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Ricette tipiche del territorio piemontese - Piemonte Agri

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naturalmente molto cambiate. Il passato contadino non era ancora <strong>del</strong> tutto alle<br />

spalle, ma era chiara a tutti l’irreversibilità <strong>del</strong>la transizione socioculturale che il<br />

paese stava vivendo. Le ultime propaggini <strong>del</strong>la fuga dalle campagne si<br />

accompagnavano ai primi sviluppi <strong>del</strong> turismo di massa. Le culture<br />

gastronomiche <strong>del</strong> passato non avevano ancora avuto il tempo di diventare<br />

storia, che già erano oggetto di precoci nostalgie, anche da parte di turisti e<br />

viaggiatori che non ne avevano memoria diretta. Lo comprese il presidente <strong>del</strong><br />

Touring Carlo Galamini, che, in sede di premessa, indicò come la “più pressante<br />

finalità” <strong>del</strong>l’opera, quella, tutta moderna, “di ridestare l’interesse per certi prodotti<br />

e mangiari, elaborati da una secolare civiltà, che il deprecabile livellamento e<br />

standardizzazione <strong>del</strong>la cucina ha messo al bando” (Felice Cunsolo, Guida<br />

gastronomica d’Italia, Milano, Touring club italiano, 1969, p. 6).<br />

Insieme a quest’approccio ideologico, teso al “recupero” di ciò che in<br />

buona parte era ancora vivo, se non vegeto, furono il nome <strong>del</strong>l’autore e il<br />

metodo di rilevazione a rendere la Guida <strong>del</strong> 1969 la prima opera specializzata a<br />

portare un insieme di piatti tipici vercellesi – dal primo al dolce – all’attenzione di<br />

un pubblico nazionale di lettori. L’incarico di compilare la Guida fu affidato, infatti,<br />

a Felice Cunsolo, un autore al cui attivo figuravano già un Dizionario <strong>del</strong> gourmet<br />

(Milano, Novedit, 1961), Arte e gastronomia <strong>del</strong>la bassa novarese, pubblicato<br />

dall’Ente provinciale <strong>del</strong> turismo di Novara nel 1963, e La cucina in <strong>Piemonte</strong><br />

(Milano, Novedit, 1964). Cunsolo percorse la penisola, “compiendo quattrocento<br />

sopralluoghi e intervistando circa duemila persone: cuochi, ristoratori,<br />

gastronomi, casalinghe, studiosi di folclore e storia locali”, e arricchendo poi la<br />

ricerca con altre centinaia di interviste per corrispondenza. La struttura basata<br />

sul locale come unità fondamentale, che già era stata costitutiva <strong>del</strong>l’edizione <strong>del</strong><br />

1931, fu mantenuta, raffinando la rete: ne venne fuori, proprio quando al centro<br />

<strong>del</strong> discorso pubblico c’erano la città e un’idea di sviluppo basato<br />

sull’industrializzazione, la rappresentazione di un’Italia dai mille comuni e dalle<br />

mille specialità “tradizionali”. A Vercelli città l’elenco era lungo: “Brôdera, machet,<br />

panissa, polenta concia, rane dorate, fritto misto, tinche in carpione, lepre in<br />

civet, erbj, bicciolani, tartufata. Vini <strong>del</strong>la provincia tra cui il Gattinara, il Lessona,<br />

il Mottalciata e l’Erbaluce” (Cunsolo, Guida gastronomica d’Italia, cit., p. 53). Ai<br />

bicciolani e alle tinche in carpione di Cougnet e alla panissa e alla brudèra,<br />

menzionati nella prima edizione <strong>del</strong>la Guida gastronomica, si erano aggiunti ben<br />

sette nuovi piatti, vini esclusi: il machet (polenta con latte e castagne), la polenta<br />

concia (con burro e formaggio fuso), le rane, il fritto misto di carni, rigaglie e<br />

semolino, la lepre in civet, l’erbj (un intingolo di asparagina selvatica, salame<br />

sotto grasso e pancetta, servita con la polenta) e la tartufata, una torta di pan di<br />

Spagna e crema Chantilly ricoperta di sottili foglie di cioccolato. Esemplarmente,<br />

le rane finivano in bella vista in questo menù tipico vercellese nel momento<br />

stesso in cui la meccanizzazione e l’uso dei prodotti chimici nella risaia, con la<br />

conseguente drammatica e repentina trasformazione ambientale, le<br />

cancellavano di fatto dal paesaggio. Il recedere <strong>del</strong> mondo contadino, idealizzato<br />

come brodo di coltura originario <strong>del</strong>la gastronomia tipica, produceva<br />

paradossalmente la crescita esponenziale <strong>del</strong> meccanismo di tipicizzazione.

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