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<strong>Pensare</strong> <strong>Marco</strong> <strong>Belinelli</strong><br />
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sfocia come conseguenza naturale nell’approdo di giocatori stranieri nella<br />
NBA. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, l’internazionalizzazione<br />
dei roster NBA è lo strumento perfetto per la lega per divenire un vero<br />
sport globale. I giocatori non americani diventano automaticamente ambasciatori<br />
NBA nei loro paesi, stelle a livello di marketing al pari dei big<br />
della lega indipendentemente dal loro livello, e per molti di loro questo<br />
ruolo dura anche una volta terminata la carriera agonistica.<br />
Sul piano del marketing, la principale ragione dell’espansione NBA si<br />
spiega invece con la capacità di questo campionato di generare esposizione<br />
televisiva estera. L’atletismo ed gesti tecnici spettacolari dei grandi<br />
atleti neri seducono, incantano, generano spirito d’emulazione. Sono eloquenti<br />
le testimonianze di <strong>Marco</strong> <strong>Belinelli</strong> sul suo seguire con i fratelli di<br />
notte l’NBA alla tv dalla sua casa di San Giovanni in Persiceto, a volte<br />
anche saltando la scuola il giorno successivo. Andare in tv significa entrare<br />
a far parte della cultura di quel paese, riempire le camerette dei ragazzi<br />
con i poster dei tuoi giocatori e significa promuovere le tue aziende partner,<br />
che poi mettono i loghi e usano le immagini della lega per pubblicizzare<br />
i loro prodotti. Nel 1999, col lancio di NBA TV, l’NBA è diventata la prima<br />
lega sportiva professionistica a possedere una stazione via cavo / via<br />
satellite, ed a trasformarsi in una “media company”. Con il “League Pass”<br />
oramai si può vedere tutto il campionato ad un prezzo ridicolo. Nella stagione<br />
2007-08, la NBA ha proclamato la sua distribuzione televisiva<br />
come la più ampia a livello globale, con più di 45.000 ore di programmazione<br />
, in 43 lingue e in 215 paesi.<br />
Ma i gesti in campo e la loro<br />
distribuzione televisiva spiegano<br />
solo una parte della faccenda. A<br />
questo punto dobbiamo far<br />
entrare in gioco la figura di Heidi<br />
Ueberroth, dal 1994 al 2013 manager<br />
con posizioni apicali nella<br />
divisione internazionale del management<br />
NBA, e figlia di Peter<br />
Ueberroth, il presidente del<br />
comitato organizzatore delle<br />
Olimpiadi estive di Los Angeles<br />
nel 1984. E’ lei una delle principali<br />
intelligenze operative che si<br />
celano dietro a questa espansione.<br />
Se Michael Jordan può<br />
essere considerato il Gesù<br />
dell’NBA, serviva però qualcuno<br />
che andasse ad evangelizzare in<br />
ogni angolo del globo il suo