22.11.2014 Views

Intervista a Beltratti - Torino Magazine

Intervista a Beltratti - Torino Magazine

Intervista a Beltratti - Torino Magazine

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

cover story torino magazine <br />

Andrea <strong>Beltratti</strong>,<br />

il volto nuovo<br />

della tradizione<br />

Si è laureato a <strong>Torino</strong> e ha studiato a Yale, è docente alla Bocconi ma non ha<br />

mai rinunciato alla ‘cittadinanza’ torinese, da un anno è presidente del<br />

Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, il più radicato e storico tra gli istituti<br />

di credito della città. Nella nostra intervista esclusiva rivela il suo grande<br />

amore per <strong>Torino</strong>, tracciando gli scenari economici di un ‘oggi’ che impone<br />

radicali cambi di rotta, a livello sociale e politico, ma anche nelle famiglie…<br />

di GUIDO BAROSIO<br />

foto FRANCO BORRELLI<br />

L’evoluzione della specie. Avete presente<br />

quei protagonisti della finanza anziani e<br />

distanti, impacchettati nel loro ruolo e fondamentalmente<br />

irraggiungibili? Uomini che<br />

abbiamo sempre guardato con rispetto e<br />

timore, usando molto il metro della cautela<br />

e con parsimonia quello della fiducia.<br />

Bene, Andrea <strong>Beltratti</strong> non è solo di un’altra<br />

generazione (52 anni sicuramente ben<br />

portati), ma sembra proprio appartenere ad un mondo diverso:<br />

l’esperienza accademica negli States (con un Ph.D in<br />

Economics a Yale) lo ha preparato agli scenari della globalizzazione,<br />

la cattedra alla Bocconi ne ha certificato il livello<br />

scientifico, ma quella capacità di rendere divulgativi e comprensibili<br />

anche i temi economici apparentemente meno<br />

abbordabili appartiene invece ad un bagaglio caratteriale<br />

che nessun percorso di studi può affrontare. Lo incontriamo<br />

nel suo studio aperto su piazza San Carlo; location ideale<br />

per trasmettere un segnale di ‘torinesità’, ancora oggi<br />

assolutamente essenziale per i risparmiatori piemontesi che<br />

scelgono Intesa Sanpaolo.<br />

Oggi governare una grande banca prescrive un<br />

approccio globale e contemporaneo all’economia. Un<br />

periodo di formazione statunitense può aiutare e<br />

come?<br />

«Può aiutare molto, soprattutto per il metodo di studio. Mentre<br />

in Italia c’è un approccio nozionistico che parte dalle elementari,<br />

negli Stati Uniti tutto è maggiormente basato sulla<br />

soluzione dei problemi, sull’applicazione attiva dei concetti.<br />

Questo cambia la forma mentale. Gli stessi corsi sono<br />

sovente basati su esercizi che devono essere fatti settima-<br />

nalmente, con un feedback immediato. In quel contesto non<br />

è possibile studiare solo nelle ultime due settimane come<br />

qualche volta si fa da noi. Certo, per esportare questo metodo<br />

ci vorrebbero le condizioni adatte. Ad esempio un<br />

numero ragionevole di studenti. Però la nostra università in<br />

molti casi non ha le medesime risorse. Comunque ritengo<br />

che – indipendentemente dalle condizioni proposte e dalle<br />

difficoltà – si può sempre arrivare a farcela con le proprie<br />

forze, con l’impegno e la volontà. La motivazione individuale<br />

premia sempre».<br />

17


cover story torino magazine<br />

Il presidente della Repubblica Giorgio<br />

Napolitano consegna il premio<br />

‘Credere nella Ricerca’ 2010<br />

ad Andrea <strong>Beltratti</strong><br />

In basso da sinistra:<br />

con Giulio Tremonti;<br />

con Robert Shiller<br />

Lei ha seguito il suo percorso quando è esploso il concetto<br />

di globalizzazione…<br />

«È vero, me ne sono reso conto appena arrivato negli Stati<br />

Uniti. Ero l’unico italiano in una classe di 25 persone, ma<br />

gli americani erano una decina in tutto. Quindi la situazione<br />

era già molto chiara fin dall’inizio. Nel periodo seguente<br />

– eravamo nella seconda metà degli anni Ottanta e nei<br />

primi anni Novanta – la globalizzazione si è affermata in modo<br />

prepotente grazie alla facilità degli spostamenti e alle nuove<br />

tecnologie, da Internet a Skype. Fattori che hanno rivoluzionato<br />

il mondo imponendo tendenze e stili di vita dai quali<br />

non si tornerà più indietro. Fortunatamente ci sono più vantaggi<br />

che svantaggi…».<br />

In che senso?<br />

«La globalizzazione pone questioni cruciali: le rendite di posizione<br />

sono più difficili da mantenere, è necessario avere più<br />

gradi di flessibilità, la competitività deve essere aumentata<br />

perché ci si trova a confrontarsi con tante altre persone<br />

che, in tutto il mondo, fanno cose più o meno simili. Quindi<br />

per partecipare al gioco globale della crescita c’è bisogno<br />

di un maggiore sforzo. Però i risultati potenziali sono<br />

anche più alti, mentre le posizioni di rendita che vivevano<br />

su un passato acquisito sono messe in discussione. Quello<br />

che conta è la creazione di reddito futuro e non la ricchezza<br />

che è stata finora prodotta».<br />

Cosa si può dire ad un piccolo risparmiatore preoccupato<br />

che una crisi in Portogallo o un terremoto in<br />

Giappone possano erodere il suo patrimonio?<br />

«La risposta, e la soluzione, consiste nel diversificare, condizione<br />

necessaria per gestire bene il portafoglio. Differenziare<br />

tra classi di attività, tra paesi e tra settori consente di<br />

sopportare qualsiasi contraccolpo specifico, che riguardi<br />

una nazione o una singola azienda».<br />

Quanto conta per una grande banca il radicamento<br />

nel territorio?<br />

«È importante essere radicati, perché consente di avere un<br />

rapporto molto personalizzato coi singoli risparmiatori che<br />

va avanti nel tempo. In questo scenario l’elemento fondamentale<br />

è la fiducia».<br />

Quando lo storico Sanpaolo è diventato Intesa Sanpaolo<br />

c’è stata qualche preoccupazione?<br />

«Sicuramente sì. Quando un marchio cambia, dal punto di<br />

vista del risparmiatore c’è l’esigenza di capire bene cosa accade.<br />

In realtà la nuova banca ha conservato le peculiarità di<br />

entrambi gli istituti oggetto della fusione. Inoltre ciascuna banca<br />

ha beneficiato delle competenze dell’altra perché nessuno<br />

può essere forte in tutto. Questo ha calmato le potenziali<br />

paure, ma, in parallelo, sono anche arrivate le risposte che<br />

i risparmiatori attendevano».<br />

In Italia la crisi non ha coinvolto le grandi banche come<br />

invece è accaduto all’estero. Perché?<br />

«La ragione è legata ad un modo di operare della banca<br />

più tradizionale e più vicino all’economia reale. Questo era<br />

già chiaro prima della crisi, è stato chiaro durante e lo è ancora<br />

adesso. Le nostre sono banche più vicine al territorio;<br />

lo si vede anche dai loro bilanci, dove una parte molto importante<br />

dell’attivo è data dai prestiti concessi alle imprese. Questo<br />

elemento è stato positivo durante la crisi, momento in<br />

cui il non essere tanto esposti ai mercati finanziari si è rivelato<br />

un vantaggio, ma adesso certamente rallenta la ripresa,<br />

soprattutto in una realtà come quella italiana dove il tasso<br />

di crescita è basso».<br />

In un periodo di tagli e riduzioni generalizzate come<br />

si pone Intesa Sanpaolo sul fronte degli interventi sul<br />

territorio?<br />

«Nel nostro caso penso non si possa proprio parlare di allontanamento<br />

dal territorio; lo dimostra anche il recente<br />

accordo che ci vede come main sponsor della Fondazione<br />

Teatro Regio di <strong>Torino</strong>. Ma non è certo un intervento<br />

episodico. In questo ambito emergono i vantaggi<br />

di non essere solo un istituto di credito locale ma una<br />

grande banca nazionale radicata sul territorio: un tipo di<br />

struttura che permette di continuare ad essere forti, e<br />

quindi anche vicini al territorio piemontese come agli altri<br />

nei quali operiamo».<br />

Come scegliete i vostri interventi?<br />

«Non ci limitiamo a seguire le proposte, ma abbiamo una<br />

nostra filosofia che viene messa in atto da un team che ha<br />

competenze specifiche. Come succede già all’estero c’è<br />

sempre di più la necessità di misurare, di monitorare, di capire<br />

qual è la reale validità delle varie iniziative. Certo, così si<br />

rischia di scontentare parte delle numerose richieste; ma<br />

noi cerchiamo la qualità e l’innovazione nelle proposte che<br />

accogliamo».<br />

Come trova oggi <strong>Torino</strong>?<br />

«Trovo <strong>Torino</strong> una città di straordinario livello per la qualità<br />

della vita. Quando alla fine degli anni Ottanta ho finito i miei<br />

studi mi chiedevo se tornare o restare negli Stati Uniti; scegliendo<br />

<strong>Torino</strong> penso di aver dimostrato quanto tenessi già<br />

allora alla mia città. Una decisione che ho confermato in<br />

seguito pur diventando professore alla Bocconi. Attualmente<br />

non riesco a comprendere perché <strong>Torino</strong> non compaia<br />

mai quando si stila il ranking delle prime 100 o 200 città europee.<br />

In realtà gli elementi ci sono tutti: ottima qualità della<br />

vita, persone con elevato grado di scolarizzazione, istituti<br />

universitari e di ricerca di altissimo livello. Le condizioni per<br />

fare di <strong>Torino</strong> un polo che attrae servizi, forze lavoro e aziende<br />

non mancano».<br />

Terziario o industria nel futuro della città?<br />

«Noi abbiamo recentemente vissuto un ciclo piuttosto<br />

altalenante. Si è pensato che la fase industriale fosse esaurita<br />

e che fossero solo più i servizi la vera scelta. Mentre<br />

oggi stiamo ritornando alla visione precedente. In realtà dobbiamo<br />

smussare gli estremi, perché un buon equilibrio prevede<br />

sia lo sviluppo delle attività industriali e manifatturiere<br />

che dei servizi. <strong>Torino</strong> ha delle carte da giocare su entrambi<br />

i lati. Forse negli ultimi anni siamo rimasti delusi dalla mancata<br />

localizzazione di aziende che potevano approdare a<br />

<strong>Torino</strong> e poi non sono arrivate. Ma in parallelo si è felicemente<br />

sviluppato un tessuto di piccole e medie imprese<br />

anche ad alto livello scientifico e tecnologico. Però possiamo<br />

e dobbiamo diventare più attrattivi».<br />

Quindi?<br />

«È arrivato il momento di cambiare strategie e di cambiare<br />

passo dedicando le risorse disponibili, che purtroppo<br />

non sono tante, al tema imprenditoriale. Penso che tra 10,<br />

20 o 30 anni questa città possa avere un futuro dinamico<br />

nella misura in cui adesso, favorita dalla globalizzazione,<br />

risponde alle esigenze di localizzazione. Perchè sempre più<br />

aziende sono disponibili a riconsiderare la loro attuale sede.<br />

Quindi occorre attrarre imprese e imprenditori, consentire<br />

a chi ha idee – e a <strong>Torino</strong> sono tanti – di metterle in atto<br />

con procedure semplificate. Bisogna fare in modo che i servizi<br />

pubblici aiutino le persone con progetti innovativi a capire<br />

come fare impresa. <strong>Torino</strong> nei prossimi cinque, dieci anni,<br />

dovrà fare questo, sfruttando pienamente le infrastrutture<br />

e gli investimenti fatti sul fronte della qualità della vita e che<br />

sono ormai sotto gli occhi di tutti. Ma per andare in questa<br />

direzione ci vuole una scelta politica forte e una forte<br />

concentrazione di risorse in alcuni ambiti. Poi occorre guardare<br />

all’estero, capire i nuovi mercati, cogliendo le opportunità<br />

che le imprese italiane hanno in aree ancora poco<br />

frequentate, come l’Africa, dove, da un decennio, l’economia<br />

cresce in media del 5% annuo».<br />

Cosa pensa dello sviluppo turistico di <strong>Torino</strong> e del Piemonte?<br />

«<strong>Torino</strong>, prima dei Giochi Olimpici, non era sulla mappa turistica<br />

internazionale pur avendo musei, edifici, enogastronomia<br />

e spazi fruibili di assoluta eccellenza europea. Dopo<br />

il 2006 questo investimento pubblicitario e di comunicazione<br />

ci ha messo in condizioni di ottima visibilità. Le ricadute<br />

oggi possono essere numerose e anche inattese.<br />

Recenti studi vedono il vino sostituire altre bevande – come<br />

la Coca Cola e il tè – nelle più diffuse occasioni di incontro<br />

a livello mondiale. Il fatto che in Piemonte ci siano vini<br />

straordinari ovviamente aiuta…».<br />

Dove ama passare il suo tempo libero in città?<br />

«Mi piace molto passeggiare nel bellissimo centro con<br />

i suoi caffè storici. Poi amo il Valentino, con il suo verde<br />

ed il Po, ma anche la zona dello stadio Olimpico,<br />

dove vado a fare qualche giro di corsa in piazza d’Armi.<br />

Dal punto di vista culturale apprezzo il Museo<br />

d’arte contemporanea di Rivoli, la Gam e la Fondazione<br />

Sandretto, dove trovo straordinaria l’idea di mettere<br />

a disposizione dei visitatori i mediatori artistici che<br />

illustrano le opere in mostra. Questa attività permette<br />

In basso: con Michael Spence,<br />

premio Nobel per l'Economia 2001<br />

18<br />

19


cover story torino magazine<br />

di comprendere l’arte e fa capire come <strong>Torino</strong> possa<br />

rappresentare un battistrada in Italia e all’estero».<br />

Inoltre la Fondazione Sandretto dimostra come l’arte<br />

non sia solo più patrimonio del centro cittadino…<br />

«Esatto. La creazione dei nuovi quartieri passa anche<br />

attraverso luoghi come i musei, le università e gli spazi dedicati<br />

alla ricerca».<br />

Ha passioni calcistiche?<br />

«Si, tifo Toro».<br />

Va allo stadio?<br />

«No, solitamente guardo le partite in casa con mio padre.<br />

Mi piace vivere il calcio in famiglia»<br />

Quanto conta per lei la famiglia?<br />

«Moltissimo e la sera cerco sempre di essere a casa per<br />

cena».<br />

Ci riesce?<br />

«Ci riuscivo meglio prima quando avevo solo l’attività<br />

accademica. Però devo difendere quegli ambiti e credo che<br />

farlo sia un esempio di civiltà. All’estero si fa così, ad una<br />

certa ora si smette di lavorare e non si esagera quasi mai<br />

con gli orari. Questo fattore è legato a una forte organizzazione<br />

del lavoro che lo permette, un’organizzazione che<br />

si rivela essenziale per mantenere una base sociale equilibrata».<br />

Torniamo agli scenari economici. Cosa la rassicura<br />

e cosa la spaventa nell’immediato futuro?<br />

«L’elemento di maggiore ottimismo è la crescita economica<br />

sui mercati internazionali, pari a circa il 5% nello scorso<br />

anno, con un 2011 che si sta assestando sui medesimi<br />

valori. Inoltre si tratta di una crescita diffusa che coinvolge<br />

anche Asia, Africa e America Latina. L’elemento più<br />

preoccupante riguarda ancora la mole dei debiti che sono<br />

presenti in tutto il mondo. La crisi finanziaria è stata una crisi<br />

legata anche ad alcuni aspetti del debito, e ci sono paesi<br />

come Stati Uniti e Inghilterra con un rapporto tra debiti<br />

complessivi – pubblici e privati – e prodotto interno lordo<br />

ancora molto elevato. Questo rappresenta un elemento di<br />

tensione con cui noi dovremo fare i conti».<br />

Carte di credito, leasing, bollette, fatturazioni con<br />

pagamenti dilazionatissimi e perennemente in ritardo.<br />

Ogni tanto si ha la sensazione che tutti siamo contemporaneamente<br />

debitori e creditori.<br />

«È vero. Questo in una certa misura è inevitabile; anzi, un<br />

fattore che contraddistingue la crescita dell’economia nel<br />

corso del tempo è l’esistenza di un settore finanziario più<br />

veloce nello sviluppo della stessa crescita economica. Fattore<br />

che consente – a persone ed imprese – di essere in<br />

avanzo e in disavanzo affrontando al meglio i propri problemi.<br />

Questo però funziona nel lungo periodo solo se avviene<br />

in un quadro di equilibrio complessivo; non ci devono<br />

essere realtà perennemente in disavanzo o perennemente<br />

in avanzo, a livello di settori, di aziende e di Paesi. Perché<br />

altrimenti si formano proprio quelli che sono stati definiti<br />

squilibri strutturali».<br />

Sono problemi che toccano anche la vita di tutti i giorni?<br />

«Certo, perché ci sono persone che perdono il contatto col<br />

danaro. I debiti contratti con le carte di credito dalla parte più<br />

ricca della popolazione statunitense sono scesi negli ultimi anni,<br />

mentre sono aumentati quelli della parte più debole. C’è una<br />

quota crescente di persone che – forse anche per carenza<br />

di risparmio – non si rende conto di quello che sta rischiando.<br />

In realtà tutte le analisi vedono ancora il risparmio al vertice<br />

dei valori, ma solo la metà delle famiglie può farlo. Si comprano<br />

a rate cose non essenziali e, ad esempio, ci si lamenta<br />

che sono care le tasse scolastiche. Negli States un’università<br />

media costa 30 o 40mila euro l’anno escluse le spese di<br />

mantenimento. Non giudico quel sistema, ma sono cifre che<br />

devono far riflettere sui costi reali della cultura e della formazione.<br />

E oggi abbiamo un debito pubblico molto elevato, perciò<br />

la missione nei prossimi anni non potrà che essere una<br />

sola: tagliare. Quindi le risorse per l’istruzione devono venire<br />

anche dalle famiglie, a loro sta il compito di individuare le reali<br />

priorità, che non sono l’ultimo modello di cellulare, di auto o<br />

di computer. Oggi attribuiamo al pubblico colpe che dovremmo<br />

in realtà attribuire a noi stessi».<br />

Spesso si ritiene che l’Italia potrebbe vivere di solo turismo<br />

e cultura. Cosa ne pensa?<br />

«Non lo riterrei un fattore positivo. Invece occorre spingere<br />

molto sulla ricerca, sulle attività produttive e sull’università.<br />

Il nostro patrimonio culturale e paesaggistico ci dà una<br />

sontuosa base di partenza ma occorre dimenticarlo, non<br />

considerarlo, altrimenti rischia di subentrare un pericoloso<br />

rilassamento ed un flusso di reddito minore. Solo quando<br />

l’Italia si rimetterà in movimento potremo goderci, e sfruttare<br />

appieno, questo straordinario valore aggiunto». I<br />

20

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!