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Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia

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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />

chiudere la trattazione dei rapporti <strong>di</strong> etica e politica senza ricordarne un celebre, ed ancor<br />

significativo (comunque lo si rielabori oggi) episo<strong>di</strong>o teorico, affidato allo scritto Politik als<br />

Beruf (Politica come professione/vocazione - questa sarebbe la traduzione esatta) che Max<br />

Weber compose nel 1918, alla fine della Grande Guerra. Si tratta dell'ammissione da parte <strong>di</strong><br />

Weber (che i realisti considerano un loro padre spirituale) che il vero uomo politico, lungi dal<br />

poter fare a meno <strong>di</strong> qualsiasi considerazione etica, <strong>di</strong> qualsiasi riflessione sull'orientamento del<br />

proprio agire, deve nutrirsi <strong>di</strong> due etiche concorrenti, eppure in<strong>di</strong>ssolubilmente legate; è il<br />

mezzo specificamente politico della violenza a dare risalto al problema etico nella politica. La<br />

Gesinnungsethik (etica della convinzione intima) ha dalla sua che anche la politica non si fa<br />

solo con il cervello, come <strong>di</strong>ce Weber, cioè con il mero calcolo strategico, e che una fede<br />

sincera nella propria causa impe<strong>di</strong>sce alla politica, che per Weber è questione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> scelte<br />

(siamo in anni <strong>di</strong> guerre e rivoluzioni), <strong>di</strong> ridursi ad opportunismo prudenziale tutto de<strong>di</strong>to al<br />

culto del potere. Ma tale etica sconfina facilmente nell'utopia millenaristica, e soprattutto nella<br />

copertura offerta sia a mezzi altrimenti ingiustificabili, sia a vantaggi incontrollati <strong>di</strong> cui il<br />

Gesinnungspolitiker ed i suoi seguaci vanno a godere, se riescono ad affermarsi, sotto il manto<br />

delle loro alte convinzioni. Perciò si possono far valere in politica le proprie convinzioni,<br />

sostiene Weber, solo se si considerano quali saranno o sono state le conseguenze del proprio<br />

agire e ci se ne assume la responsabilità, anziché scaricarla sulla nequizia od immaturità del<br />

genere umano o dei propri concitta<strong>di</strong>ni. Con il nostro linguaggio, potremmo <strong>di</strong>re che un<br />

approccio normativo, e specialmente deontologico, ai problemi etici, alle gran<strong>di</strong> e talora<br />

tragiche scelte che si pongono in politica, è giustificabile solo se si è in grado <strong>di</strong> sostenerne le<br />

conseguenze, commisurando mezzi e fini, intenzioni ed effetti controintenzionali o - come si<br />

<strong>di</strong>ce - perversi (non si tratta <strong>di</strong> consequenzialismo morale, che è una delle etiche normative e<br />

per il quale pure si porrebbero problemi <strong>di</strong> `etica della convinzione').<br />

Il nesso fra le due etiche <strong>di</strong>venta questione drammatica quando i convincimenti intimi non<br />

verificati dall’intelligenza politica e dalla sapienza storica si pongono in contrasto irrefrenabile<br />

con la realtà e cercano <strong>di</strong> spezzare l’impasse sia ricorrendo al <strong>di</strong>sprezzo per la realtà e per i suoi<br />

abitatori, gli altri uomini, amici o avversari che siano, sia usando senza freni della violenza per<br />

<strong>di</strong>mostrare a se stessi e al proprio gruppo <strong>di</strong> esistere e <strong>di</strong> contare. Si produce allora una delle<br />

forme più perverse <strong>di</strong> quel fenomeno del fanatismo che è una patologia insieme della psicologia<br />

(in<strong>di</strong>viduale e <strong>di</strong> gruppo), della cultura e della politica, e che ha connotato buona parte della<br />

terribile storia del Novecento, ma si può considerare una costante o un elemento ricorrente<br />

nella storia. Lo ritroviamo oggi non solo nelle perversioni delle religioni, da Al Qaeda ai<br />

fanatici induisti e ai cristiani fondamentalisti (quasi solo americani) che uccidono i me<strong>di</strong>ci che<br />

praticano l’aborto; ma anche in quel terrorismo <strong>di</strong> matrice ideologica <strong>di</strong> cui si parla nel cap. 20.<br />

24. I <strong>di</strong>ritti<br />

Nel venire conclusivamente a parlare <strong>di</strong> tre gran<strong>di</strong> categorie come libertà, eguaglianza e<br />

giustizia, preferisco non partire da una definizione filosofica, bensì dal modo come la prima<br />

<strong>di</strong> esse si presenta nella vita politica moderna. In essa non ci imbattiamo invero ne `la' libertà,<br />

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