<br />

(12) VERDE, Aspetti processuali della legge 27 luglio 1978, n. 382 (c.d. sull’equo canone), in<br />

Rass. dir. Civ., 1980, 135.<br />

(13) CEA, Tentativo obbligatorio di conciliazione e domanda riconvenzionale di ‘equo canone’<br />

proposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in FI, 1987, I, 978.<br />

(14) L’argomento è presente nella rel. min. ex art. 83 l. n. 392/78: “il sussistere di una lite<br />

giudiziaria in atto, nella quale le parti si sono già impegnate, farebbe ritenere la frustraneità di un<br />

formale tentativo di conciliazione, che, fra l’altro, produrrebbe il negativo effetto di un inutile<br />

ritardo nella definizione del processo; resterebbe salvo, comunque, il tentativo di conciliazione che<br />

il giudice è sempre chiamato ad esperire ai sensi degli artt. 420 e 185 c.p.c.”.<br />

(15) TARZIA, Sulla tutela, cit., 116.<br />

(16) Su questi temi, v. PROTO PISANI, oo.cc.; ID., Questioni di rito, in ANDRIOLI,<br />

BARONE, PEZZANO, PROTO PISANI, Le controversie, cit., 348 ss.; ID., Sulla tutela<br />

giurisdizionale differenziata, in Riv. Dir. Proc., 1979, 536 ss; COSTANTINO, o.c.; VERDE-<br />

OLIVIERI, Le questioni di rito e di competenza, in Le locazioni di fronte al giudice, Milano, 1981.<br />

(17) PROTO PISANI, oo.cc. e ivi ult. riferimenti.<br />

(18) V. in particolare, PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 350.


(19) Per una “storia” del problema di cui nel testo, v. PROTO PISANI, Questioni, cit., 377 ss.;<br />

ID., Sulla tutela giurisdizionale, cit., spec. 546 ss.<br />

(20) PROTO PISANI, Rapporti tra competenza, cit., 188; ID., Questioni, cit., 382 ss.<br />

(21) V. PROTO PISANI, oo.uu.cc.; v. anche TARZIA, Sulla tutela, cit.; LUISO, Procedimento<br />

per convalida di sfratto ed esecutività delle pronunce secondo la legge 392/1978, in Giust. civ.,<br />

1982, II, 71 ss., i quali deducono la possibilità della trattazione cumulativa con rito speciale dagli<br />

artt. 659 e 667, 3° comma c.p.c.<br />

(22) V. però anche Cass., 12 aprile 86, n. 2809; 13 luglio 1992, n. 8495 (in Rass. loc., 1993,<br />

142) in cui si afferma – in motivazione – che “l’accertamento del canone dovuto alla stregua della<br />

legge n. 392 del 1978 appartiene al giudice competente secondo i criteri di valore stabiliti dal codice<br />

di rito per la domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, allorché siffatto<br />

accertamento non formi oggetto di specifica domanda proposta in via principale o riconvenzionale,<br />

potendo la questione relativa all’ammontare del canone essere conosciuta e risolta, in via puramente<br />

mediata e strumentale, dal giudice competente per la domanda di risoluzione del contratto”.<br />

(23) PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 386; ID, Sulla tutela, cit., 564; CONSOLO, n. a<br />

Cassazione, n. 839/82 in Giur. it., 1983, I, 1, 637.<br />

(24) PROTO PISANI, o.u.c., 387.<br />

(25) PROTO PISANI, o.u.c., 387-388.<br />

(26) È diffusa in dottrina l’affermazione secondo cui il legislatore avrebbe recepito la<br />

distinzione dottrinale tra connessione ‘per coordinazione’ e connessione ‘per subordinazione’ – v.<br />

NELA, in Le riforme del processo civile cit. sub art. 40, 56; LUISO, La riforma del processo civile,<br />

cit., 23; MERLIN, Le innovazioni in tema di connessione di cause nelle leggi 353/1990 e 374/1991,<br />

relazione all’incontro di studio C.S.M Frascati 28-6/2-7-1993; TARZIA, Lineamenti, cit. 33, al<br />

quale A. si deve in particolare la relativa elaborazione (Connessione di cause e processo simultaneo,<br />

in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 427 ss.; v. anche FABBRINI, Connessione, in Scritti giuridici,<br />

Milano, 1989, I) –; peraltro, come osserva PROTO PISANI, La nuova disciplina, cit., 32-33, i casi<br />

di cui agli artt. 31, 32, 34, 35, 36 sono per un verso più ampi della connessione per pregiudizialità<br />

(ricomprendendo il fenomeno della compensazione ed essendosi effettuato un richiamo non<br />

discretivo all’art. 36, quindi comprensivo anche della riconvenzionale compatibile) per altro verso<br />

più ristretti “ove la giurisprudenza continui ad escludere dall’art. 32 il fenomeno della garanzia<br />

impropria); v. anche le osservazioni di MERLIN, cit.<br />

(27) È problematico se il rinvio operato dalla norma sia tassativo o solo indicativo; v. NELA,<br />

o.c., 56-57; PROTO PISANI, o.u.c., 33, il quale rileva come l’esclusione dell’art. 33 non ponga<br />

particolari problemi, in quanto, nel caso di domande connesse per mera identità di titolo, potrà farsi<br />

luogo a separazione; nel caso di litisconsorzio c.d. unitario, le cause poiché inerenti ad un unico<br />

rapporto saranno di regola soggette al medesimo rito; MERLIN, o.c., 14 ss., la quale – rilevato che<br />

le definizioni di connessione di cui agli artt. 31 ss. presuppongono il cumulo ab initio mentre la<br />

norma in esame si applica anche in ipotesi di cumulo successivo, che vi sono ipotesi di domande<br />

contrapposte incompatibili o interdipendenti che non rientrano nel concetto di riconvenzione e<br />

pongono un problema di pronunce inconciliabili, che nell’ambito del litisconsorzio facoltativo<br />

ricorrono casi in cui emerge l’esigenza di coordinamento tra le discipline sostanziali dei rapporti –<br />

propone di interpretare “i richiami (agli artt. 31-32-34-35-36) in senso non letterale e tassativo, e<br />

così facendo applicazione delle nuove norme in tutti i casi in cui il processo simultaneo risulti<br />

opportuno per la presenza di una obiettiva esigenza di coordinamento dei rapporti sul piano<br />

sostanziale, che renda non meramente teorica o logica la inconciliabilità delle pronunce. …Punto di<br />

riferimento logico e funzionale di siffatta interpretazione potrebbe essere dato dalla nozione di<br />

connessione che positivamente fornisce la Convenzione di Bruxelles del 1968 al fine di consentire<br />

la riunione delle cause: assai pragmaticamente infatti l’art. 22 della Convenzione definisce come


connesse “le cause aventi tra loro un legame così stretto da rendere opportuna una trattazione e<br />

decisioni uniche per evitare soluzioni tra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate<br />

separatamente”.<br />

(28) PROTO PISANI, o.u.c.; 34.<br />

(29) Cfr. PROTO PISANI, o.u.c.; 35; ritengono che il criterio della causa di maggior valore<br />

operi sempre quando le cause sono di competenza dello stesso giudice: COSTANTINO, Appunti<br />

sulle proposte di riforma urgente del processo civile, in Doc. giust., 1988, X, 22 ss.; ATTARDI, Le<br />

nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 26-27.<br />

(30) TARZIA, o.u.c., 39; MERLIN, o.c. 34 ss., la quale specifica che il criterio della<br />

“prevalenza astratta e potenziale” – che implica debba farsi riferimento alla vis actractiva della<br />

causa in senso astratto cioè indipendentemente dal fatto che si esplichi in concreto – trova<br />

applicazione nel caso in cui la forza attrattiva operi a senso unico nel senso che solo una delle cause<br />

può esplicarla (artt. 31 e 32) e non negli altri casi di connessione in cui si ha una potenzialità<br />

attrattiva a doppio senso.<br />

(31) V. PROTO PISANI, Questioni di rito, cit..<br />

(32) Di modo che problemi residuano solo riguardo all’esclusione dalla soggezione alla<br />

competenza per materia del pretore e al rito lavoro delle azioni di rilascio per occupazione senza<br />

titolo e all’individuazione della nozione di immobile urbano; cfr. PROTO PISANI, La nuova<br />

disciplina, cit., 3.<br />

(33) Sul tema v. MIRENDA, Connessione e rito nelle controversie locative, dopo la novella<br />

dell’art. 40, comma 3 c.p.c.: addio al rito speciale, in Arch. loc., 1994, 218 ss., il quale osserva: “è<br />

solare la contraddittorietà degli effetti prodotti dall’infelice scelta di anticipare la vigenza e dell’art.<br />

40 c.p.c.: da un lato viene tradita la ratio propulsiva e promozionale che sta alla base della<br />

applicabilità del rito speciale alla delicata materia della<br />

determinazione/aggiornamento/adeguamento del canone ex art. 43 della l. n. 392/78 (la cui<br />

‘strategicità’ – nel quadro della legge citata – è palese, sol che si pensi, ad es., agli importanti effetti<br />

sostanziali nel rapporto negoziale fra locatore e conduttore che l’art. 45 u.c., riconosce alla mera<br />

pendenza del giudizio); dall’altro …ci si muove in direzione diametralmente opposta a quella<br />

percorsa dalla riforma”. (221).<br />

(34) Nello stesso senso, MIRENDA, o.c., 221-222, il quale prende atto che “nell’art. 43 la<br />

competenza per materia del pretore …viene espressamente confinata nell’ambito dell’azione di<br />

mero accertamento delle componenti del canone”, e, con riferimento alle materie di cui all’art. 45<br />

afferma: “che ogni qualvolta la causa petendi sia riconducibile ad una delle materie ivi elencate,<br />

ricorre … la competenza funzionale, con rito speciale, del pretore delle locazioni, non limitata al<br />

mero accertamento di quelle situazioni sostanziali ma estesa, altresì, a tutte le pronunce connesse,<br />

comprese le domande di condanna”.<br />

(35) MERLIN, o.c., 30-31.<br />

(36) MERLIN, o.c., 31-32 che così esemplifica: “per la causa locatizia cumulata con la causa di<br />

lavoro la disciplina dell’esecutorietà della sentenza dovrebbe comunque ritrovarsi nell’art. 447 bis<br />

ult. comma, e non nell’art. 431”.<br />

(37) TARZIA, Lineamenti, cit., 36; v. VERDE, in VERDE DI NANNI, Codice di procedura<br />

civile. Legge 26 novembre 1990, n. 353, Torino, 1991, il quale in generale pone il dubbio se sia<br />

ragionevole far dipendere la scelta del rito (le norme relative al quale in quanto norme sul<br />

procedimento possono condizionare la decisione di merito) da vicende “occasionali ed estrinseche”<br />

di connessione, pur ritenendo che solo una visione eccessivamente garantistica potrebbe far<br />

propendere per l’incostituzionalità.


(38) Tale lettura “era nel senso che la previsione della deroga alla competenza per valore<br />

comportasse a fortiori l’ammissibilità della deroga alla competenza per territorio derogabile<br />

(assoggettata dall’art. 38 ad una disciplina più blanda), e a contrariis l’inammissibilità della deroga<br />

alla competenza per materia e per territorio inderogabile (assoggettate dal testo originario del primo<br />

comma dell’art. 38 ad una disciplina più forte di quella della competenza per valore)” (così PROTO<br />

PISANI, La nuova disciplina, cit., 20-21.<br />

(39) PROTO PISANI, o.u.c., 21.<br />

(40) PROTO PISANI, o.u.c., 22.<br />

(41) Per i casi in cui il procedimento si applica a controversie che non rientrano tra quelle di cui<br />

all’art. 8 n. 3 c.p.c. (locazioni di immobili non urbani e controversie attribuite alla competenza delle<br />

sezioni specializzate agrarie) v. PROTO PISANI, o.u.c., 12; NELA, in Le riforme del processo<br />

civile, cit., sub art. 667, 602.<br />

(42) PROTO PISANI, o.u.c., 11-12.<br />

(43) Cfr. PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 374; FABBRINI, Diritto processuale del<br />

lavoro, 1974, 51, 55, il quale formula l’ipotesi di preclusione della domanda<br />

riconvenzionale, non espressa nella comparsa di risposta; TARZIA, Manuale del processo<br />

del lavoro, Milano, 1980, 152; perquanto non esplicitata, deve ritenersi che tale<br />

interpertazione sia valida per il caso in esame per LUISO, in CONSOLO, LUISO,<br />

SASSANI, La riforma, cit., 417, il quale ritiene dubbio che l’opponente possa proporre, con<br />

gli atti integrativi, domande riconvenzionali che dovrebbero essere proposte nell’udienza<br />

fissata per la convalida (entrambe le parti potrebbero invece allegare nuovi fatti<br />

(44) liberamente); nello stesso senso NELA, in Le riforme, cit., sub art. 667, 600 n. 6, secondo<br />

cui “la presentazione di domande riconvenzioanli è consentita all’opponente nella comparsa<br />

con cui egli si sia eventualmente costituito, ed è successivamente preclusa, ex art. 167 c.p.c.,<br />

senza che la possibilità di integrare l’atto introduttivo si risolva in una vera e propria<br />

sanatoria delle decadenze; l’A. dubita peraltro che tale soluzione sia valida anche per il caso<br />

in cui il conduttore sia comparso personalmente all’udienza senza costituirsi.

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