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Sant'Anna news, numero 39 - Scuola Superiore Sant'Anna

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Migrazioni del corpo e dello spirito:<br />

lavorare in Tanzania da migrante per i migranti<br />

di Francesca Sterzi*<br />

Quando si è un po’ nomadi<br />

dentro, quando non ci<br />

si sente a casa da nessuna<br />

parte e quindi un po’ dappertutto,<br />

l’idea di svolgere un tirocinio<br />

di cinque mesi in Tanzania sulle<br />

tematiche più rilevanti legate ai<br />

fenomeni migratori ha un sapore<br />

quasi autobiografico, l’approccio<br />

mentale è un po’ da “self discovery”.<br />

Ovviamente, anche per i più<br />

avventurosi, un periodo mediolungo<br />

in un Paese africano in solitaria<br />

pone diverse questioni di<br />

carattere sanitario, burocratico,<br />

economico, logistico. In questo<br />

senso, partivo avvantaggiata. Un<br />

precedente stage di quattro mesi<br />

presso l’Ambasciata d’Italia a Nairobi,<br />

Ufficio dell’Ambasciatore<br />

italiano presso il TransitionalFederal<br />

Government somalo, mi aveva<br />

già fornito qualche nozione di sopravvivenza<br />

pratica e, soprattutto,<br />

psicologica. Eppure, questa nuova<br />

esperienza sicuramente presentava<br />

qualche incognita, certo non<br />

irrilevante. A proposito, diffidate<br />

di chi afferma che non si provi alcun<br />

disagio nell’essere trapiantati<br />

in un posto dove si è chiaramente<br />

identificati come “lo straniero”: o<br />

non ha mai provato l’ebrezza, oppure<br />

è stato in un villaggio vacanze.<br />

Considerando le mie precedenti<br />

esperienze come stagista in due<br />

sedi diplomatiche (dopo Nairobi,<br />

è stata la volta della Rappresentanza<br />

Permanente d’Italia presso<br />

le Nazioni Unite a New York), e la<br />

mia convinzione che la diplomazia<br />

sia un po’ ovunque, non fosse<br />

che nella sua accezione di attività<br />

strettamente negoziale, la consapevolezza<br />

che avrei collaborato alla<br />

realizzazione concreta di un progetto<br />

mi poneva di fronte a molti<br />

quesiti, non da ultimo quello relativo<br />

all’efficacia di questo tipo di<br />

approccio. In secondo luogo, ben<br />

conscia del fatto che la diversità<br />

culturale abbia un forte impatto<br />

sui ritmi e sulle attitudini professionali,<br />

mi chiedevo come sarebbe<br />

stato passare dalla teoria alla pratica,<br />

ovvero a quali esiti avrebbe<br />

condotto il trovarmi a lavorare<br />

quotidianamente in un ambiente<br />

profondamente multiculturale.<br />

È, quindi, facile intuire il mio<br />

stato d’animo quel 5 settembre<br />

IOM assiste il ritorno volontario dei migranti etiopi entrati illegalmente in<br />

Tanzania”; sotto, i nuovi uffici a disposizione dei Dipartimenti di Polizia e<br />

Immigrazione costruiti e ristrutturati tramite IOM grazie al finanziamento<br />

del Governo del Giappone (Kilwa Masoko, Lindi Region)<br />

2011, quando (dopo aver condotto<br />

un sopralluogo qualche giorno<br />

prima per sincerarmi di reperire<br />

l’indirizzo) varcai il cancello della<br />

sede di IOM (International Organization<br />

for Migration) Tanzania<br />

a Dar es Salaam, vestita di tutto<br />

punto, con sommacuriosità degli<br />

onnipresenti addetti alla sicurezza.<br />

Meglio chiarire sin d’ora che, sebbene<br />

comprenda e condivida in<br />

parte certo lassismo nell’abbigliamento<br />

quando ci si trova in Africa,<br />

senza asfalto sulle strade e con<br />

40 gradi all’ombra, da parte mia<br />

ritengo che l’eleganza sia eleganza,<br />

ovunque ci si trovi. Filosofia<br />

che ho fieramente portato avanti<br />

per ben sei mesi. Insomma, sono<br />

Italiana in fin dei conti, non posso<br />

concedermi il lusso di sfatare uno<br />

dei pochi luoghi comuni positivi,<br />

universalmente validi e condivisi<br />

sul mio popolo, giusto?<br />

Fin da subito, le riflessioni e le<br />

supposizioni hanno lasciato il posto<br />

a molto, moltissimo impegno<br />

lavorativo. IOM infatti ha modalità<br />

d’azione molto concrete e ritmi<br />

intensi, soprattutto se comparata<br />

a varie Agenzie delle Nazioni<br />

Unite. Come previsto, fui destinata<br />

all’Irregular Migration Unit, pur<br />

essendo anche a disposizione per<br />

l’unità di Counter Human Trafficking.<br />

È opportuno chiarire che<br />

l’attenzione nei confronti del fenomeno<br />

dell’immigrazione illegale<br />

in tale contesto è dovuta al fatto<br />

che la legge tanzaniana la considera<br />

reato, punito con la detenzione,<br />

e al fatto che la Tanzania rappresenta<br />

sovente un punto di passaggio<br />

dei flussi migratori sud-sud che<br />

vedono il Sud Africa come destinazione<br />

finale.<br />

In aggiunta all’intuibile necessità<br />

di ambientarsi e orientarsi tra<br />

le varie procedure burocratiche,<br />

ho dovuto entrare a pieno regime<br />

nell’implementazione concreta di<br />

due progetti: “Comprehensive Humanitarian<br />

Assistance to Irregular<br />

Migrants in Tanzania: Special Attention<br />

to Children”, finanziato dal<br />

Governo del Giappone e il progetto<br />

“Building Capacity To Manage<br />

Irregular Migration Along The<br />

Tanzanian Borders With Kenya And<br />

Malawi: Focus On Smuggling Of<br />

Migrants And Human Trafficking”,<br />

finanziato dal Dipartimento di<br />

Stato. In sostanza, oltre all’imprescindibile<br />

necessità di capire la<br />

struttura e le basi anche teoriche<br />

dei progetti, da subito ho dovuto<br />

destreggiarmi tra fornitori, distributori,<br />

NGOs, ufficiali di polizia<br />

ed immigrazione. Chi più ne ha,<br />

più ne metta. Il primo progetto,<br />

rivolto alle quattro regioni della<br />

Tanzania dove si ha il maggior <strong>numero</strong><br />

di ingressi illegali (Mbeya,<br />

Mtwara, Lindi, Tanga), constava<br />

di quattro componenti: il rimpatrio<br />

volontario dei migranti etiopi<br />

entrati illegalmente in Tanzania<br />

come alternativa alla detenzione<br />

in attesa di giudizio; la costruzione<br />

o il miglioramento di immobili<br />

di proprietà del Ministero degli<br />

Interni (Dipartimenti di Polizia<br />

e Immigrazione); la donazione di<br />

sette imbarcazioni e undici veicoli<br />

per il pattugliamento delle frontiere;<br />

la donazione di beni selezionati<br />

a quelle NGO locali che<br />

avrebbero accettato di accogliere<br />

i bambini rinvenuti nei gruppi di<br />

migranti irregolari presso le proprie<br />

strutture, come alternativa<br />

plausibile alla detenzione, previo<br />

accordo scritto con le autorità di<br />

Polizia e del Dipartimento di Immigrazione.<br />

Il progetto è culminato<br />

in una cerimonia presso il Ministero<br />

degli Interni, svoltasi il 18<br />

gennaio 2012, durante la quale è<br />

stata formalizzata la donazione dei<br />

veicoli, alla presenza dell’Ambasciatore<br />

del Giappone, del Ministro<br />

degli Interni della Repubblica<br />

della Tanzania e di altre autorità<br />

sia nazionali che regionali. A<br />

conclusione del progetto, inoltre,<br />

è stata successivamente condotta<br />

una visita in due delle quattro<br />

regioni interessate al fine di inaugurare<br />

ufficialmente gli immobili<br />

costruiti o ristrutturati.<br />

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