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La parola e la cura

La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Counselling Humanities <br />

EDITORIALE <br />

Humanities: le radici e l’humus <br />

Silvana Quadrino <br />

Le parole fanno il loro giro, come il vento. Il termine <strong>la</strong>tino humanitas ci ritorna intorno agli anni <br />

’70 anglicizzato nell’accezione “medical humanities”; termine di difficile traduzione, che in <br />

sostanza vuole sottolineare <strong>la</strong> necessità di arricchire <strong>la</strong> formazione medica con apporti “altri”: non <br />

solo con le scienze umane e <strong>la</strong> filosofia, ma con tutte le arti espressive, letteratura, teatro, arti <br />

figurative, ecc. In Italia questa visione del<strong>la</strong> formazione medica si è fatta strada lentamente, <br />

faticosamente, e con scarso successo in ambito accademico. Sono pochissimi i corsi di <strong>la</strong>urea in <br />

medicina -­‐ un po’ più numerosi forse quelli di scienze infermieristiche – che hanno inserito a pieno <br />

titolo le humanities nel loro percorso formativo. <br />

Humanities: abbiamo appiccicato il termine anche al counselling per vedere, come diceva <br />

Jannacci, l’effetto che fa. E anche per definire meglio possibile cosa è che vogliamo definire <br />

humanities, e che funzione può avere nel<strong>la</strong> formazione di un counsellor. <br />

Il vantaggio del counselling su altre professioni con un iter formativo più strutturato, e <br />

inevitabilmente più rigido in una realtà come quel<strong>la</strong> italiana, in cui l’università è autoconservativa <br />

per definizione, è quello di poter model<strong>la</strong>re e rimodel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> formazione a partire dal<strong>la</strong> realtà che <br />

cambia e dalle esperienze di chi si sperimenta nel<strong>la</strong> pratica. Per ciò che riguarda il counselling le <br />

esperienze si stanno moltiplicando in questi anni, ed è questo che ci ha portati a riflettere su cosa <br />

può trasformare un aspirante counsellor in una persona capace di “essere” un counsellor, e non <br />

semplicemente di “fare” il counsellor. <br />

Sono andata a rivedere le indicazioni che le prime scuole di counselling (parliamo degli anni ’80) <br />

ricevevano per ottenere l’accreditamento dalle associazioni di categoria: quanto “psy”, e quante <br />

poche humanities! Psicologia generale, psicologia clinica, psicologia dei gruppi, modelli <br />

psicoterapeutici, storia del<strong>la</strong> psicologia… Tante cose da sapere, da imparare, da studiare. Ma passa <br />

davvero di lì l’ ”essere” counsellor? <br />

<strong>La</strong> prevalenza dello “psy” nel<strong>la</strong> formazione dei counsellor si è andata via via attenuando: si sono <br />

fatte strada altre radici, quel<strong>la</strong> pedagogica, quel<strong>la</strong> sociologica, quel<strong>la</strong> antropologica, che hanno <br />

reso più equilibrato e più arricchente il percorso legato al sapere, al formarsi culturalmente, <br />

indispensabile per un professionista che opera in una realtà complessa e in rapida trasformazione <br />

come quel<strong>la</strong> attuale. <br />

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