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Georges Didi-Huberman La conoscenza accidentale. Apparizione e ...

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S&F_n. 9_2013<br />

secondario nella ricerca, una maniera di raccontare (o cercare di<br />

raccontare, di tradurre in parole) ciò che ha il suo senso<br />

soltanto nell’accidentalità, non già discorso sull’essere, ma sui<br />

suoi accidenti.<br />

Ma non si tratta soltanto di suggestioni raccolte da chi, storico<br />

dell’arte ed esperto di immagini come luogo della possibilità del<br />

pensiero, subisce il fascinans e il tremendum della visione e dei<br />

suoi usi molteplici. Non si tratta soltanto di suggestioni perché<br />

a tratti e disseminate appaiono alcune indicazioni di carattere<br />

teorico che non vanno sottovalutate. Nel saggio Un candore<br />

affascinante, trascrizione di un intervento tenuto a un convegno<br />

sulla presenza di Freud nella cultura francese, <strong>Didi</strong>‐<strong>Huberman</strong> si<br />

chiede se abbia senso parlare di un’“estetica freudiana”, al di là<br />

della troppo semplicistica considerazione secondo la quale Freud,<br />

nella cura dell’isteria prima e poi delle psicopatologie, avrebbe<br />

sostituito il vedere (tipico della clinica positivista di Charcot<br />

– Charcot stesso disegnava, cercava la forma) con l’ascoltare.<br />

Freud ha scritto un Leonardo, sintomo che la modalità di<br />

apparizione delle immagini nell’arte fosse degna di analisi almeno<br />

quanto quella delle immagini in sogno. E così sarebbe nata una<br />

scuola di estetica freudiana (in senso esplicito o implicito) che<br />

ritiene che l’analisi di un’opera d’arte debba muovere dal<br />

ritrovamento di quanti più dettagli è possibile per la<br />

determinazione del senso profondo di un’opera. Si tratta del<br />

problema del dettaglio, di quel dettaglio tanto cercato e che non<br />

riusciva a mostrare la potenza d’apparizione del fasmide. Secondo<br />

<strong>Didi</strong>‐<strong>Huberman</strong> c’è una sorta di sotterranea opposizione tra figura<br />

figurante che non raffigura ma prefigura – l’opera d’arte è<br />

naturalmente incompiuta e imperfetta perché la stessa materia<br />

della pittura non può produrre corpi realmente isolati, la materia<br />

unica mescola gli elementi della raffigurazione e la fa divenire<br />

virtuale – e figura figurata, il dettaglio il quale spesso non è<br />

che una costruzione dello storico dell’arte, vera e propria<br />

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