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Marco Panti<br />
pedalpoeta<br />
<strong>La</strong> <strong>Divina</strong><br />
<strong>Bulletta</strong><br />
opera infernale<br />
in undici canti
Dedicato a...<br />
...Emanuele e la <strong>Bulletta</strong> tutta,<br />
che hanno reso possibile la realizzazione<br />
di queste pagine...<br />
...Zolfo, immortale nei nostri cuori,<br />
che ricordiamo con immutato affetto...<br />
...tutti i bullettai citati in questo volume<br />
che con orgoglio portano la maglietta azzurra<br />
nelle strade del mondo...<br />
...tutti coloro che non sono stati citati<br />
per errori, sviste o dimenticanze dell’Autore,<br />
ai quali porge deferenti scuse...<br />
...Federico, Veronica e Marisa,<br />
costretti per un anno, loro malgrado,<br />
a leggere, rileggere e correggere...<br />
© 2011 LA BULLETTA<br />
TUTTI I DIRITTI RISERVATI<br />
VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE
PREFAZIONE<br />
Di fronte ad un’opera così imponente e fuori dal tempo della poesia<br />
quale la <strong>Divina</strong> <strong>Bulletta</strong>, ogni umano pensante che soffermi la propria<br />
mente su queste pagine intrise di sudore e sangue, è portato a<br />
chiedersi quali possano essere state le arcane motivazioni che hanno<br />
spinto un apparentemente piccolo e rotondo uomo delle “zone umide” a simile<br />
impresa. Il suo fascino nasce da una prudente e verbosa loquacità tipica<br />
degli uomini che vivono poco distanti dalle sponde dei fiumi e vicini<br />
alla città ma non proprio in città, o se si vuole solo apparentemente in campagna.<br />
Molti di questi uomini oggi bevono e quando non bevono poetano.<br />
Il nostro uomo, invece, scrive di poesia dopo aver bevuto e talvolta anche<br />
prima.<br />
Toglierei il gusto della lettura e farei torto a chiunque si avvicini con umile<br />
curiosità al primo vero poema del terzo millennio se indugiassi in una pedissequa<br />
descrizione del lavoro del Pedalpoeta o fornissi un giudizio di<br />
parte. Ognuno legga e ci tragga ciò che crede. Mi limito ad osservare la<br />
fortuna di tutti noi di avere tra le mani un tomo capace di far onore ad una<br />
mai scomparsa lingua tanto volgare quanto nobile, capace nella forma e<br />
nei contenuti di superare, per certi aspetti, l’intuito e la profondità con la<br />
quale un simile dal nome Dante, molti secoli prima, ha parlato dei vizi e<br />
delle virtù di ogni uomo e donna, di ogni censo, di ogni professione o diletto,<br />
ma non si è neppure provato ad affrontare il tema di un genere umano<br />
invidiato, offeso, umiliato e talvolta arrotato come il ciclista. Ma il perché<br />
Dante non lo abbia fatto, pur essendo materia oscura, non è oggetto delle<br />
mie argomentazioni.<br />
Ciò che più interessa è il perché dopo tanti anni trascorsi inutilmente, anni<br />
di speranze ed illusioni per un “miglior verso”, oggi, sull’orlo del precipizio<br />
del basso impero, siamo invece, finalmente, di fronte a questa meraviglia.<br />
Verità o certezze non esistono a proposito. Vi sono indizi, tracce da<br />
leggere e da interpretare come un tempo lo furono quelle dei cavalli ed<br />
oggi lo sono quelle dei cavalli di ferro, ovvero delle moderne biciclette.<br />
Cercare di capire qualcosa dalle tracce lasciate dal velocipede dell’autore<br />
in una delle sue brevi ma lente ed intense pedalate nel Chianti è assai<br />
arduo. Il soggetto lascia sovente tracce più leggibili di qualche suo vicino<br />
abitante delle zone umide quale un certo Sola: vuoi perché il suo andamento<br />
è lento e vuoi per il peso sovrastante e la modestia del mezzo a disposizione<br />
se paragonato a quello in proprietà dell’amico che si narra<br />
costoso più di un mezzo a motore del tipo Fiat ante referendum.
Assai più significative sono le tracce lasciate dalla storia dell’umanità. Si<br />
è detto che tra Dante ed il Pedalpoeta vi sia stato un “tempo perso”, un<br />
tempo nel quale si sono impegnati anche poeti di una discreta levatura<br />
come il Pascoli, Carducci, Leopardi, Neruda ed altri ancora, ma mai nessuno<br />
ha raggiunto le vette eccelse come è accaduto con Omero, Sesto Propezio<br />
e Dante Alighieri. Con il Pedalpoeta si scopre probabilmente la<br />
quarta carta del ciclo dei Sommi Poeti, ma ciò si potrà apprezzare in via<br />
definitiva solo dopo la sua morte. In attesa che ciò avvenga non ci rimane<br />
altro che seguire le tracce e gli elementi comuni che uniscono persone così<br />
apparentemente diverse e lontane nel tempo.<br />
Omero è il nome con il quale viene tradizionalmente identificato il grande<br />
poeta greco. Probabilmente una invenzione che potrebbe avere diverse<br />
spiegazioni etimologiche. “ Fanciulle, qual valente cantore tra voi s’aggira,<br />
più soave tra tutti, e che gaie vi rende?” Oggi a identificare il nostro Panti,<br />
stante il suo frequente circondarsi di femmine pedalanti, potrebbe valere<br />
una simile frase: “ Fanciulle, qual valente pedalcantore tra voi la ruota gira,<br />
più soave tra tutti, e che gaie vi rende?”. Qualcuno potrebbe obiettare che<br />
non è cieco e che “non dimora nella pietrosa Chio”. Ma si pensa proprio<br />
che tutti i Sommi Poeti possano essere ciechi e dimorino in pietrose contrade?<br />
E poi cieco lo potrebbe anche diventare nel tempo e l’umido Bozzone<br />
poi, scelto come dimora dal nostro, fu il frutto di un generoso scostarsi<br />
per render più libero il duro raspare dell’amato Zolfo nella petrosa Arbia<br />
che scorre nella vicina Pianella. Come nella tradizione biografica di Omero<br />
ben sette città si contendevano i suoi natali (Chio, Smirne, Colofone, Atene,<br />
Argo, Rodi e Salamina), risulta a noi che altrettante si contendano i natali<br />
del Pedalpoeta: (Orgia, Monti, Lecchi, Montebuoni, Il Casino, Arcore e <strong>La</strong><br />
Passera). Coincidenze? Non si direbbe, c’è di più. Non è escluso poi che,<br />
alla morte del Pedalpoeta, si apra la stessa disputa tra letterati che si aprì<br />
con il collega Omero. Dopo la “questione omerica”, ormai discussa in ogni<br />
sfumatura, la “questione panterica” rischia di aprire un confronto epocale<br />
tra i sostenitori ed i detrattori dell’ “ipotesi oralistica”. Ebbene, come Milman<br />
Parry ipotizzò che i testi degli aedi improvvisatori dopo essere circolati<br />
di bocca in bocca, furono successivamente cuciti da un qualcuno che<br />
prese il nome di Omero, così per <strong>La</strong> <strong>Divina</strong> <strong>Bulletta</strong> può essere che la pratica<br />
orale e la trasmissione di bocca in bocca sia stata alfine ripresa dal Pedalpoeta<br />
e mirabilmente trascritta nel suo Sommo Poema. Depone per<br />
questa tesi il fatto che la “via orale” tra i ciclisti è la forma più diffusa di<br />
contatto e comunicazione e spesso viene usata per richiamare l’attenzione<br />
o creare nuove motivazioni a chi, prima, durante o dopo una pedalata, si<br />
sente spompato.<br />
Il Panti, fin dalla sua lontana nascita nel borgo di Orgia, fu detto Marco per<br />
ingegno dei genitori Leo e Maria. Nascere in quel luogo poteva dare lo
spunto per ben altro nome come Rocco, Rodolfo, Ugo, Vittorio, Emilio, Silvio,<br />
Piero, Tovarich, Bill. Ancor prima di Leo e Maria fu la volta di Ida e di<br />
Elena, proprio come la mitologica Elena di Troia descritta così mirabilmente<br />
da Omero. E poi ancora Massimo, non a caso detto il <strong>Bulletta</strong>. In ultimo<br />
di nonno Olinto. Sì, proprio come l’Olinto fondatore dell’omonima<br />
città della Tracia ricordata dal Tasso, un altro dei poeti che si sono avvicinati<br />
senza mai raggiungere le eccelse vette poetiche dei nostri quattro.<br />
Troppe coincidenze per essere tali.<br />
Ma più di altri Sesto Propezio, il grande poeta romano nativo della verde<br />
Umbria, è l’oggetto della nostra indagine. “A quantum de me Panthi tibi pagina<br />
finkit, tantum illi Pantho ne sit amica Venus! Set tibi iam videor Dodona<br />
verior augur uxorem ille tuus pulcher amator habet!” L’origine delle famiglie<br />
e dei cognomi affonda le radici nell’antichità e la famiglia Panti ha sicuramente<br />
una origine greca. <strong>La</strong> storia ci riporta a Dodona, il più antico<br />
oracolo di tutta la Grecia e lo scritto di Propezio richiama l’origine del cognome<br />
Panti. Panthi è citato più volte in un ragionamento dove si allude a<br />
Venere ed all’amante della moglie. Tutti dovrebbero sapere che i sacerdoti<br />
di Dodona dormivano sul terreno senza alcun riparo, con i piedi ritualmente<br />
non lavati. E dovrebbero sapere ancora che le sacerdotesse erano capaci di<br />
interpretare il fruscio delle foglie di quercia per predire il futuro e assicurarsi<br />
la benevolenza delle autorità. Due tracce: le sacerdotesse furono rapite<br />
dai Fenici che le portarono sicuramente nell’Ellade ed in altro luogo di<br />
terra ferma. Taluni sostengono che quest’ultimo sia la Libia ma la tesi non<br />
convince chi, recentemente, sostiene che trattasi invece della Libbia, la famosa<br />
salita aretina, inesplorata ed arcana a tal punto da imbastirci una ipotesi<br />
che dalla Libbia, terra di boscaioli transumanti, ci si trasferisse<br />
successivamente nella vicina Orgia ove è attivo il noto Museo del Bosco e le<br />
“ le donzelle son men ruspanti che’ quelle de Rezzo”. Se così fosse si comprenderebbe<br />
bene lo spirito innato del Pedalpoeta di grande lettore del fruscio<br />
delle ruote. Qualità ed ispirazione che ha avuto lo stesso effetto che<br />
ebbero nel passato poetico le sacerdotesse di Dodona. Un poema dove, con<br />
sagacia e dovizia di particolari, si predice un futuro, assai fosco ad onor del<br />
vero, per tutti i ciclisti della <strong>Bulletta</strong>. E non è un caso che lo stesso Sesto<br />
Propezio alluda a mogli ed amanti ed a storie di tradimento dalle quali potrebbe<br />
aver avuto origine la genia dei Panti da Orgia. E non è un caso che<br />
nella storia del borgo di Orgia sia stata registrata una donazione della contessa<br />
Matilde di Canossa al vescovo di Volterra e che, successivamente,<br />
l’imperatore Federico II, che porta lo stesso nome del figlio del Pedalpoeta,<br />
vi stabilì un proprio presidio. E che dire delle passioni di Sesto Propezio<br />
messe a confronto con quelle molto simili del Panti? Il sommo poeta latino<br />
ebbe la prima delle due esperienze sessuali con la schiava Licinna, esperienza<br />
che fu travolta nel 29 a.C. dalla grande passione per Cinzia. Fu un
amore turbolento quello con Cinzia: una prima rottura, l’infedeltà di Cinzia,<br />
la ricucitura e la rottura definitiva tanto che il poeta si dedicò a cantare il<br />
passato di Roma, le leggende italiche, fatti e personaggi che avevano formato<br />
lo spirito della romanità. Storia questa molto simile a quella del Pedalpoeta<br />
che ebbe la prima ed ultima delle sue esperienze sessuali con<br />
Marisa e poi fu preso da una passione sostitutiva per la Monoc, una bicicletta<br />
straniera. Ed è stata anche questa una passione fatta di rotture, di sudore,<br />
liti e tradimenti in quanto la Monoc, a più riprese e di nascosto al suo<br />
“amante proprietario”, non ha disdegnato ad essere montata da altri.<br />
Ancora coincidenze? Direi ancora stimolanti tracce identitarie che portano<br />
al nostro medioevo ed a Dante Alighieri.<br />
Uguale nella forma metrica, nello spirito e nella elevata lirica ma divergente<br />
solo nella decisa ed impietosa scelta del Pedalpoeta di riservare solo<br />
l’Inferno per ciclisti della <strong>Bulletta</strong>, il testo ci suggerisce molte vicinanze tra<br />
la genia degli Alighieri e quella dei Panti. Stesso genio si potrebbe dire,<br />
uguale genia.<br />
Se in un momento di pausa dal lavoro molti di voi avranno cura di rileggersi<br />
attentamente tutta la <strong>Divina</strong> Commedia, potranno agevolmente riscontrare<br />
molte comunanze e vicinanze con la <strong>Divina</strong> <strong>Bulletta</strong>. Ciò che<br />
Dante non ha avuto il coraggio di fare e cioè descrivere vizi e virtù dei ciclisti,<br />
lo ha fatto mirabilmente il Pedalpoeta, ponendo fine ad un vuoto<br />
mai impunemente fatto rilevare da critici e commentatori.<br />
Ma anche in Dante c’è una traccia che ci porta al Pedalpoeta. Forse tutti<br />
non sanno che Firenze all’epoca non aveva uno Studium e pertanto il giovin<br />
Dante frequentò Siena per gli studi. Poi, più tardi, Dante salì le scalette<br />
della chiesa di San Cristoforo dove nell’antico chiostro avevano<br />
dimora i reggitori del libero stato di Siena. In quel tempo era ambasciatore:<br />
parlamentava per quanto poteva e scorrazzava nelle campagne senesi<br />
a prender aria. Si racconta che ad Orgia, dove vivevano gli antenati<br />
del Pedalpoeta, trovò aria di giorno e conforto di notte. Ma, per l’ambiguo<br />
significato che nei tempi moderni ha assunto il termine orgia, nessuno<br />
ha mai pensato di far menzione di una storia che, in fondo, è strettamente<br />
privata e non ascrivibile ad alcuna forma di reato. Oggi si direbbe che il<br />
reato, ammesso che di reato si possa parlare, è andato in prescrizione. Il<br />
fatto non sfuggì neppure al mitico gruppo dei Motosegation che cercarono<br />
senza successo di dare adeguate parole alla musica di “amore ritorna le<br />
colline sono in fiore” trasformata, nell’occasione in “poeta ritorna….”. Ed<br />
il poeta è tornato, ma molti secoli dopo. Da ciò la cultura letteraria mondiale<br />
non può certo lamentarsene. Di lungo il nostro poeta non ha il naso<br />
di Dante anche se ha naso. A ciò aggiunge una dote fino ad ieri pudicamente<br />
nascosta: l’innata capacità di scrivere in modo mirabile.
Della storia d’amore senese tra Dante e la sconosciuta di Orgia non è rimasta<br />
traccia se non il fatto abbastanza curioso che - a fronte di una evidente<br />
ostilità nei confronti di Siena e dei senesi, a fronte di una antipatia<br />
e di scontro feroce in punta di rima con Cecco Angiolieri - non si comprende<br />
bene il perché Dante collochi il vanaglorioso ghibellino Provenzan Salvani<br />
in Purgatorio ed il capitano guelfo fiorentino Farinata degli Uberti tra i<br />
dannati all’Inferno. Perché l’uomo che voleva distruggere la città di Dante<br />
si meritò diversa e migliore sistemazione nell’aldilà? E non regge la storiella<br />
che un uomo potente e superbo come Provenzan Salvani compì un<br />
gesto di umiltà andando a chiedere l’elemosina in piazza del Campo. “<br />
Quando vivea più glorioso, disse,/liberamente nel Campo di Siena,/ogni vergogna<br />
deposta s’affisse..” Ci deve essere dell’altro e come sempre succede<br />
nei misteri più fitti può darsi che ci sia di mezzo una donna, forse due. Il<br />
nome della prima è noto: Beatrice. E forse il nome dell’altra sarebbe noto<br />
se qualcuno indagasse, se qualcuno parlasse o, più semplicemente, se qualcuno<br />
seguisse le tracce di Dante fino ad Orgia. Un compito, quest’ultimo<br />
facile come seguire le tracce del Panti fino a Monteluco. Ma, come in tutti<br />
gli esercizi ove domina il punto di domanda, è forse utile ed opportuno<br />
fermarsi e terminare con una ultima osservazione, un ulteriore tratto distintivo<br />
che fa del lavoro del Pedalpoeta un testo che nel tempo supererà<br />
certamente la fama insuperabile della <strong>Divina</strong> Commedia. Dante ha avuto<br />
bisogno del Paradiso per i buoni, del Purgatorio per i purgati e dell’Inferno<br />
per i dannati. Ed anche il limbo è il segno di una debolezza ed incertezza<br />
complessiva nel pensiero di un pur grandissimo poeta che ha<br />
dovuto cedere a tormenti e probabili compromessi con il potere. Il Pedalpoeta,<br />
al contrario, ha riservato per tutti i ciclisti della <strong>Bulletta</strong> un unico<br />
luogo di espiazione, l’Inferno, e così non ha fatto torto a chi torti non ne ha<br />
se non quello di andare a proprie spese energetiche in bicicletta.<br />
Trovare qualcuno da collocare in Paradiso sarebbe stato come cercare<br />
tra i magnifici pedalpeccatori della nostra <strong>Bulletta</strong> uno che non sa andare<br />
in bicicletta. Ed in bicicletta bisogna saperci andare:<br />
il Paradiso può attendere.<br />
Luca Bonechi<br />
(Traviante e assistente del Rettore dell’Università<br />
del Pedale di Poggio a Rancia)
CANTO<br />
PRIMO
el mezzo del cammin di nostra vita...<br />
Bramo iniziar così codesto viaggio,<br />
che lo cantar m’apparve cosa ardita.<br />
Al Sommo m’inchinai rendendo omaggio,<br />
coglier non volli gloria imperitura,<br />
giurai senza né forza né coraggio<br />
di vincere i timori e la paura,<br />
ma quando varcai l’uscio dell'Averno,<br />
del giuramento feci presto abiura.<br />
Ardéa dinanzi a me lo fòco eterno,<br />
spingendo la mia bici entrai di fretta<br />
e ciò che vidi con timor l’esterno.<br />
Alla visione il còr ebbe ‘na stretta,<br />
davanti agli occhi v’era lo Demonio<br />
“Giudizio - disse - dò della <strong>Bulletta</strong>”!<br />
Di questo ed altro fui lo testimonio,<br />
tutti all’Inferno ci spedì deciso,<br />
della giustizia fece mercimonio.<br />
Né 'l Purgatorio e manco il Paradiso,<br />
tante batoste all’avversario ha inflitto,<br />
vinto, schiacciato, ma non mai deriso.<br />
Con la mia bici l’iniziai il tragitto,<br />
inceder lento tra infocate porte,<br />
in luoghi ove l’accesso era proscritto,<br />
donde la si vedéa solo la morte,<br />
miseria e fame e fiamme e sofferenza,<br />
dei <strong>Bulletta</strong>i non invidiai la sorte!
Di demoni sentii losca presenza<br />
le voci, i pianti, le sguaiate risa,<br />
facéa capir dell’Ade la potenza.<br />
Come mendìco mi nascosi a guisa<br />
ad osservar, non visto, tra i Gironi<br />
quanta bestialità vi si ravvisa<br />
tra li dannati e i diavoli e i dimòni.<br />
Vidi sfilar con l’espressioni tristi<br />
e agli aguzzini lor prostrarsi proni<br />
i biancazzurri poveri ciclisti<br />
privi di fede, dignità e speranza<br />
(quei che pedala so’ anche qui malvisti)...<br />
Per noi non c’è più pace o tolleranza,<br />
il mondo pedalammo, vagabondi<br />
vincer per noi non era mai bastanza,<br />
fummo superbi, in corsa furibondi,<br />
nella contesa fummo mai perdenti,<br />
sempre fù primi, men che mai secondi.<br />
Trovai davanti a me tre sbarramenti<br />
ov’era scritto a lettere di fòco:<br />
«Qui si punisce tutti i Traviamenti».<br />
Io son poeta e non person dappoco,<br />
lo volli calpestare quel terreno<br />
...capii che non trattavasi d’un gioco»! 1<br />
1 Prima di entrare dentro all’Inferno, il poeta vuole rendere omaggio al Sommo, dal quale ha tratto<br />
ispirazione, iniziando il canto con la stessa Sua frase (augurandosi di essere, a 56 anni suonati, ancora<br />
“nel mezzo del cammin di nostra vita”). Quindi varca i cancelli, vincendo le proprie paure,<br />
sempre a cavallo della sua fedele bici, ed entra nell’Inferno dove sono rinchiusi tutti i <strong>Bulletta</strong>i,<br />
colpevoli di arroganza, superbia e manifesta superiorità in tutte le corse ciclistiche. Li vede in lontananza,<br />
nelle varie Cerchia, contorcersi proni nei loro punimenti. In questi Canti il poeta illustra<br />
le pene alle quali i <strong>Bulletta</strong>i sono condannati, incontrandoli uno per uno esaltandone difetti e<br />
virtù. Si trova davanti tre sbarramenti, con agile balzo li supera, imbattendosi nel primo dannato<br />
<strong>Bulletta</strong>io dell’Inferno, che non poteva essere che lui...
Vidi un omino dal sorriso osceno<br />
parmi un Randagio dall'arcione argento<br />
con la ramazza in man pulìa il terreno.<br />
Vedermi si mostrò molto contento:<br />
«Traviante - disse - fui in un'altra vita<br />
adesso solo a carte mi cimento.<br />
Rimembro quanto è dura la salita,<br />
rimembro co’ lo Bricco a far tenzone,<br />
costretto so’ a restar tutta la vita<br />
in Casa dei Ritir guardia al portone.<br />
Andare in bici adesso mal mi gusta:<br />
conficcato nel cul tengo un tizzone!».<br />
Vederlo chiuso in cella tanto angusta<br />
la pena nel mio còre si riaccende<br />
sapendolo scontar condanna ingiusta.<br />
Alto lo sguardo di chi non s’arrende<br />
pareva ancor lo vecchio condottiero<br />
che pena sì crudele non comprende.<br />
«Randagio fui, viaggiar soléo leggero<br />
ma lo castigo è che son condannato<br />
nella Casa a restarvi prigioniero.<br />
Diversa sorte avevo in còr bramato,<br />
e tanta pena la mia mente aberra<br />
crudo il destino che mi fu segnato,<br />
chiuso in commenda come rosa in serra<br />
con la badante che mi bada a frusta,<br />
costretto sì a scopar, ma sol per terra». 2<br />
2 Qui il poeta trova a guardia del portone Luca, grande Randagio, colpevole di ritiri ripetuti, condannato<br />
a vivere nella Casa dei Ritiri, dove, con un tizzone conficcato nel didietro, è costretto a<br />
scopare il pavimento sudicio, tutto il giorno senza mai smettere, salvo nelle rare occasioni in cui<br />
gli è concesso di giocare alle carte.
Poi pedalai, financo quell'augusta<br />
figura del Traviante fu sparita,<br />
sapéo che ìl tempo tutto quanto aggiusta,<br />
quando parmi veder come impazzita<br />
figura che contorcesi nel pozzo<br />
sacrificando il senso della vita.<br />
Vestito era di stracci, il viso rozzo<br />
polvere avéa nel volto e nelle mane,<br />
intento a riparar di bici un mozzo.<br />
Parole ei che dicéa paréan lontane:<br />
«Quelli che vedi son dell'uomo i cocci<br />
di ciò che fui quand'ero in vesti umane.<br />
Pargo broccion ma sono solo Brocci!<br />
D’Ippocrate negai la professione<br />
senza tentar nemmanco primi approcci.<br />
Della mia pena chiesi rimessione:<br />
costretto so’ a menar su strada bianca<br />
che in nera si tramuta in progressione<br />
sotto la ruota di chi quivi arranca 3 .<br />
Le bianche vie lo furono il mio credo<br />
ed or lo strazio dal dolor mi affranca<br />
che non po’ crede’ a tutto quel che vedo,<br />
miro di scempi compiesi l’assalti<br />
ed il perdono genuflesso chiedo,<br />
sfaltar veggo vallate ed i coll’alti<br />
che solo dal rovello mi arrovello<br />
veggo sfaltar financo Pievassalti»! 4<br />
3 Brocci, costretto, nell’espiazone della proria pena, a pedalare su strade bianche, che magicamente<br />
si trasformano in strade asfaltate sotto le ruote della sua bicicletta.<br />
4 Terribile punizione immaginata dal poeta: Brocci vede davanti a sé antiche strade bianche, valli<br />
e colline asfaltarsi davanti ai propri occhi, fino all’indescrivibile scempio finale: si asfalta anche la<br />
strada per Pieve a Salti.
Bramando di fuggir da quell’ostello<br />
d’un balzo in sella fui con gran furore<br />
ma un dubbio tormentavami ‘l cervello:<br />
Chi mai portò di qua ‘l Traghettatore<br />
colui che nelle tenebre conduce<br />
sia il galantuomo come il malfattore?<br />
Veddi lontan da me fioca una luce<br />
paréa fatuo baglior di camposanto<br />
m’approssimai, scorgendo sguardo truce.<br />
Un corpo vidi avvolto in nero manto<br />
«Chi sei? - gridai con voce sì decisa -<br />
che mai facesti a meritarti tanto»?<br />
«Io son nomato Bricco, e la divisa<br />
che nella vita avéo cucita addosso<br />
quale gendarme la portavo a guisa.<br />
Come fa cane quando rode l’osso,<br />
sbirro lo fò per opra e per passione,<br />
e chi fa sgarro non m’ha mai commosso.<br />
Or qui all’Averno la maledizione<br />
di veder tutti giorni la mia bici<br />
abbandonata in zona rimozione.<br />
E i vigili solerti un tempo amici<br />
a gesti di pietade non avvezzi<br />
e vigilesse mere meretrici<br />
montar la bici sopra il carrattrezzi<br />
menandola fin dove giusto sia:<br />
sotto la pressa la riduce in pezzi»! 5<br />
5 Il poeta incontra Bricco, guardia inflessibile, grande dispensatore di multe agli automobilisti indisciplinati,<br />
condannato a lasciare la propria bicicletta in zona rimozione e ogni giorno una squadra<br />
di solerti colleghi la fa portare col carro attrezzi al centro demolizione dove viene triturata in piccoli<br />
pezzi.
Terror sentii nel còr, presi la via<br />
lesta conduce alla seconda Cerchia<br />
dove scontar la pena, ahi... sorte ria,<br />
dal calderon sotto l’oscur coperchia<br />
voci forti s’udéan, paréan lamenti,<br />
ma il diavolo con l’urla li soverchia.<br />
Voce d’amico parmi tra i presenti,<br />
tenue lamento, debole bisbiglio,<br />
misi li sensi tutti sull’attenti.<br />
Poscia lo vidi, co' lo fiero piglio<br />
illuminato al fòco di candele,<br />
uscìa strisciando dal suo nascondiglio.<br />
Ignudo vidi il nobile Manuele,<br />
lo capo estrem de la <strong>Bulletta</strong> intiera<br />
ai suoi color nei secoli fedele<br />
come al lavor, l'onore e alla bandiera,<br />
come lo si può intender dai messaggi<br />
che generoso invia per ogni sera.<br />
Ma fare il capo non son sol vantaggi,<br />
tanto lavoro e senso del dovere<br />
fa sì che spesso l'òmo si scoraggi.<br />
Le pene, ahimè, qui all'Ade son severe,<br />
il diavolo dolori colleziona,<br />
e gode dallo sadico piacere<br />
quando ingiusta condanna la sanziona:<br />
«Così per lavorar, per ore arranco<br />
con un piccì che quasi mai funziona»! 6<br />
6 Nel suo peregrinare il poeta si imbatte in Emanuele, capo assoluto della <strong>Bulletta</strong>, nudo e strisciante,<br />
che si lamenta per la condanna alla quale è stato, a suo parere ingiustamente, condannato.<br />
Infatti è costretto a mandare messaggi e fare volantini con un computer perennemente rotto. Triste<br />
condanna per uno che, come lui, passa davanti allo schermo molte ore della sua giornata.
CANTO<br />
SECONDO
L’ignudo mi paréa di molto stanco<br />
lo salutai con deferente inchino,<br />
il terzo Cerchio si schiudéa di fianco.<br />
Pedalando arrancai verso il destino<br />
quando una voce udii distintamente:<br />
«Ebbi crudel gastigo, ohimè tapino»!<br />
M’avvicinai al cospetto, lentamente,<br />
avvolto il corpo avéa dentro un mantello,<br />
li chiesi chi lui fosse, immantinente.<br />
Rispose: «Luca son, detto Rossello<br />
con me la vita non fu certo avara,<br />
amai la bici ed il Citerno Ostello,<br />
amai le strade pedalar con Sara,<br />
che a la beltà non sono certo immune,<br />
donna di classe e di beltade rara,<br />
mietemmo insiem successi e le fortune,<br />
un tempo in bici andavo molto forte:<br />
nient'altro fò, lavoro nel Comune...<br />
Or son costretto da maligna sorte<br />
a transitar vincente sul traguardo,<br />
pena peggiore assai fu della morte,<br />
che mentre vinco, giudice codardo<br />
mi spigne innanzi urlando: - Ancora un giro! -<br />
ridendo qual ignobile beffardo!<br />
Ed io che a quell’alloro tanto spiro<br />
vado per vince’ ancor, ma ancora m’urla:<br />
Rifatti un’altro gir, non val ritiro». 7<br />
7 Il poeta entra trafelato nel Terzo Cerchio dell’Inferno e incontra un altro famoso bullettaio: Rossello,<br />
condannato a tagliare il traguardo per primo, ma ogni volta un giudice beffardo gli dice che<br />
la corsa non è finita, deve continuare ancora per un altro giro, e così in eterno, illudendosi ogni<br />
volta di aver vinto alternando giro dopo giro effimera gioia e vera delusione senza peraltro potersi<br />
ritirare dalla corsa.
Tremenda pena, mi par quasi burla,<br />
le lacrime mi solcan lungo il viso,<br />
ma la speranza mia debbo condurla<br />
e quindi andai, dai diavoli diriso<br />
laddove cerchia strigne e il fòco irrompe,<br />
vedendo in fondo un corpicino assiso.<br />
Femminea voce sibila: «Chi rompe?<br />
Chi osa disturbar l’eterna pena<br />
di chi persino il diavolo corrompe»?<br />
Lungai lo sguardo, la scorgevo appena<br />
osai chiedere il nome a la pulzella<br />
la veddi allor legata a la catena.<br />
«Mi chiamo Pezzettin, serena e bella<br />
della <strong>Bulletta</strong> sono la più amata<br />
garbami coi ciclisti monta ‘n sella<br />
e di sentirmi da color bramata,<br />
ma non parvemi certo ‘na condanna<br />
esser da tutti assai desiderata<br />
e chi m’aggrada fammi monta ‘n canna!<br />
Penosa sorte mi fu data in pegno<br />
parvemi bestia che la carne azzanna,<br />
il corpo mio è di carne, non di legno<br />
ed il flagello nel mio còr mi dòle,<br />
per del dimonio l’orrido disegno<br />
che non po’ raccontar co’ le parole.<br />
Mi struggo dal dolor, grande lo sdegno:<br />
volerla a tutti dar, nessun la vòle»! 8<br />
8 Continuando il viaggio attraverso le infernali cerchia il poeta s’imbatte in una leggiadra figura femminile<br />
che ode lamentarsi in uno stretto imbuto. È Serena, una delle migliori cicliste della <strong>Bulletta</strong>.<br />
Terribile condanna deve ella subire: costretta a bramare amore, tutti rifiutano il corpo che tanto generosamente<br />
offre.
Del demone capii losco il disegno,<br />
quindi voltai la bici e di soppiatto<br />
a pedalar mi messi con impegno.<br />
Mirando mi paréa ‘mpo’ strano il fatto<br />
d’entrà n’una città, parvemi augurio<br />
veder case e palazzi, tutto intatto.<br />
Voce tuonò: «Io son Giannini Furio,<br />
valente costruttor di case e ville<br />
che mai vòl costruir volgar tugurio.<br />
Ma nell’Averno hai mai lande tranquille,<br />
dovendo sì murar, ma sopra ‘l fòco,<br />
e far calcina sopra a le faville!<br />
Quello che nella vita paréa gioco<br />
or doventato un incubo, anatema,<br />
vedendo le mie case lì dappoco<br />
erette lì, donde la terra trema,<br />
ergo le mura e dopo casca in pezzi,<br />
allor ergo di nuovo finché strema.<br />
Quando i dimòni vòl sapere i prezzi<br />
poscia privarmi equanime profitto,<br />
che a spoglie ed arse grotte son avvezzi,<br />
buie, fumose e dall’esoso affitto,<br />
ed offro quattro mura che l’appaga,<br />
fui mai vincente, sempre fui sconfitto.<br />
Ed il pagare è sì l’eterna piaga<br />
qui si traduce con il solo grazie:<br />
piglian le case e niuno me le paga». 9<br />
9 Il poeta pedalando in altro Cerchio si imbatte in una strana e bella città costruita da poco chiedendosi<br />
dove mai fosse. Si presenta davanti a lui Furio, il bullettaio costruttore, condannato a costruire<br />
case e palazzi sopra il fuoco e vederle crollare poco dopo. Le poche rimaste in piedi, cerca<br />
di venderle ai dannati, ma tutti lo ripagano con un grazie, non avendo denari.
Dell’omini cognosco le disgrazie<br />
quindi sospingo il piè fuor da le fosse<br />
che di miserie umane son mai sazie.<br />
Ma un dubbio poi la mente mia percosse:<br />
«Chi mai potrò trovar giù nel profondo»?<br />
Mentre piangéo lo sguardo si commosse.<br />
Veggo una testa, par melone tondo<br />
con il possente braccio pien di segni 10<br />
mi guarda e dice a me con fare immondo:<br />
«Tu che del fato vedi li disegni,<br />
de lo dimonio senti il caldo abbraccio<br />
e restar nell’Averno non rassegni,<br />
sono Alessandro ma per tutti Braccio,<br />
possente eroe di un’era ohimè passata,<br />
ridotto son come grinzoso straccio.<br />
Avevo una gran fede inconfessata,<br />
un’antica nostalgica visione<br />
d’un altra testa, par la mia, pelata,<br />
e il còr mi piagne dalla delusione<br />
vede’ i capelli disegnati in testa<br />
dell’uom che adesso gli fa successione. 11<br />
Tradisce il còr ma la passione resta,<br />
or son costretto sopra l’ammiraglia<br />
ma mi vedrete ribadir mie gesta,<br />
come lo sole che nel ciel si staglia<br />
tornerò in corsa insieme a tanti amici<br />
eroe in trionfo dopo la battaglia». 12<br />
10 Il braccio coperto di tatuaggi tribali.<br />
11 Si riferisce ad un famoso omino pelato del passato messo a confronto con un omino pelato del presente.<br />
Quest’ultimo, per vanità, ha i capelli che sembrano dipinti sull’ignuda cute.<br />
12 Il personaggio che il poeta incontra in questo Cerchio è Alessandro detto Braccione. Egli è costretto<br />
a guidare l’ammiraglia, ma siamo sicuri che molto presto lo rivedremo in sella a gareggiare da par<br />
suo, “in trionfo dopo la battaglia“.
<strong>La</strong> strada lì prendéa tre direttrici<br />
tirai moneta pe’ ingraziar la sorte<br />
delle infernali nere mietitrici.<br />
Non mi fermava ormai neppur la morte<br />
pedalai dritto fino ad un salone,<br />
schiudéasi avanti a me millanta porte.<br />
In una entrai, movendomi a tentone,<br />
avéo timore, non ve lo nascondo,<br />
ombre le vidi in posizioni prone.<br />
Era un’omin dal far così giocondo<br />
che volli dimandar: «Chi sia tu mai?<br />
Perché ti trovi in cerchio sì profondo»?<br />
«<strong>La</strong> vita, disse, scorse pien di guai<br />
Gatto 13 il mio nom, valente frecciatore<br />
dardi al mio arco non mancavan mai.<br />
Passai la vita accanto al Traviatore 14<br />
che per le strade mi menava seco<br />
a far segni per terra, qual pittore.<br />
Della mia sorte lo dimonio impreco,<br />
pel gran lavor ch’ero costretto a fare,<br />
bianca tintura ne facevo spreco.<br />
<strong>La</strong> pena mia non posso sopportare,<br />
nel mentre freccia tingo al crocevia<br />
per li ciclisti che la dèan trovare,<br />
come feroce trista malattia<br />
che m’addolora e che mi strigne il core,<br />
viene la piova che la lava via»! 15<br />
13 Il Gatto, al secolo Franco Gatterelli.<br />
14 Il Traviatore è Luca, ormai conosciuto anche con questo nomignolo.<br />
15 <strong>La</strong> condanna del Gatto è quella di tracciare le frecce a tutti i crocevia, ma al momento che le ha<br />
dipinte una forte pioggia cancella il lavoro e lo costringe ogni volta a ricominciare.
CANTO<br />
TERZO
Approssimammi allor con batticuore<br />
alla porta ch’avéo proprio di fronte<br />
ove’era scritto: - Chi oltrepassa muore! -<br />
Parvemi di veder lontano un ponte,<br />
abisso scuro si scorgéa di sotto,<br />
pedalai lesto verso l’orizzonte.<br />
Dal nero ciel piovéa l’acqua a dirotto,<br />
cercai rifugio dentro un’antro brullo,<br />
lezzo sentii di un’alito corrotto.<br />
Girai lo sguardo e veddi non fanciullo,<br />
ma vecchio corridor molto dimesso<br />
che con la bici si facéa trastullo.<br />
«Sindaco fui, ma adesso son dismesso<br />
Bardelli il nome mio, da Rapolano»,<br />
disse con far garbato assai sommesso.<br />
Presemi allor con mano la mia mano,<br />
era sì calmo e disse: «Fui Furiere,<br />
colui che conoscesti, un dì lontano,<br />
con la divisa compier suo dovere,<br />
mentre nel còr cresceva già ‘l presagio<br />
di divenir de la <strong>Bulletta</strong> alfiere.<br />
Sempre aspirai battesimo Randagio,<br />
bramavo al <strong>La</strong>go avere il mio debutto<br />
né andavo in bici forte, manco adagio.<br />
Questa condanna l’anima ha distrutto,<br />
battesimo voléo, bramata speme,<br />
vò al <strong>La</strong>go Santo, ma lo trovo asciutto». 16<br />
16 Il poeta oltrepassa un’altra porta, ma la pioggia lo costringe a ripararsi in una grotta dove vede<br />
un’anima dannata intenta a giocherellare con la bici. Si presenta come l’ex sindaco Fabio Bardelli,<br />
ansioso di ricevere il battesimo di Randagio, ogni volta che si reca al <strong>La</strong>go Santo lo trova<br />
prosciugato, rimandando il battesimo all’anno successivo.
Riprendo a pedalar, l’anima freme<br />
porta spalanco con cotanta stizza<br />
come può far colui che nulla teme.<br />
Paura non avéo, nemmanco strizza,<br />
Immenso forno si parò dinanzi<br />
enorme fòco e ‘l demone l’attizza.<br />
Parmi laborator di carrozziere,<br />
sentivo colpi come di martello<br />
per rimediar le fitte alle lamiere.<br />
Guardai lontano, dietro a uno sportello,<br />
e veddi un òmo preso a la tagliola<br />
chiusa a catena e doppio chiavistello.<br />
Disse «Son nonno e son nomato Sòla,<br />
anche se molti affermano ‘l contrario<br />
ritengomi persona di parola!<br />
A volte, certo, sbaglio un po’ l’orario,<br />
ma in dubbio non è mai la bòna fede<br />
non ho orologio e manco il segretario.<br />
Per la condanna mia chiesi mercede<br />
ma lo perdon può darlo solo Dio<br />
né all’anime dannate si concede.<br />
Dei miei ritardi adesso pago il fio,<br />
giusta la pena che scontar m’aspetto<br />
da quando al mondo detti il mesto addio.<br />
E quindi dal dimonio son costretto<br />
all’incontro arrivar sempre puntuale<br />
ed aspettar chi c’ha lo mio difetto». 17<br />
17 Il poeta apre un’altra porta trovandosi dinanzi un laboratorio gigantesco, dove lavora Franco Benvenuti,<br />
conosciuto come Sòla per la proverbiale affidabilità. Per questo è condannato ad arrivare<br />
agli appuntamenti sempre per primo con grande anticipo, aspettando per ore ed ore, spesso invano.
Con la curiosità che m’è usuale<br />
la bici poi raggiunse un’ampia spiaggia<br />
d’un mar che nell’Averno non v’è uguale.<br />
Un demone mi vede e mi scoraggia,<br />
poi grida: «Donde portati lo fato?<br />
Che cerchi in questa riva sì selvaggia»?<br />
Risposi: «Cerco l’animo dannato<br />
d’un grande di <strong>Bulletta</strong> corridore<br />
che dalla pena vo’ sia perdonato».<br />
Mi volsi e vidi tutto lo splendore:<br />
un trono d’oro con damaschi e seta<br />
poi come Cristo sull’altar maggiore,<br />
seduto sopra, parvemi un atleta,<br />
«Marco nomato son - disse sommesso<br />
chi mi conosce son Pedalpoeta!<br />
Mi vedi qui con abito dimesso<br />
qual misero mortal quale io sia<br />
ma sbagli in vita non ho mai commesso.<br />
Colpa mi danno che per bramosia<br />
d’un fresco bagno al mar persi la chiave<br />
nuotando in bello stil con frenesia.<br />
Questo delitto non mi parmi grave<br />
torrida estate, non tenéo più freno,<br />
le genti insieme a me paréano brave,<br />
ma dalle loro bocche uscì veleno,<br />
perché la Skioda possa far ritorno<br />
cercar devo la chiave nel Tirreno». 18<br />
18 Il nostro “Viaggiatore degli Inferi” si trova davanti ad un mare meraviglioso, e ricordandosi di<br />
un’antica leggenda, cerca l’anima del Grande Direttore. Lo trova e si lascia raccontare la leggenda<br />
che lo vuole in perenne ricerca nel mare delle chiavi della macchina smarrite in una torrida giornata<br />
d’estate durante una rinfrescante nuotata.
Mi misi allor ad esplorar dintorno<br />
aspre scorgéo montagne all'orizzonte<br />
la nebbia ne rendéa vago il contorno.<br />
Arrivato che fui a li piè del monte<br />
sulla candida coltre che l'imbianca<br />
di bullettai potei vede' l'impronte.<br />
<strong>La</strong> bocca del cratèr fòco spalanca<br />
fiumi di rossa lava incandescente<br />
si riversavan sulla strada bianca,<br />
dove la casa a ruote lentamente<br />
stava sfidando quell'imman periglio<br />
di fòco, fiamme e torride tormente.<br />
Dentro alla casa v'eran padre e figlio<br />
e madre intenta a preparar la cena<br />
e rassettar del pargolo il giaciglio.<br />
Incuriosito da codesta scena<br />
chiesi i motivi di cotal servigio<br />
e quale fusse di costor la pena.<br />
«Son Duccio - ei disse - e correre ‘l Prestigio<br />
è doventata mia ragion di vita<br />
della <strong>Bulletta</strong> son figliol prodigio,<br />
ma da crudele pena non v’è uscita,<br />
io fui ciclista vero e corro il lungo,<br />
vedé ‘l traguardo è cosa a me proibita.<br />
Scusate se con voi non mi dilungo<br />
ma andare devo, e questa è la condanna:<br />
l’arrivo solo in camper lo raggiungo». 19<br />
19 Guardandosi intorno il poeta vede con gran meraviglia che il mare è scomparso lasciando posto<br />
ad aspre montagne innevate. Vede passare un bianco camper alla guida del quale c’è un volto conosciuto.<br />
È Giuliano, che porta Duccio a correre una corsa del Prestigio, accompagnati anche dalla<br />
mamma nelle domestiche faccende affaccendata. Ma nell’Infernal Prestigio la sua condanna sarà<br />
quella di tagliare il traguardo solo con il camper e mai con la bici.
Lestamente alla bici montai in canna<br />
con fatica scalai l’immenso poggio<br />
dietro c’avéo una fiera che m’azzanna...<br />
Di grande mia beltà facevo sfoggio<br />
ma d’improvviso alla mia destra appare<br />
antro spettral, paréa arredato alloggio.<br />
Vidi le fiamme dentro divampare.<br />
«Chi è l’anima che vive in sì mestizia<br />
mostrati orsù, non anelar scappare»!<br />
Si alzò la donna quasi con pigrizia<br />
ebbe d’avvicinarsi gran coraggio<br />
guardommi e disse: «Muerta è la justicia»!<br />
«Valeria son, mostrarti vo’ l’oltraggio<br />
fecer di me, ridottami a ruina,<br />
vedesti verità, non fu miraggio.<br />
Vengo lontan da terra d’Argentina,<br />
vender casali e ville la cagione,<br />
e pedalar nel verde la mattina<br />
dà gran goduria e gran soddisfazione<br />
nelle colline dell’amato Chianti<br />
dopo la notte con l’ardente Ottone!<br />
Or sono in mezzo a demoni bercianti,<br />
la lor non è ‘na voce che seduca,<br />
udirli puoi sentir l’orridi canti.<br />
Vorrei che tutto ciò perdono induca,<br />
perché sono per sempre condannata<br />
vender castelli e vive’ in una buca». 20<br />
20 Il poeta rimonta in sella e si allontana da tanto strazio, ma si ritrova in un antro ben arredato, chiedendosi<br />
chi possa abitarlo. Una voce dallo strano accento lo saluta, è Valeria, l’argentina, che<br />
anelava vivere nel verde delle colline del Chianti vendendo ville e castelli, prerogativa che mantiene<br />
anche nell’Inferno della <strong>Bulletta</strong>, costretta a vendere meravigliose abitazioni, ma a vivere in<br />
una grotta.<br />
27
CANTO<br />
QUARTO
<strong>La</strong>grima uscìa per sorte sì dannata,<br />
dovéo proseguitar lo mio viaggio<br />
poiché era ancora longa la giornata.<br />
Lo demone mi fe’ pagar pedaggio<br />
come che fussi un’anima che vaga,<br />
veddi lontan che c’era un omo saggio 21 .<br />
Pareva travagliar con una draga 22 ,<br />
un acre odor di zolfo lì dintorno<br />
come fumo nell’aere si propaga.<br />
Profonda voce dissemi: «Bongiorno!<br />
Son qui a trascorrer l’anni di vecchiaia<br />
che in terra non potrei mai far ritorno.<br />
Dal vile sasso faccio ospital ghiaia 23 ,<br />
Zolfo il mio nom, fui padre e fui marito,<br />
vita trascorsi in mezzo a la pietraia<br />
che lo mio corpo tutto rattrappito<br />
può raccontare vita tanto amara<br />
trascorsa della pietra a far detrito.<br />
Qui su lo fiume dove l’acqua è chiara,<br />
donde Pianella spiana ne li piani<br />
l’escavator la ghiaia la separa.<br />
Ma i diavoli che all’Ade son sovrani<br />
condannato per sempre han questo vecchio<br />
dragar tutto lo fiume co’ le mani»! 24<br />
21 L’uomo saggio è “Sua Entità” Zolfo.<br />
22 <strong>La</strong> draga dei piani di Pianella, dove ha trascorso tutta la vita.<br />
23 Questa è una citazione dal poema del Traviante redatto in occasione del sedicesimo lustro di Demetrio.<br />
Un capolavoro di rara poesia.<br />
24 Anche il Grande Zolfo però è condannato all’inferno. Un po’ per motivi politici, un po’ perché<br />
le compagnie del Paradiso lo avrebbero certamente annoiato. Costretto a lavorare tutti i giorni alla<br />
sua amata draga, è condannato a raspare l’Arbia con le sole nude mani.<br />
Zolfo ci ha lasciato questo autunno. Abbiamo voluto lasciare questa pagina per rendere<br />
omaggio all’uomo straordinario, al grande filosofo amico della <strong>Bulletta</strong>, colui che per noi<br />
sarà sempre “Sua Entità Immortale».
Del demone gridar mi fece orecchio,<br />
s’avvicinò co lo forcon brandito,<br />
terror nell’alma ne tenéo parecchio.<br />
Dal fòco io teméo d’esse inghiottito,<br />
con l’ugne scorticavami le carni,<br />
delle mie vesti n’ero più vestito.<br />
Veddi allor dietro a me pallidi e scarni<br />
due prigionier che parvemi uno solo,<br />
asilo a lor osai di domandarni.<br />
Chiesi a colui che mi paréa ‘l figliolo:<br />
«Chi siete che la sorte v’accumuna<br />
immersi fino al collo nel paiolo»?<br />
Dissemi: «Fai dimanda inopportuna<br />
Piccini, siam ma non siamo piccini 25<br />
accomunati qui dalla sfortuna,<br />
erimo babbo e figlio, paladini<br />
della bandier de la <strong>Bulletta</strong> amata<br />
tra noi amavamo far tiri mancini 26<br />
financo nella corsa scatenata,<br />
ma onor sempre portammo alla divisa<br />
e se fu guerra non fu mai firmata.<br />
Ma il diavolo che tutto ciò travisa<br />
ci fa scontar tremenda punizione:<br />
sempre secondi dopo mamma Elisa». 27<br />
25 Trattasi della famiglia Piccini, babbo e figlio, piccini nel nome ma non nell’aspetto.<br />
26 <strong>La</strong> leggenda narra che questi due contendenti, padre e figlio, amassero gareggiare tra loro per dimostrare<br />
chi dei due fosse il più forte. Nelle loro tenzoni non mancavano scorrettezze e qualunque<br />
mezzo era lecito per arrivare prima dell’altro e poterlo prendere bonariamente in giro.<br />
27 Per l’infernale logica dei “Due Litiganti” la loro pena è tremenda: mai più primi al traguardo, né<br />
padre né figlio, ma sempre preceduti dalla mamma che mette d’accordo la famiglia andando a vincere<br />
tutte le dispute tra i due contendenti.
Maligno mi lanciò l’ammonizione<br />
guardandomi con sguardo fiammeggiante<br />
mi disse: «Fuggi dallo mio girone»!<br />
Vicino meco ardéa fòco abbagliante<br />
arso restar teméo, lontan passai<br />
ma da dietro sentii voce straziante.<br />
Allo sentir l’orecchia la prestai<br />
a chi potesse appartener le grida,<br />
fiutavo nella grotta odor di guai.<br />
Vidi quella che fu la nostra guida,<br />
colui che dette esempio di virtude,<br />
con il demonio la perdéa la sfida.<br />
Le sue parole m’apparivan crude:<br />
«Fui professor, emerito ciclista 28 ,<br />
adesso puoi veder mie membra nude.<br />
Sindaco anch’io, financo comunista 29 ,<br />
nessun ebbi a mostrare l’altra guancia,<br />
ma un dio crudel mi scrisse sorte trista.<br />
Fondai ‘na Scola presso Poggio a Rancia,<br />
donde giovin burbetta del pedale<br />
apprende e nella sfida poi si lancia.<br />
Successo nella vita fu trionfale,<br />
m’ahimè, la bici è adesso appesa al chiodo<br />
per professar dovere coniugale.<br />
Non possomi appellar l’Alfano Lodo<br />
la pena mia fu ritornar studente<br />
mai più Rettor che l’anima mi rodo». 30<br />
28 Si tratta di Italo, Chiarissimo Professore dell’Ateneo di Poggio a Rancia<br />
29 Anch’egli, come altri bullettai vanta un passato da sindaco nonché funzionario di un Grande Partito<br />
adesso scomparso.<br />
30 <strong>La</strong> pena da scontare è quella lasciare la cattedra di tornare tra i banchi come studente ripetente.
Provai pietade per lo ripetente,<br />
le man copriami il volto disperato,<br />
piangéo come fa salice piangente.<br />
Ripresi il passo, quando fui attirato<br />
da gran confabulare sotto voce,<br />
vede’ altre genti non avrei sperato.<br />
Attorno avevo un demone feroce<br />
che co li morsi mi strappò la carne,<br />
e come il Cristo anch’io portai la croce.<br />
Un capro nero ebbi a sacrificarne<br />
per ingraziar l’oscur padron dell’Ade,<br />
ma una dimanda avéo da dimandarne:<br />
«Te che non sai che cosa sia pietade,<br />
rispondi alla dimanda che m’attizza:<br />
altri compagni vive in tue contrade»?<br />
Voce mi fe’ scrullar: «Sono la Zizza» 31<br />
lo Sgarbi la guardò gonfio d’amore,<br />
poi si voltò con occhi pien di stizza.<br />
Bassò da me lo sguardo con timore,<br />
mi parve a un tratto nobile creatura<br />
poi sussurrommi senza far rumore:<br />
«Non siam d’Italia, ma della Pianura, 32<br />
ma il nostro còr li varca l’Appennini<br />
perché a tristizia vòl trovar la cura<br />
tra le colline verdi e i dolci vini,<br />
randagi correr mille e mille miglia<br />
sentirsi al Paradiso più vicini»! 33<br />
31 Il poeta incontra Angela Zizza, la nostra più grande Randagia insieme all’amore suo, Stefano.<br />
32 I due bullettai sono originari infatti della Pianura, luogo umido e malsano dove si parla peraltro<br />
un pessimo italiano.<br />
33 I due tosco-emiliani non hanno una pena da scontare. Sono felici di raggiungere spesso gli amici<br />
<strong>Bulletta</strong>i in luoghi che li fanno sentire più vicini a Dio.
Con man la salutai quella famiglia<br />
poi co’ la mente espressi ‘na preghiera<br />
poter vedere ancor sì maraviglia.<br />
D’un balzo che paréa a la bersagliera<br />
agilmente montai sullo mio mezzo,<br />
diavoli intorno ne tenéa ‘na schiera.<br />
Dell’alito sentir potéo lo lezzo<br />
frustavami con frusta di serpenti<br />
delle mie carni si facéan disprezzo.<br />
Voléo lasciar quei lidi sofferenti<br />
veloce come vento di grecale<br />
per approdar su novi continenti.<br />
L’orrido pozzo lo paréa irreale<br />
ma lo volli percorrer fino al fondo,<br />
potéo odorar fetor dell’animale,<br />
livido bestio d’animo iracondo<br />
mi s’avventò per azzannar lo piede,<br />
terror m’invase non ve lo nascondo.<br />
Lo laido mostro che quaggiù risiede<br />
movéa le quattro teste di mastino<br />
come fa can per divorar le prede.<br />
Ormai però sapevo il mio destino<br />
sentii la vita in petto che mi sfugge<br />
capii che lì finiva il mio cammino.<br />
Cerbero il nom di chi tutto distrugge,<br />
scudo mi fe’ la bici e corsi cieco,<br />
fuggendo come fa colui che fugge. 34<br />
34 In questa fase interlocutoria il poeta non incontra nessun dannato, ma è intento a sfuggire a demoni<br />
e mostri di ogni genere che imperano in questi lidi. Nella sua fuga si imbatte nel Cerbero,<br />
dantesco, che però qui ha una testa in più. <strong>La</strong> fuga è precipitosa e piena di pericoli, tanto che il<br />
poeta crede di essere arrivato alla fine della sua corsa.
CANTO<br />
QUINTO
Di dietro a me di passi udivo l’eco,<br />
poi d’improvviso vidi un uscio accosto<br />
e dietro un uom che mi menava seco.<br />
Sembrommi dalla voce ben disposto:<br />
«Entra se della vita tieni ancora,<br />
dimmi ciò chi ti mena in questo posto»!<br />
Troppo terrore avéo di restà fòra,<br />
balzai di là, da quell’omino arzillo<br />
col biondo crine il capo lo colora.<br />
Mi fe’: «Guardami in volto, sono il Lillo!<br />
co’ lo mio amico stiamo qui cenando<br />
compagno di avventur, lo mio pupillo.<br />
Eccolo accanto a me, nomato Nando,<br />
per anni sempre insiem sopra la bici,<br />
ma scherzo atroce stavo macchinando.<br />
Fecigli creder ch’eravamo amici,<br />
ma quando l’erta doventò pettata<br />
e gamba mi mandò migliori auspici,<br />
lo scatto mio fu cosa inaspettata,<br />
un attimo e sparivo all’orizzonte,<br />
ma vile spugna non fu mai gettata.<br />
L’arrivo lo scorgevo là di fronte,<br />
anche se stanchi eramo ambedue,<br />
sapéo di non poter subì rimonte:<br />
avéo ròte più svelte delle sue,<br />
girommi addietro e più non lo vedéo<br />
correndo un miglio gliene diedi due»! 35<br />
35 È la volta del Lillo e di Nando, due valenti bullettai che spesso amavano pedalare insieme. <strong>La</strong> leggenda<br />
narra che un giorno il Lillo, con uno scatto bruciante durato 1 km, riuscì a distanziare<br />
Nando di ben 2 km. <strong>La</strong> teoria è stata poi verificata e certificata dall’Università del Pedale, che ha<br />
dimostrato in maniera scientifica e inequivocabile che la cosa è tecnicamente possibile, e quindi<br />
realmente avvenuta.
Lesto lasciai quel tetro mausoleo<br />
ma mi sorprese il sonno e all'improvviso<br />
m’aprì le braccia il docile Morfeo.<br />
Sogno mi fe' trasfigurare il viso,<br />
sognai di tempi e antichi amici persi,<br />
ricordi che mi fe' tornà 'l sorriso.<br />
Mirai sotto di me corpi riversi<br />
e un omaccion che mi dicéa sereno<br />
«Oh tu che dell’inferno canti i versi,<br />
lo nome mio per tutti fu Mireno<br />
da tutti gran ciclista definito,<br />
che al suo dover di capo venne meno!<br />
Ora tu puoi veder l’òmo finito, 36<br />
la bici solo un pallido ricordo,<br />
lo vecchio amor nell'anima assopito.<br />
Alle siren che cantano son sordo,<br />
giammai potrò lasciare il mio ritiro,<br />
anche se a tanto il còr non è d'accordo.<br />
Fòr da la porta spesso lo rimiro<br />
l’azzurro ordito lesto transitare 37<br />
e l’emozion mi fa mancà ‘l respiro.<br />
Mi garberebbe assai di ritornare,<br />
che la passione non m’ha mai tradito,<br />
ma dietro il banco pene ho da scontare...»! 38<br />
Fui padre, fui grand’omo e fui marito,<br />
pure lavorator, dicono alcuni,<br />
m’adesso, ahimè, quell’animo ho smarrito»!<br />
36 Frase che spesso ama pronunciare parlando coi ciclisti di passaggio.<br />
37 Spesso dalla porta del suo bar vede passare ciclisti con indosso l’amata livrea azzurra.<br />
38 <strong>La</strong> sua pena è restare eternamente chiuso dentro al bar a vendere cornetti e cappuccini desiderando<br />
di essere sulla strada con gli amici ciclisti.
I miei pensier non può restare immuni<br />
da cotanto patir, tanto tormento,<br />
i giorni miei di gioia eran digiuni.<br />
Dell’infernal dimonio ero istrumento<br />
come la corda l’accarezza il plettro<br />
sentii voce lontan, portava il vento.<br />
Vidi meco venir, paréa 'no spettro<br />
col fòco che li pendula da drio 39 ,<br />
con man tremante lo reggéa lo scettro.<br />
«Chi pensi che poss'esser, chi sia io»?<br />
ei disse con la voce tremolante<br />
di chi del suo peccar paga lo fìo.<br />
«Cognoscermi tu puoi, son lo Traviante 40 ,<br />
fui il primo incontro, nello Canto Primo 41<br />
con pena da scontar tanto umiliante<br />
che lo mio còre dall’angoscia opprimo.<br />
Ma non m'arrender l'animo mi dice<br />
tanto dolor lo soffro e lo sopprimo»!<br />
Stupìto lo ‘scoltavo l'infelice<br />
maraviglia provai, financo gioia,<br />
parmi rinascer come la fenice.<br />
«Oh, tu che morte non vòl che tu moia,<br />
ricordo, ti lasciai nella Commenda<br />
a ramazzar co’ la badante troia»!<br />
Alzò le braccia come a fare ammenda:<br />
«Nella Casa, ricorda, fui esiliato<br />
passando giorni tristi di tregenda,<br />
39 Il tizzone infuocato che tiene perennemente conficcato nel didietro.<br />
40 Secondo incontro col Traviante Luca, che in libera uscita dalla Casa dei ritiri vaga per gli inferi.<br />
41 Il primo incontro avviene infatti nel Canto Primo, è lui il primo dannato a venire in contatto con<br />
il Pedalpoeta.
dai demoni deriso ed umiliato<br />
con il cilicio a guisa di collare<br />
da tutti inviso, lordo ed ingiuriato.<br />
Financo fui costretto a lavorare,<br />
parola che per me suona stridente<br />
come doversi al demone prostrare.<br />
Poi colsi attento l’attimo fuggente,<br />
sfoggiai cultura e mio parlar forbìto<br />
e doventai dell’Ade il Presidente 42 .<br />
Adesso il mio poter parmi infinito,<br />
tengo alla mia mercè pur lo Malvagio<br />
e da nessuno so’ disubbidito.<br />
Sono tornato a correr da Randagio<br />
vòl fare mille volte mille miglia<br />
quale eterno immortal tengomi l’agio.<br />
Ormai stallon non tiene più la briglia<br />
la strada dolce strada è ormai tracciata<br />
che la si può veder sì maraviglia! 43<br />
Inizio detti a questa mia crociata<br />
dal crocevia che parte da lo Grillo 44<br />
per i randagi porta spalancata<br />
di chi il viaggio brama ave’ tranquillo.<br />
Fiamme che fino a prìa paréano fioche<br />
i sogni miei partir con grande squillo!<br />
E se le grazie mie parvevi poche<br />
posso bramar, schioccandole le dita,<br />
una pulzella o due, ma delle Pioche»! 45<br />
42 Infatti è noto ai più che Luca in qualunque società metta piede, è destinato a diventarne in breve<br />
tempo Presidente, o Vicepresidente.<br />
43 Road sweet Road è ormai una realtà consolidata ed in rapida costante evoluzione.<br />
44 Il Chilometro Zero, situato presso Colonna del Grillo, crocevia tra Siena e Arezzo.<br />
45 Località famosa per le belle ragazze che ci abitano!
«Chi delle Pioche il sacro nome addita»?<br />
Trillò voce di donne come in coro<br />
che simil strilla qui mai s’era udita.<br />
Per lo spavento il viso trascoloro<br />
balzai lesto la sella per partire<br />
desiderando andar nel Purgatoro.<br />
Ma ancor più strillo mi paréa d’udire<br />
frenai la bici e mi voltommi addietro<br />
pria che lo fòco possami inghiottire.<br />
Parmi vedere splendido didietro<br />
spuntar da sotto logora sottana,<br />
lontan da me non era più d’un metro.<br />
Casta beltà lo suo fulgore emana,<br />
dai riccioli dorati sul capello<br />
mi fe’: «Mi riconosci? Son Tiziana 46 .<br />
Piochina son, di Torre del Castello,<br />
luogo famoso per l’antica rocca<br />
di noi dannate fu l’amato ostello.<br />
Acqua portiam con la pesante brocca,<br />
le notti le scaldiam con lo tizzone,<br />
la puoi trovarla qui la meglio gnocca 47<br />
che Trovator cantò nella canzone<br />
alla nostra beltade dedicata,<br />
pel vecchio detto che: Pioche ma bòne»!<br />
Di caldo vento venne ‘na folata,<br />
«Scaduto è il tempo - disse sussurrando -<br />
tornare debbo nella mia borgata». 48<br />
46 Tiziana, la <strong>Bulletta</strong>ia delle Pioche.<br />
47 È risaputo che le ragazze più belle della <strong>Bulletta</strong> vivono qui.<br />
48 Tiziana, la bionda ricciolona della <strong>Bulletta</strong>, si presenta dinanzi al poeta decantando le proprie virtù<br />
e la bellezza del borgo che abita, Le Pioche, luogo dal quale è uscita per incontrare il poeta, e dove<br />
deve rientrare scaduto il poco tempo concessole.
CANTO<br />
SESTO
Giù nell’antrone stavo riposando<br />
dopo tanto vagar per cerchie riarse,<br />
e di tornare stavo ormai anelando.<br />
Le lastre intorno vidi ahimè cosparse<br />
di corpi orrendi, tutti mutilati<br />
che simil scempio non vòl mai che apparse.<br />
Mentre piangéo pe’ corpi desolati<br />
sentii come di fiera gran ruggito<br />
paréa venir dai cerchi più affollati.<br />
Mirai tondo teston rossocrinito<br />
come pochi veder nella mia vita,<br />
eroica bici, eroico anche ‘l vestito.<br />
«Marinagnoli, il nom, metà di Rita 49<br />
- ei disse fiero - e son qui per mestiere<br />
che sicuranza agli inferi è aborrita.<br />
Come tu puoi con occhi tuoi vedere<br />
lividi intorno a te quei corpi ignudi<br />
che la sventura la dovéan temere!<br />
In questo limbo li portai miei studi<br />
per lo dannato di speranza privo<br />
e render dignità, stima e virtudi.<br />
Studiai lo testo mio legislativo<br />
ed aiutar li miseri potei,<br />
dei demoni ammonii lo direttivo.<br />
Poi di protesta fe’ formar cortei<br />
che demoni mai vider sì rivolta<br />
e agl’inferi portai la Seiduesei»!! 50<br />
49 Il Pedalpoeta incontra Marinangeli, marito di Rita, che rivela di essere negli inferi per motivi di<br />
lavoro: portare la sicurezza dove sicurezza non c’è.<br />
50 Egli, racconta, mettendo in pratica la sua arte e le sue conoscenze, riesce ad imporre anche nell’inferno<br />
l’uso della Legge 626 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, finora ignorata. (Teniamo a precisare<br />
che all’Inferno non è mai entrato in vigore il Dlgs. 81/08).
<strong>La</strong> mente mia rischiò d’esse sconvolta<br />
d’udir che querci all’Ade fan limoni,<br />
e che la società s’è ormai stravolta.<br />
Proseguii a pedalar tra li dimòni<br />
sino a raggiunger fiume di lapilli<br />
dov’era a guardia spiriti burloni.<br />
Del fòco non potei evità zampilli<br />
con gran periglio marcia continuai<br />
lontan da me sentìo bociar di strilli.<br />
Raggiunta avéo la Cerchia de’ Trombai,<br />
mirai n’omin seduto a le latrine,<br />
tristo pensiero in mente mia peccai.<br />
«Sono lo Scucca dal rossiccio crine,<br />
in vita l’acque al mio voler piegavo,<br />
ma con le rose, ohimè trovai le spine.<br />
Un dì di fin d’estate mi recavo<br />
dal Teso verso il Santo <strong>La</strong>go ameno<br />
tempra sì forte mai mi ricordavo,<br />
mirai dinanzi a me l’arcobaleno,<br />
segnal divin, pensai, prospero auspicio,<br />
le gambe ormai non lo tenéan più freno.<br />
Longa salita fu fatal supplicio<br />
che in punta i sogni miei vidi distrutti.<br />
Del penitente lo indossai il cilicio<br />
e raccattai del seminato i frutti.<br />
Col sangue fui costretto a firmar resa<br />
al laido Direttor, dinanzi a tutti»! 51<br />
51 Il Pedalpoeta entra nella Cerchia dei Trombai dove incontra Scucca, abile trombaio e presidente<br />
di un’accolita di Trombai par suo. Racconta la sua Caporetto ciclistica nella ormai famosa disputa<br />
con il suo Direttore persa con poco onore nell’erta che dall’Abetone raggiunge il <strong>La</strong>go Santo, dove<br />
fu costretto a firmare la resa con il proprio sangue.
«Fu guerra, fu battaglia, fu contesa<br />
Quel giorno fu la sfida de le sfide<br />
vincer la quale fu folle pretesa»!<br />
Mi volsi indrio, ma l’altro se n’avvide<br />
«Son qui - mi fé con voce par di tuono -<br />
Volli umiliar finché lui si ravvide».<br />
Poggiava il cul sullo leggiadro trono<br />
e intorno avéa ‘na schiera di servetti<br />
ma si capìa che l’animo era buono.<br />
«Per chi lo vuol saper io son Giannetti,<br />
ed il giubbetto azzurro indosso fiero<br />
e vòl che pure l’altri mi rispetti.<br />
Fui dei Randagi forte condottiero<br />
che per millanta miglia ho pedalato<br />
financo in Francia lo percorso intiero.<br />
Scucca lo guanto in volto m’ha lanciato<br />
non mi potéo voltar dall’altra parte<br />
finché lo sangue l’onta avrà lavato!<br />
Per la salita stetti un po’ in disparte,<br />
lo volli illuder di cantar vittoria,<br />
d’andare in bici la cognosco l’arte...<br />
Bramò di vincer, ma fu vana gloria,<br />
fiamme d’orgoglio ormai s’erano spente,<br />
dietro un cespuglio ringuattò la boria.<br />
Ma non vol’esse troppo indisponente<br />
e non rischiare il posto del lavoro<br />
per parlar male del mio Presidente»... 52<br />
52 Il racconto di Scucca viene bruscamente interrotto dal Direttore-Trombaio Andrea, che racconta<br />
come la sfida fu vinta, ma siccome il soggetto della discussione è pur sempre il suo Presidente,<br />
tronca la conversazione per non rischiare il posto di lavoro, forse dimenticandosi che nel regno del<br />
fuoco eterno gli idraulici non hanno né lavoro, né futuro.
Allontanarmi volli da costoro,<br />
m’inerpicai per un sentier di braci<br />
credendo di trovar giovial ristoro.<br />
Anime perse svolazzar fugaci<br />
dinanzi a me le si potéan vedere<br />
e li miei passi le seguian tenaci.<br />
Un antro vidi con colonne austere<br />
e dentro turbe di demòni urlanti<br />
che lo cantava in cor lo Miserere.<br />
L’urla mi risonavano strazianti<br />
quando dal branco mi sentii nomare<br />
e con un balzo mi balzò davanti.<br />
D’altezza non paréami sovrastare,<br />
«Perché - m’urlò - mi guardi e non favelli?<br />
Chi d’altri ti credéi qui di trovare?<br />
Guardami ben, so’ Mauro il Posarelli,<br />
incatenato all’infernale attracco<br />
di trista pena stò portar fardelli».<br />
Lo riconobbi dal possente pacco,<br />
si volse a me prostrandosi in ginocchio,<br />
lo si potéa veder di molto stracco.<br />
Il grande eroe del Passo del Cornocchio,<br />
nessun traguardo lo mancò l’arrivo,<br />
avéa perduto l’irridente spocchio.<br />
«Di mie pulzelle adesso sono privo,<br />
ciular verrei, prìa che all’oblìo soccomba<br />
ci provo con la Suzie, ma ‘un c’arrivo». 53<br />
53 Voglioso di un fresco ristoro il Pedalpoeta entra in una enorme grotta, sempre seguito dalle anime<br />
inquiete dei dannati. Ode un richiamo, a cui fa seguito la visione di un ciclista che lo interpella.<br />
Si presenta come Mauro, bullettaio honoris causa, che racconta le sue colpe e la sua pena, costretto<br />
inutilmente a tentare la fornicazione con Suzie, ma l’evidente differenza in centimentri al<br />
garrese rende impossibile l’atto..
Dinanzi a me si scoperchiò 'na tomba<br />
con gran fragor lo corpo sortì fora,<br />
col rombo che fa il tuon quando rimbomba.<br />
Mi volli avvicinar d'un metro ancora,<br />
pallido in volto, passo tremebondo,<br />
mirai quella diabolica dimora.<br />
Il loculo percorsi fino al fondo,<br />
lo spettro mi seguìa, possente mole,<br />
fin dove il pozzo lo toccava il fondo.<br />
Mi volsi e mi mancaron le parole:<br />
lo spettro sorridéa, l'occhi dischiusi,<br />
e ciò che veddi, dentro ancor mi dòle.<br />
Mi fé: «guardami in volto, son la Susi».<br />
Alzai lo sguardo la scorgevo appena<br />
in testa i miei pensieri eran confusi.<br />
«Son qui per espiazion della mia pena<br />
- disse tapina - or mira mia tristezza<br />
che mai vedesti in vita mia terrena».<br />
Era fanciul d’inusitata altezza,<br />
turgide membra contro me protese,<br />
nelle sua voce risuonò fierezza:<br />
«Ero ciclista che giammai s'arrese,<br />
ma della mia lunghezza pago il prezzo,<br />
du’ metri e qualche cosa dal garrese.<br />
Ritorco il corpo e quasi me lo spezzo,<br />
non posso certo il sonno riposare<br />
in una buca lunga un metro e mezzo»! 54<br />
54 Si apre una tomba e ne esce Suzie, bullettaia di fresca data proveniente dalla lontana California.<br />
<strong>La</strong> pena che è costretta ad espiare è terribile: data la sua inusuale altezza, à costretta a riposare in<br />
una tomba minuscola.
CANTO<br />
SETTIMO
Così partii, e non osai voltare,<br />
forcai la bici e mi diressi a valle<br />
dov'era un varco che dovéo varcare.<br />
Di sotto a me si spalancò tre falle,<br />
n'uscìa fiamme di fòco e fumo denso,<br />
sentore avéo di demoni a le spalle.<br />
L'antron che a rimirar parvemi immenso<br />
avéa lo suol di braci e fiamme e roghi,<br />
dovéo fuggir, seguire il mio bonsenso.<br />
Temendo che lo demone m'aggioghi,<br />
sotto l'oscur giaciglio m’inguattai,<br />
abbandonar voléo que' tristi luoghi.<br />
Allor lo veddi e non più lo scordai,<br />
fiero l'aspetto, arreso il suo destino,<br />
si presentò: «Son Milko del Gennai,<br />
venni dalla città del travertino,<br />
grande ciclista fui, gran bullettaio<br />
e adesso membra mie mesto trascino<br />
in questo inconsolabile carnaio,<br />
donde lo diavol nostri corpi trincia<br />
che mai potrem sortir da questo guaio.<br />
<strong>La</strong>cchè di un Borgomastro di Provincia,<br />
finché il mio fato mi portò quaggiù,<br />
dove tutto finisce e non comincia.<br />
Da quando son piombato qui tra i più<br />
la mia condanna è d'esser condannato<br />
a far l'autista al Diavol Belzebù». 55<br />
55 Continuando il suo peregrinare il poeta incontra Milko, <strong>Bulletta</strong>io da Rapolano, che nella vita era<br />
l’autista di personaggi molto in vista, condannato nell’inferno a fare da lacchè a Belzebù.
Sapéo che non pol'esser perdonato,<br />
mi congedai più lesto e venni fora,<br />
per la gran leppa il passo avéo frettato.<br />
Più in là duro terren divenne gora,<br />
le ròte v'affondavan fino al mozzo<br />
e da lo fango triste membra affiora.<br />
Ad ovest mi voltai mirando un pozzo<br />
chiuso da sopra da pesanti anelli,<br />
ov'è vergata frase in modo rozzo:<br />
«Qui vive quei che fu quasi fratelli,<br />
gran corridori, ei furon di <strong>Bulletta</strong>,<br />
i nostri due campioni: i Manganelli»!<br />
Li veddi insieme presso un'isoletta,<br />
il primo mi paréa molto guardingo<br />
s'avvicinò, spingéa la bicicletta.<br />
«Io son Simone ma per tutti Mingo,<br />
e nella squadra non tenéo rivali<br />
quando il pedale nella corsa spingo».<br />
L'un l'altro mi sembravan solidali:<br />
«Io sono Valter ma mi chiaman Stocco<br />
fummo financo i primi provinciali»!<br />
S'udì campan sonar lo suo rintocco,<br />
l'orecchio sordo ad ogni mia richiesta<br />
dello Sesto Giron preser l'imbocco.<br />
Non vollero cantar le proprie gesta,<br />
e allor demonio in vesti di gerarca<br />
li manganelli glieli ruppe 'n testa. 56<br />
56 Il poeta continua a pedalare di cerchia in cerchia incontrando ancora bullettai condannati al fuoco<br />
eterno. È la volta di Simone e Valter Manganelli, due tra i più forti ciclisti della squadra che raccontano<br />
al poeta le loro gesta, fino al suono della campana, il segnale che i due devono ritirarsi<br />
nel loro girone, quando arriva il demone in camicia nera armato di manganello che li perquote<br />
per non aver raccontato al poeta tutte le loro gesta.
Così partii salpando co 'na barca<br />
che galleggiava in sul di fòco un mare<br />
fin dove Cerchia più profonda varca.<br />
<strong>La</strong> mente mia cercò di ricordare<br />
quando que' luoghi avéo già visto prìa,<br />
che come sogno quella terra appare.<br />
Vedéo dannati in preda a la pazzia<br />
lì si torcéano contorti in tristo abbraccio<br />
che della morte segue l'agonia.<br />
Dinanzi a me si presentò 'no straccio<br />
che non posso narrar le sue tristezze<br />
(quando non ho parol di norma taccio).<br />
Al chieder di chi fusse sì fattezze,<br />
con voce chioccia dissemi il figuro:<br />
«Oh tu che in vita non avei certezze,<br />
ed or nell'Ade non avrai futuro,<br />
guardami in volto e dimmi chi son io,<br />
son Stefano Burroni. Ti assicuro»!<br />
Sobbalzo mi fe’ far tre passi indrio<br />
che un altro bullettin trovar nell’Ade<br />
m’era rimasto solo gran desìo.<br />
«Sono venuto in queste vil contrade<br />
- ei disse a me, pesante affermazione -<br />
che lo dannato la gabella evade.<br />
Perciò faccio l’agente del girone<br />
e fò pagar financo ai condannati,<br />
diavoli e santi l’assicurazione»! 57<br />
57 Il poeta continua il suo eterno vagare a bordo di una piccola imbarcazione che traversa un mare<br />
infuocato da cui emerge la sofferenza dei dannati. Qui incontra un‘altra vecchia conoscenza: Stefano,<br />
il bullettaio assicuratore, che racconta di essere venuto in questo girone per stipulare polizze<br />
anche con i dannati dell’inferno, dal momento che i vivi li aveva già assicurati tutti.
...Ahi, qual orror, non fussimo mai nati,<br />
non può finir così la dipartita,<br />
in questi luoghi dal terror dannati!<br />
Ma la dovéo giocar la mia partita,<br />
balzai sul mezzo e pedalai più lesto<br />
là dove in fondo par vede' l'uscita.<br />
Terror tenevo in faccia manifesto,<br />
fare guardingo, senza far rumore,<br />
che in questa Cerchia mi sentìa foresto.<br />
Sognai le notti l'incubo peggiore,<br />
vagai per giorni e giorni senza meta,<br />
veder miserie non avéa più còre.<br />
Pesano l'anni e non son più l'atleta,<br />
e riposar dovéo le stanche membra,<br />
vidi un ruscello e l'acqua che disseta.<br />
Nome d'amico in testa mi rimembra,<br />
quando lo vidi, dall'aspetto tardo,<br />
volli saper se fusse quel che sembra.<br />
Nome gridai, si volse, era Medardo,<br />
ciclista delle terre di Romagna<br />
venne dinanzi e mi mostrò riguardo.<br />
Angeli neri aveva alle calcagna,<br />
ma si fermò da me, voléa parlare<br />
che di sua pena niuno l’accompagna.<br />
«Avéo una bici antica da piazzare,<br />
Traviante mi traviò per far baratto<br />
col camper rotto che non vòl più andare»! 58<br />
58 Compreresti un’auto usata dal Traviante? A questa domanda risponde uno dei personaggi più<br />
rappresentativi della <strong>Bulletta</strong>: Medardo, non più giovanissimo ma sempre in gamba, collezionista<br />
e riparatore di cimeli storici in terra di Romagna. Narra la leggenda che abbia barattato una<br />
bici (restaurata) con un vecchio camper (non restaurato) e che questo l’abbia più volte piantato in<br />
asso durante gli spostamenti, specie arrancando nel varcare l’Appennino Tosco-Emiliano.
Da quel girone ricevei lo sfratto<br />
con grande calcio dato nel di drio,<br />
vidi il dimonio rider soddisfatto.<br />
Voléo salir per incontrare Dio,<br />
ma la strada pel ciel piega in ascesa<br />
che non posso percorrer sì pendio.<br />
A manca, invero, andava in po’ in discesa,<br />
m’aprii lo varco in mezzo a’ peccatori<br />
con la speranza che nel còr s’è accesa.<br />
L’alba lanciava in cielo i primi albori,<br />
trovai dinanzi a me possenti mura<br />
del Cerchio donde stanno i Traditori.<br />
Freméa mio corpo in preda a la paura<br />
che non sapéo cosa m’aspetta il fato<br />
e se dal male potrò aver la cura.<br />
Dall’aspetto paréa molto agitato<br />
scese di bici e disse amaramente:<br />
«Io sono Mucciarini, il rinnegato!<br />
So’ stato bullettaio, anticamente,<br />
finché davanti a trentatre denari<br />
come Giuda tradii l’amata gente.<br />
Prima che Satanasso ci separi<br />
e che a lo mio girone mi conduchi<br />
vo’ far saper che son bocconi amari.<br />
Vivemmo in gloria e poi fummo caduchi,<br />
sono del Garbo e sconto la condanna:<br />
correre in bici il palio con i ciuchi»! 59<br />
59 Nel Girone dei Traditori il Pedalpoeta incontra Alessandro Mucciarini, “ascianese garbato” che<br />
ha rinnegato l’azzurro giubbetto per i colori delle crete. Subito si mostra pentito e racconta il suo<br />
tribolare in questo infernale girone, condannato a correre nei secoli dei secoli, e con la bici, solo<br />
il palio dei ciuchi di Asciano.
CANTO<br />
OTTAVO
Là tra la bruma scorsi 'na capanna<br />
piccina inver, co' lo camino acceso,<br />
e alla catena un can mostra la zanna.<br />
Al mio sentir nomar restai sorpreso<br />
che niuno mi cognosce in queste case<br />
e non pensavo inver d'essere atteso.<br />
Attònito e stupito io rimase,<br />
mentre il mio nome si riudìa nel vento<br />
un brivido la groppa mi pervase.<br />
Paura diventò presto sgomento,<br />
al veder vicinarmi un omo in bici<br />
con barba incolta e co' lo sguardo spento.<br />
«Tu che ne sai de' nostri malefici?<br />
Noi mai compimmo crimini aberranti,<br />
tu mi cognosci, in vita erimo amici!<br />
Venni da Radda, nel vicino Chianti<br />
e porto in nome Bartoloni Luca,<br />
nel gruppo ambivo star sempre davanti.<br />
Voglio narrar, perché perdono induca,<br />
di quella sera ai piedi dello Smorto<br />
quando dal campo lo cignale sbuca,<br />
veloce fui, ma non putroppo accorto,<br />
che qualche bestio invero lo schivai,<br />
poi sfracellai nel branco, a babbomorto!<br />
L’orrida pena, ohimè, non cessa mai,<br />
la mia carrier che fu finor corretta,<br />
finisce al bosco insieme ai cinghialai»! 60<br />
60 <strong>La</strong>sciato il Girone dei Traditori il poeta s’imbatte in un figuro dall’aspetto inquietante che lo avvicina<br />
nel mentre si aggira tra un gruppo di capanne. Si presenta come Luca da Radda (un paese<br />
ai margini della civiltà) che racconta la sua disavventura in bici in una sera di tardo inverno,<br />
quando lui e un gruppo di cinghiali ebbero l’idea di percorrere la medesima strada. Adesso è condannato<br />
a cambiare squadra: non più con i ciclisti, ma con i cinghialai di Radda.
<strong>La</strong> strada al divenir divenne stretta,<br />
ad ambo i lati ergéan possenti rupi,<br />
giudizio mi dicéa d'andà di fretta.<br />
In testa i miei pensier divenne cupi<br />
quando appresso sentii rombo di tuono<br />
e più discosto l'ulular de' lupi.<br />
Le trombe del giudizio fecer suono<br />
per richiamare l'angeli del male<br />
al cui cospetto mi rimessi prono.<br />
Mentre attendevo l'esito fatale,<br />
notai seduto a lato in sopra un masso<br />
un òmo dal sembiante sì cordiale.<br />
Mirò dall'alto e disse: «Sono il Tasso,<br />
ministro del tesor de la <strong>Bulletta</strong><br />
la curo sia la spesa che l'incasso.<br />
Come banchier che rischia la bolletta,<br />
mercede non mancasse vigilai,<br />
scarsella la tenéo di molto stretta.<br />
Fui mèntore, fondai <strong>Bulletta</strong>nài 61<br />
che fu per il ciclista associazione<br />
che raggruppava tutti i bongustai<br />
per pedalar con più soddisfazione.<br />
Ma non credéo che il vino mi causasse<br />
con il Rossello entrare in collisione... 62<br />
Vollemi dar condanna che arrecasse<br />
sconforto e umiliazion, ma non l’accetto:<br />
se vòl ciulà, dover pagà le Tasse»! 63<br />
61 <strong>Bulletta</strong> By Night, nota associazione di ciclisti goderecci della <strong>Bulletta</strong>.<br />
62 Il poeta cita in questo passo il “fattaccio” di qualche anno fa, quando Massimiliano e Luca si “intrigarono”<br />
insieme dentro un fosso che per scioglierli ci volle un’ora.<br />
63 <strong>La</strong> giusta condanna per chi tiene i cordoni della borsa.
Lo ringraziai con deferente affetto,<br />
tornai pertanto indrio su li miei passi,<br />
quando scorsi il fantasma d'un reietto.<br />
Come in preghier lo vidi inginocchiassi,<br />
col corpo curvo quasi sbarellando,<br />
tenèa tizzone in culo, com’è prassi.<br />
Ei disse: «Stavo in sella pedalando<br />
la via che dal paese porta al Grillo,<br />
lo fragil corpo mio stavo allenando,<br />
e quasi giunto ch’ero al rifocillo,<br />
notai davanti orribile patacca<br />
che per pulirla il corpo lo vacillo.<br />
D'uccello mi pareva ignobil cacca,<br />
mi sporsi avanti per nettare il guano,<br />
mai la sorte con me fu più vigliacca<br />
di quel mattin nei pressi di Sestano,<br />
che nel mentre pulivo il copertone<br />
lo raggio m'agguantò tutta la mano.<br />
Evitar non potei lo ruzzolone,<br />
l'asfalto lo craniai con gran batosta<br />
per dieci metri a pelle di leone;<br />
mi procurai frattura un po' scomposta<br />
non sò se potrò farle mille miglia,<br />
lo puoi pensare a me quanto mi costa<br />
star coccolato dalla mia famiglia,<br />
fasciato nelle bende mentre sento<br />
la moglie che di smetter mi consiglia... 64<br />
64 Il poeta si imbatte per la terza volta nel Traviante, reduce dalla brutta avventura che gli costò la<br />
clavicola interrompendo la preparazione e mettendo a rischio l’ambita randonné di mille e più miglia<br />
che si sarebbe corsa di lì a poco.<br />
Le cose, però, come tutti sappiamo, sono andate diversamente, le mille miglia sono state percorse,<br />
e la vecchia quercia è di nuovo in piedi, salda nelle sue radici.
<strong>La</strong> mente mia mi fé bramar l'intento<br />
di dar soccorso al Nobile Ferito<br />
e porre fine a tale abbrutimento<br />
per il guerriero logoro e contrìto<br />
che fa capire le miserie umane<br />
di chi l'ira del diavolo ha subìto.<br />
Ma agl'inferi speranze restan vane,<br />
indi partii per altri lidi ancora<br />
verso l'gnoto, verso terre insane.<br />
Il ciel si colorava dell'aurora<br />
mentre lontan lo vidi, qual presagio<br />
un uom che pedalava, là di prora.<br />
Riconobber potei, era un Randagio,<br />
poi lui mi scorse e lesto avvicinò,<br />
che dentro agli occhi vidi il suo disagio.<br />
«Ti saluto o poeta, son Riccò,<br />
son d'oltre i monti, ove la terra spiana,<br />
donde dimora il grande padre Po. 65<br />
Vengo da landa fertile emiliana,<br />
per la <strong>Bulletta</strong> ho fervida affezione,<br />
ed in quest’aspra terra di Toscana<br />
bramavo pedalare col Pitone,<br />
da Gianni e il Professore accompagnato<br />
per la contesa del randagio agone.<br />
Ma ìl nome mio qualcun me l’ha infangato,<br />
qui lo posso gridar, l'Averno sappia<br />
che c’è un Riccò che non s’è mai dopato»! 66<br />
65 Il nostro amico, infatti, vive in Emilia.<br />
66 <strong>La</strong>sciato il Traviante a piangere le proprie miserie il poeta vede un ciclista avanzare verso di lui.<br />
Il passo è quello tipico del Randagio, ed infatti si presenta: è Silvano, ex professionista, grande<br />
amico della <strong>Bulletta</strong>. Saluta parlando di sé, della sua terra e dei suoi compagni, ricordando a tutti<br />
che è lui il Riccò “pulito”.
Il demone mi prese a la sua cappia,<br />
seco mi trascinò dinanzi al trono<br />
come l'òmo la bestia l'accalappia.<br />
Tremava il còr, voléo gridà perdono,<br />
ma non m'usciva il fiato da lo petto,<br />
non mi mostrai codardo, qual io sono.<br />
Portarmi volle quindi al suo cospetto,<br />
possente mole si parò davanti<br />
dritta la testa e con lo fiero aspetto:<br />
«Oh, tu che di poetar ti lodi e vanti<br />
guardami ben, mira la testa grigia<br />
mirami il volto e i lonzi mia ‘bondanti.<br />
Dei Maggi fui il miglior, sono <strong>La</strong> Gigia,<br />
nel palazzetto vivo per scontare,<br />
condanna d’avarizia e cupidigia.<br />
Della palestra sono tuttofare<br />
bidello, usciere, vigile e guardiano;<br />
colui che vòle il corpo suo allenare<br />
soldo sonante deve avere in mano,<br />
ma nessun paga ciò che fu preteso,<br />
devo fittar la mia palestra invano.<br />
Veder cotal viltà mi rende offeso<br />
che i diavoli calpesta questo luogo<br />
lasciando sporco in terra e lume acceso.<br />
Niuno m'aiuta, son rimasto solo<br />
non posso coltivar più la passione<br />
palestra, bici, donne e pallavvolo». 67<br />
66 Il viaggio del poeta continua tra le Cerchia dell’inferno. Uno ad uno incontra tutti i bullettai relegati<br />
per le proprie colpe di vanità a vagare nell’Ade. È la volta del Numero Uno della <strong>Bulletta</strong>,<br />
il presidentissimo Fabio. Nell’infernal palestra dove tutti i demoni si allenano non pagando per<br />
l’uso e lasciando luci accese e sporco dappertutto, lui è costretto a trascurare le sue passioni essendone<br />
il custode e il guardiano.
CANTO<br />
NONO
Mi dipartii dall'orrido bastione<br />
con gran velocità, quasi volando,<br />
spingendo forte sopra al padellone.<br />
Troppe leggi oramai stavo violando,<br />
dovéo trovar rifugio immantinente,<br />
v'era calor ma stavo, ahimè, tremando!<br />
Per poco mi prendette un accidente,<br />
udii di drio gran rombo di motore<br />
di moto che corréa velocemente.<br />
Fece cessar di colpo quel rumore,<br />
mi s'accostò venendomi vicino<br />
mostrandomi gaiezza e bonumore<br />
mi disse: «Ciao poeta, sono Ottino,<br />
in vita alla <strong>Bulletta</strong> fui devoto<br />
non disdegnando gozzovigli e vino.<br />
Ove bicì mancò poté la moto,<br />
che la fatica aborro in quanto tale<br />
ed il pedalsudore resta ignoto»!<br />
Un'altra voce si sommò gioviale<br />
«Io sono Otton - m'urlò con gran rispetto -<br />
e come Ottin fatica aborro uguale.<br />
Quando ci dò, ci dò, questo l'ammetto,<br />
come mazza ferrata fa ruina,<br />
distruggo tutto, donne, casa e letto.<br />
Bramavo la bistecca fiorentina<br />
invece in cima al Monte dei Benichi<br />
bistecca la trovai... ma d'Argentina»! 68<br />
68 Il poeta continua il suo mesto peregrinare tra l’infocate Cerchia, quando casualmente si imbatte<br />
in un dannato motociclista. È Ottino, esponente di spicco di <strong>Bulletta</strong> By Night, medio pedalatore<br />
e ottimo centauro, e dietro di lui sopraggiunge Ottone, l’uomo che ha avuto l’immensa fortuna<br />
di incontrare l’argentina Valeria, che racconta come sia riuscito a distruggere un letto a due piazze<br />
durante un assalto amoroso. Non si consideri un’attenuante che era dell’Ikea...
Innanzi a me due demoni mendichi<br />
m'indicaron la strada pel ritorno,<br />
vi si potéan veder sentieri antichi<br />
illuminati dalla luna a giorno,<br />
coll'anime dannate i corpi rudi<br />
che risalìan da le pendici intorno,<br />
nel mentre da le fetide paludi<br />
sortìa demòni e senza far parola<br />
co la verga vergava i corpi ignudi.<br />
L'urla straziavan come voce sola<br />
ma 'n mezzo a tutte, una sentii squillare<br />
che non potéo sbaglià: era Stagnola!<br />
Maraviglia mi fece sobbalzare<br />
non pensavo che dentro tal mortorio<br />
sì gran ciclista lo potéa trovare.<br />
«Non nell'Averno, manco 'n Purgatorio<br />
ma un posto mi fu dato in Paradiso!<br />
- mi fe' con far deciso e perentorio -<br />
Già stavo a pedalar nel campo eliso,<br />
e quando sopra fui l'azzurra rocca<br />
la delusion distrusse il mio sorriso,<br />
che come pesce che nell'amo abbocca<br />
m'accorsi troppo tardi, con terrore,<br />
che in Paradiso 'un c'è manco ‘na gnocca!<br />
Ed io che ho fama d'esser seduttore<br />
e non voléo sfinir co’ le pugnette<br />
quivi tornai, che nerbo avéa a bollore»! 69<br />
69 <strong>La</strong> nota sessantanove non poteva che essere dedicata a Lui, il grande Stagnola, che il poeta incontra<br />
per caso peregrinando nelle infernali strade. Questi lo riconosce, lo chiama, e racconta come e perché<br />
ha scelto di vivere nell’Inferno piuttosto che in Paradiso, avendo constatato che, al cospetto<br />
di Dio, ci sono poche esponenti dell’altro sesso, per lo più brutte.
Nel grigio ciel saettavan le saette,<br />
dovéo lasciar quell'orrido girone,<br />
ma un groppo in gola il dipartir mi dette.<br />
<strong>La</strong> piova diventò presto alluvione,<br />
mi misi soprascarpe e mantellina<br />
partii verso il chiarore d'un lampione.<br />
Quando lì fui, da sotto l'erta crina<br />
potei veder corvine e bionde ciocche<br />
di corpi ancor lontan da la ruina.<br />
«Questa è la Cerchia delle Belle Gnocche»<br />
disse la prima - e parvemi ben fatta -<br />
dolci parole uscì dalle lor bocche:<br />
«Del Gatto son la femmina, la Gatta,<br />
la sua badante che la posta smista».<br />
E dietro a questa, nient'affatto sciatta,<br />
mi si parò dinanzi alla mia vista,<br />
si presentò: «Di Furio son Luigina<br />
mamma di Luca, già grande ciclista».<br />
<strong>La</strong> Mimma urlò: «Son'io la più bellina!<br />
<strong>La</strong> mia beltà nel tempo è mai sfiorita<br />
dell'Eroica tenzon son la regina».<br />
E urlando un'altra, invero incalorita,<br />
si fe' davanti a me bramando brame<br />
«Regina sono io, sono la Rita»!<br />
<strong>La</strong>sciai le gnocche a tesser le lor trame<br />
e con inchino detti mio commiato:<br />
«Saluto i lorsignori e le lordame»! 70<br />
70 Il poeta entra, per caso o per gioco, nel Girone delle Belle Gnocche, dove incontra le donne dell’Eroica:<br />
la Gatta, Luigina, la Mimma e Rita che si contendono lo scettro della più leggiadra beltade<br />
dell’Inferno. <strong>La</strong> lotta è aspra, ciascuna vuole per se lo scettro di Regina dell’Eroica, e, prima<br />
che la disputa sfoci in rissa, il poeta saluta e fugge verso nuove avventure.
<strong>La</strong>sciai la Cerchia e corsi a perdifiato<br />
per un crinal irto d'aguzze picche<br />
che mi rendéan difficile il commiato.<br />
Sentii rumor di vecchie martinicche,<br />
nascosto verso valle mi girai<br />
che m'aspettavo l'infernali cricche.<br />
Invece vidi un omo in muntanbai 71<br />
stanco paréa, potéo sentir l'affanni,<br />
mi chiesi chi poteva d'esser mai.<br />
«Gano il mio nome e fui da Sangiovanni,<br />
della <strong>Bulletta</strong> avéo l'azzurra maglia<br />
anche se non m'han visto da vent'anni»!<br />
Mi fè voltar rumore di ferraglia,<br />
instabile arrancar, par che sbarelli<br />
come il vagon fa prima che deraglia.<br />
Riconobbi Fabrizio del Martelli<br />
mi disse: «Sono fòr d'allenamento,<br />
tant'anni son da quando erimo snelli»!<br />
Poi cadde a terra senza far lamento,<br />
io per soccorso lesto m'avvicino,<br />
rumor mi mise i sensi sull'attento.<br />
M'apparve il fulvo baffo di Baino,<br />
che mi scrutava in modo molto losco,<br />
mi sussurrò venendomi vicino:<br />
«Di pedalare un modo sol conosco,<br />
le nostre strade s’incrociaron mai,<br />
voi da riviera, noi siamo da bosco»! 72<br />
71 Mountan bike.<br />
72 L’incontro è sorprendente: i tre valenti bikers di San Giovanni si manifestano rumorosamente davanti<br />
ad uno sbigottito poeta. Gano, Fabrizio e Baino i loro nomi, si avvicinano e salutano garbatamente<br />
prima di ripartire ed essere inghiottiti dall’infernal foresta insieme ai loro fangosi e<br />
rumorosi ferri da sterro.
Il còr mi disse d’evitare guai,<br />
con mano ferma l’inforcai la bici<br />
e con gran balzo in sella rimontai.<br />
Li vidi avvicinar coi lor cìlici<br />
nove ciclisti, sciolta avéan la briglia<br />
venire avanti e a me mostrarsi amici.<br />
Compatta m’apparì quella squadriglia<br />
d’òmini e donne duri come roccia,<br />
mi disser: «Corso abbiam le mille miglia<br />
e di sudor vedrai manco ‘na goccia!<br />
Mi riconosci? Sono lo Traviante,<br />
tengo tizzon che da lo culo sboccia»...<br />
Un’altra coppia mi chiamò distante<br />
«Siamo i randagi Furio ed il Bardelli!<br />
che mille miglia ci sembrò bastante».<br />
Indi arrivaron qui leggiadri e snelli<br />
Milko da Rapolan con la sua Susy<br />
nel pedalar sembravami i più belli.<br />
Poi tra la nebbia vidi sì confusi<br />
intrepidi arrivar Bona e Morini,<br />
lor di stanchezza m’apparivan fusi.<br />
In fondo quindi, insiem come sposini<br />
tagliarono il traguardo i due emiliani<br />
ch'amavan pedalar sempre vicini.<br />
Poscia pensai tra me pensieri arcani:<br />
«Se han fatto millemiglia per l’Italia<br />
questi mi sembran tutto men che sani...» 73<br />
73 Il poeta inforca la bici e riparte, ma vede sbucare nove ciclisti dall’aspetto dimesso. Sono i reduci<br />
della Milleunomiglia, massacrante maratona ciclistica che attraversa mezza Italia. Qualcuno vorrebbe<br />
dormire, qualcun altro mangia un cosciotto di pollo, altri cercano disperatamente una pompa.<br />
Da osservatore neutrale egli li scruta, parla loro, ed infine, pur non essendo giudice, si sente di<br />
esprimere un onesto giudizio su di essi.
Mentre fuggìo bramando cercà balia<br />
tra i monti riarsi dai lapilli accesi,<br />
udii 'na voce che il mio còre ammalia:<br />
chi di mai fusse a lo dimonio chiesi,<br />
dovéo saper chi mai lì mi chiamasse<br />
che per saperlo in cerchia sua discesi.<br />
Lo diavolo col corno si ritrasse,<br />
s'avvicinò co lo puntuto artiglio,<br />
spostando a lato putride carcasse.<br />
Ero cosciente de lo gran periglio,<br />
più forte ancor però la bramosìa<br />
saper donde sortìa cotal bisbiglio.<br />
Senza mostrar timor né ritrosìa<br />
lui m'indicò col dito medio alzato<br />
dell'infernal viaggio l'Agenzia.<br />
Seduta sullo scranno, là di lato<br />
col fòco che la pelle sua rischiara,<br />
da sua beltà rischiai finì cecato,<br />
splendente si mostrò la bella Sara,<br />
corpo leggero, sì leggiadro e snello<br />
com'è 'l ciclista vittorioso in gara.<br />
Mi fé: «Al giudizio del Signore appello,<br />
mai più la bici, men che men l’amore,<br />
costretta a rifà i letti del Rossello,<br />
e poscia condannata dal Signore,<br />
ai bullettai che déan pagar lo fìo,<br />
a fà 'l biglietto mano a man che mòre». 74<br />
74 Una voce dolcissima fa sobbalzare il poeta degli inferi. Vuol conoscere a chi appartiene, chiede<br />
informazioni ad un demone di passaggio. Questi gli indica una grotta che funge da Agenzia di<br />
Viaggi per l’aldilà. <strong>La</strong> ragazza seduta alla scrivania è di una beltà inarrivabile, e con un corpo da<br />
atleta. Sara si sfoga, triste pena le ha riservato la sorte: lei vuole solo correre in bicicletta, invece<br />
è costretta a rassettare i letti e fare il biglietto ai bullettai che vanno all’inferno.
Veloce me ne andai guardando indrio,<br />
ma limpido chiaror schiarì la strada,<br />
alzai lo sguardo e in alto veddi Dio.<br />
Coll'angelo dall'infocata spada<br />
mostraromi la rotta pel ritorno<br />
che come entrai, or giusto è che io vada.<br />
Guardommi co’ lo sguardo tutt'intorno<br />
d'ignudi corpi colsi le tregende,<br />
dei fieri amanti ve' spuntar lo corno.<br />
«L'amor che ansioso l'alba in bici attende<br />
l'amor che all'uno all'altro sia asservito<br />
è amor randagio, amor che 'l fio pretende»!!<br />
Sindachi i due, compagni di partito,<br />
insieme pedalar milion di miglia,<br />
la longa strada ha questo amor nutrito,<br />
senza sentir la gente che bisbiglia<br />
dietro alle spalle d'un amor furtivo<br />
sbocciato un giorno tra compari in griglia.<br />
Torbido amore, complice e lascivo<br />
come catena che li tiene avvinti,<br />
lenta in partenza e stretta nell'arrivo<br />
che tiene a bada lor bestiali istinti<br />
di dare sfogo allo bramar del sesso:<br />
sentirsi vivi, mai sentirsi vinti!<br />
Di salutarli poi mi fu concesso,<br />
forte l'abbraccio, tristo lo commiato,<br />
d’un altra Cerchia lo notai l'ingresso. 75<br />
75 Il poeta si avvicina all’uscita dell’Inferno, infatti gli par di vedere Dio guardando verso l’alto. Invece,<br />
guardando in basso, vede i corpi ignudi dei due randagi amanti (dei quali non siamo autorizzati<br />
a fare i nomi), che vivono serenamente il loro amore segreto, senza curarsi dei mormorii e<br />
delle malelingue, senza mai lasciarsi travolgere da carnali istinti. Un amore solido e pulito, il loro,<br />
nato pedalando, un amore che non si “spomperà” mai.
CANTO<br />
DECIMO
Il fòco mi faceva mancà ‘l fiato,<br />
caddi stremato a terra e apersi gli occhi,<br />
davanti a me sorgéa gran caseggiato<br />
donde mi trascinai con i ginocchi,<br />
vedendo grande porta si spalanca<br />
che 'l mio viaggio possa trovà sbocchi.<br />
Mi ritrovai dentro 'na stanza bianca<br />
ov'era scritto a sangue sopra i muri:<br />
«Qui ci so' tutti i <strong>Bulletta</strong>i che manca»!!<br />
L'ignavi ve' sfilar, loschi figuri,<br />
che con le loro man tenéasi mano,<br />
promiscui insieme peccatori e puri.<br />
Fiamme sputava in ciel dal deretano,<br />
la bocca mi mostrò priva di denti:<br />
«Pasquale son, dei bullettai decano,<br />
i segni dell'età non so' evidenti,<br />
ma la mia bici adesso è appesa al chiodo,<br />
sogni di gloria son sopiti e spenti».<br />
Dietro di lui v'era persona ammodo,<br />
spingendo l'ammiraglia par distrutto,<br />
colui che fu per noi prezioso approdo:<br />
«Vezio io son - mi disse - e farabutto<br />
colui che sempre ruba l'ammiraglia<br />
e il serbatoio lascia sempre asciutto»...<br />
Ancora indrio notai che un'accozzaglia<br />
veniva meco incontro da ponente<br />
sentii l'angoscia che lo còr tanaglia. 76<br />
76 L’uscita è vicina, ma ci sono ancora parecchi bullettai da incontrare. Una enorme casa compare<br />
all’orizzonte. Il poeta viaggiatore vi entra scoprendovi racchiusi gli Ignavi, coloro che mai commisero<br />
eccessi, nel bene o nel male, e per questo, diciamolo, il poeta aveva pochi spunti. I primi<br />
a comparire sono Pasquale e Vezio, il primo, scoraggiato, vuole smettere l’attività, l’altro è arrabbiato<br />
con coloro che sovente prendono l’ammiraglia dal suo garage.
Vidi le pene di sì tanta gente<br />
che nel castigo de le fiamme incorre<br />
torti nel corpo curvo e penitente.<br />
Vidi il Tuliani, vidi Marco Torre,<br />
e i Noferi a seguire, ancora insieme,<br />
costretti nel groppon portar zavorre<br />
e pedalar finché lo corpo geme,<br />
poi pianger de lo sdegno lo gran cruccio<br />
e del perdono la bramata speme.<br />
Con nera toga l'Avvocato Duccio<br />
col Codice Pedale tra le mane,<br />
accucciolato stava in un cantuccio<br />
ad arringar su le miserie umane,<br />
e dietro a loro in bici insieme fieri,<br />
sotto lo sforzo di fatica immane<br />
la Chini con il candido Ranieri,<br />
costretti a pedalare, peregrini,<br />
con il cignal di Bossi, il Falchi Vieri.<br />
Più in là mi salutò Paolo Morini,<br />
uomo del Monte, anch'egli borgomastro,<br />
seguito dall'Alcidi e dal Bellini<br />
che completavan questo gran disastro<br />
di corpi e membra ignude alla deriva<br />
l'uno sull'altro, come folle incastro.<br />
Il demone sui martiri infieriva<br />
mentre lontan poggiato a la parete<br />
ciclista con un altro conferiva. 77<br />
77 Proseguendo il poeta incontra altri <strong>Bulletta</strong>i Ignavi: sono veramente tanti ed è difficile vederli<br />
tutti. Il Tuliani e il Torre, il Panti, la Chini con Ranieri, il Morini, il Falchi, il Bellini e l’Alcidi<br />
sono tutti quanti insieme a scontare la pene per le proprie colpe.
«Io sono Franz, ciclista della rete 78 .<br />
donde la giusta dimensione trovo,<br />
moto e la bici son passioni inquiete<br />
che faticar le membra disapprovo,<br />
e insieme a me tu puoi vedere il Grilli<br />
che nel sembiante parmi uccel di rovo».<br />
Un altro mi sfilò, par che vacilli,<br />
era lo Scala, austero nel sembiante<br />
la tromba al suo passar fe' dieci squilli,<br />
s'accese in cielo fulmine accecante<br />
come saluto al fulgido Randagio<br />
che viva pietra porta in còr pulsante.<br />
Vidi una porta, orribile presagio,<br />
chiusa mi parve, allor vi toctoccai,<br />
e ciò che vidi crebbe il mio disagio.<br />
Il Bona 79 mi berciò: «Ehi, tu, giammai<br />
dovei varcar la soglia del portone<br />
donde stan quelli che un s'è visti mai»!<br />
Dinanzi a me passava a processione<br />
fila di genti trascinate a stento<br />
taluni in piedi ed altri a ginocchione.<br />
<strong>La</strong>zzizzera mi fe': «Non fò commento<br />
sulla mie tristi orrende punizioni,<br />
costretto star nel cerchio flatulento,<br />
in compagnia di Mario lo Stopponi,<br />
ed altri condannati al fòco eterno<br />
come il Gambini, ed anche il Meniconi». 80<br />
78 Francesco, colui che si occupa della gestione del sito web.<br />
79 Trattasi di tal Silvano da Pontedera, valente randagio “borderline” proveniente dai margini delle<br />
zone civilizzate.<br />
80 Prima incontra il Grilli, poi Massimo da Pietraviva, seguito da <strong>La</strong>zzizzera, quindi lo Stopponi, il<br />
Meniconi e il Gambini.
CANTO<br />
UNDECIMO
Dietro mi volsi e vidi un altro terno<br />
non seppi trattener rabbia e disgusti,<br />
che m'arringaron con parol di scherno:<br />
«Io son Viola, ma per tutti Brusty, 81<br />
viola son nel nome e nelle membra<br />
viola son nei visceri combusti,<br />
co lo dimonio che lo corpo smembra<br />
e i miei compagni che d'orror son paghi.<br />
Ciclisti fummo, anche se non sembra».<br />
Alla mia destra puoi vedere il Draghi<br />
co’ la barba infocata dal dimonio<br />
e l'altro lì accucciato, par che caghi,<br />
è il <strong>La</strong>schi, io giuro e Dio m'è testimonio<br />
dentro le fiamme per tenerle accese<br />
butta le bici in nobile carbonio».<br />
Piansero gli occhi, che all'orror m'arrese,<br />
curvo voltai le spalle al trio meschino,<br />
lento m'avventurai su vie scoscese.<br />
Passarmi vidi un'ombra da vicino<br />
lesta e furtiva come chi s'imbosca,<br />
mi chiesi chi mai fusse quel tapino.<br />
Chiaror l'illuminò, era D'Abrosca<br />
pedalator possente e affatto domo,<br />
posso giurar, sebben non lo cognosca.<br />
Poi mi sentii chiamar con voce d'òmo<br />
voltai sospetto pe' evitar tranelli<br />
vidi il ciclista e vidi il gentiluomo.<br />
81 Massimiliano “Brusty” Viola, da poco bullettaio, ma già molto conosciuto e apprezzato.<br />
Insieme a lui il Draghi, il <strong>La</strong>schi e D’Abrosca a completare uno splendido e molto competitivo<br />
quartetto.
«Fui del Bozzon, nomato Ceccarelli<br />
adesso nell'inferno condannato<br />
alle caldaie, ai forni ed ai fornelli».<br />
Poi d'altra voce mi sentii chiamato,<br />
gridai: «Chi sei, partecipe ai destini,<br />
che in questo canto vo' testè cantato»?<br />
Risposemi: «Vincenzo, il Piccinini<br />
non più ragazzo sono, albino è il crine,<br />
sebbene bici con amor m'ostini,<br />
poiché all’eterno non esiste fine<br />
senza tempo potei, posso e potrò<br />
andar senza principio e senza fine».<br />
Eco gli fe’ una voce d'oltrepò<br />
che al mio capir mi parve alquanto estrania,<br />
Mi disse: «Son Vincenzo il Viganò<br />
che per passion che il còre mi dilania<br />
vengo donde c'è Bossi e la sua lega<br />
la capital del regno di Padania»!<br />
Poi Rosolino urlò: «Poco mi frega,<br />
neanch'io son bullettin comunitario,<br />
ma la <strong>Bulletta</strong> non divide, aggrega»!<br />
Poi un altro ve' passar, bastian contrario,<br />
con fiamme che dal cul sortono fòra<br />
avvolto dentro un candido sudario,<br />
il Toniaccin tornava a sua dimora<br />
ed a lui insieme, dal destino affini<br />
un altro gran ciclista vidi ancora. 82<br />
82 Il poeta incontra Vincenzo, dal bianco capello ma animato da giovanile verve, seguito da Viganò,<br />
extracomunitario dalla Padania e da Rosolino, extracomunitario dalla parte opposta dell’Italia,<br />
fratelli uniti sotto la badiera della <strong>Bulletta</strong>. Dietro di loro in Toniaccini, con le fiamme che<br />
gli escono da dietro.
Giù nella nebbia c'era il Biancolini,<br />
molto pignol nei modi e nelle vesti,<br />
disse voléa trovar nuovi confini<br />
che molto stretti gli paréan codesti,<br />
ma quando fu lì pronto a prende 'l volo<br />
voce gli disse: «Tu qui sei, qui resti»!<br />
Eco gli fece il Semboloni Ciolo:<br />
«Io che fui forte ciclo amatoriale,<br />
adesso son costretto a correr solo<br />
che vinco sempre, ma così non vale!<br />
Senza Rossello, Stocco o chi tu creda<br />
alzo la coppa, ma ci resto male».<br />
Lì di vicino mi passò Spineda<br />
costretto anch'egli a vita d'emigrante<br />
«Fui cacciator, m'adesso sono preda,<br />
e vivo in una landa ohimè distante<br />
anche se la <strong>Bulletta</strong> drento al petto<br />
la porto della vita in ogni istante».<br />
Sentii nell'aere odore d'architetto,<br />
Certo il Mazzin, altro che sia non pòle,<br />
giusto il gastigo d'essere costretto<br />
a progettar mai più quel che lui vòle,<br />
ma pel maligno l'antro e la caverna<br />
non più palazzi e dentro il còr li dòle.<br />
Lontan da me chiarore di lanterna<br />
discerner non potéo tra l'abomìni<br />
poi bullettai ne vidi n'a quaterna: 83<br />
83 Altri quattro dannati ciclisti si parano davanti al nostro eroe: Il Biancolini, sempre molto pignolo,<br />
e Semboloni Luca, costretto a correre le gare amatoriali da solo. Spineda, che vive lontano, ha ancora<br />
l’azzurro nel cuore, e poi il l’Architetto Mazzini, condannato a costruire antri e grotte per i<br />
demoni.
v'era il Chiarelli, v'era anche il Butini<br />
seduti in posizione di riposo,<br />
e un giovane con lor, era Faustini,<br />
ed il Bonechi, non quello famoso. 84<br />
Per quanto còre mio brami sperare,<br />
null’altro vidi e più narrar non oso!<br />
Ciccioni era già lì per caricare<br />
la bici sul casson, lo congedai:<br />
in bici venni, in bici ho da tornare!<br />
Al Padreterno infin mi confessai,<br />
venia e perdon chiesi mi sian concessi<br />
prìa di partir, con tutti mi scusai:<br />
«Se da lo fondo del mio còr potessi<br />
aver di voi la giusta dimensione<br />
e di ciascun cognoscerli l'eccessi,<br />
di tutti avrei miglior collocazione,<br />
nessun però d'offendere m'è parso<br />
perciò vi lascio e parto pel Bozzone»!<br />
Vidi l'uscita dell'Averno riarso,<br />
giunto alla porta indietro mi voltai<br />
per scomparir, così com'ero apparso.<br />
Per ore ed ore in bici pedalai,<br />
sentivo il sol baciarmi la mia pelle<br />
mai più tornar, nello mio còr giurai,<br />
sempre il mio ciel dovrà brillar di stelle. 85<br />
84 Il Bonechi meno famoso, ma più forte in bici: Gianfranco.<br />
85 Nessun altro bullettaio appare all’orizzonte. Tutti sono sfilati davanti al poeta raccontandogli le<br />
proprie colpe e le proprie pene. Le porte dell’Inferno si aprono davanti a lui. Uno sguardo indietro<br />
a salutare i meschini, e una parola di scuse per tutti: «Io non conosco così bene ciascuno di voi<br />
da avere la pretesa di collocarvi nel giusto loco, ma vi porgo ampie scuse se qualcuno sconta una<br />
pena non consona, o peggio ancora, è finito per imperdonabile dimenticanza fuori da queste pagine».<br />
L’avventura è finita, un ultimo cenno di saluto e il poeta varca la porta che immediatamente<br />
si richiude alle sue spalle. Il calore del sole infonde nuove energie al nostro eroe, che, inforcata la<br />
bici pedala, per ore ed ore, con rinnovato entusiasmo. Ma i giorni vissuti tra i dannati fanno riflettere<br />
sulla provvisorietà della nostra condizione, viviamo quindi al meglio il nostro tempo e pedaliamo<br />
sempre, senza fermarci mai, sotto il sole del giorno e le stelle della notte.
INDICE<br />
“DE LI BULLETTAI CONDANNATI DALLO DIAVOLO<br />
A SCONTAR DELL’INFERNO LE PIU’ PEGGIO PENE”<br />
CANTO I<br />
Traviante I (la pena) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13<br />
Brocci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14<br />
Bricco. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15<br />
Manu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16<br />
CANTO II<br />
Rossello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18<br />
Serena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19<br />
Furio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20<br />
Braccio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21<br />
Gatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22<br />
CANTO III<br />
Bardelli (limbo dei non battezzati). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24<br />
Sòla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25<br />
Direttore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26<br />
Duccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27<br />
Valeria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28<br />
CANTO IV<br />
Zolfo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30<br />
I Piccini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31<br />
Rettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32<br />
Angela e Stefano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33<br />
CANTO V<br />
Nando e Lillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36<br />
Mireno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37<br />
Traviante II (la carriera) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38<br />
Tiziana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40<br />
CANTO VI<br />
Marinangeli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42<br />
Scucca (bolgia dei trombai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43<br />
Giannetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44<br />
Posarelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45<br />
Suzie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
CANTO VII<br />
Milko . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48<br />
Mingo & Stocco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49<br />
Burroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50<br />
Medardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51<br />
Mucciarini (bolgia dei Traditori). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52<br />
CANTO VIII<br />
Bartoloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54<br />
Tasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55<br />
Traviante III (la caduta). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56<br />
Riccò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57<br />
<strong>La</strong> Gigia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58<br />
CANTO IX<br />
Ottone & Ottino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60<br />
Stagnola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61<br />
Gatta, Luigina, Mimma, Rita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62<br />
I Bikers del Bozzone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63<br />
Traviante III (Quelli della 1001 Miglia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64<br />
Sara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65<br />
Traviante IV “gli amanti” (bolgia dei Sodomiti). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66<br />
CANTO X (Cerchia degli Ignavi)<br />
Pasquale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68<br />
Vezio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68<br />
Tuliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Torre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
I Noferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Avv. Panti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Antonella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Ranieri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Vieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Morini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Alcidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Bellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69<br />
Franz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Grilli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Scala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Bona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
<strong>La</strong>zzizzera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
Stopponi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Gambini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Meniconi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
Brusty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72<br />
Draghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72<br />
<strong>La</strong>schi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72<br />
D’Abrosca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72<br />
CANTO XI (Cerchia degli Ignavi)<br />
Ceccarelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Piccinini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Viganò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Rosolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Toniaccini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Biancolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74<br />
Ciolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74<br />
Spineda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74<br />
Mazzini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74<br />
Chiarelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75<br />
Butini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75<br />
Faustini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75<br />
Bonechi G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75<br />
Ciccioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
Questo volune è stato stampato da<br />
Meini Grafica srl<br />
Siena<br />
nel mese di febbraio 2011