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I messaggi dei Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI. La ... - Dedalo

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IL MESE DELLA PACE<br />

I <strong>messaggi</strong> <strong>dei</strong> <strong>Papi</strong>,<br />

<strong>da</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> a <strong>Benedetto</strong> X<strong>VI</strong>.<br />

<strong>La</strong> testimonianza di tante<br />

donne e uomini che hanno<br />

profeticamente indicato<br />

la via della non violenza.<br />

Le esperienze <strong>da</strong>l “basso”<br />

e alcune iniziative<br />

internazionali targate Ac


di Alberto Bobbio<br />

sotto i<br />

riflettori<br />

Ogni uomo<br />

è<br />

mio<br />

fratello<br />

Potrebbe essere un bell’esercizio <strong>da</strong> fare a<br />

casa, a scuola e in parrocchia. Prendere i<br />

titoli <strong>dei</strong> <strong>messaggi</strong> per la Giornata della<br />

pace <strong>dei</strong> <strong>Papi</strong> e costruirne un testo. Ne<br />

uscirà un testo di consiglio e speranza, un sussidiario<br />

facile di indicazioni forti e decise. Compie 40 anni<br />

questa Giornata voluta <strong>da</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> nel 1968, confermata<br />

<strong>da</strong> Giovanni <strong>Paolo</strong> II nel 1979 e mantenuta<br />

anche <strong>da</strong> <strong>Benedetto</strong> X<strong>VI</strong>. È un Giornata che viene<br />

posta sotto il sigillo della Madonna, Regina della<br />

pace. Infatti i Messaggi vengono promulgati l’8<br />

dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione,<br />

mentre la Giornata si celebra il 1 gennaio festa di<br />

Maria Madre di Dio. C’è un significato ben preciso in<br />

questa scelta, perché la pace è una conquista per la<br />

quale occorre qualche aiuto, oltre che un dono <strong>da</strong><br />

chiedere a chi si è caricato su di sé le sofferenze dell’umanità.<br />

<strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> era quel Montini che si era formato alla<br />

scuola del personalismo di Maritain e di Mounier,<br />

che aveva condotto gli universitari della Fuci durante<br />

gli anni perigliosi del fascismo e della ricostruzione<br />

Le parole della<br />

non violenza<br />

nei <strong>messaggi</strong><br />

degli ultimi<br />

Pontefici.<br />

Uno sguardo sul<br />

mondo ponendo<br />

al centro la<br />

promozione <strong>dei</strong><br />

diritti<br />

dell’uomo e la<br />

sua libertà<br />

post-bellica. Non aveva<br />

mai abbandonato l’elaborazione<br />

culturale anche<br />

durante gli anni di servizio<br />

alla Santa Sede e alla cattedra<br />

episcopale di Milano.<br />

E quando si trovò a gestire<br />

l’intuizione di Giovanni<br />

XXIII, cioè quel Concilio<br />

Vaticano II che cambierà il rapporto tra la Chiesa e il<br />

mondo, era evidente che un’attenzione particolare<br />

<strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> l’avrebbe messa sulla persona e sulle offese<br />

a essa. D’altra parte la Gaudium et spes al numero<br />

21 dice con chiarezza che la «Chiesa sa perfettamente<br />

che il suo <strong>messaggi</strong>o è in armonia con le<br />

aspirazioni più segrete del cuore umano, quando<br />

difende la causa della dignità della vocazione umana<br />

e così ridona speranza a quanti disperano ormai di<br />

un destino più alto». Significa esattamente ritenere<br />

che ogni offesa alla vita è una minaccia alla pace e<br />

che la minaccia alla pace è un’offesa a Dio e alla<br />

persona di Dio.<br />

^^<br />

Segno I 012007<br />

5


per la giustizia, difendi la vita, dì no alla violenza,<br />

cerca la riconciliazione, perché la pace è possibile,<br />

dipende anche <strong>da</strong> te trovare le “armi” della pace.<br />

Non c’è un filo di contraddizione e anche l’uso della<br />

parola “armi” non è fuori luogo. Assomiglia un po’<br />

all’idea della “buona battaglia”, che <strong>Paolo</strong> racconta<br />

a Timoteo, quando dice «ho combattuto la buona<br />

battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato<br />

la fede». <strong>La</strong> preoccupazione di <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> circa la conservazione<br />

delle fede personale nell’azione per la<br />

pace è una costante <strong>dei</strong> suoi <strong>messaggi</strong> e lo sarà<br />

anche con Giovanni <strong>Paolo</strong> II.<br />

<strong>La</strong> tentazione di scivolare verso forme di impegno<br />

solo concreto, verso analisi solo politiche, è sempre<br />

in agguato. Il movimento della pace invece deve<br />

rispettare l’uomo ed educare.Wojtyla lo dice nel suo<br />

primo <strong>messaggi</strong>o del 1979.Viene <strong>da</strong>ll’Est. Ha provato<br />

sulla sua pelle ciò che pochi hanno provato. Giovanni<br />

<strong>Paolo</strong> II introduce l’anno dopo la questione<br />

della “verità” come forza della pace, e poi della<br />

“libertà” come chiave di lettura. Ma non si occupa<br />

solo dell’est e delle persecuzioni. <strong>La</strong> libertà può<br />

essere invocata rispetto a molte forme di schiavitù,<br />

anche economiche, politiche, religiose. Ecco i messotto<br />

i<br />

riflettori<br />

L’immagine di uomo e di Dio è speculare. Il Dio <strong>dei</strong><br />

cristiani non è solo una Parola, non è un’immagine,<br />

non è vento e luce, ma è una Persona che ha camminato<br />

e ha parlato, ha indicato una via e ha narrato<br />

la fede. Se ripercorriamo i titoli <strong>dei</strong> <strong>messaggi</strong> di tre<br />

Pontefici si può notare che la preoccupazione di tutti<br />

è sempre la stessa: la Persona. <strong>La</strong> prima volta accade<br />

nel 1968 e la riflessione sulla pace è quella del<br />

Concilio appena concluso. Poi<br />

l’anno dopo subito si va al<br />

<strong>La</strong> preoccupazione di <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> circa cuore dell’analisi. Al centro, <strong>da</strong><br />

la conservazione delle fede qui in avanti, c’è la Persona.<br />

personale nell’azione per la pace è Nel 1968 si spiega che la «promozione<br />

<strong>dei</strong> diritti dell’uomo» è<br />

una costante <strong>dei</strong> suoi <strong>messaggi</strong> e lo<br />

sarà anche con Giovanni <strong>Paolo</strong> II il «cammino della pace». L’anno<br />

dopo educazione e riconciliazione.<br />

Nel 1971 <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> propone un’affermazione<br />

che sembra facile, ma non lo è: «Ogni uomo è mio<br />

fratello». Lo dice nel pieno della guerra fred<strong>da</strong> e di<br />

tante guerre calde nel pianeta, nel pieno delle lotte<br />

contro il razzismo, di elaborazioni ideologiche identitarie<br />

che nascono comunque contro altre. Appare<br />

un’affermazione naturale e non lo è. Da quell’anno<br />

<strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong> si rivolge agli uomini: se vuoi la pace, lavora<br />

Piccologlossario<br />

dipace<br />

di Massimo De Giuseppe<br />

Diritti umani. Alcuni <strong>dei</strong> grandi pacifisti del ’900<br />

hanno inserito la questione della costruzione di<br />

una cultura di pace nel più ampio discorso del<br />

rispetto e tutela <strong>dei</strong> diritti umani. Così è stato per il<br />

mahatma Gandhi in primis, la cui strategia della<br />

satyagraha, fon<strong>da</strong>ta sulla logica della disubbidienza<br />

civile e del rispetto per la vita altrui, riman<strong>da</strong>va<br />

alla necessità della costruzione di una cultura fon<strong>da</strong>ta<br />

sul diritto. Attraverso personaggi tra loro<br />

profon<strong>da</strong>mente diversi come Thomas Merton,<br />

François Houtart, Bertrand Russell, Linus Pauling,<br />

Norberto Bobbio, Giovanni <strong>La</strong>nza del Vasto, Aldo<br />

Capitini, don Primo Mazzolari, Igino Gior<strong>da</strong>ni e<br />

Giorgio <strong>La</strong> Pira, i temi gandhiani della connessione<br />

pace internazionale-disarmo-rispetto <strong>dei</strong> diritti<br />

umani sono stati in vario modo metabolizzati nella<br />

cultura occidentale e messi a confronto con la tradizione<br />

cristiana <strong>da</strong> un lato e del diritto civile e<br />

internazionale <strong>da</strong>ll’altro.<br />

Ecumenismo. Uno <strong>dei</strong> motori della spinta pacifista<br />

del ’900 riman<strong>da</strong> proprio alla valorizzazione<br />

della tradizione ecumenica. <strong>La</strong> scelta di molte reti<br />

pacifiste attive sul fronte del disarmo, della nonviolenza<br />

e dell’obiezione di coscienza, sviluppatesi<br />

in Europa tra le due guerre mondiali e poi cresciute<br />

negli anni della guerra fred<strong>da</strong> di costruire una<br />

collaborazione tra “diversi” si dimostrò infatti in<br />

più occasioni una ricetta vincente. Emblematica in<br />

tal senso resta l’esperienza del Movimento Internazionale<br />

per la riconciliazione (Mir), nato nel<br />

1919. In senso ecumenico si possono interpretare<br />

anche i ricorrenti richiami all’“albero di Isaia” (la<br />

radice comune delle tre religioni abramitiche, giu<strong>da</strong>ica,<br />

cristiana e islamica) fatti <strong>da</strong> uno <strong>dei</strong> più<br />

dinamici pacifisti cattolici italiani, Giorgio <strong>La</strong> Pira,<br />

nonché la storica apertura ai temi pacifisti della<br />

contemporaneità intrapresa <strong>da</strong> Giovanni XXIII con<br />

la Pacem in terris.<br />

Temi valorizzati anche nella teoria dell’“uomo planetario”<br />

di Ernesto Balducci e <strong>da</strong> riscoprire oggi, di<br />

fronte ai flirt pericolosi che i media suggeriscono<br />

non più con la logica della deterrenza Usa-Urss<br />

bensì con le più insinuanti e sottili tesi dello “scontro<br />

di civiltà”.<br />

Guerra giusta. Il dibattito sulla guerra giusta è<br />

stato un must del pensiero teologico cattolico nell’età<br />

moderna. Nel ’900 il dibattito si è dovuto ria<strong>da</strong>ttare<br />

ai caratteri della contemporaneità e della<br />

guerra industriale e totale, forgiatasi nei due conflitti<br />

mondiali. Il dibattito non è però in realtà mai<br />

morto ma è rimasto a lungo sotto traccia per la<br />

sua intrinseca scomodità. <strong>La</strong> diatriba intorno alla<br />

guerra giusta è poi riemersa in pieno negli anni del<br />

bipolarismo, della guerra fred<strong>da</strong> e del “crinale<br />

6 Segno I 012007


saggi su Est-Ovest, ma<br />

anche Nord-Sud (1986)<br />

sullo sviluppo, sulla<br />

libertà religiosa e il<br />

rispetto delle minoranze,<br />

sul rispetto della<br />

coscienza di ogni uomo,<br />

sull’unità <strong>dei</strong> credenti di<br />

ogni religione per arrivare<br />

alla pace, sul dialogo<br />

tra le culture.<br />

C’è tutto il Vangelo nei<br />

C’è tutto il Vangelo<br />

nei <strong>messaggi</strong> di<br />

Wojtyla. Ne scrive<br />

27 dicendo in<br />

pratica che la pace è<br />

una conquista<br />

collettiva delle<br />

nazioni, ma anche<br />

una responsabilità<br />

personale.<br />

<strong>messaggi</strong> di Wojtyla. Ne scrive 27 dicendo in pratica<br />

che la pace è una conquista collettiva delle nazioni,<br />

ma anche una responsabilità personale. Anzi, se<br />

manca la secon<strong>da</strong>, la pace non regge. Ecco perché<br />

nessuno è esente <strong>da</strong>ll’impegno per la pace. <strong>La</strong> pace<br />

è una necessità permanente e non va invocata solo<br />

quando vi sono guerre “guerreggiate”. Wojtyla si è<br />

trovato solo nel 1991 al tempo della prima guerra<br />

del Golfo. Solo contro tutto il mondo, perché allora<br />

non c’era la “coalizione <strong>dei</strong> volonterosi” gui<strong>da</strong>ta <strong>da</strong>l<br />

condottiero a stelle e strisce e formata <strong>da</strong>i suoi fedeli<br />

scudieri. C’era l’Onu contro Sad<strong>da</strong>m, che il Papa e<br />

sotto i<br />

riflettori<br />

apocalittico”, passando attraverso le critiche<br />

coraggiose di alcuni cattolici isolati (si pensi all’effetto<br />

dirompente del mazzolariano Tu non uccidere,<br />

uscito anonimo nel 1955), messi alle strette<br />

<strong>da</strong>lla difesa del principio svolta <strong>da</strong> padre Messineo<br />

sull’autorevole <strong>La</strong> Civiltà cattolica. Ci è voluta poi<br />

la stagione conciliare per la costruzione di un<br />

dibattito articolato e sofferto (lo scontro di don<br />

Milani con i cappellani militari) che ha però permesso<br />

di ridefinire significativamente nell’immaginario<br />

cattolico i termini e limiti della liceità della<br />

guerra.<br />

Marce per la pace. A partire <strong>da</strong>lla fine degli anni<br />

’50 divennero uno <strong>dei</strong> più dinamici e interessanti<br />

canali di mobilitazione pacifista popolare,<br />

nonché forma di partecipazione civile alla politica<br />

internazionale. Il prototipo di marcia della<br />

pace fu quello Londra-Aldermaston nella<br />

Pasqua del 1958. Molti osservatori definirono<br />

quell’evento la prima manifestazione di massa<br />

pacifista dell’era atomica, segnale di una penetrazione<br />

della paura nucleare nell’immaginario<br />

collettivo ma anche di un significativo dinamismo<br />

delle forme di mobilitazione civile. A quella<br />

marcia ne seguirono altre, a cominciare <strong>da</strong>lle<br />

Marce contro la morte atomica tedesche per<br />

arrivare alle mobilitazioni di Pax Christi in Francia<br />

e di una galassia pacifista che negli anni<br />

successivi si sarebbe fatta sempre più composita<br />

e articolata. <strong>La</strong> Prima marcia della pace italiana,<br />

la Perugia-Assisi, fu organizzata <strong>da</strong> Aldo<br />

Capitini nell’autunno del 1961, e nonostante<br />

una partecipazione ancora limitata segnò un<br />

primo tentativo di svincolarsi <strong>da</strong>l controllo partitico<br />

<strong>dei</strong> movimenti pacifisti. Da allora le marce<br />

sono divenuto un canale cruciale della mobilitazione<br />

civile, come dimostra l’impressionante<br />

mobilitazione che ha toccato le principali piazze<br />

del mondo (<strong>da</strong> Madrid a Città del Messico, <strong>da</strong><br />

Roma a Londra) in occasione della guerra preventiva<br />

in Iraq.<br />

Multilateralismo. Fin <strong>da</strong>lla Conferenza dell’Aja del<br />

1907 e <strong>da</strong>lla creazione della Società delle Nazioni<br />

nel 1918, la comunità internazionale ha collegato<br />

la questione del mantenimento della pace e del<br />

controllo degli armamenti al necessario consoli<strong>da</strong>mento<br />

di una cultura politica multilaterale. I faticosi<br />

progressi del diritto internazionale nel corso<br />

del XX secolo sono legati indubbiamente a questo<br />

processo, pur in presenza di forti e a volte drammatici<br />

paradossi (la crescita percentuale costante<br />

di morti civili nelle guerre). <strong>La</strong> nascita delle Nazioni<br />

Unite alla fine della secon<strong>da</strong> guerra mondiale ha<br />

segnato un importante passo in avanti ma ha<br />

dovuto subire per una lunga stagione le limitazioni<br />

imposte <strong>da</strong>lla guerra fred<strong>da</strong>, con il suo portato culturale,<br />

militare e strategico. L’europeismo e altri<br />

difficili processi d’integrazione, insieme all’azione<br />

di alcune agenzie Onu (Undp e Unesco su tutte)<br />

hanno comunque contribuito a valorizzare l’idea di<br />

una cultura multilaterale di pace. Paradossalmente<br />

negli anni ’90 il multilateralismo ha faticato a^^<br />

Segno I 012007<br />

7


sotto i<br />

riflettori<br />

la Santa Sede criticano duramente perché, scrisse la<br />

Civiltà Cattolica, si è lasciato «trascinare nella logica<br />

della guerra». Mai Wojtyla, nemmeno per la Polonia,<br />

interviene con tanta insistenza come sulla guerra del<br />

Golfo. Ed è lui a usare la frase più radicale e coerentemente<br />

ispirata al Vangelo che mai fino ad allora un<br />

Papa aveva usato, parlando di «assoluta prescrizione<br />

della guerra» al Corpo diplomatico accreditato in<br />

Vaticano. Ma non lo ascoltano e fanno la guerra.<br />

Sono nazioni diverse, dove la religione ha un posto,<br />

ma i credenti sembravano essere in difficoltà e alcuni<br />

avevano addirittura giustificato la guerra. Lui,<br />

l’anno dopo, rilancia: «I credenti uniti nella costruzione<br />

della pace». L’ultimo <strong>messaggi</strong>o di Wojtyla è<br />

insieme un’invocazione e un’invettiva: «Non lasciarti<br />

vincere <strong>da</strong>l male, ma vinci il male con il bene».<br />

<strong>Benedetto</strong> X<strong>VI</strong> conferma le intuizioni <strong>dei</strong> suoi predecessori<br />

e nel suo primo <strong>messaggi</strong>o mette in relazione<br />

pace e verità, cioè riferita a un ordine superiore.<br />

Ma sbaglia chi crede che il Papa teologo sia venuto<br />

per attenuare il significato anche geopolitico di quel<br />

Messaggio, perché verità vuol dire giustizia, perdono<br />

e amore. ■g<br />

Il <strong>messaggi</strong>o 2007.<br />

Difendere la persona<br />

umana e i suoi diritti<br />

«Rispettando la persona si promuove la pace, e<br />

costruendo la pace si pongono le premesse per<br />

un autentico umanesimo integrale. È così che si<br />

prepara un futuro sereno per le nuove generazioni».<br />

Così <strong>Benedetto</strong> X<strong>VI</strong> nel <strong>messaggi</strong>o per la<br />

Giornata mondiale della pace 2007, che ha per<br />

tema Persona umana, cuore della pace. Nel <strong>messaggi</strong>o,<br />

reso noto il 12 dicembre, il Papa tratta<br />

vari aspetti: la persona umana e la pace: dono e<br />

compito; il diritto alla vita e alla libertà religiosa;<br />

l’uguaglianza di natura di tutte le persone;<br />

l’ecologia della pace; visioni riduttive dell’uomo;<br />

diritti umani e organizzazioni internazionali;<br />

diritto internazionale umanitario e diritto<br />

interno degli Stati; la Chiesa a tutela della trascendenza<br />

della persona umana. «Ogni cristiano<br />

– ha scritto Ratzinger nel <strong>messaggi</strong>o – si senta<br />

impegnato a essere infaticabile operatore di<br />

pace e strenuo difensore della dignità della persona<br />

umana e <strong>dei</strong> suoi inalienabili diritti». Di<br />

qui l’invito affinché «non venga mai meno il<br />

contributo di ogni credente alla promozione di<br />

un vero umanesimo integrale secondo gli insegnamenti<br />

delle lettere encicliche Popolorum<br />

progressio e Sollecitudo rei socialis, delle quali<br />

ci apprestiamo a celebrare proprio quest’anno il<br />

40° e il 20° anniversario».<br />

imporsi, nonostante la sperimentazione (molte<br />

volte fallimentare) di missioni di peace-keeping,<br />

rapido intervento e stabilizzazione. Torna alla<br />

mente la proposta di alcuni pacifisti degli anni ’50<br />

della necessità e urgenza di costruire un multilateralismo<br />

“<strong>da</strong>l basso”, una “Onu integrale” o “<strong>dei</strong><br />

popoli”, investendo sulla cultura, sull’educazione,<br />

sulla conoscenza, sulla ridefinizione del rapporto<br />

locale-globale e sul rispetto tra “diversi” come<br />

presupposti di una costruzione di pace che si<br />

rifletta anche negli istituti sovranazionali.<br />

Nonviolenza. Il tema delicato della nonviolenza ha<br />

solcato in modo, spesso sotterraneo ma cruciale,<br />

la storia del pacifismo, in particolare nel contraddittorio<br />

XX secolo. Il pacifismo “combattivo”<br />

messo in mostra <strong>da</strong> personaggi di inizio secolo,<br />

come il dimenticato premio Nobel per la pace italiano<br />

Teodoro Moneta o <strong>da</strong>ll’internazionale socialista<br />

riunita in congresso a Zimmerwald alle soglie<br />

della prima guerra mondiale, sembra infatti assai<br />

lontano <strong>da</strong>l modello gandhiano. Questa dicotomia<br />

tra pacifisti “puri” e non, si sarebbe ritrovata negli<br />

anni della guerra fred<strong>da</strong>, solcando movimenti<br />

come i Partigiani della pace e in seguito anche<br />

diverse organizzazioni contro il disarmo, fino ad<br />

appro<strong>da</strong>re oggi nella complessità del movimento<br />

new global. <strong>La</strong> tradizione della nonviolenza ha faticato<br />

a imporsi anche in Italia, scontrandosi con il<br />

pacifismo istituzionale cattolico e delle sinistre. I<br />

due più famosi interpreti del pensiero gandhiano<br />

furono indubbiamente <strong>La</strong>nza del Vasto, fon<strong>da</strong>tore<br />

della comunità di Arché e protagonista di alcuni<br />

famosi digiuni e proteste per la fame, e Aldo Capitini,<br />

l’animatore <strong>dei</strong> circoli nonviolenti e delle<br />

scuole per la pace di Assisi. Sul fronte cattolico la<br />

costruzione di una cultura nonviolenta è stata fortemente<br />

condizionata <strong>da</strong>l dibattito sulla guerra<br />

giusta e <strong>da</strong>lla pervasività politica della guerra<br />

fred<strong>da</strong>, incarnata nella contrapposizione Dc-Pci.<br />

Ciononostante la maturazione di un dibattito sull’obiezione<br />

di coscienza ha prodotto effetti dirompenti<br />

in particolare nella stagione postconciliare,<br />

grazie alle aperture di Giovanni XXIII e alle iniziative<br />

<strong>dei</strong> vari <strong>La</strong> Pira, Milani e Balducci.<br />

Sviluppo. Sul fronte cattolico cruciale al riguardo è<br />

stata l’esperienza conciliare e la stagione <strong>dei</strong> pontificati<br />

di Giovanni XXIII e <strong>Paolo</strong> <strong>VI</strong>, <strong>da</strong>lla Pacem in<br />

terris alla Populorum progressio che hanno conciliato<br />

il tema della pace e della lotta alla fame alla<br />

grande questione della dottrina sociale della Chiesa.<br />

Il tema del nesso nonviolenza-giustizia sociale,<br />

incarnato nell’esperienza di personaggi come Helder<br />

Câmara, Oscar Romero, Desmond Tutu è al<br />

centro <strong>dei</strong> criteri di scelta anche di molti <strong>dei</strong> premi<br />

Nobel insigniti nell’ultimo ventennio, <strong>da</strong>lla maya<br />

Rigoberta Menchú al bengladese Mohamed<br />

Yunus. Questo sembra voler essere un segnale<br />

emblematico ai sostenitori delle visioni unilaterali,<br />

belliciste e schematizzanti, quanto mai essenziale<br />

in questa stagione segnata <strong>da</strong>lla violenza del terrorismo<br />

integralista e delle guerre preventive.<br />

8 Segno I 012007

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