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FaENZa 18/19/20/21 NOVEMBRE 2 0 1 1 SpECIaLE ENOLOGICa

FaENZa 18/19/20/21 NOVEMBRE 2 0 1 1 SpECIaLE ENOLOGICa

FaENZa 18/19/20/21 NOVEMBRE 2 0 1 1 SpECIaLE ENOLOGICa

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a l l e g a t o a G a g a r i n o r b i t e c u l t u r a l i | A n n o 2 , n ° 1 1 |<br />

n o v e m b r e 2 0 1 1 | g a g a r i n - m a g a z i n e . i t | D i f f u s i o n e g r a t u i t a |<br />

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/<strong>20</strong>03 (conv. in L.27/02/<strong>20</strong>04 N.46) ART.1 comma 2 e 3 – CN/RA<br />

orbite culturali<br />

S P E C I A L E<br />

ENOLOGICA<br />

F A E N Z A<br />

<strong>18</strong>/<strong>19</strong>/<strong>20</strong>/<strong>21</strong><br />

N O V E M B R E<br />

2 0 1 1<br />

WWW.ENOLOGICA.ORG<br />

ALL’INTERNO<br />

IL PROGRAMMA<br />

COMPLETO DI<br />

ENOLOGICA <strong>20</strong>11<br />

CONTIENE: pane a LIEVITAZIONE NATURALE, CARLA aRADELLI, PIGNOLETTO, VINI BIOLOGICI, TARTUFO,<br />

SANGIOVESE AI CONFINI, CULAtELLO DI ZIBELLO, TIBERIO RABBONI, CANTINA DI SORBARA e MOLTO ALTRO...


i l S a n g i o v e S e<br />

i n R o m a g n a<br />

S e c o n d o n o i<br />

La Berta S.r.l. società agricola<br />

Via Berta,13 - 48013 Brisighella (Ravenna) ITALIA<br />

Tel. +39 0546 84998 Fax +39 0546 84854<br />

azienda@laberta.it www.poderelaberta.com<br />

S_SangSecNoi_IT_FiereFaenza_<strong>20</strong>1110.indd 1 17-10-<strong>20</strong>11 16:06:<strong>21</strong>


In copertina: Sophia Loren nel film La donna del fiume di Mario Soldati, <strong>19</strong>55<br />

Immagine per gentile concessione Diateca agricoltura della Regione Emilia-Romagna*<br />

Riproduzione di Fabrizio dell’Aquila<br />

due parole<br />

allegato a n.11/11<br />

SPECIALE ENOLOGICA<br />

Novembre <strong>20</strong>11<br />

HANNO COLLABORATO:<br />

Giorgio Melandri<br />

Alessandro Ancarani<br />

Roberto Pozzi<br />

Carlo Bozzo<br />

Alessandro Bocchetti<br />

Filippo Apollinari<br />

Alessandro Rossi<br />

Marco Tonelli<br />

Carlo Catani<br />

Paolo Martini<br />

Alessandra Meldolesi<br />

Angela Anzalone<br />

Angelo Farina<br />

Simone Zoli<br />

Valentina Minguzzi<br />

Marco Boccaccini<br />

Alice Lombardi<br />

Pietro Piva<br />

Fabrizio dell’Aquila<br />

allegato a gagarin ©<br />

Mensile di cultura e società<br />

DIRETTORE<br />

RESPONSABILE:<br />

Stefania Mazzotti<br />

EDITORE:<br />

Associazione culturale Gonzo<br />

Viale IV Novembre, 50<br />

480<strong>18</strong> FAENZA (RA)<br />

DOMICILIO REDAZIONE:<br />

Via Galvani <strong>18</strong><br />

480<strong>18</strong> FAENZA (RA)<br />

Tel. 339.1228409<br />

gagarin-magazine.it<br />

gagarin@gagarin-magazine.it<br />

FOTOGRAFIE:<br />

Fabio Liverani<br />

Tiziano Neri<br />

Susanna Corniani<br />

Giorgio Melandri<br />

Archivio Enologica<br />

IMPIANTI:<br />

Litoservice S.R.L.<br />

via Giovanni Agnelli, 11<br />

4<strong>20</strong>16 GUASTALLA (RE)<br />

REGISTRAZIONE:<br />

Registrata presso<br />

il Tribunale di Ravenna<br />

n°1342 del 12-11-<strong>20</strong>09<br />

GRAFICA:<br />

Marilena Benini<br />

IMPAGINAZIONE:<br />

Alessandro Ancarani<br />

*Restiamo a disposizione degli aventi diritto alla immagine di cui non è stato<br />

possibile rintracciare il detentore del copyright<br />

Il futuro siamo noi. Benvenuti ad Enologica <strong>20</strong>11<br />

La nostalgia è una trappola terribile che scatta<br />

sull’unica vera certezza che la nostra identità del<br />

cibo ci consegna: innovazione e tradizione sono<br />

la stessa cosa. Se per un momento provate a far<br />

saltare il vincolo del presente e immaginate il tempo<br />

come uno spazio completamente praticabile vi<br />

accorgerete che la tradizione è la cosa più innovativa<br />

che abbiamo tra le mani, un processo che<br />

ha ogni volta digerito il nuovo per farlo diventare<br />

quello che siamo.<br />

È l’elaborazione del nuovo che segna la cultura, lo<br />

è stato per le lingue, per la musica, per l’arte e anche<br />

per la cucina. La nostra tavola è piena di cibi<br />

che sono arrivati da lontano. Tutto ha viaggiato<br />

e tutto è cambiato. L’Italia ha rielaborato il nuovo<br />

per inventare una cucina straordinaria. Ecco<br />

perché chiudersi non serve, chiudersi significa<br />

fermarsi. La nostra cultura sarà viva solo se noi<br />

sappiamo aprirci.<br />

Enologica è il presente di questa operazione,<br />

un crocevia di relazioni dentro al quale succede<br />

sempre qualcosa. La nostalgia non serve, è perdente.<br />

Preferiamo parlare di conoscenza, perché<br />

solo con la consapevolezza di quello che siamo<br />

potremo difendere la nostra identità e renderla<br />

moderna. Ad Enologica ci sono tutti gli attori che<br />

hanno una parte in commedia: i vignaioli, gli artigiani<br />

del cibo, i cuochi, i giornalisti, gli appassionati.<br />

Tutti partecipano al rito della rielaborazione.<br />

Questa comunità, e la sua capacità di trascinare<br />

la tradizione fuori dalla categoria della memoria<br />

per consegnarla al futuro, rende Enologica un<br />

evento unico in Regione, il laboratorio di libertà<br />

che parla in modo moderno di cose antiche e<br />

straordinarie.<br />

Ad Enologica si incrociano tante strade e il pubblico<br />

si trova nel punto dove la comunità del cibo<br />

celebra il rito della sua classicità che diventa attuale.<br />

Partecipare ad Enologica significa conoscere<br />

gli artigiani e i vignaioli, ma soprattutto vivere<br />

l’esperienza del cibo in modo complesso come<br />

solo in Emilia Romagna si può fare. La nostra ricchezza<br />

è questa, l’esperienza del cibo e del vino<br />

è inscindibile e la varietà diventa un valore. Noi lavoriamo<br />

tutto l’anno perché qui converga il meglio<br />

della regione, la parte più autentica e preziosa di<br />

quello che siamo. L’esperienza del cibo e del vino<br />

vale solo se è fatta al meglio, è profonda solo se<br />

è alta, è importante solo se è condivisa. Enologica<br />

è un’occasione anche per questo, perché siamo<br />

comunità quando abbiamo costruito insieme,<br />

perché come dice Borges nei versi che abbiamo<br />

scelto come tema di questa edizione, «Nessuno è<br />

la patria, tutti insieme lo siamo».<br />

Benvenuti ad Enologica <strong>20</strong>11.<br />

GIORGIO MELANDRI<br />

curatore Enologica<br />

La formidabile squadra dei sommelier AIS sezione di Faenza gestirà anche<br />

quest’anno le degustazioni di Enologica. Il programma su enologica.org<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

3


salone del vino e del prodotto tipico<br />

dell ’ Emilia-Romagna<br />

<strong>18</strong> | <strong>19</strong><br />

SABATO<br />

| <strong>20</strong><br />

VENERDÌ<br />

DOMENICA<br />

novembre <strong>20</strong>11<br />

(lunedì <strong>21</strong> novembre solo operatori)<br />

FAENZA CENTRO FIERISTICO<br />

WWW.<br />

Curatore<br />

Giorgio Melandri<br />

.ORG<br />

orari<br />

ven <strong>18</strong> novembre 17:00/22:00<br />

sab <strong>19</strong> novembre 11:00/22:00<br />

dom <strong>20</strong> novembre 11:00/22:00<br />

La biglietteria chiude 1 ora<br />

prima dell’orario di chiusura<br />

Partecipa al concorso<br />

riservato agli iscritti alla<br />

newsletter: iscriviti sul sito<br />

www.enologica.org<br />

INGRESSO INTERO 16,00 euro<br />

ABBONAMENTO* 25,00 euro<br />

Calice degustazione e catalogo compresi nel<br />

costo del biglietto<br />

* anche una volta all’interno è possibile con<br />

9,00 euro tramutare l’ingresso in abbonamento<br />

valido da venerdì a domenica sera<br />

lun <strong>21</strong> novembre 10:00/<strong>20</strong>:00<br />

enologica/lunedì (riservata operatori)<br />

in palio la cena per due e pernottamento da:<br />

Osteria Francescana (massimo bottura)<br />

Antica Corte Pallavicina (massimo spigaroli)<br />

Osteria Del Povero Diavolo (piergiorgio parini)<br />

con il patrocinio di<br />

con il contributo di<br />

con il sostegno di<br />

Are you experienced?<br />

DEGUSTAZIONI.<br />

Toccata & Fuga,<br />

PRODOTTI E ABBINAMENTI.<br />

in collaborazione con<br />

Caravanserraglio,<br />

SPAZIO CULTURALE.<br />

Presi per la gola!<br />

MANGIARE AD ENOLOGICA.<br />

artigiani e vignaioli<br />

GLI ESPOSITORI DI ENOLOGICA.<br />

Teatro dei Cuochi<br />

LA CUCINA SOTTO I RIFLETTORI.<br />

“ ”<br />

Nessuno è la patria,<br />

tutti insieme lo siamo.<br />

JORGE LUIS BORGES<br />

enologica/lunedì<br />

RISERVATA AGLI OPERATORI.<br />

dell’Unità d’Italia<br />

150 anni


di Roberto Pozzi<br />

COSE<br />

DA POZZI<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

5


allegato a n.11/11<br />

INCONTRO<br />

RAVVICINATO<br />

shopping<br />

bimbi<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

musica<br />

IO E IL SANGIOVESE<br />

Finita la stagione dei winemaker si torna alla terra e all’uva<br />

e il mestiere di enologo cambia. In Romagna il più conosciuto<br />

della «nouvelle vague» è Francesco Bordini<br />

cinema<br />

6<br />

di Carlo Bozzo


Nel linguaggio del vino politicamente corretto<br />

si chiamano winemaker. Via di mezzo<br />

tra maghi e alchimisti, gli enologi sono<br />

in grado con le loro formule di decretare o no<br />

il successo di un vino. Lavorano in cantina e<br />

trasformano l’uva in un’etichetta famosa e,<br />

soprattutto, venduta. Alle volte, pure in un<br />

grandissimo prodotto. Sono stati i registi del<br />

boom enologico degli ultimi vent’anni. In Italia,<br />

solo per fare un esempio, dobbiamo a loro<br />

i grandi rossi toscani. Quelli finiti sulle pagine<br />

delle bibbie enologiche internazionali con<br />

punteggi altissimi. La loro ricetta, in fondo,<br />

non è complicatissima. Per andare incontro<br />

ai gusti del pubblico un vino deve avere alcune<br />

caratteristiche. Grande corpo, invecchiamento<br />

in legno, le mitiche barrique, e nascere<br />

possibilmente da vitigni internazionali: Cabernet<br />

Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot. Sono<br />

vini buoni, equilibrati senza difetti evidenti, ma<br />

tutti troppo spesso eguali uno con l’altro. Il<br />

tutto nonostante provenienze territoriali diverse,<br />

regioni di coltura differenti e storie e tradizioni<br />

altrettanto distanti una dall’altra.<br />

Ma ad Enologica, la manifestazione sul mondo<br />

di Bacco organizzata anche quest’anno a<br />

Faenza da Giorgio Melandri, i winemaker diventano,<br />

ormai da qualche anno, semplicemente<br />

enologi. Non più alchimisti dal magico<br />

tocco, ma persone che cercano di raccontare<br />

una terra, la sua storia, la vita di chi la lavora,<br />

attraverso il vino.<br />

Uno loro, forse il più conosciuto della nouvelle<br />

vague degli enologi di Romagna, è Francesco<br />

Bordini. Classe <strong>19</strong>77, Scienze Agrarie<br />

con dottorato di ricerca e diploma di Enologia<br />

all’Università Bologna, comincia a lavorare nel<br />

<strong>20</strong>01, a Modigliana, nell’azienda di famiglia<br />

Villa Papiano. Suo padre Remigio è<br />

una figura essenziale nella storia<br />

del vino in Romagna. È lui<br />

a selezionare negli anni ’60 i<br />

cloni di uva Sangiovese destinati<br />

a essere utilizzati dai<br />

vignaioli di questo territorio<br />

ed è sempre lui a creare,<br />

lavorando con Gianvittorio<br />

Baldi a Castelluccio, alla<br />

prima esperienza di vino di<br />

qualità avviata in Romagna.<br />

Oggi Francesco lavora «con grande<br />

orgoglio» per diverse aziende<br />

da Faenza a Brisighella, da Cesena a Rimini.<br />

«Per me è essenziale partire sempre dall’uva. Il<br />

grappolo è il 90% di un grande vino, su questo<br />

non ci piove - spiega con passione - Dentro<br />

un grappolo si può celare un grandissimo racconto<br />

del territorio in cui nasce. La sua trasformazione,<br />

il lavoro che facciamo in cantina può<br />

ottenere solo due risultati: stravolgere questo<br />

racconto o assecondarlo».<br />

«Per me è<br />

essenziale partire<br />

dall’uva. Dentro un grappolo<br />

c’è la storia di un territorio e il<br />

vino che si ottiene ha solo due<br />

strade: stravolgerla o<br />

assecondarla»<br />

Una dichiarazione che pone Francesco lontano<br />

da ricette preordinate, dal rischio di seguire<br />

mode o presunti desideri del marcato. «Ho<br />

sempre provato un po’ di tristezza nel vedere<br />

la Romagna trattata come terra di conquista.<br />

Molti miei colleghi arrivavano dall’esterno, importando<br />

una ricetta enologica che funzionava<br />

magnificamente in altre parti d’Italia, ma<br />

non era detto che avesse anche da<br />

noi un senso compiuto. L’atteggiamento<br />

era chiaro: la Romagna è<br />

zona cadetta e come fai il vino<br />

in Toscana, lo puoi fare anche<br />

qui. Per loro questo era il meglio<br />

che potevamo fare».<br />

Un atteggiamento che a sentire<br />

Bordini non ha caratterizzato<br />

solo il periodo del boom<br />

dei vini alla fine degli anni ’90,<br />

ma che questo territorio rischia di<br />

continuare a trascinarci dietro. «C’è<br />

ancora un ritardo, una sorta d’inerzia nel volere<br />

capire e studiare le caratteristiche straordinarie<br />

del nostro territorio e delle sue vigne».<br />

Riprova secondo lui è il ritardo con cui si è<br />

cominciato a parlare di un disciplinare per<br />

dividere in differenti zone la Romagna: «Solo<br />

dal <strong>20</strong>10 abbiamo cominciato a parlare di questo<br />

problema. Siamo ancora indietro nel capire<br />

cose importanti. In Piemonte per il Barolo le sottozone<br />

di produzione sono di 15 ettari, da noi la<br />

sottozona più piccola è di 800 ettari vitati».<br />

La differenza è evidente anche con la Francia,<br />

dove si presta un’attenzione maniacale<br />

all’origine dell’uva: «Secondo loro se tu hai<br />

una grandissima terra, qualsiasi vitigno pianti in<br />

quel terreno, per loro ti darà sempre lo stesso<br />

vino. Perché sono terra e natura a determinare<br />

caratteristiche di uva e vino». Ed<br />

è partendo da queste riflessioni<br />

che comincia a chiarirsi anche<br />

il ruolo e il compito dell’enologo.<br />

«Io sono un interprete,<br />

un mediatore. Il mio ruolo è<br />

assecondare il frutto di una<br />

vendemmia, non stravolgerlo.<br />

Molto spesso, già parlare<br />

di interpretazione è eccessivo.<br />

Una grande uva deve essere<br />

solo assecondata. Infatti, io<br />

non sono in grado di fare un vino<br />

se non seguo prima l’uva. La vigna va<br />

seguita tutto l’anno, e devo ricordarmi cosa è<br />

successo di cattivo e quanto di buono nella sua<br />

crescita, per cercare di evidenziarne gli aspetti<br />

positivi».<br />

Anche e soprattutto in un territorio come la<br />

Romagna dove le condizioni ambientali cambiano<br />

nello spazio di pochi chilometri. Dalla via<br />

Emilia fino alle colline sui 250 metri d’altezza il<br />

terreno è argilloso. Mentre salendo più in alto,<br />

«Sono triste nel<br />

vedere la Romagna presa<br />

come terra di conquista. Molti<br />

colleghi arrivano da fuori con un<br />

intento chiaro: fare qui il vino<br />

che si fa in Toscana»<br />

si passa all’arenaria. Variano le escursioni termiche,<br />

la distanza o la vicinanza al mare. Tutti<br />

elementi in grado di incidere in modo profondo<br />

su uve anche dello stesso vitigno, come<br />

nel caso del principe di Romagna, il Sangiovese.<br />

«Nelle zone fredde lo troviamo con profumi<br />

di violette e ribes, mentre andando più a sud<br />

verso il mare, sentiamo i frutti più grossi come<br />

la prugna. Stessa cosa per la trama dei<br />

tannini più sottile nelle zone fredde,<br />

con maggiore concentrazione<br />

in quelle calde». Per Francesco<br />

Bordini insomma, chi fa<br />

il suo mestiere «deve essere il<br />

mediatore che racconta quel<br />

territorio e quella vendemmia.<br />

È finito il tempo del mago che<br />

arriva con la sua ricetta, e la impone<br />

a quel produttore e a quel<br />

territorio». Così il vino diventa anche<br />

linguaggio, possibile grammatica<br />

e sintassi, con cui raccontare storia e cultura<br />

del luogo dove nasce. Compito dell’enologo<br />

è aiutare a scriverla.<br />

Ad Enologica: domenica <strong>20</strong> novembre (ore <strong>19</strong>) Io e il sangiovese.<br />

Con Francesco Bordini. Relatore: Daniele Cernilli<br />

Dotato di una sensibilità rara per il sangiovese e una capacità<br />

di lettura dei territori romagnoli che ha pochi paragoni,<br />

Francesco Bordini ci accompagna in un percorso che parla di<br />

suoli, esposizioni, altitudine delle vigne, vinificazioni, tempi<br />

di macerazione, tecniche di affinamento. La sua sarà una lezione<br />

rara, sospesa fra la teoria e la pratica, tra quello che la<br />

natura concede e la volontà dell’uomo.<br />

A pagina 6 Francesco Bordini insieme<br />

alla sorella Maria Rosa a Villa Papiano<br />

In basso: l’azienda Villa Papiano sulle colline di Modigliana<br />

allegato a n.11/11 musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

7


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

cantine<br />

LA RIVINCITA<br />

DEL SORBARA<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

8<br />

Alberto Paltrinieri, uno dei protagonisti della rinascita del Sorbara<br />

La Pianura Padana vista dal treno è uno spettacolo<br />

ancora stupefacente per un vecchio terrone<br />

come me. Non ci si capacita che sia veramente<br />

campagna. Una spianata dove lo sguardo non<br />

trova ostacoli a perdita d’occhio. Per chi ha<br />

un’idea suddica di campagna selvaggia, tra verde<br />

e colline che si inseguono, non sembra neanche<br />

vera. Il Lambrusco è il simbolo di questa<br />

terra e quando si pensa a questo vino, la memoria<br />

corre alle grandi realtà cooperativistiche, da<br />

milioni di bottiglie e ad una bevanda dolce e facile,<br />

fatta per l’export e i grandi numeri. Che non<br />

ne vuole sapere più nulla della gloriosa tradizione<br />

contadina da cui proviene, ma vuole sfrecciare<br />

nel mondo globale alla velocità di una Ferrari.<br />

Tuttavia l’Emilia Romagna è terra di contadini, di<br />

sane e robuste tradizioni rusticane. Il Lambrusco<br />

era il vino di tutti i giorni, quello che si portava<br />

nei campi per sostenere il duro lavoro, quello<br />

delle feste e delle tagliatelle alla domenica. Un<br />

patrimonio radicato nel territorio e nelle tradizioni.<br />

Una parte dell’enologia emiliana ha resistito e<br />

coltivato questa differenza. Producendo un vino<br />

più chiaro, acido e fresco, snello come un maratoneta<br />

africano ma capace di una resistenza<br />

strabiliante. Il Lambrusco di Sorbara.<br />

Siamo in provincia di Modena: marca la sua differenza<br />

già dal grappolo, piccolo e spargolo, di<br />

resa naturalmente bassa. Un’uva faticata il Sorbara<br />

e per questo ha rischiato di restare schiacciata<br />

dalle più ricche alternative. Il territorio poi<br />

è particolare, incuneato tra due fiumi: Secchia<br />

e Panaro, terreno alluvionale quindi, sabbioso<br />

e argilloso, un terreno segnato dall’acqua e dal<br />

suo fluire, un reticolo di argini che disegna un<br />

paesaggio solcato e domato dall’uomo.<br />

Dalla combinazione di queste caratteristiche esce<br />

un vino che è un elogio della tipicità e riconoscibilità,<br />

già famoso per le sue caratteristiche e il suo<br />

legame contadino alla terra. Così Cavicchioli parlava<br />

solo qualche tempo fa: «Il lambrusco invece<br />

è anche storia di terroir, prendi il Sorbara appunto,<br />

noi siamo fedeli a questi terreni di Cristo e Sorbara,<br />

i Chiarli hanno le vigne a Sozzigalli, verso Limidi,<br />

sulla riva sinistra del Secchia. Sono due terroir diversi,<br />

due diverse risposte. E ognuno di noi tifa per<br />

i suoi». Insomma, una tenzone rurale, un campanile<br />

che rimanda all’Italia guareschiana delle case<br />

del popolo e delle sagrestie.<br />

Il Lambrusco di Sorbara è un incanto, fresco,<br />

snello, acido, succoso, rinfrescante, fruttato e<br />

piacevolissimo: queste, insieme all’acquolina in<br />

bocca, le prime impressioni che mi vengono in<br />

mente al solo pensarlo. Talvolta ha patito tra i degustatori<br />

questa eccessiva finezza ed esilità: in<br />

anni di vini muscolari e potenti, in cui si inseguivano<br />

gli archetti nel bicchiere, come in uno sketch<br />

di Albanese, un vino asciutto, nato per alleviare<br />

la fatica contadina e l’impegno di una cucina gagliarda,<br />

rischiava di essere schiacciato da letture<br />

Affilato, tagliente, minerale,<br />

austero. È il ritratto di questo<br />

Lambrusco che ha sorpreso tutti e<br />

vive oggi una stagione straordinaria<br />

fatta di successi e riconoscimenti


UN’ARCHITETTURA, UNA STORIA<br />

Nella provincia di Modena, nel cuore della zona tipica per la produzione del Lambrusco, si<br />

trova il complesso produttivo della Cantina di Sorbara. Percorrendo le campagne tra i fiumi<br />

Secchia e Panaro, con i loro terreni alluvionali, sabbiosi e permeabili, ideali per la viticoltura,<br />

emergono i fabbricati a mattoni faccia a vista dell’azienda, perfettamente allineati<br />

con l’orditura dei campi circostanti.<br />

Edificato a partire dal <strong>19</strong>23, il nucleo originario della Cantina è stato concepito sulla base<br />

di uno degli schemi-tipo, predisposti dalla Cattedra Ambulante di Agricoltura. Oltre a tutelare<br />

i propri soci produttori in ambito giuridico-amministrativo, tale ente aveva come scopo<br />

quello di fornire indicazioni specifiche per la realizzazione degli impianti, indicandone di<br />

volta in volta la dislocazione, la migliore funzionalità e seguendone persino la costruzione.<br />

Fu, infatti, tra il <strong>19</strong>04 e il <strong>19</strong>28 che si verificò la nascita delle più gloriose cantine modenesi,<br />

poiché la troppa produzione di uve del periodo con i conseguenti riflessi negativi sulle<br />

quotazioni di mercato spinse i produttori della zona a riunirsi.<br />

Il complesso si distingue per la pregevole fattura del manufatto architettonico, che posizionandosi<br />

quasi parallelamente alla strada di accesso, ma sul lato opposto, funge da quinta<br />

alla corte d’ingresso. Gli strumenti urbanistici locali hanno individuato la struttura ed in<br />

particolare la parte rettangolare anteriore come bene di interesse storico architettonico,<br />

assoggettandolo alla categoria degli interventi di restauro conservativo.<br />

Dal confronto con le foto d’epoca si riesce a percepire come alcune superfetazioni nascondano<br />

attualmente la pregiata facciata. Essa è caratterizzata da aperture ad arco a<br />

tutto sesto, oltre che da alcuni semplici elementi di pregio, tutti ben conservati, come le<br />

extra<br />

cornici attorno alle aperture, il cornicione superiore e il basamento. Purtroppo l’antistante<br />

copertura metallica a volta, di recente costruzione, ne interrompe l’originario andamento<br />

continuo. Nonostante ciò, l’edificio conserva inalterato il fascino di una storia fatta di<br />

gusto, territorio e cultura. (Nicola Montini*, Ilaria Piazza)<br />

*Architetto, svolge attività di progettista a Faenza, collabora alla didattica presso lo IUAV<br />

di Venezia e scrive su riviste di architettura. studiomontinizoli.it<br />

più dolci e potenti, ma così non è stato e grazie<br />

alle sue caratteristiche è diventato Il Lambrusco.<br />

Una narrazione che si legge benissimo nella bottiglia<br />

e soprattutto nel suo contenuto. Il pregio<br />

principale del Sorbara (secondo me) è questo<br />

essere antico ed insieme moderno, in una parola<br />

contemporaneo. Come le storie delle aziende<br />

che hanno legato il nome al territorio, che hanno<br />

saputo rinnovarsi in un dialogo importante tra<br />

generazioni: Paltrinieri, Bellei, Cavicchioli, Medici,<br />

Chiarli, solo per citare le prime. Quelle più in<br />

evidenza sulla stampa italiana e straniera.<br />

Mai come quest’anno hanno fatto incetta di<br />

premi sulle principali guide <strong>20</strong>12 dello Stivale.<br />

Il rifermentato delle cantine della Volta, il nuovo<br />

progetto voluto da Christian Bellei, premiato da<br />

l’Espresso, l’Eclissi di Paltrinieri addirittura è stato<br />

eletto miglior vino dell’anno rapporto qualità/<br />

prezzo dalla Guida del Gambero Rosso, svariati<br />

altri premi sparsi. Oramai il Lambrusco è sdoganato<br />

definitivamente fra i grandi vini, e il Sorbara<br />

ne è un pezzo fondamentale. Non resta che<br />

brindare a questo vino, ovviamente con un bicchiere<br />

spumeggiante e dal colore delicato.<br />

ALESSANDRO BOCCHETTI<br />

A sinistra: i fratelli Anselmo e Mauro Chiarli<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

9


sangiovese<br />

ai confini<br />

Hanno scommesso su vigne<br />

piantate in alto, un terroir che<br />

il ’900 aveva cancellato dalle<br />

geografie del vino romagnolo.<br />

E hanno avuto ragione<br />

Talvolta inizia tutto con il sogno di un uomo illuminato,<br />

talvolta è la terra a richiamare l’uomo alle<br />

sue origini e altre volte ancora è il naturale prosieguo<br />

di un lavoro che si è ereditato; non esiste<br />

una via più poetica dell’altra, perché tutte sono<br />

accumunate da un unico nobile obiettivo: realizzare<br />

un grande vino che conquisti chi lo beve<br />

in quei pochi sorsi che distinguono un bicchiere<br />

pieno da uno vuoto.<br />

Adriano Galli, Moreno Mancini ed Emilio Placci,<br />

ovvero Valturio, Pertinello ed il Pratello, sono<br />

tre uomini di Romagna che hanno raggiunto<br />

quest’obiettivo; coi loro caratteri e percorsi differenti<br />

hanno utilizzato il Sangiovese come strumento<br />

per dipingere la tela di tre territori d’elezione:<br />

il Montefeltro, Galeata e Modigliana. Tre<br />

territori di confine, dove le altitudini si spingono<br />

oltre i 500 metri slm e dove i suoli si sottraggono<br />

progressivamente al peso delle argille, presentandosi<br />

poveri e sciolti, costituiti da sabbie cementate<br />

chiamate arenarie. Qui il Sangiovese ha<br />

una veste cromatica scarica, il naso mostra un<br />

frutto a bacca piccola e le bocche sono affilate<br />

e sapide, caratterizzate da tannini meno statici e<br />

potenti, ma più dolci ed eleganti.<br />

Adriano Galli, classe <strong>19</strong>46, è un personaggio<br />

vulcanico e carismatico, un vero appassionato<br />

del vino che ha assaggiato tantissimo, fino alla<br />

decisione, intrapresa nel <strong>20</strong>02, di buttarsi nella<br />

mischia e confrontarsi alla pari con quei produttori<br />

che vedeva come modelli e che oggi può<br />

chiamare a pieno diritto colleghi. Adriano ha creato<br />

L’azienda agricola Valturio in un luogo incontaminato<br />

e suggestivo del Montefeltro, al confine<br />

tra Romagna e Marche, dove i suoi 10 ettari vitati,<br />

interamente piantati ad alberello, si snodano<br />

tra i 450 ed 500 metri/slm. In questo contesto<br />

nasce il suo unico ed elegantissimo Sangiovese<br />

in purezza, a cui ha attribuito il nome della tenuta<br />

per rimarcarne l’importanza: Valturio.<br />

Moreno Mancini, classe <strong>19</strong>60, è un uomo pacato<br />

e riflessivo, affermato imprenditore che<br />

nel <strong>20</strong>06 ha deciso di riallacciare il legame con<br />

il territorio che lo ha visto crescere, rilevando e<br />

rilanciando la Tenuta Pertinello a Galeata. Avvalendosi<br />

del prezioso contributo di Luigi Martini, è<br />

riuscito a trasferire nei suoi vini le atmosfere che<br />

si respirano in questa solare e ventilata oasi della<br />

valle del Bidente. La Tenuta Pertinello oggi può<br />

contare su 10 ettari vitati che ruotano attorno al<br />

corpo centrale dell’azienda, situati tra i 300 ed<br />

i 350 metri slm, e che permettono di produrre<br />

tre ottime espressioni di Sangiovese: Il Bosco, Il<br />

Pertinello e la novità di prossima uscita Il Sasso.<br />

Emilio Placci, classe <strong>19</strong>53, ha un carattere schivo<br />

e taciturno, in perfetta sinergia con il clima<br />

serafico che si respira a Modigliana. Emilio, nei<br />

primi anni Novanta, ha convertito in azienda vitivinicola<br />

l’azienda agricola di famiglia e nel <strong>19</strong>98<br />

ha realizzato il suo primo vino. Oggi Il Pratello<br />

cantine<br />

può contare su 5,5 ettari vitati sul Monte Trebbio<br />

e precisamente sul crinale che separa Modigliana<br />

da Dovadola, che Placci gestisce nel rispetto<br />

di una rigida «filosofia naturale». Qui le vigne si<br />

inerpicano fino a 570 metri slm, arrivando a toccare<br />

la massima altitudine per la viticoltura romagnola.<br />

I tre sottili Sangiovese firmati da Emilio<br />

sono: Il Morana, Il Mantignano ed Il Badia Raustignolo.<br />

Vi rimandiamo al sito enocode.com per le degustazioni.<br />

FILIPPO APOLLINARI<br />

In alto: Moreno Mancini, della Tenuta Pertinello, mostra<br />

un blocco delle arenarie che caratterizzano i terreni alti<br />

SARANNO PRESENTI AD ENOLOGICA<br />

SOCIETÀ AGRICOLA VALTURIO<br />

Macerata Feltria (Pu), via dei Pelasgi 10<br />

Info: 0722 728049, valturio.com<br />

TENUTA PERTINELLO<br />

Galeata (Fc), strada Arpineto - Pertinello 2<br />

Info: 0543 983156, tenutapertinello.altervista.org<br />

AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICA IL PRATELLO<br />

Modigliana (Fc), via Morana 14<br />

Info: 0546 94<strong>20</strong>38, 335.1358728, ilpratello.net<br />

allegato a n.11/11<br />

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11


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A tavola con stile dalla merenda alla cena ...<br />

Una cucina flessibile, dal piatto unico a pranzo alla proposta<br />

più ricercata per la cena, passando per la piccola carta della<br />

merenda, senza rinunciare alla qualità. Preferiamo frutta e<br />

verdure di stagione, siamo attenti al biologico e all’agricoltura<br />

sostenibile, privilegiando sempre i prodotti artigianali.<br />

Sui vini ci diamo tante arie<br />

...prima<br />

con oltre 350<br />

e<br />

etichette<br />

dopo<br />

e i<br />

il<br />

calici<br />

teatro!<br />

giusti!<br />

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RIVOLUZIONE<br />

PIGNOLETTO<br />

Federico Orsi ha rilanciato<br />

i Colli Bolognesi con i suoi vitigni<br />

più classici. E un progetto libero<br />

e fuori dagli schemi<br />

Il Pignoletto: è lui l’atteso ed inaspettato protagonista<br />

a cui il territorio vinicolo bolognese<br />

ha consegnato le chiavi del futuro successo<br />

di questa parte di Emilia che ospita la denominazione<br />

nelle sue declinazioni. Qui stanno<br />

nascendo giovani produttori di talento con le<br />

idee chiare su come creare un’identità ben<br />

precisa e uno stile da perseguire, cercando<br />

di far coesistere la storia con la modernità necessaria<br />

per una rinascita territoriale.<br />

Uno degli attori principali in questi ultimi anni,<br />

è un ragazzo nato sì a Bologna, ma che ha<br />

trascorso buona parte della sua adolescenza<br />

in Brasile, per poi far ritorno in Italia dove<br />

si laurea in Ingegneria e capisce, cosa importantissima<br />

per la nostra storia, che la sua<br />

strada non era quella della costruzione di palazzi<br />

o strade, ma il vino.<br />

Federico Orsi acquista l’azienda Vigneto San<br />

Vito cinque anni fa continuando a produrre<br />

ancora oggi lo stesso numero di bottiglie<br />

(circa 70.000) ma è la filosofia che è profondamente<br />

cambiata. Federico decide che il<br />

Pignoletto è il protagonista del suo progetto<br />

e inizia una fase sperimentale che lo porterà<br />

a produrre varie tipologie (dallo spumante, al<br />

rifermentato in bottiglia, passando per il frizzante<br />

e arrivando poi al classico). Gli investimenti<br />

sono stati tanti nel corso di questi anni,<br />

ma a differenza di altri casi, gli sforzi sono<br />

stati volti principalmente in vigna e sulle giovani<br />

risorse umane che compongono lo staff,<br />

ragazzi molto legati a questa realtà.<br />

L’azienda ha nel suo dna una filosofia biodinamica,<br />

ma non eccessivamente, perché questa<br />

viene applicata in maniera ingegneristica<br />

come definisce Federico e principalmente in<br />

vigna, mentre alcune pratiche di cantina non<br />

consentite, come utilizzo di solforosa e temperature<br />

controllate, sono considerate utili<br />

per raggiungere certi obiettivi.<br />

I vini hanno veramente un’anima ed un progetto<br />

alle spalle oltre a idee di marketing<br />

ambiziose (vedi il Bio Fiasco). Interessante il<br />

Pignoletto Sui Lieviti, un frizzante fermentato<br />

spontaneamente sui lieviti (in sospensione)<br />

con una piccola percentuale di Albana precedentemente<br />

appassita, aggiunta alle basi<br />

Pignoletto nel periodo primaverile. Un vino<br />

dalla buona struttura e acidità, equilibrato,<br />

dalle interessanti note citriche che si livellano<br />

in bocca grazie all’aggiunta dell’Albana.<br />

Il cavallo di battaglia, cioè il Pignoletto classico<br />

Vigna del Grotto, da uve Pignoletto al<br />

100%, è un vino eccellente per la sua impostazione<br />

stilistica. Fermenta per un 80% in<br />

legni grandi. Interessante l’assorbimento del<br />

legno da parte di questo vino che si propone<br />

al naso con una intensa nota di scorza di<br />

cedro e limone, in bocca è un vino succoso,<br />

CANTINE<br />

sapido, diritto, profondo e minerale.<br />

Ottima è anche la sua Barbera, vitigno che<br />

storicamente nasce anche per affiancare un<br />

tipo di cucina, un vino semplice nella sua idea<br />

ma molto complesso nel bicchiere grazie alla<br />

sua linearità e alla sua fresca acidità che diventa<br />

importante per dare bevibilità e slancio<br />

alla bocca.<br />

ALESSANDRO ROSSI<br />

In alto: l’etichetta del pignoletto Vigna del Grotto. Il vino è<br />

stato premiato in diverse guide come bianco più interessante<br />

del suo territorio. L’azienda Vigneto San Vito è condotta<br />

in regime di agricoltura biodinamica e le vinificazioni<br />

sono effettuate con tecniche il più possibile naturali<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

VIGNETO SAN VITO<br />

Monteveglio (Bp), via Monte Rodano 8, loc. Oliveto<br />

Info: 051 91645<strong>21</strong>, vignetosanvito.it<br />

allegato a n.11/11<br />

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13


la malvasia<br />

che non<br />

ti aspetti<br />

Il vitigno classico dei colli piacentini<br />

è sempre più spesso protagonista<br />

di vinificazioni «in purezza»<br />

CANTINE<br />

A teatro come al cinema i caratteristi, oltre a<br />

connotare la commedia, dovrebbero far brillare<br />

il protagonista. La stessa cosa talvolta<br />

accade anche nel vino. La Malvasia aromatica<br />

di Candia, varietà tipica dei colli di Piacenza,<br />

ha sempre conferito verve aromatica agli<br />

uvaggi collinari di questa zona. Un aspetto a<br />

lungo andare piuttosto penalizzante, se pensiamo<br />

che con il trascorrere delle vendemmie<br />

questa prassi ne ha limitato le capacità<br />

espressive.<br />

A livello lessicale le cose non vanno di certo<br />

meglio, specie considerando che sotto il<br />

termine Malvasia rientrano varietà completamente<br />

diverse tra loro; dal Malmsey prodotto<br />

a Madeira, fino alle varietà più neutre presenti<br />

ad esempio nel Lazio. Anche in passato l’individuazione<br />

della varietà aromatica dei colli<br />

piacentini già pareva di difficile afferrabilità,<br />

come afferma il celebre ampelografo conte<br />

Giuseppe di Rovansenda: «A mio avviso dovrebbero<br />

dirsi Malvasie soltanto quelle uve profumate<br />

che hanno sapore speciale di moscato<br />

un po’ amarognolo…».<br />

Per tutta questa serie di ragioni il vero carattere<br />

della Malvasia è ancora piuttosto nebuloso.<br />

Si sa che sui colli di Piacenza la nebbia<br />

sembra una parte integrante del paesaggio,<br />

ma sta di fatto che solo nel recente passato<br />

in queste zone e grazie agli sforzi dei produttori<br />

che qui abitano e lavorano, la Malvasia<br />

sta progressivamente scoprendo se stessa.<br />

Oggi da più parti, per fortuna con consapevolezza,<br />

è riconosciuta la natura mediterranea<br />

del vitigno, come già dimostrano le tonalità<br />

cromatiche che ne contraddistinguono il<br />

colore (giallo aranciato che in fase di surmaturazione<br />

assume tonalità brune). La caratteristica<br />

che tuttavia più di altre tipizza i vini realizzati<br />

con questa varietà, è legata al carattere<br />

spesso e coriaceo della buccia. Non un semplice<br />

ostacolo alla polpa, ma un vero e proprio<br />

giacimento aromatico, in grado di conferire<br />

al bouquet dei vini realizzati con questo vitigno,<br />

straordinarie sensazioni che richiamano,<br />

tra gli altri, l’albicocca e il miele (in versione<br />

dolce) ma anche il tè e la boiserie (in versione<br />

secca con macerazioni prolungate), senza<br />

dimenticare il lato floreale immediatamente<br />

descritto da nuances di glicine e geranio (in<br />

versione effervescente).<br />

Variazioni sul tema che tuttavia non avrebbero<br />

modo di esprimersi senza il terroir (inteso<br />

come sommatoria di terreno e condizioni climatiche)<br />

tipico delle colline del piacentino. Un<br />

palcoscenico geologicamente povero con<br />

piccole intersezioni argillose, in grado tuttavia<br />

di cedere gradatamente i nutrimenti anche<br />

in condizioni climatiche difficili, come sanno<br />

essere le siccitose estati emiliane. Inizialmente<br />

in cantina le prime traduzioni convincenti<br />

hanno visto il vitigno declinato, nel rispetto<br />

della tipicità, in chiave effervescente, facendo<br />

attenzione alla gestione aromatica dei mosti.<br />

In un secondo tempo il profilo dolce ne ha<br />

consacrato le qualità varietali, anche se la<br />

vera compiutezza espressiva che ha trasformato<br />

il caratterista Malvasia in protagonista<br />

della bottiglia, è rappresentata dalle versioni<br />

secche, talvolta realizzate con macerazioni<br />

in grado di mostrarne un profilo tannico e<br />

austero. Un tratto da non enfatizzare eccessivamente,<br />

perché, come diceva Veronelli,<br />

questo vitigno deve avere «aromi suadenti,<br />

umidi, grassi come di un coltivo di fiori dopo la<br />

tempesta».<br />

MARCO TONELLI<br />

In alto: Elena Pantaleoni de La Stoppa, uno dei grandi<br />

interpreti della Malvasia di Candia aromatica, qui ritratta<br />

al Teatro dei Cucochi di Enologica <strong>20</strong>10<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

LA STOPPA<br />

Rivergaro (Pc)<br />

Info: 0523 958159, info@lastoppa.it<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

15


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

CANTINE<br />

quei bravi<br />

ragazzi<br />

arte<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

16<br />

Non saranno magari tutti boys, ma lo spirito e<br />

l’entusiasmo di questo gruppo è certamente<br />

qualcosa di bello nel mondo del vino di oggi.<br />

Parliamo di un gruppo di produttori brisighellesi,<br />

esattamente sei dopo il recente arrivo di Fondo<br />

di San Giuseppe, che hanno deciso di promuoversi<br />

in modo unitario in quanto, oltre ad operare<br />

nello stesso territorio, condividono valori culturali<br />

ben precisi relativamente alla loro idea di vino.<br />

La loro coalizione nasce nel ’98 da un insuccesso.<br />

Infatti, a seguito del loro incontro durante<br />

corsi sulle pratiche sostenibili in vigna e in cantina,<br />

il gruppo decide di lanciarsi in un progetto<br />

produttivo condiviso e finanziato. Come spesso<br />

succede, purtroppo vengono meno i fondi<br />

e il progetto non va in porto. Questo però non<br />

li scoraggia. Ognuno decide di cimentarsi nella<br />

propria avventura. Ciascuno produce il proprio<br />

vino, frutto della propria interpretazione. La caratteristica<br />

di diversità si mantiene nel tempo e<br />

oggi ognuno segue il proprio approccio nell’interpretare<br />

vino e pratiche di cantina. In generale<br />

cercano di controllare di più il lavoro tecnico per<br />

non rischiare di disperdere le caratteristiche del<br />

vitigno e del terreno, a seconda delle annate.<br />

Nei primi anni di produzione, invece, lasciavano,<br />

alla natura un ruolo più anarchico, generando<br />

a volte difficoltà nel conseguire una continuità<br />

qualitativa e un riconoscimento delle annate da<br />

parte del consumatore.<br />

Modelli da seguire? Una bottiglia come risultato<br />

qualitativo da perseguire? Difficile trovare esempi<br />

interessanti in Romagna anche se, andando a<br />

cercare nel recente passato, Paolo Babini individua<br />

in Castelluccio di Baldi quello che meglio<br />

si avvicina al loro punto di riferimento qualitativo.<br />

Sviluppi? Intanto cambia il nome: si passa da<br />

Consorzio produttori biologici di Brisighella, che si<br />

distingue per una certa pesantezza, a Bioviticultori<br />

di Brisighella, molto più snello e simpatico.<br />

Poi continuano le presentazioni fatte in comune<br />

sia in Italia che all’estero, come Enologica o la<br />

fiera del bio a Zurigo. Per i sei pionieri è sempre<br />

alta la voglia di raccontare le proprie pratiche<br />

e i propri vini, cercando di uscire dai confini e<br />

confrontandosi con umiltà con altri produttori di<br />

grandi realtà nazionali e internazionali.<br />

Ancora, investire sull’educazione, dalla rete vendita<br />

alla ristorazione sino al consumatore finale,<br />

il quale è sempre più ricettivo nei confronti dei<br />

prodotti naturali ed è catturato dalla passione<br />

che il produttore mette nel proprio lavoro. Paolo<br />

Babini, portavoce dei Bioviticultori, alla domanda<br />

se il loro metodo di lavoro e promozionale<br />

potrebbe essere preso a riferimento risponde<br />

quasi sorpreso. È come se non avessero mai<br />

preso coscienza del lavoro di gruppo come modello.<br />

In realtà la loro esperienza è la sintesi di<br />

una serie di eventi casuali che si sono consolidati<br />

perché partivano da una imprescindibile<br />

Sei vignaioli e un territorio.<br />

È la storia di un gruppo<br />

che ha fatto dei vini naturali una<br />

filosofia e un modello produttivo<br />

base filosofica comune. Emerge un modello<br />

comunicabile anche all’esterno. L’esplicitarlo<br />

sarebbe un bel passo avanti verso la comunicazione<br />

del lavoro dei nostri boys.<br />

CARLO CATANI<br />

SARANNO PRESENTI AD ENOLOGICA<br />

PAOLO FRANCESCONI<br />

Faenza (Ra), via Tuliero 154<br />

Info: 0546 43<strong>21</strong>3, pfrancesconi@racine.ra.it<br />

VIGNE DI SAN LORENZO<br />

Fognano di Brisighella (Ra), via Campiume 6<br />

Info: 0546 80112, campiume.com<br />

ANDREA BRAGAGNI<br />

Fognano di Brisighella (Ra), via del Suffragio 52<br />

Info: 339 4700143<br />

VIGNE DEI BOSCHI<br />

Brisighella (Ra), via Tura 7/A<br />

Info: 338 9949367, vignedeiboschi@alice.it<br />

AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICA IL PRATELLO<br />

Modigliana (Fc), via Morana 14<br />

Info: 0546 94<strong>20</strong>38, 335.1358728, ilpratello.net<br />

FONDO SAN GIUSEPPE<br />

Brisighella (Ra), via Tura<br />

Info: 392 9887690, info@fondosangiuseppe.it


extra<br />

allegato a n.11/11<br />

LA PASTA DI BOTTEGHE E MESTIERI<br />

Nelle giornate di Enologica, dopo aver<br />

scarpinato e degustato, concedetevi una<br />

pausa ristoratrice all’Osteria. Da cinque<br />

anni è gestita da Botteghe e Mestieri.<br />

Nata dal lavoro dell’Associazione San<br />

Giuseppe e Santa Rita Onlus, Botteghe e<br />

Mestieri è una cooperativa di tipo B che<br />

cura l’inserimento socio-lavorativo di giovani<br />

adulti in difficoltà. Un vero e proprio<br />

laboratorio artigianale che produce pasta,<br />

piadina con metodi tradizionali, attento ai<br />

dettagli e alla qualità del prodotto.<br />

«Il laboratorio di pasta - racconta Claudio<br />

Mita, presidente della Cooperativa<br />

- è nato nel dicembre del <strong>20</strong>05. Il nostro<br />

obiettivo è quello di trasmettere a questi<br />

ragazzi un mestiere nell’accezione più<br />

ampia. La bottega tradizionale non è solo<br />

un luogo dove un mastro artigiano insegna<br />

una professione, ma anche un luogo<br />

dove si trasmette passione per la vita,<br />

per il bello. Un centro di condivisione e di<br />

convivialità». Un luogo dove il fare forgia<br />

l’autostima e la capacità di socializzare<br />

di questi ragazzi e in cui Mita, cuoco di<br />

grande esperienza, trasmette tutta la sua<br />

passione per il cibo e per la tradizione.<br />

«Produrre pasta è un lavoro certosino. Per<br />

trovare la giusta miscela di farine per i<br />

nostri prodotti abbiamo impiegato tre<br />

anni e utilizziamo solo uova fresche. Ma<br />

ciò non significa essere arrivati, il nostro è<br />

un progetto in perenne evoluzione».<br />

Anche perché, in terra di Romagna, gli<br />

stimoli sono continui. «Operiamo in un<br />

territorio ricco, vivo. La nostra sfida è<br />

valorizzarlo, scovare l’eccellenza della nostra<br />

terra». Da qui, solo per fare un piccolo<br />

esempio, la scelta di produrre piadina<br />

(alla riminese: sfoglia di due millimetri)<br />

usando strutto esclusivamente di troia<br />

mora romagnola. Nel solco del fare con<br />

cura e passione Botteghe e Mestieri vende<br />

oltre <strong>20</strong>0 prodotti artigianali provenienti<br />

da venti monasteri da tutta Europa: vini,<br />

miele, birra e altre leccornie assortite. Un<br />

lavoro che dà molti frutti, come testimonia<br />

il numero sempre crescente di sposi,<br />

aziende e di chiunque abbia desiderio di<br />

convivialità che si affida a questa realtà<br />

per il catering. In ultimo, ma non ultimo,<br />

un piccolo scoop. «A giorni uscirà una linea<br />

di pasta artigianale, in collaborazione<br />

con Il Trovatore, che sarà distribuita in<br />

tutta Italia. Si tratta di un momento importante,<br />

poiché - conclude Mita - un progetto<br />

no profit incontra una realtà profit».<br />

Insomma, quando vi fermerete all’Osteria<br />

di Enologica, sappiate che dietro al vostro<br />

meritato ristoro c’è un pensiero forte coniugato<br />

con il gusto del fare cibo a regola<br />

d’arte. (p.m.)<br />

SARA’ PRESENTE A ENOLOGICA<br />

PRESI PER LA GOLA<br />

L’osteria di Enologica a cura di<br />

Botteghe e Mestieri<br />

I prodotti di Botteghe e Mestieri sono in<br />

vendita a Bottega di Casa Novella, via Manfredi<br />

6, Lugo (RA), tel. 0545/24471 e nello<br />

spaccio del laboratorio di pasta fresca, via<br />

Tebano 150, Faenza (RA, tel. 0546/47<strong>20</strong>2.<br />

Altre informazioni: botteghemestieri.it<br />

www.baccanaleimola.it<br />

musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

17


allegato a n.11/11<br />

CUOCHI<br />

Carla Aradelli sarà presente ad Enologica al Teatro dei Cuochi<br />

venerdì <strong>18</strong> novembre alle <strong>20</strong>.30<br />

libri<br />

shopping<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

musica<br />

mani, testa, cuore<br />

bimbi<br />

cinema<br />

Tradizione, stagioni, luoghi sono gli ingredienti che Carla Aradelli<br />

utilizza in una cucina che punta dritto alla libertà. Anche di emozionarsi<br />

di Alessandra Meldolesi<br />

<strong>18</strong>


La patria? Una ricetta complicata. Carla<br />

Aradelli, chef del ristorante Riva di Ponte<br />

dell’Olio (Pc), rifugge dalle provocazioni<br />

senza indossare i panni della vestale. Nel piacentino<br />

è nata all’anagrafe e alla ristorazione,<br />

ma le radici le ha gettate da sé, come la talea<br />

di una vite che da ramo tagliato si trasforma<br />

miracolosamente in pianta.<br />

Di innesti del resto ne avrà visti fare dal nonno<br />

Luigi, detto Gigiò. Quello carismatico che la<br />

portava bambina sul trattore e poi in mezzo<br />

ai filari. Cosicché per lei è stato infine naturale<br />

miscidare la memoria con i gallicismi di un altro<br />

père, Georges Cogny, che quest’anno ad<br />

Enologica riesumerà con un omaggio evergreen.<br />

Il tortino di cipolle e tartufi parla con la<br />

forza elusiva dell’ellissi, chiudendo due parentesi<br />

robuste come dighe sullo spazio bianco<br />

della cucina.<br />

Le parole di Carla hanno la stessa impazienza,<br />

un moto che cuce la conclusione addosso<br />

alla partenza. Ellittico, impulsivo, compresso<br />

come lo scarto di un puledro. Ma le sue mani<br />

sanno anche intrecciare storie e tradizioni.<br />

Ponte dell’Olio al crocevia di Emilia, Lombardia,<br />

Piemonte e Liguria, mercato per barattare<br />

grano, vino, olio. La villetta dove ha sede<br />

il ristorante è anche casa sua: «Abitare qui è<br />

l’unico modo per conciliare lavoro e famiglia.<br />

Perché con me ci sono mio marito Maurizio,<br />

che guida la sala e la cantina, e le mie due<br />

bambine. È un angolo un po’ magico di Ponte<br />

dell’Olio, accanto a un castello del ‘<strong>20</strong>0».<br />

Ricominciamo dalle origini, allora. «Sono<br />

nata e cresciuta a Ponte Dell’Olio. Mia nonna<br />

Teresa e mio nonno Luigi avevano un ristorante<br />

per banchetti e un’azienda agricola a Monte<br />

Santo, 600 metri di altitudine, vicino a un altro<br />

piccolo castello. La passione per<br />

questo lavoro l’ho presa da loro.<br />

Perché a me della cucina piace<br />

«Conoscere Cogny è stato<br />

come entrare in un nuovo<br />

mondo, era la parte di follia che<br />

mi allontanava dai problemi<br />

dell’adolescenza»<br />

gelatori, tutto veniva preparato praticamente<br />

all’ultimo momento. La cucina era quella della<br />

banchettistica di allora: i panzerotti, le lasagne,<br />

gli anolini, i tortelli, i pisarei. Le tagliatelle, i tagliolini,<br />

gli gnocchi».<br />

Quando hai conosciuto Georges Cogny?<br />

«Nel <strong>19</strong>84-85, in un corso biennale per addetti<br />

alla ristorazione. Ero insieme ad altri venti<br />

ragazzi ed è stato complicato, perché<br />

eravamo troppo diversi, alcuni avevano<br />

attività già avviate, altri un<br />

diploma e prospettive diverse.<br />

L’intenzione della Regione era<br />

dare ai figli dei ristoratori l’opportunità<br />

di conoscere una<br />

cucina diversa. Incontrare<br />

una persona come Georges<br />

a 17 anni, quando non sapevo<br />

niente, è stato uno choc».<br />

Gli insegnamenti di Georges Cogny<br />

cozzavano con quelli famigliari?<br />

«Sì, perché conoscere lui è stato come entrare<br />

in un nuovo mondo, ho capito che c’era qualcosa<br />

che mi piaceva al di là dell’esecuzione delle<br />

solite cose. Ed è scattata la passione. Georges<br />

era la parte di follia che mi allontanava dai problemi<br />

dell’adolescenza, quando si hanno troppi<br />

sogni e nessuna certezza. Ma in certi periodi<br />

sono arrivata persino a odiarlo, perché sentivo<br />

che mi aveva ingannata, nascondendomi la parte<br />

negativa di questo lavoro. Che è tanta».<br />

Hai continuato a frequentare Cogny anche<br />

dopo il corso? «Per tanti anni appena avevo<br />

un momento libero andavo da lui, finché non ho<br />

dovuto smettere a causa delle visite dell’ispettorato<br />

del lavoro. Più che un insegnante di cucina<br />

era un maestro e anche un padre, tanto<br />

che a un certo punto ho dovuto bilanciarlo,<br />

cercare un contrappeso. Ed è così che<br />

nel <strong>19</strong>94 sono approdata in Alto<br />

Adige, dove ho incontrato un<br />

altro pazzo, innamorato della<br />

sua terra, che mi ha portato<br />

in una situazione completamente<br />

diversa, ma più vicina<br />

a come sono fatta io nelle<br />

mie viscere: Hans Baumgartner.<br />

Partendo dalle differenze<br />

fra noi, mi ha trasmesso la voglia<br />

di cercare la mia strada con<br />

coraggio».<br />

Come si è evoluta la tua cucina negli<br />

anni? «All’inizio c’era un po’ di copiatura, perché<br />

attingevo spesso al quadernetto scritto su<br />

alla Cantoniera. Poi pian piano ha prevalso la<br />

voglia di una dimensione diversa. Ma non credo<br />

di essere cambiata. Personalmente amo la<br />

creatività, ma detesto gli abbinamenti azzardati,<br />

sul piano del gusto sono un’abitudinaria. Amo<br />

la leggerezza perché sono una persona delicata<br />

e la mia cucina mi assomiglia. Negli anni ho<br />

«Mi sento lontana dalla<br />

cucina contemporanea,<br />

la sua cerebralità non mi<br />

appartiene: piuttosto voglio<br />

trasmettere le mie emozioni,<br />

la mia personalità»<br />

la parte di natura, la semplicità<br />

delle cose. Cucino con<br />

la pancia e con il cuore,<br />

piuttosto che con l’intelletto.<br />

Il lavoro del contadino è<br />

un lavoro molto libero. Sei<br />

subordinato al tempo meteorologico<br />

e alle stagioni. Ma<br />

io ricordo mio nonno quando<br />

fumava il tabacco, queste cartine,<br />

c’erano dei tempi cadenzati, una<br />

forma di rispetto. Ecco, mi sono innamorata di<br />

questa parte del mestiere: le piccole autonomie.<br />

Oggi fra i ristoratori va di moda avere l’orto,<br />

ma sono mestieri in cui non ci si improvvisa,<br />

occorre tanto tempo per capire».<br />

Torniamo a tua nonna. Aveva messo su lei<br />

il ristorante? «La famiglia di mia mamma ha<br />

sempre gestito questo posto, che era una locanda<br />

con camere. Allora non c’erano i consperimentato<br />

talmente tanto che per cambiare<br />

menu mi basta dare uno sguardo alla mia storia<br />

e fare qualche aggiustamento. Forse oggi mi<br />

manca un po’ la follia, la voglia di osare che<br />

avevo un tempo».<br />

Se guardi alla ristorazione contemporanea,<br />

che sentimenti provi? «Mi sento lontana dalla<br />

cucina contemporanea, perché la sua cerebralità<br />

non mi appartiene: piuttosto voglio<br />

trasmettere le mie emozioni, la mia<br />

personalità, i miei colori. E non mi<br />

interessano le mode, nemmeno<br />

il chilometro zero. Queste<br />

cose secondo me non hanno<br />

senso, perché una persona<br />

che ama la propria terra, quel<br />

che è di valore lo acquista sul<br />

posto, ma il resto deve cercarselo<br />

altrove. Non mi interessa praticare<br />

il chilometro zero per piacere<br />

alla stampa, farne un’ideologia. Piuttosto<br />

credo nel tempo e nella stagionalità».<br />

Ad Enologica però hai deciso di venire.<br />

Cos’è l’italianità per te? «Sapere come è fatta<br />

la pianta dei prodotti che uso; sapere da dove<br />

arrivano, restando magari in Italia. Sperimentare,<br />

ma senza farne una coazione. All’estero<br />

siamo ancora quelli di spaghetti e maccheroni,<br />

ed è importante non perdere anche quelli. Ho<br />

deciso di partecipare ad Enologica perché si<br />

svolge nella mia regione ed è la prima volta che<br />

qualcuno mi fa sentire che l’Emilia Romagna<br />

esiste davvero. Come piatti porterò il tortino di<br />

cipolle di Georges, per riallacciarmi alla mia storia<br />

personale, e come evergreen un raviolo di<br />

tacchinella con la pasta di castagna, la scorza<br />

di arancia e la frutta secca».<br />

Com’è riaffiorato in carta quel piatto di Cogny?<br />

«Attraverso una mia cliente che l’ha mangiato<br />

per 15 anni. Ho trovato curioso che me lo<br />

chiedesse con tanta insistenza. Avevo la ricetta,<br />

che era una sorta di icona, perché a suo tempo<br />

l’avevo raccolta per i Giovani Ristoratori. Ma non<br />

mi sentivo di servire il piatto tal quale, perché mi<br />

sembrava sempre troppo povero; così aggiungevo<br />

le lumache, il baccalà, un uovo piuttosto<br />

che una cappella di porcino. È geniale che in<br />

un periodo di aragoste e foie gras lui abbia servito<br />

per 15 anni un tortino povero fatto di cipolle<br />

con un sospetto di pancetta. Il risultato è senza<br />

tempo, un esempio della cucina cui aspiro».<br />

Anche Georges abitava nel suo ristorante,<br />

ed è morto dopo che l’hanno aggiustato,<br />

sventrando la sala per adattare l’abitazione ai<br />

suoi problemi. Il montacarichi trasformato in<br />

ascensore, le porte scorrevoli larghe come la<br />

carrozzina. Era come se si fosse rotto l’equilibrio<br />

fra la vita e il lavoro.<br />

Info: ristorante Riva, Ponte dell’Olio (PC), località<br />

Riva 16. Tel. 0523 875<strong>19</strong>3<br />

allegato a n.11/11 musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

<strong>19</strong>


allegato a n.11/11<br />

cuochi<br />

extra<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

musica<br />

<strong>20</strong><br />

ATTENTI AL PANE<br />

Pediconi e i segreti della lievitazione naturale<br />

Chiacchierata piacevole quella col maestro Giuliano<br />

Pediconi, panificatore marchigiano esperto<br />

nella lievitazione naturale. Da 26 anni fa il fornaio.<br />

Ha cominciato per caso, un lavoro valeva<br />

l’altro perché aveva necessità di mantenersi, ma<br />

si è sempre tenuto aggiornato sugli sviluppi in<br />

materia fino a quando, pochi anni fa, «ho scoperto<br />

la passione sugli antichi procedimenti della<br />

lavorazione del pane. Ora sono consulente per il<br />

Molino Paolo Mariani di Barbara (An), uno dei primi<br />

molini alimentati ad acqua, e tengo corsi nella<br />

sede di San Patrignano dove i ragazzi ospiti possono<br />

imparare questo antico mestiere».<br />

Cosa distingue il suo pane da quello più diffuso?<br />

«Nel mio si esalta la materia prima e si usa la<br />

pasta madre, non il solito lievito di birra. La mia è<br />

una fermentazione spontanea che avviene miscelando<br />

acqua e farina con la complicità di tempo<br />

(48 ore) e caldo (32°C). Il composto acidifica e<br />

dopo questo tempo viene aggiunta ancora farina<br />

e acqua e si accorciano i tempi. Questo fino a<br />

che il nostro lievito è due volte l’impasto iniziale. Si<br />

procede poi alla lavorazione del pane».<br />

Il suo segreto allora è il lievito? «Il mio segreto<br />

è principalmente il tempo e la passione. Bisogna<br />

dedicare una mezza giornata per fare un buon<br />

pane e poi rimangono gli ingredienti di qualità. La<br />

farina giusta, magari macinata a pietra, che conserva<br />

tutte le proprietà del grano».<br />

Un pane così è ok anche per i diabetici? «Studi<br />

confermano che il pane a lievitazione naturale ha<br />

una risposta glicemica inferiore a quello comune».<br />

Ma si può fare anche a casa? «Certo. Anche se<br />

non è facile le prime volte, l’esperienza ti aiuta a<br />

risolvere i problemi dati dai tempi e dalle temperature<br />

sbagliate. Inoltre, se ne avete l’opportunità,<br />

tengo dei corsi aperti al pubblico alla comunità di<br />

San Patrignano: come fare la pizza e come fare<br />

il pane (per avere informazioni chiamare direttamente<br />

lo spaccio di San Patrignano, ndr). Un<br />

consiglio: siate esigenti al massimo, imparate a<br />

ritrovare l’attenzione per la qualità del cibo».<br />

Dopotutto siamo ciò che mangiamo.<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

TEATRO DEI CUOCHI<br />

Sabato <strong>19</strong> novembre ore <strong>20</strong>.30<br />

ANGELA ANZALONE<br />

i TURTèLL d’san lazar<br />

È da diversi anni che i Panificatori dell’Ascom di<br />

Faenza promuovono la valorizzazione di un prodotto<br />

tipico del territorio faentino: i Turtèll d’San Lazar.<br />

Si tratta di un dolce della cucina povera, nato per<br />

essere consumato in inverno (grazie al suo notevole<br />

apporto calorico) ma che veniva preparato anche<br />

in occasione delle feste di primavera. E proprio una<br />

di queste, la Festa della Chiesa di San Lazzaro nel<br />

Borgo Durbecco, ha dato il nome al dolce, complice<br />

l’usanza seguita in quel giorno dagli abitanti del<br />

quartiere di offrire turtèll (rigorosamente serviti sul<br />

piatto più prezioso che possedevano) a chiunque<br />

passasse davanti a casa loro. Usanza ancor oggi<br />

ampiamente praticata. «La prime testimonianze<br />

dei tortelli - spiega Gabriele Romanato - risalgono<br />

al rinascimento e indicano un’area di diffusione che<br />

comprende, oltre al Borgo di Faenza, anche la campagna<br />

che da qui va verso Forlì. In origine erano fatti<br />

con farina, acqua, sale e miele (sostituito poi dallo<br />

zucchero). Come ripieno si usavano fagioli «dall’occhio»<br />

lessati, e siccome il condimento di questi era<br />

la saba (mosto dell’uva bollito) venne naturale immergerli<br />

in questo sciroppo. Col tempo, poi, il ripieno<br />

di fagioli venne sostituito dalle castagne lessate».<br />

Oggi la ricetta dei turtèll si è arricchita di vari ingredienti<br />

(cioccolato, caffè e persino liquore) che ne<br />

aumentano la gradevolezza. Dalla zona del Borgo la<br />

loro diffusione si è estesa inizialmente in altre parti<br />

della città, per poi espandersi in tutto il ravennate<br />

con molte varianti (sabadoni). Ma ciò che distingue<br />

e che rende il dolce faentino un prodotto unico, è<br />

la sua forma: un intreccio della pasta che ricorda<br />

l’antica fasciatura dei neonati.<br />

L’azione di valorizzazione dei turtèll si sviluppa su<br />

più livelli: ricerca storica, depliant informativi, stand<br />

specifici in fiere gastronomiche (Enologica compresa),<br />

supporto ai fornai faentini nella produzione (e<br />

sono diversi quelli che già a novembre li preparano),<br />

realizzazione di una confezione con coperchio trasparente,<br />

ideale per farne un originale regalo. (a.f.)


LA VERSIONE<br />

DI TIBERIO<br />

L’assessore regionale all’Agricoltura<br />

Rabboni, grande fan di Enologica,<br />

a ruota libera sulle prospettive del<br />

comparto ed i suoi gusti alimentari.<br />

«Il McDonald’s? Non sono pronto...»<br />

È un fan di Enologica della primissima ora e non<br />

perde occasione per spendere parole di apprezzamento<br />

al riguardo. Partiamo allora da qui la<br />

nostra chiacchierata enogastronomica con l’assessore<br />

regionale all’Agricoltura, Tiberio Rabboni.<br />

«È un evento - spiega - simile al Salone del<br />

gusto di Torino, dove si saldano qualità e autenticità<br />

dei produttori, narrazione dei luoghi, dei ritmi<br />

e dei riti, creatività degli chef e il prezioso lavoro di<br />

critica di giornalisti, gourmet. Tornando a casa da<br />

Enologica ci si porta dentro il ricordo dei sapori<br />

incontrati ma soprattutto una nuova consapevolezza<br />

dei valori identitari delle produzioni».<br />

L’identità di una cucina legata al territorio<br />

deve fare i conti a monte con lo stato di salute<br />

dell’agricoltura a cui è indissolubilmente<br />

connessa. Qual è il «quadro clinico» attuale<br />

del comparto agricolo regionale? «La nostra<br />

agricoltura deve comprendere e fare propria la<br />

centralità della commercializzazione e della compartecipazione<br />

al governo delle filiere agroalimentari.<br />

La qualità del prodotto, la sua riconoscibilità<br />

sono requisiti necessari ma non sempre sufficienti<br />

ad assicurare il reddito. Ciò che fa la differenza è<br />

la capacità di regolare l’offerta quali-quantitativa in<br />

direzione dell’industria, della grande distribuzione,<br />

dei mercati esteri e, in ultima analisi, del consumatore<br />

finale. L’esempio positivo più recente è quello<br />

del Parmigiano Reggiano. Quello negativo è la<br />

frutta estiva non raccolta, ad esempio le pesche<br />

di Romagna. Per questo auspico ulteriori convergenze<br />

commerciali di scala nazionale ed internazionale,<br />

fusioni e progetti di filiera condivisi».<br />

Passiamo al capitolo vino. Il nostro Paese nel<br />

<strong>20</strong>10 ha brindato alla leadership quantitativa<br />

della produzione: abbiamo superato i nostri<br />

cugini d’oltralpe. Tuttavia il consumo di vino<br />

di qualità è tutt’altro che in espansione e le<br />

nostre aziende, nel tentativo di far assorbire<br />

al mercato le loro mille proposte, sono costrette<br />

a combattere una guerra commerciale<br />

tutta basata sul ribasso del prezzo. In Francia<br />

esiste un piano progressivo di espianto<br />

dei vigneti ed il prezzo medio che spuntano i<br />

produttori è tre volte superiore. Chi ha ragione?<br />

«La concorrenza al ribasso non dà nessuna<br />

prospettiva ed avvantaggia unicamente la distribuzione.<br />

Anche l’estirpazione non sembra ulteriormente<br />

percorribile. La nostra regione negli ultimi<br />

tre anni ha estirpato 3.000 ettari su oltre 55.000.<br />

D’altra parte la vendemmia <strong>20</strong>11 in Italia registra<br />

una notevole riduzione quantitativa e un nuovo<br />

sorpasso da parte della Francia. La soluzione non<br />

è dunque nè nel ribasso nè nell’estirpo ma in una<br />

forte crescita dell’export. La prospettiva è del tutto<br />

realistica. L’export dei vini emiliano-romagnoli<br />

nel marzo <strong>20</strong>11 è aumentato rispetto allo stesso<br />

mese dell’anno precedente del 28%. Per cogliere<br />

le grandi potenzialità dei mercati internazionali<br />

occorre però un’adeguata struttura commerciale».<br />

TERRITORI<br />

Da sinistra l’assessore regionale Tiberio Rabboni<br />

col curatore di Enologica Giorgio Melandri<br />

Gianni Fabrizio, uno dei massimi esperti italiani<br />

di vino, proprio su queste pagine indicò<br />

come il problema principale dell’enologia nazionale<br />

una certa mancanza di coerenza. A<br />

cominciare dalla legislazione «con sigle DOC<br />

fatte per accontentare tutti». Rabboni che ne<br />

pensa? «Assolutamente d’accordo. Anche per<br />

questo ho sostenuto con convinzione la riorganizzazione<br />

delle denominazioni romagnole e la creazione<br />

dell’unica Dop Romagna».<br />

Bando ai discorsi istituzionali. Tiberio Rabboni<br />

siede al ristorante e ordina… «Menù etnico:<br />

mortadella, tagliatelle al ragù, carrello dei bolliti e<br />

zuppa inglese». …Accompagnando il tutto con?<br />

«Pignoletto frizzante dei Colli Bolognesi, Lambrusco<br />

di Sorbara, Albana passita di Romagna».<br />

L’assessore regionale all’Agricoltura si cimenta<br />

in cucina? «Dopo i pranzi etnici al ristorante in<br />

casa devo riequilibrare nel segno della sobrietà.<br />

Mi sono quindi specializzato nelle insalate miste<br />

condite con olii Dop della regione e aceti balsamici.<br />

Il risultato? Soddisfacente».<br />

Ha mai cenato ad un Mc Donald’s? Magari in<br />

incognito… «Ho accompagnato i miei figli. Ma<br />

mi sono limitato ad osservarli. Non sono ancora<br />

pronto. Magari con il tempo... Chissà».<br />

ALESSANDRO ANCARANI<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

<strong>21</strong>


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

TERRITORI<br />

maestri<br />

di tartufo<br />

arte<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

22<br />

Ciclicamente ogni anno, proprio in queste<br />

settimane, i quotidiani locali donano un briciolo<br />

di celebrità a un uomo che con fierezza<br />

viene ritratto stringendo tra le sue mani il premio<br />

della Dea Bendata: il tartufo più grande<br />

della stagione.<br />

Quell’uomo è generalmente un commerciante,<br />

la figura che media, acquista il prodotto<br />

da coloro che vanno per boschi, colui che<br />

deve dare un valore economico al pregiato<br />

tubero.<br />

Elio Rossi, faentino, è accreditato come uno<br />

dei commercianti più stimati e affidabili in Romagna,<br />

merito della serietà con cui seleziona<br />

il tartufo che riceve dalla sua rete di cercatori<br />

e soprattutto per avere sempre voluto trattare<br />

solo prodotti locali. Elio è la punta dell’iceberg<br />

di un mondo sommerso fatto di curiosi<br />

personaggi: i tartufai. Gente che si muove<br />

furtiva nel buio della notte tra le mura di casa<br />

come tra i sentieri del bosco quasi fosse un<br />

agente segreto in missione, che nasconde le<br />

sue orme nei passaggi più reconditi o ancora<br />

che cammina all’indietro sulla neve per confondere<br />

il suo percorso.<br />

Gente che mai mostra il proprio cesto pieno<br />

al bar degli amici, che non può innalzare con<br />

orgoglio un ritrovamento particolarmente fortunato,<br />

perché ciò causerebbe le invidie degli<br />

altri cercatori e soprattutto perderebbe il suo<br />

basso profilo.<br />

Ogni mossa è tesa a mantenere nascosta<br />

agli occhi degli altri tartufai, visti come dei<br />

pirati immaginari, la propria mappa del tesoro,<br />

singoli alberi sotto cui scavare con la fida<br />

vanghetta, che con gli anni sono stati apprezzati<br />

per la costanza con la quale regalano tra<br />

le loro radici questi rari frutti del sottobosco.<br />

Tartufo bianco, scorzone, moscato, bianchetto,<br />

nero dolce, ogni varietà ha i suoi<br />

estimatori e ognuna necessita per vivere di<br />

una serie di variabili assai ardue da far coincidere.<br />

L’altitudine, i terreni, il clima e la vegetazione<br />

sono gli elementi fondamentali per<br />

la vita del tartufo; il clima è la condizione più<br />

imprevedibile ovviamente, ma anche i terreni<br />

stanno perdendo la loro forza vitale a causa<br />

del graduale abbandono dei boschi da parte<br />

dell’uomo, che con le sue lavorazioni manteneva<br />

pulito il sottosuolo e quindi più ricettivo.<br />

Come dice Elio, sebbene nulla in questa faticosa<br />

ricerca possa essere lasciato al caso,<br />

nulla c’è di scientifico e calcolato. Ecco quindi<br />

che entra in ballo il fattore più determinante<br />

per la raccolta del tartufo, il meno prevedibile<br />

ma anche il più affascinante: il rapporto<br />

uomo-cane da tartufo. Una congiunzione primordiale<br />

legata da una profonda conoscenza<br />

l’uno dell’altro, da un paziente addestramento<br />

e un amorevole e giocoso allevamento sin<br />

Elio Rossi racconta<br />

le manie di riservatezza<br />

dei cercatori: veri e propri<br />

«agenti segreti» del sottobosco<br />

da cuccioli, fa in modo che il cane diventi così<br />

il sesto senso del tartufaio.<br />

Una volta trovato e raccolto, inizia il lavoro di<br />

Elio e di tutta la famiglia Rossi, con la verifica<br />

del prodotto e la sua valutazione che si basa,<br />

oltre che sulla qualità e sul peso del singolo<br />

tartufo, anche sulla quantità di prodotto presente<br />

sul mercato nazionale. Come in una<br />

borsa affari, vi sono continui scambi di dati<br />

e di valori tra i più importanti commercianti<br />

d’Italia.<br />

SIMONE ZOLI<br />

In alto: il tortino di cipolla con tartufo e sale grosso<br />

di Georges Cogny che sarà riproposto ad Enologica<br />

al Teatro dei Cuochi da Carla Aradelli<br />

A pagina 23 un lagotto impegnato nei boschi della valle<br />

del Lamone nella ricerca del tartufo<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

MERCATO DEGLI ARTIGIANI<br />

Elio Rossi


allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

23


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

ARTIGIANI<br />

DEL GUSTO<br />

FORMA<br />

MENTIS<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

bimbi<br />

Dietro ogni Parmigiano Reggiano<br />

ci sono le scelte, l’esperienza<br />

e la passione di una persona<br />

che custodisce la formula di questa<br />

meraviglia gastronomica: il casaro<br />

cinema<br />

24<br />

di Valentina Minguzzi


Lasciamo alle spalle la città, ci allontaniamo<br />

dalla pianura e, non distante dalle abetaie<br />

degli Appennini modenesi, aziende agricole<br />

continuano a lavorare percorrendo la loro tradizione<br />

in un’alternanza di sentimenti contrastanti<br />

che sottendono una certa difficoltà nel portare<br />

avanti queste tradizioni secolari, ma sono anche<br />

lo stimolo per dare nuova linfa e motivazione<br />

a chi della loro valorizzazione si fa portavoce.<br />

In questa terra il Parmigiano Reggiano, ormai<br />

simbolo dell’italianità nel mondo, trova le cure<br />

di casari che lo conducono passo dopo passo<br />

dal primo latte alla prima scelta. Un percorso<br />

complesso che Ennio Biolchini, anima del caseificio<br />

di montagna Latteria del Monte Cimone,<br />

supervisiona attraverso il controllo di una filiera<br />

interna da sempre tutelata.<br />

Il caseificio porta i segni del tempo a cui somma<br />

quelli dell’innovazione per realizzare il prodotto<br />

figlio della tradizione più antica ed autentica. Un<br />

prodotto che trova la sua migliore espressione<br />

solo quando è frutto di un’artigianalità autentica,<br />

quasi artistica, come può essere quella di<br />

un casaro che ha il sesto senso di percepire,<br />

attraverso tatto e talento, la consistenza del latte<br />

di giornata. Egli, dosando sapientemente le<br />

percentuali del latte proveniente da due mungiture<br />

diverse, quella della sera e quella della mattina,<br />

e del siero-innesto, determina il gusto del<br />

Parmigiano, variabile proprio perché dipendente<br />

dalla mano umana: è qui che risiede il valore<br />

vero dell’artigiano.<br />

«Le cure del casaro verso la giovane forma possono<br />

quasi essere paragonate alle cure di una<br />

madre verso il suo neonato al quale cambia il<br />

pannolino»: con queste parole Ennio ci spiega<br />

che nel primo giorno di vita, le forme fresche<br />

avvolte in un telo perdono davvero grandi quantità<br />

di siero in eccesso e, proprio per<br />

permettere questo drenaggio, il<br />

casaro cambia il suddetto telo<br />

per ben quattro volte nelle sue<br />

prime ore di vita (circa una<br />

volta all’ora). Una meticolosità<br />

fondamentale se si vuole<br />

essere portatori di questa<br />

grande tradizione, se si vuole<br />

tramandare questa storia<br />

secolare.<br />

Una vasca di rame, 1.500 litri di<br />

latte dai quali si ricaveranno due<br />

forme da 40 kg circa cadauna.<br />

Questi numeri, queste quantità testimoniano il<br />

valore del prodotto, ma è entrando all’interno<br />

della sala di stagionatura che si palesa l’emozione<br />

più forte. Scaffali infiniti di forme dalle<br />

diverse gradazioni di giallo paglierino, testimonianti<br />

le diverse stagionature, si susseguono<br />

in un ambiente nel quale il calore del legno e<br />

l’odore stantio del formaggio ci catapultano<br />

in un’altra epoca. In un tempo lontano dove il<br />

«Le cure del casaro<br />

verso la giovane forma<br />

sono simili a quelle di una<br />

madre per il suo bambino<br />

appena nato»<br />

A pagina 24 la stagionatura delle forme al caseificio Latteria del Monte Cimone che sarà presente ad Enologica <strong>20</strong>11<br />

In alto: il mercato di Enologica che ospita diversi caseifici del Parmigiano Reggiano<br />

casaro puliva ogni forma una ad una, dove la<br />

tecnologia, che ha invaso anche questo mondo<br />

rurale, non veniva contemplata. Ora tutti i processi<br />

si sono affinati, la pulizia è fatta attraverso<br />

macchine che arrivano dove l’uomo giunge<br />

solo con estrema fatica, le temperature del latte<br />

sono controllate durante ogni singola fase del<br />

processo di produzione. Tutto ciò non può che<br />

favorire ulteriormente la creazione di un prodotto<br />

dalle qualità indiscusse, ma che senza l’attenzione<br />

e la cura quotidiana di chi il Parmigiano<br />

lo fa, non si sarebbero mantenute fino ad oggi<br />

proprietà tali da definirlo il Re dei Formaggi.<br />

La tecnologia aiuta, ma è l’uomo<br />

che plasma. Ed è l’uomo che<br />

controlla la riuscita di ogni<br />

singola forma. Tre volte l’anno,<br />

tre visite a garanzia della<br />

qualità del prodotto, in tutela<br />

del consumatore finale. Ogni<br />

quattro mesi infatti i vari caseifici<br />

iscritti al Consorzio del<br />

Parmigiano Reggiano ricevono la<br />

visita di esperti battitori chiamati a<br />

verificare e, di conseguenza, classificare<br />

ogni pezzo. Il momento della verità per ogni<br />

forma di Parmigiano è al dodicesimo mese di<br />

stagionatura: attraverso tre operazioni l’esperto<br />

valuta struttura della forma, consistenza e<br />

aroma. A questo punto se la forma supera la<br />

selezione risultando così di prima scelta viene<br />

marchiata a fuoco. La forma che presenta difetti<br />

strutturali lievi, ma che mantiene le proprietà organolettiche<br />

caratterizzanti il Parmigiano Reg-<br />

giano, viene classificata come forma di seconda<br />

scelta, il cosiddetto Parmigiano Reggiano Mezzano,<br />

anch’esso marchiato a fuoco, ma differenziato<br />

dalla prima scelta attraverso l’incisione<br />

sulla crosta di solchi paralleli. Ovviamente non<br />

tutte le forme riescono a rientrare in queste due<br />

categorie. In presenza di difetti troppo rilevanti<br />

(strutturali e organolettici) vengono dequalificate<br />

e, per rendere concreta questa bocciatura avviene<br />

la fresatura della crosta (in pratica la forma<br />

viene scrostata). Proprio a questo punto Ennio<br />

ci ha dato un consiglio: «diffidate dunque da chi<br />

ti vende Parmigiano senza crosta, non sempre<br />

lo fanno per facilitarti, ma spesso si tratta<br />

di scarti rivenduti al prezzo di mercato del Parmigiano<br />

Reggiano». Una consapevolezza questa<br />

che non sempre fa parte della mentalità del<br />

consumatore medio, ma che è fondamentale<br />

nella tutela di un patrimonio enogastronomico<br />

come quello italiano, che purtroppo viene malamente<br />

imitato semplicemente perché di pregio<br />

e quindi redditizio.<br />

Ci sono ancora tanti artigiani che credono nel<br />

valore del loro lavoro, del loro prodotto e che<br />

con passione cercano ogni giorno di comunicare<br />

l’identità territoriale insita nelle loro produzioni;<br />

venite a conoscerli, vi aspettano ad Enologica<br />

<strong>20</strong>11. Per dimostrarvi che la qualità non<br />

è privilegio di pochi, ma un diritto da difendere<br />

con la conoscenza e la curiosità… E perché no,<br />

anche con l’aiuto di persone come Ennio.<br />

Info: Latteria Monte Cimone, Canevare di Fanano<br />

(Mo), via Ca’ Frati <strong>20</strong>0. Tel. 0536 68031, info@<br />

latteriamontecimone.com<br />

allegato a n.11/11 musica arte gusto<br />

teatro libri shopping bimbi cinema<br />

25


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

ARTIGIANI<br />

DEL GUSTO<br />

TORRONE<br />

DAL <strong>19</strong>04<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

26<br />

Le tradizioni e i saperi, da queste parti non<br />

vanno perduti. Siamo a Forlì, precisamente<br />

sotto il loggiato che ospita l’antico Palazzo<br />

Brocchi, a due passi dal ponte Schiavonia, in<br />

corso Garibaldi. Qui ha inizio la storia di quella<br />

che oggi è una delle più antiche pasticcerie<br />

cittadine. Corrono i primi anni del ’900, e nello<br />

stesso luogo nasceva la Pasticceria Martelli.<br />

Poi subentrarono i fratelli Balbonesi, che istituirono<br />

quelli che ancora oggi rimangono gli<br />

archivi storici delle ricette, che continuano ad<br />

essere utilizzate nella lavorazione delle delizie<br />

dolciarie dalla famiglia Ortolani.<br />

Siamo alle soglie del millennio che muore,<br />

precisamente nel <strong>19</strong>98, quando Fabrizio<br />

Ortolani, decide di rilevare la famosa pasticceria.<br />

Si porta appresso tutta la famiglia,<br />

strappando la sorella Annalisa al destino di<br />

segretaria, e trasformando pile di documenti<br />

e fatture in torte e biscotti. Comincia così<br />

l’avventura, che diventa l’anima e il coraggio<br />

di una scommessa intrigante e molto pericolosa.<br />

Sono proprio gli aggettivi a connotare lo<br />

spazio entro il quale si potrebbe circoscrivere<br />

una produzione pasticcera costruita con autorevolezza<br />

e passione.<br />

Si rimane adorabilmente sorpresi nello scoprire<br />

che il torrone che oggi prepara Fabrizio<br />

segue passo dopo passo, esattamente l’antica<br />

ricetta tramandata dai fratelli Balbonesi:<br />

c’è il miele che arriva fresco direttamente dalle<br />

campagne di Roncadello, zucchero, albume,<br />

mandorle, cioccolato e canditi compongono<br />

e guarniscono le varietà di torrone. Tutto<br />

viene lavorato con una macchina vecchia di<br />

decenni tramandata di gestione in gestione.<br />

Poi caffetteria pasticceria La Loggia, decide<br />

di non farsi mancare nulla; e allora si trova<br />

nei mesi estivi il gelato artigianale, che comprende<br />

la famosa panna gelato al croccante,<br />

che richiestissima dai clienti, viene preparata<br />

durante tutto l’arco dell’anno.<br />

Nelle prime ore del giorno, le colazioni invadono<br />

gli ampi spazi antistanti il loggiato, e costringono<br />

Annalisa e le bariste a correre lungo<br />

il bancone, mentre tra i tavoli e nel laboratorio<br />

adiacente Fabrizio e il suo aiuto pasticciere si<br />

divincolano tra i forni e lo zucchero a velo. Ci<br />

sono ancora i genitori dei fratelli Ortolani, che<br />

secondo la tradizione famigliare della pasticceria,<br />

aiutano e aggiungono con la loro presenza<br />

familiarità all’ambiente. Sagre e festività<br />

donano magia e Forlì si trasforma così in un<br />

elogio del dono. Panettoni artigianali vengono<br />

confezionati per addobbare tavole e case,<br />

mentre il 25 Novembre, Festa di Santa Caterina,<br />

è usanza regalare un torrone alle belle<br />

spose, le ragazze più desiderate della città,<br />

rito che si ripete anche nella ricorrenza del 13<br />

dicembre quando si celebra Santa Lucia.<br />

La famiglia Ortolani, della Loggia<br />

di Forlì, lo produce ancora<br />

con una ricetta dell’800 e una<br />

vecchia macchina tramandata<br />

di gestione in gestione<br />

Il torrone rimarrà sino a Pasqua, quando sarà<br />

ora di prepare le colombe con le mandorle<br />

cotte al forno. Ciambelle al marzapane con<br />

uvetta e pinoli, poi la classica ciambella romagnola<br />

costituiscono un elemento fondamentale<br />

in vetrina. Tradizione e arte si sposano<br />

attraverso i quadri di Pantieri, famoso<br />

pittore forlivese che con la sua delicata poetica,<br />

contribuisce a restituire alla Loggia il giusto<br />

connubio tra arte e tradizione.<br />

MARCO BOCCACCINI<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

PASTICCERIA CAFFETTERIA LA LOGGIA<br />

Forlì, corso Garibaldi 125<br />

Info: 0543 33075


il salume<br />

delle nebbie<br />

All’Antica Corte Pallavicina<br />

di Polesine Parmense, Spigaroli<br />

recupera la propria storia<br />

familiare e l’arte del culatello,<br />

passione che fu di Giuseppe Verdi<br />

Aria frizzante, sole tiepido di un ottobre che<br />

lentamente riporta i ritmi ed i profumi autunnali.<br />

E in Emilia l’avvento di questa stagione è salutato<br />

con irriverente frenesia. Contrariamente<br />

all’andamento letargico della natura intorno,<br />

infatti, con le prime nebbie ed i primi freddi gli<br />

argini parmensi del Po si animano.<br />

Sotto la calma apparente della provincia, al di<br />

là della quiete autunnale un mondo si prepara<br />

ai mesi di lavoro più caldi. Un mondo nascosto,<br />

ma ricco, fatto di gesti e rituali che riportano ad<br />

un tempo che fu.<br />

Varie le storie, pochi i protagonisti che le possono<br />

ancora raccontare, pochissimi gli eredi che<br />

ne portano testimonianza. Tra questi i fratelli Spigaroli,<br />

Massimo e Luciano. Figli di terre talvolta<br />

dimenticate, hanno ridato vita, attraverso un lavoro<br />

lungo e meticoloso, ad una di queste storie<br />

e ad un prodotto ad essa legato: il Culatello di<br />

Zibello e di altri sette comuni della bassa.<br />

Polesine Parmense è uno di questi. Situato sulle<br />

rive del Po, fu feudo della famiglia Pallavicino.<br />

Ragioni strategiche li portarono in questo luogo,<br />

ragioni sentimentali hanno invece spinto e<br />

convinto la famiglia Spigaroli a investire i risparmi<br />

di una vita nell’acquisizione di quella corte,<br />

dell’Antica Corte Pallavicina, all’interno della<br />

quale gran parte della storia norcina familiare<br />

era nata e si era sviluppata.<br />

In un’alternanza di periodi più o meno fruttuosi,<br />

infatti, gli avi Spigaroli in queste terre avevano<br />

sempre dato prova della loro arte norcina, producendo<br />

culatelli apprezzati persino da quel<br />

compositore figlio di queste terre, i cui salumi<br />

conosceva e giudicava, tale Giuseppe Verdi.<br />

Donare nuovamente vita a quell’antico possedimento,<br />

a quel piccolo castello, situato in un<br />

ambiente intriso di malinconia e per questo affascinante.<br />

Questa era l’idea. Storia di oggi la sua<br />

sapiente realizzazione. Massimo, cuoco e patron<br />

dell’Antica Corte Pallavicina, è oggi l’anima<br />

di un sogno concretizzato. Segue il ristorante,<br />

dove il menù è frutto della trasformazione dei<br />

prodotti dell’azienda agricola e supervisiona la<br />

produzione del culatello, che qui a Polesine ha<br />

trovato la sua nuova capitale. Un tesoro fatto<br />

di 5.000 pezzi, nascosto nelle segrete del castello,<br />

nei sotterranei quasi a volerlo proteggere<br />

per poi rivelarlo a chi decide di catapultarsi in<br />

quella dimensione fatta di odori forti, di sapori<br />

decisi quanto cercati, di retrogusti speziati,<br />

ma talvolta pieni di quella naturale bestialità del<br />

maiale o, com’è meglio dire parlando della realtà<br />

di questa corte, dei maiali.<br />

In questo percorso Spigaroli ha infatti voluto affiancare<br />

al recupero di un prodotto e della sua<br />

storia, anche il recupero di alcune razze suine<br />

in via d’estinzione, come ad esempio la mora<br />

romagnola o il suino nero di Parma. Attraverso<br />

queste riscoperte si compie il racconto di casa<br />

artigiani<br />

del gusto<br />

Spigaroli, una rilettura complessa, necessaria<br />

per riportare ai fasti di un tempo quei sapori assopiti,<br />

ora risvegliati. Sapori complessi, come il<br />

mondo che li ha generati.<br />

Dalle segrete del castello, l’oro di Spigaroli silenziosamente<br />

prende forma, consistenza, vitalità<br />

ed attraverso la trasformazione della carne<br />

delle diverse razze riesce ad assecondare la<br />

naturale diversità gustativa dei palati. Una delicatezza<br />

immatura pervade i sensi all’assaggio<br />

di un giovane culatello di <strong>18</strong> mesi, deciso e più<br />

selvaggio il sapore del 37 mesi di suino nero di<br />

Parma. Ogni razza, ogni pezzo ha una riuscita<br />

differente, ogni stagionatura porta al palato più<br />

sensazioni, ognuna diversa, ognuna eccellente.<br />

Dalle segrete dell’antico castello Massimo Spigaroli<br />

ha rivitalizzato una storia, ha elevato un<br />

prodotto e ha dato modo di riscoprire il fascino<br />

antico della malinconia sulle rive del Po.<br />

VALENTINA MINGUZZI<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

TEATRO DEI CUOCHI<br />

Massimo Spigaroli, lunedì <strong>21</strong> novembre alle 15.30<br />

ANTICA CORTE PALLAVICINA<br />

Polesine Parmense (Pr), strada Palazzo due Torri 3<br />

Info: acpallavicina.com<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

27


PROGRAMMA ENOLOGICA <strong>20</strong>11<br />

Caravanserraglio, spazio culturale<br />

Venerdì <strong>18</strong> novembre<br />

Ore <strong>19</strong>,00 La storia delle pesche, una storia di Romagna.<br />

Con Alessandra Ravaioli, CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli).<br />

Con Stefania Mazzotti in collaborazione con Gagarin.<br />

Ore <strong>21</strong>,00 Si fa presto a dire buono… Black Mamba e<br />

Luca Gardini. Con Alessandro Bocchetti.<br />

Sabato <strong>19</strong> novembre<br />

Ore 14,00 “Georges Cogny. La leggenda del cuoco venuto<br />

dallo spazio” regia Francesco Barbieri e Andrea Canepari.<br />

Ore 15,30 La Via Emilia, una storia frizzante. Camillo Donati,<br />

Vittorio Graziano, Alberto Paltrinieri, Erica Tagliavini (Le<br />

Barbaterre). In conversazione con Ian D’Agata.<br />

Ore 17,00 Senza trucco, le donne del vino naturale. Di<br />

Giulia Graglia. Con Guido Tampieri<br />

Ore <strong>18</strong>,30 La tavola che verrà. Con Andrea Grignaffini e<br />

Alessandro Bocchetti.<br />

Ore <strong>20</strong>,30 COOK inc. … la sfida continua. Con Anna<br />

Morelli. Conduce Antonio Boco.<br />

Domenica <strong>20</strong> novembre<br />

Ore 13 Storia, cultura e guida alla degustazione del caffè e<br />

dell’espresso di qualità. Con Leonardo Lelli<br />

Ore 15 Dogliani. Dolcetto e sogni. Di Francesca Ciancio.<br />

Con Alessandro Bocchetti.<br />

Ore 16,30 Una questione di linguaggio. Conversazione<br />

tra Gian Vittorio Baldi e Jonathan Nossiter. Conduce il<br />

giornalista Carlo Bozzo.<br />

Ore <strong>18</strong> “Archévitis. Caucaso, origine e identità del<br />

Marzemino” di Nereo Pederzolli. Con Massimo Isola.<br />

Ore <strong>19</strong>,30 Storie di storie. La bottega diventa osteria e<br />

l’osteria diventa bottega. Roberto Olmeti e Daniele Minarelli.<br />

In conversazione con Alessandro Bocchetti.<br />

Teatro dei Cuochi<br />

Il Tema <strong>20</strong>11: “La memoria condivisa:<br />

150 anni di storia comune”<br />

Venerdì <strong>18</strong> novembre<br />

Ore <strong>19</strong>,00 Alberto Faccani. Ristorante Magnolia, Cesenatico (FC)<br />

Ore <strong>20</strong>,30 Carla Aradelli. Ristorante Riva, Ponte dell’Olio (PC)<br />

Sabato <strong>19</strong> novembre<br />

Ore 13,00 Andrea Incerti Vezzani. Ristorante Cà Matilde,<br />

Quattro Castella (RE)<br />

Ore 16,00 Massimo Bottura. Osteria Francescana, Modena<br />

Ore 17,30 Luca Marchini. Ristorante L’Erba del Re, Modena<br />

Ore <strong>19</strong>,00 Maria Grazia Soncini. Ristorante La Capanna,<br />

Codigoro (FE)<br />

Ore <strong>20</strong>,30 Giuliano Pediconi, Maestro Panificatore<br />

Domenica <strong>20</strong> novembre<br />

Ore 13,00 Roberto Pongolini. Ristorante La Cucina di<br />

Roberto, Felino (PR)<br />

Ore 15,00 Davide Fiorentini e Beniamino Bilali. Pizzeria ‘O<br />

Fiore Mio, Faenza (RA)<br />

Ore 16,30 Pier Luigi Di Diego. Ristorante Don Giovanni,<br />

Ferrara<br />

Ore <strong>18</strong>,00 Valentino Marcattilii e Massimiliano Mascia.<br />

Ristorante San Domenico, Imola (BO)<br />

Ore <strong>19</strong>,30 Stefano Roccamo. Gelateria Stefino, Bologna<br />

Lunedì <strong>21</strong> novembre<br />

Ore 11,00 Riccardo Agostini. Ristorante Il Piastrino,<br />

Pennabilli (RN)<br />

Ore 12,30 Alberto Bettini. Trattoria Amerigo, Savigno<br />

Ore 14,00 Pier Giorgio Parini. Ristorante Povero Diavolo,<br />

Torriana (RN)<br />

Ore 15,30 Massimo Spigaroli. Antica Corte Pallavicina,<br />

Polesine Parmense (PR)<br />

Ore 17,00 Gianni D’Amato. Ristorante Il Rigoletto, Reggiolo (RE)<br />

Ore <strong>18</strong>,30 Franco Aliberti. Ristorante Vite, San Patrignano (RN)<br />

Are you experienced? Degustazioni<br />

Venerdì <strong>18</strong> novembre<br />

Ore <strong>19</strong> Castell’in villa. Relatore Gianni Fabrizio<br />

Ore <strong>20</strong> Dedicato a Giulio Gambelli. Relatore Carlo Macchi<br />

Sabato <strong>19</strong> novembre<br />

Ore 16 Selvapiana, sangiovese di confine. Con Federico<br />

Giuntini. Relatore Armando Castagno<br />

Ore 17 Sean O’Callaghan, very traditional wines. Relatore<br />

Dario Cappelloni<br />

Ore <strong>18</strong> Il sangiovese, un’arte di famiglia. Con Franco e<br />

Marco Bernabei. Relatore Giuseppe Carrus.<br />

Ore <strong>19</strong> Tutte le lingue del sangiovese. Con Fabrizio Moltard.<br />

Relatore Giampaolo Gravina.<br />

Ore <strong>20</strong> Castello di Monsanto. Con Laura Bianchi. Relatore<br />

Antonio Boco.<br />

salone del vino e del prodotto tipico<br />

dell ’ Emilia-Romagna<br />

<strong>18</strong>/<strong>19</strong>/<strong>20</strong>/<strong>21</strong> <strong>NOVEMBRE</strong> <strong>20</strong>11<br />

WWW.<br />

.ORG<br />

Domenica <strong>20</strong> novembre<br />

Ore 15 Naturalmente sangiovese. Relatore Lorenzo Ruggeri.<br />

Ore 16 Fattoria Zerbina, Pietramora in verticale. Relatore<br />

Fabio Giavedoni.<br />

Ore 17 Poggio Antico, Montalcino. Relatore Alessandro<br />

Bocchetti<br />

Ore <strong>18</strong> L’essenziale del sangiovese. Con Maurizio Castelli.<br />

Relatore Pierpaolo Rastelli.<br />

Ore <strong>19</strong> Io e il sangiovese. Con Francesco Bordini. Relatore<br />

Daniele Cernilli.<br />

Toccata & Fuga,<br />

prodotti e abbinamenti<br />

Venerdì <strong>18</strong> novembre<br />

Ore <strong>18</strong>.30 Questione di uova e temperatura: la gallina<br />

romagnola è messa alla prova.<br />

Ore <strong>19</strong>,30 Cavzaled, la colazione dell’800.<br />

Ore <strong>20</strong>,30 L’albana come non l’avete mai sentita. Incontro<br />

con Don Antonio Baldassarri.<br />

Sabato <strong>19</strong> novembre<br />

Ore 12,30 Una questione di mestiere. I prosciutti S. Ilario<br />

della famiglia Montali<br />

Ore 17,00 366. CAPPONE IN GALANTINA. Un classico<br />

dimenticato.<br />

Ore <strong>18</strong>,30 Do you remember Aringa?<br />

Ore <strong>20</strong>,00 Allevatore, con passione. Luigi Martini presenta la<br />

sua carne di vacca romagnola.<br />

Domenica <strong>20</strong> novembre<br />

Ore 12,30 L’olio di Brisighella sfida il burro di Parmigiano<br />

Reggiano.<br />

Ore 17,00 Il Torrone come una volta. Il Torrone della<br />

Pasticceria La loggia di Forlì.<br />

Ore <strong>18</strong>,30 Scalogno per amore. Sott’olio e protagonista nei<br />

tagliolini allo scalogno e guanciale di mora romagnola, a cura<br />

de La Baita, Faenza.<br />

Ore <strong>20</strong> Le stagioni del Parmigiano Reggiano. Con Ennio<br />

Biolchini del caseificio cooperativo “Latteria del Monte<br />

Cimone” di Fanano di Modena<br />

Lunedì <strong>21</strong> novembre<br />

Ore 16,30 “Niente! Non sapete niente sul sale.” Il sale della<br />

Camillone e qualche abbinamento.<br />

Ore 17,30 Si fa presto a dire olio.<br />

Ore <strong>18</strong>,30 Affinare i formaggi, un mestiere difficile e<br />

prezioso. Con Renato Brancaleoni


SAPORI AD<br />

ALTA FEDELTà<br />

Unire papille gustative ed... uditive<br />

in un’unica esperienza sensoriale:<br />

la vocazione di quattro amici<br />

e dell’associazione Audio di...Vino<br />

In Romagna le idee non sono mai mancate.<br />

Così può capitare che quattro amici con la<br />

passione per la musica e impianti di riproduzione<br />

sonora a valvole, davanti ad un bicchiere<br />

di vino, perché anche di quello sono innamorati,<br />

decidano di fondare un’associazione<br />

culturale ed enogastronomica. È il <strong>20</strong>06 e<br />

il nome che dà il titolo alla loro idea diventa<br />

Audio di...Vino, fondendo così gli elementi<br />

fondanti che costituiscono le loro intenzioni.<br />

Una commistione particolare che passa attraverso<br />

le sinapsi dei sensi, unendo sapori,<br />

colori all’alta definizione acustica, data dagli<br />

impianti realizzati da loro stessi. Negli anni<br />

della velocità, dell’Ipod e di tutte le diavolerie<br />

che comprimono tempo e spazio, Audio<br />

di...Vino gioca la carta della rivoluzione dei<br />

dettagli, della ricerca del tempo per vivere<br />

momenti speciali, lasciandosi condurre solamente<br />

dalla percezione e dalle suggestioni<br />

della musica che esalta il gioco di colore e<br />

gusto. Romagna terra di invenzioni, ma anche<br />

roccaforte di vini intensi e di una cucina<br />

legata alla tradizione. Una tradizione che ora<br />

più che mai, corre verso l’evoluzione dei riti<br />

del piacere.<br />

«Tutti per vivere facciamo un altro lavoro.<br />

Questo lo facciamo per passione, - spiega<br />

Marco Mazzotti, uno dei componenti del<br />

progetto - Costruiamo prototipi di impianti<br />

ad altissima definizione da almeno vent’anni.<br />

Siamo tutti quanti rapiti da questa visione del<br />

suono e dalla magia del buon vino, semplicemente<br />

perché intendiamo la vita come emozionalità.<br />

Così per passione andiamo personalmente<br />

da produttori di vino, ristoratori e<br />

grandi chef, o artigiani, detentori di saperi in<br />

via di estinzione, e organizziamo serate con<br />

menù a tema, dove ogni portata viene preceduta<br />

da musica che noi stessi selezioniamo».<br />

Alta definizione in tutti i sensi. E l’esperienza<br />

di un buon formaggio e un buon vino passa<br />

dal palato, attraversa l’olfatto fino ad arrivare<br />

ai timpani. «É un processo legato alla naturalezza<br />

- continua Marco - e all’esaltazione di<br />

un momento ad alta definizione».<br />

Mazzotti insieme a Alessandro Costa, Andrea<br />

Bolognesi, Fabio Pisano sono stati partner<br />

dell’edizione <strong>20</strong>09 di Enologica. Quest’anno<br />

saranno al Baccanale di Imola dove presenteranno<br />

un mediometraggio di Daniele<br />

Marziali, fornaio di Saludecio, in provincia di<br />

Rimini, dal titolo Il Fornaio Anarchico, già selezionato<br />

in una collaterale a Cannes e dove<br />

introdurranno in anteprima mondiale l’uscita<br />

del disco di un famoso musicista jazz di cui<br />

non possiamo rivelare il nome per non rovinare<br />

la sorpresa.<br />

«In passato in analoga maniera abbiamo collaborato<br />

con Musica Nuda, del duo Petra Magoni/Ferruccio<br />

Spinetti - spiega Mazzotti - e<br />

anche questa volta cercheremo di non porci<br />

limiti, sperimentando nella speranza di arrivare<br />

a farci conoscere da tutte le persone che<br />

vogliono rimanere in ascolto». Ma intuiamo<br />

che questa volta la Romagna diventerà Piemonte<br />

e le idee di pianura si alzeranno sopra<br />

il livello del mare e dei sapori.<br />

PRESENTI AD ENOLOGICA <strong>20</strong>09<br />

AUDIO DI…VINO<br />

info@audiodivino.com<br />

artigiani<br />

del gusto<br />

MARCO BOCCACCINI<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

29


allegato a n.11/11<br />

musica<br />

DIETRO<br />

LE QUINTE<br />

questione<br />

di spazi<br />

cinema<br />

bimbi<br />

shopping<br />

libri<br />

teatro<br />

gusto<br />

arte<br />

30<br />

Anche il più sublime nettare degli dei non<br />

sprigionerebbe tutte le sue potenzialità se<br />

degustato in un ambiente angusto, scomodo,<br />

privo di quelle qualità che favoriscano un<br />

completo benessere sensoriale.<br />

Questa è la filosofia sepolta sotto le ceneri<br />

di Enologica che da qualche anno a questa<br />

parte viene rispolverata quando la manifestazione<br />

si ritrova ai blocchi di partenza per la<br />

nuova edizione. Perché per rendere completa<br />

la formula della felicità del salone del vino e<br />

del prodotto tipico dell’Emilia Romagna i prodotti<br />

di qualità devono andare a sommarsi ad<br />

un contesto capace di favorire le potenzialità<br />

di quei gusti, sapori ed odori presentati negli<br />

stand.<br />

A collaborare al miracolo di trasformare un<br />

centro fieristico come quello di viale Risorgimento<br />

in un luogo caldo capace di cullare<br />

l’enogastronomia regionale, è lo studio di architettura<br />

Bartoletti-Cicognani di Faenza.<br />

«Abbiamo sposato Enologica cinque anni fa,<br />

quando iniziò ad essere curata da Giorgio<br />

Melandri – spiega Luigi Cicognani - e da quel<br />

momento è nato un progetto animato dalla<br />

volontà di creare un vero e proprio percorso<br />

adatto a crescere con la manifestazione e<br />

svilupparsi nel tempo».<br />

Nella mente degli architetti sono le connessioni<br />

legate al tema del vino e dei prodotti tipici<br />

a farla da padrone anche negli allestimenti<br />

e l’obiettivo è quello di dar vita ad un ambiente<br />

dagli stessi connotati della manifestazione.<br />

«A nostro parere Enologica è fresca, flessibile<br />

e frizzante - continua l’architetto - e questo<br />

per noi si traduce nella necessità di non concepire<br />

stand rigidi ma capaci di valorizzare<br />

ciò che solitamente rischia di soffrirne in manifestazioni<br />

come questa».<br />

Ecco dunque luci calde e soffuse che sostituiscono<br />

i tradizionali fari da padiglione fieristico<br />

e una scelta di colori e motivi ogni anno diversi,<br />

ma tutti con l’intento di mettere in risalto le<br />

qualità dei prodotti presentati.<br />

«Se fosse l’allestimento a farla da padrone<br />

– aggiunge Cicognani – con motivi troppo<br />

forti, colori che distolgono l’attenzione o arredi<br />

eccessivi, si perderebbe il vero senso del<br />

nostro lavoro oltre a snaturare il focus della<br />

manifestazione. Tanto che nel nostro primo<br />

anno abbiamo voluto tutti gli arredi di colore<br />

bianco, proprio perché fossero i prodotti presentati<br />

ad essere gli unici protagonisti e per<br />

conferire un segnale forte anche per quanto<br />

riguarda il dietro le quinte della concezione di<br />

Enologica. Il secondo anno invece abbiamo<br />

optato per colori autunnali, e ad ogni edizione<br />

cerchiamo di giocare in modo sempre nuovo<br />

su luci, colori e motivi, ma utilizzando la stessa<br />

filosofia».<br />

Gli allestimenti di Enologica sono<br />

un progetto di linguaggio. Che<br />

diventano un elemento comune<br />

per espositori ed aree tematiche<br />

E anche gli addetti ai lavori e non sembrano<br />

apprezzare i principi su cui si basa l’allestimento,<br />

passando dallo scetticismo di cinque<br />

anni fa legato all’innovazione al considerare<br />

l’ambiente ricreato un vero e proprio valore<br />

aggiunto.<br />

Perché camminare tra spazi che ricreano il<br />

contesto di un’accogliente piazza del mercato,<br />

accompagnati da un’illuminazione tenue<br />

e focalizzata sui prodotti, restituisce la<br />

sensazione di essere a casa, in famiglia e di<br />

degustare prelibatezze cullati dal calore del<br />

focolare domestico.<br />

ALICE LOMBARDI<br />

In alto: Luigi Cicognani e Marco Bartoletti,<br />

la «squadra speciale» che progetta gli ambienti<br />

di Enologica e segue il cantiere. Gli allestimenti sono<br />

realizzati da Angelo Grassi<br />

STUDIO BARTOLETTI CICOGNANI<br />

Faenza (Ra), via Gallo Marcucci 81<br />

Info: 0546 681271, trelink.it


la cucina<br />

in scena<br />

Il Teatro dei Cuochi di Enologica<br />

è l’occasione per un racconto<br />

che lega uomo, piatto e territorio.<br />

Bello solo quando è vero<br />

Teatro dei Cuochi. Giorgio Melandri ci propone<br />

di guardare quest’occasione di Enologica<br />

- in cui i cuochi offrono lo spaccato del loro<br />

lavoro al pubblico - con gli occhi di un appassionato<br />

di teatro. Per andare oltre la metafora<br />

apparentemente scontata della rappresentazione<br />

al ristorante. L’occasione vera è il<br />

linguaggio. Il come dire. Perché poi il cosa è<br />

una questione di gusto. È il piatto. È il gusto<br />

per una storia. Forse una storia ci parla più di<br />

un’altra poiché intesse la profondità della sua<br />

verità alla nostra memoria. Per qualcuno un<br />

odore, per un altro un sapore che richiama a<br />

qualcos’altro. Un segno che viene a galla con<br />

prepotenza, con la chiarezza disarmante che<br />

solo le immagini posseggono. Ha a che fare<br />

con l’appartenenza e l’identità.<br />

C’è una cosa che ho capito sulla pelle, del<br />

teatro: il corpo impara. Serba il gesto, se lo<br />

coccola. È da qui che si produce l’epifania. È<br />

così che lavorano molti attori, un allenamento<br />

alla ricerca della sorgente emotiva. Perché la<br />

ripetizione, ad esempio, fa trovare la strada.<br />

La ritualità e la ripetizione di una ricetta culinaria.<br />

I gesti appresi guardando la nonna tirare<br />

la sfoglia. Si produce una disfunzione che<br />

la razionalità non riesce a controllare.<br />

Emergere da un mare scuro e ottenebrato.<br />

È un’emozione. Che cosa cerchiamo in un<br />

racconto se non il riconoscerci, anche per<br />

contrasto, ed emozionarci? Forse è proprio<br />

questo un piatto: un’immagine che racconta.<br />

Sono sempre più convinto che il piatto sia<br />

una manifestazione estetica della vita etica di<br />

un uomo-mondo, come l’immagine che crea<br />

un attore o un regista. Più onesta è la sua<br />

ricerca, più l’immagine sarà forte, chiederà<br />

conto ai presenti, darà modo di confrontarsi<br />

sulla propria storia personale.<br />

Soprattutto, il Teatro dei Cuochi ci dà la possibilità<br />

di vedere dietro al piatto e al menù:<br />

«l’allestimento dello spettacolo», una metodologia<br />

di lavoro. Tradotto: l’esibizione di<br />

una sensibilità. Quello che un’immagine e un<br />

piatto non bastano a spiegare, saccheggiati<br />

entrambi dalla memoria particolare di ogni…<br />

spettatore? Avventore? In realtà, di colui che<br />

si disarma all’ascolto. La possibilità di riconoscere<br />

il divenire, attraverso un’esperienza<br />

condivisa con il cuoco-attore. Di vedere la<br />

filiera, i molti uomini dietro l’uomo. O come<br />

suggerisce Giorgio Melandri, il rapporto che<br />

lega uomo e luogo. È una benedizione quando<br />

l’onestà di un percorso porta a renderlo<br />

consustanziale al risultato. Questo avviene in<br />

molto teatro chiamato di ricerca solo perché<br />

si concede il lusso di porgere un distillato di<br />

verità, dopo mesi di lavoro, ad un pubblico.<br />

Non avviene in molto teatro che non ricerca<br />

nulla, se non la rappresentazione - intesa<br />

DIETRO<br />

LE QUINTE<br />

come semplice segno arbitrario e da accettare<br />

a priori - di una realtà stereotipata. Qui sta<br />

la vera analogia tra teatro e cucina. Le scelte<br />

del cuoco e dell’attore. Uno spaghetto al pomodoro<br />

in scatola non racconta nulla. È la<br />

fotocopia di una fotocopia di una fotocopia,<br />

è una fotografia liofilizzata, che rimanda solo<br />

alla miseria di una povertà culturale. Attenzione<br />

a non far diventare pure il nostro stomaco<br />

un non luogo, verrebbe da dire.<br />

PIETRO PIVA<br />

Le saraghine in salamoia di Adler al Teatro dei Cuochi...<br />

diligentemente accomodate in platea<br />

SARA’ PRESENTE AD ENOLOGICA<br />

ADLER<br />

Cesenatico (Fc), statale Adriatica 2<strong>18</strong>0<br />

Info: 0547 80068, adler@adlerit.com<br />

allegato a n.11/11<br />

musica arte gusto teatro libri shopping bimbi cinema<br />

31


salone del vino e del prodotto tipico<br />

dell ’ Emilia-Romagna<br />

<strong>18</strong>/<strong>19</strong>/<strong>20</strong>/<strong>21</strong> <strong>NOVEMBRE</strong> <strong>20</strong>11<br />

WWW.<br />

.ORG

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