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Ricette tipiche del territorio piemontese - Piemonte Agri

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economico; e infine di recupero e valorizzazione postindustriale <strong>del</strong>le tradizioni<br />

locali come contraltare alla globalizzazione alimentare, promossa da soggetti<br />

diversi, dalle amministrazioni pubbliche locali ai movimenti associativi come Slow<br />

Food.<br />

Il primo vero compendio <strong>del</strong>le cucine regionali italiane, secondo lo stesso<br />

Meldini, non è l’Artusi (che peraltro ignora praticamente il <strong>Piemonte</strong> per<br />

focalizzare l’attenzione su Toscana, Romagna e le città di Roma, Milano, Napoli<br />

e Bologna), ma il capitolo su “La cucina e la cantina italiana” contenuto nel<br />

viaggio gastronomico attraverso i cinque continenti <strong>del</strong> geografo Alberto<br />

Cougnet, Il ventre dei popoli: saggi di cucine etniche e nazionali (Torino, F.lli<br />

Bocca, 1905). Dopo aver illustrato piatti piemontesi, che sappiamo essere stati<br />

diffusi anche a Vercelli – “gli agnôlott al burro e formaggio (specie di ravioli o<br />

tortelli, composti di due foglietti di pasta, con carne tritata e verdura per ripieno),<br />

la fondua, che consiste in tuorla d’uova spappolate al tegame, con burro fresco e<br />

formaggio di groviera o fontina, con fettine sottilissime di tartufi bianchi sopra, [...]<br />

e le tenche en carpiônà (tinche allo scabeccio)” – Cougnet menziona<br />

specificatamente la città di Vercelli per i suoi biciôlan. Mentre la contemporanea<br />

presenza di agnolotti, fonduta e tinche in carpione sulle tavole borghesi di Torino<br />

e di Vercelli suggerisce la dimensione regionale <strong>del</strong>la neoformata cucina<br />

<strong>piemontese</strong> – determinata, oltre che dalle risorse prime <strong>del</strong> <strong>territorio</strong>, da ragioni<br />

politiche e dall’influenza che la capitale <strong>del</strong> regno aveva sulle altre città – i<br />

bicciolani sono invece una specialità artigianale eminentemente locale, per<br />

quanto sappiamo opera di un singolo pasticcere, Carlo Provinciale. Nel suo<br />

laboratorio nel cortile <strong>del</strong>la Torre <strong>del</strong>l’Angelo, nell’attuale Piazza Cavour,<br />

Provinciale cosse per primo i friabili biscotti mischiando al burro e alla farina<br />

spezie provenienti da lontane tratte orientali (chiodi di garofano, cannella di<br />

Ceylon e vaniglia), dando così esempio di una nascita <strong>del</strong> “tipico” in cui il “locale”<br />

è in effetti rappresentato da inventive pratiche produttive protoindustriali e poi<br />

industriali, molto più che dall’origine degli ingredienti.<br />

Dopo Cougnet, un primo sguardo più complessivo sulla cucina vercellese<br />

– sempre intesa come sintesi di città e <strong>territorio</strong> – giunse nel 1931 con la<br />

pubblicazione <strong>del</strong>la prima edizione <strong>del</strong>la Guida gastronomica d’Italia a cura <strong>del</strong><br />

Touring Club Italiano. L’indagine <strong>del</strong> Touring costituì il primo compiuto sforzo<br />

istituzionale di “censire le risorse e le abitudini nutritive italiane, al fine di<br />

rifondare la conoscenza gastronomica <strong>del</strong>l’Italia”. La prospettiva adottata dai<br />

compilatori <strong>del</strong>la Guida fu quella, decisiva nel tracciare una definizione<br />

contemporanea <strong>del</strong>la tipicità, di “intendere la specialità in senso più topografico<br />

che tipologico” (Alberto Capatti, “Lingua, regioni e gastronomia dall’Unità alla<br />

Seconda guerra mondiale”, in Annali <strong>del</strong>la storia d’Italia. Vol. XIII.<br />

L’alimentazione, Alberto Capatti, Alberto De Bernardi e Antonio Varni, a cura di,<br />

Torino, Einaudi, 1998, pp. 787­788). L’idea <strong>del</strong>la Guida nacque durante una<br />

riunione <strong>del</strong>la sezione milanese <strong>del</strong> Rotary Club, cui partecipò il sottosegretario<br />

all’<strong>Agri</strong>coltura Arturo Marescalchi, e fu stimolata dal “favore schietto ed<br />

incontrastato” incontrato all’estero da un’appendice enogastronomica aggiunta<br />

alla Guida d’Italia per gli stranieri <strong>del</strong> 1923. La procedura di raccolta dei dati<br />

evidenziava l’ampiezza <strong>del</strong>lo scopo e l’investimento di tempo e denaro: un

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