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Pozzo, l’architetto delle «illusioni»

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anniversari<br />

A tre secoli dalla morte<br />

rivive la lezione del pittore<br />

gesuita che aprì il barocco<br />

alle «finzioni» prospettiche.<br />

La sua idea del «trompe<br />

l’oeil» per molto tempo<br />

non fu capita dalla critica<br />

DI FILIPPO RIZZI<br />

C<br />

reatore di inganni prospettici con i<br />

suoi falsi marmi, le colonne sedenti,<br />

quasi sdraiate, le finte cupole, le sue<br />

teatrali e scenografiche macchine barocche<br />

popolate di nuvole, angeli turbinanti e santi<br />

ma, allo stesso tempo, fedele interprete<br />

dell’arte gesuitica, secondo i dettami della<br />

Controriforma, assieme a Gian Lorenzo<br />

Bernini e Pieter Paul Rubens. Dietro questo<br />

ritratto si nasconde il gesuita trentino fratel<br />

Andrea <strong>Pozzo</strong> (1642-1709) architetto, pittore<br />

e scenografo che attraverso le sue opere più<br />

famose al grande pubblico come, ad<br />

esempio, la volta di Sant’Ignazio a Roma,<br />

l’altare della Chiesa del Gesù e le sue<br />

realizzazioni negli ultimi anni di vita per i<br />

gesuiti di Vienna e il trattato Prospectiva<br />

pictorum et architectorum ha reinterpretato<br />

il modo di vedere un’opera d’arte, grazie<br />

anche ai suoi trucchi prospettici, divenendo<br />

a ragione, secondo lo storico dell’arte Gurlit,<br />

il «vero intermediario tra il Barocco tedesco<br />

e quello italiano».<br />

A trecento anni, il<br />

prossimo 31<br />

agosto, dalla<br />

morte di Andrea<br />

<strong>Pozzo</strong> (che<br />

svolse, tra l’altro,<br />

nella veste di<br />

fratello<br />

coadiutore della<br />

Compagnia di<br />

Gesù anche le<br />

mansioni di<br />

cuoco) rimane<br />

viva tutta la sua<br />

eredità e attualità<br />

di gesuita sui<br />

generis che allo<br />

A. <strong>Pozzo</strong>, «Autoritratto» studio preferiva,<br />

fin da novizio,<br />

«far disegni e scarabocchi». Un lascito e un<br />

patrimonio di sapere che fu riconosciuto<br />

quasi unanimemente dalla critica d’arte<br />

italiana solo a metà degli anni Cinquanta,<br />

dopo un lungo ostracismo verso uno dei<br />

massimi interpreti dell’arte barocca poco<br />

amabilmente definito da Francesco Milizia<br />

come «<strong>l’architetto</strong> alla rovescia» per i suoi<br />

giochi di illusione pittorica. «In un certo<br />

senso è stato più capito all’estero che dai<br />

suoi contemporanei in Italia – obietta il<br />

gesuita tedesco e docente di Storia dell’arte<br />

cristiana alla Pontificia università<br />

Gregoriana, Heinrich Pfeiffer – ma la sua<br />

grandezza è fuori discussione perché ha<br />

portato l’arte della prospettiva dal basso<br />

verso l’alto. Inventava nelle sue pitture<br />

marmi che non esistono in natura, come<br />

quelli di colore celeste perché devono<br />

assomigliare al cielo. In lui c’è una totale<br />

sinfonia di colori. La sua più grande<br />

genialità è stata unire il cielo con la terra<br />

attraverso l’illusione. Basta guardare la volta<br />

di Sant’Ignazio a Roma per rendersene<br />

conto». Padre Pfeiffer sottolinea anche la<br />

fortuna editoriale del suo trattato sulla<br />

Prospectiva , studiato per tutto il Settecento<br />

anche dai protestanti. «Quel libro è stato un<br />

vero bestseller per quegli anni – rivela il<br />

gesuita –. Addirittura il più importante<br />

architetto inglese di quel tempo, Christof<br />

Brenn, ne consiglia l’acquisto alla corte<br />

britannica con queste parole: "È uno dei<br />

nostri nemici perché è cattolico, ma è<br />

talmente pratico e fatto bene che bisogna<br />

tradurlo"». E proprio sulla "opera prima" di<br />

Andrea <strong>Pozzo</strong> nella chiesa di San Francesco<br />

Saverio a Mondovì e sull’impronta che il<br />

pittore ha lasciato sull’architettura e pittura<br />

sabauda del Settecento si è soffermata<br />

l’ingegnere Elena Filippi, con una ricerca<br />

che ha portato alla pubblicazione per<br />

Olschki alcuni anni fa del volume L’arte<br />

della prospettiva e l’insegnamento di Andrea<br />

<strong>Pozzo</strong> e Ferdinando Galli Bibiena in<br />

Piemonte. «<strong>Pozzo</strong> con le sue innovazioni<br />

Sei piatti disegnati da Fornasetti<br />

DI MAURIZIO CECCHETTI<br />

<strong>Pozzo</strong>, <strong>l’architetto</strong><br />

<strong>delle</strong> <strong>«illusioni»</strong><br />

prospettiche – annota la studiosa – ha<br />

influenzato tutta l’architettura e pittura a lui<br />

successiva in tutto il Piemonte. In<br />

particolare Filippo Juvarra, a mio avviso, in<br />

opere come Superga, Stupinigi ha messo in<br />

pratica ciò che ha appreso dagli scritti del<br />

gesuita. Quello che stupisce ancora oggi è<br />

che i suoi insegnamenti e le sue tecniche<br />

pittoriche hanno raggiunto l’America Latina<br />

sino a lambire persino la Cina, nell’opera<br />

della chiesa gesuitica di Pechino, oggi non<br />

più esistente». Vero terreno di sfida, nell’arte<br />

del dipingere, sarà per <strong>Pozzo</strong> il confronto<br />

con il contemporaneo Giovan Battista<br />

Gaulli detto il Baciccia (1639-1709). «Il<br />

Gaulli non utilizza mai la prospettiva nei<br />

suoi dipinti. – osserva Pfeiffer –. Le sue<br />

architetture sono solo nuvole; quando una<br />

nuvola cambia,<br />

nessun spettatore se<br />

ne accorge. Con<br />

<strong>Pozzo</strong> invece entra<br />

in scena il<br />

movimento grazie<br />

all’uso della<br />

geometria e<br />

dell’architettura».<br />

Sulla stessa<br />

lunghezza d’onda è<br />

il giudizio<br />

del<strong>l’architetto</strong> Paolo<br />

Portoghesi, che proprio al gesuita trentino<br />

ha dedicato pagine molto dense nel suo bel<br />

saggio Roma Barocca: «Anche in questo è<br />

stato un uomo coraggioso – spiega – perché<br />

supera la ricerca del Baccicia, suggerita dal<br />

Bernini. Come si vede nella volta di<br />

Sant’Ignazio, rispetto a quella del Gesù che<br />

è di Gaulli, sfonda la navata attraverso una<br />

profondità infinita e molto ardita. Entrano<br />

in scena il movimento, gli artifici<br />

prospettici, corti celesti, colonne<br />

inginocchiate che corrono verticalmente<br />

verso l’alto e offrono allo spettatore<br />

l’idealizzazione di uno spazio intermedio<br />

tra quello architettonico e quello celeste.<br />

Per la sua ricerca di verticalità è stato, a mio<br />

Andrea <strong>Pozzo</strong>, «Apoteosi di sant’Ignazio» (Roma, chiesa di Sant’Ignazio)<br />

avviso, un degno erede di Francesco<br />

Borromini». Ma tra le tante opere pozziane<br />

presenti a Roma Portoghesi ha una<br />

predilezione per l’altare di Sant’Ignazio al<br />

Gesù. «Perché dietro a un’architettura<br />

pregiatissima fatta con materiali<br />

preziosissimi e l’utilizzo di tanti colori non<br />

c’è la confusione di eccessi che spesso<br />

coincide con le cose sontuose e ricche. C’è<br />

invece una semplicità incredibile,<br />

soprattutto di disegno, che si imprime nella<br />

memoria. La più grande abilità di <strong>Pozzo</strong>?<br />

Sicuramente descrivere la trascendenza in<br />

termini di simulazione, attraverso la<br />

prospettiva e l’immagine. Oggi si parla<br />

tanto di virtualità ma nell’arte del gesuita<br />

c’è già tutto questo, una capacità di fondere<br />

il virtuale con il reale». In fondo la logica che<br />

guida <strong>Pozzo</strong>,<br />

attraverso la pittura e<br />

l’architettura, è la<br />

stessa che ispira, con<br />

inclinazioni diverse,<br />

altri famosi gesuiti<br />

del Seicento come<br />

Paolo Segneri (1624 -<br />

1694) nella<br />

predicazione,<br />

Daniello Bartoli<br />

(1608-1685) nello<br />

studio della storia o<br />

Athanasius Kircher (1602-1680) nella<br />

filosofia e nella scienza: dimostrare cioè,<br />

anche in chiave didattica, l’irradiazione<br />

gesuita nel mondo attraverso le missioni<br />

ma anche con i suoi saperi. Di questo è<br />

convinto <strong>l’architetto</strong> Francesco Dal Co, che<br />

nel 1996 è stato tra i curatori per Electa di<br />

un volume dedicato al pittore trentino:<br />

«<strong>Pozzo</strong> è imbevuto di cultura gesuitica. Il<br />

filo-rosso del suo ragionamento sta<br />

nell’esaltazione del concetto docere et<br />

delectare, secondo il quale l’arte doveva<br />

indirizzare la storia, divenire suggestione e<br />

testimonianza della fede in una continua<br />

tensione alla divulgazione». Non a caso<br />

<strong>l’architetto</strong> ferrarese scorge un forte<br />

L’INIZIATIVA<br />

Un itinerario tra arte e fede<br />

nella Capitale barocca<br />

Un percorso nel cuore della<br />

Roma barocca sulle tracce <strong>delle</strong><br />

opere di Andrea <strong>Pozzo</strong>. Dal 13 al<br />

25 settembre è previsto un<br />

itinerario turistico ma anche di<br />

fede nelle chiese del Gesù e di<br />

Sant’Ignazio. Obiettivo? Far<br />

conoscere la genialità prospettica<br />

di <strong>Pozzo</strong> ed evangelizzare<br />

attraverso l’arte. A promuovere<br />

l’iniziativa sono l’associazione<br />

«Pietre vive» e il gesuita Jean Paul<br />

Hernandez. «Siamo venti<br />

volontari – racconta la presidente<br />

Domenica Noemi Mattioli –<br />

.Quello che cerchiamo di<br />

realizzare con queste visite è di<br />

spiegare il gioco di prospettiva e<br />

di luce ma anche l’armonia che vi<br />

è nelle sue opere. In particolare il<br />

nostro intento è quello di<br />

dimostrare il grande valore di<br />

evangelizzazione che risiede nelle<br />

opere di <strong>Pozzo</strong> e come tutto<br />

questo si può trasporre nella vita<br />

corrente di ciascuno».(F.Riz.)<br />

25<br />

parallelismo con lo scienziato padre<br />

Kircher. «<strong>Pozzo</strong> realizza nella volta di<br />

Sant’Ignazio ciò che in forma scritta è<br />

presente nel trattato di Kircher del 1671 Ars<br />

magna lucis et umbrae. C’è una forte<br />

continuità ideale tra i due gesuiti perché si<br />

parla di luci, ombre e punti di visione, di<br />

geometria e matematica. Ma il fine è<br />

sempre lo stesso. Per guardare le sue opere<br />

di <strong>Pozzo</strong> è necessario un unico punto di<br />

vista, non solo ottico, così come il vero<br />

spazio lo si raggiunge da un unico punto di<br />

osservazione. In fondo il suo suggerimento<br />

per raggiungere la vera fede, quella<br />

cattolico-romana, è la necessità di avere un<br />

solo punto di vista, perché solo così si può<br />

superare la differenza tra rappresentazione<br />

ed essere. In questo sta la sua grandezza, e<br />

di riflesso, forse anche il suo limite».<br />

Fornasetti, un tatuaggio d’artista sulla realtà<br />

Pfeiffer: «Con i suoi colori unì<br />

idealmente il cielo e la terra».<br />

Filippi: «Le sue tecniche<br />

anche in Cina». Portoghesi:<br />

«Riuscì a fondere il reale con<br />

il virtuale». Dal Co: «Per lui<br />

l’artista era un testimone»<br />

artista «totale», quello che<br />

entra in scena nel Rinasci-<br />

L’mento con figure come Leonardo<br />

e Michelangelo, l’artista che abbraccia<br />

tutte le forme espressive e le<br />

compone in una grande opera, che di<br />

solito coincide con l’architettura, è<br />

scomparso da molto tempo, almeno<br />

da quando l’avanguardia ha destrutturato<br />

l’idea dell’arte come sintesi del<br />

pensare e dell’agire nel «fare» in un’opera<br />

che non è soltanto idea e neppure<br />

mera abilità manuale, ma ricerca di<br />

una forma capace di far parlare la materia.<br />

L’avanguardia ha sostituito all’artista<br />

«totale» del Rinascimento il<br />

«Gesamtkunstler», colui che crea<br />

l’«opera d’arte totale», che è tale perché,<br />

sosteneva Wagner, esprime lo spirito<br />

di un popolo. È una questione sulla<br />

quale si sono interrogati a lungo gli<br />

artisti tedeschi nella prima parte del<br />

Novecento: Gropius, <strong>l’architetto</strong> che<br />

fondò la scuola Bauhaus, nel 1913 scrive<br />

che l’architettura moderna e il prodotto<br />

industriale devono essere vestiti<br />

da «un’idea spirituale». Il «Gesamtkunstler»,<br />

come disse qualcuno,<br />

tratta i suoi simili come bambini, si<br />

comporta da pedagogo.<br />

Sono pochi invece gli esempi contemporanei<br />

di artista «totale» che resta<br />

fedele alla visione antica, forse proprio<br />

perché può essere visto come u-<br />

na figura «inattuale»: uno di questi fu<br />

Piero Fornasetti. Milanese del 1913,<br />

Fornasetti fu pittore, scultore, designer,<br />

arredatore, stampatore, scenografo<br />

e costumista. Si definiva un «giocoliere»<br />

che strapazzò il canone e gli<br />

ordini tramandati dal passato, ma – ci<br />

tenne a ribadire – senza «mai profanarli».<br />

La sua opera somma qualcosa<br />

come undicimila oggetti d’arte, una<br />

creatività esorbitante che non ha trascurato<br />

niente di ciò che compone<br />

l’ambiente dove l’uomo vive. Di questa<br />

inesauribile vena testimonia ora u-<br />

na monumentale monografia illustrata,<br />

in due volumi, quasi settecento pagine,<br />

curata dal figlio Barnaba per E-<br />

lecta: Fornasetti. 1: L’artista alchimista;<br />

2. La bottega fantastica. L’immaginario<br />

che Fornasetti compone fino<br />

al momento della morte, avvenuta nel<br />

1988, ammicca alle avanguardie del<br />

primo Novecento: simbolismo, futurismo,<br />

metafisica, surrealismo, dadaismo,<br />

realismo magico. In realtà, Fornasetti<br />

dà prova di guardare tutto senza<br />

lasciarsi trasportare dal desiderio:<br />

prende ciò che gli serve e lo isola in u-<br />

na sorta di spazio «senza tempo» che<br />

è la vera cifra stilistica della sua opera.<br />

Adolf Loos condannò l’ornamento come<br />

tatuaggio dell’architettura, Fornasetti<br />

fa del tatuaggio un mezzo per redimere<br />

l’assurdo: è come se la fantasia<br />

dell’artista rivestisse l’oggetto banale<br />

con un’immagine che lo riscatta<br />

dall’anonimato, dalla non-esistenza<br />

in cui si trovava prima che l’artista si<br />

accorgesse di lui. Non dal sogno viene<br />

lo stralunato mondo simbolico di<br />

Fornasetti, ma da una percezione lancinante<br />

della realtà, che lo spinge attraverso<br />

la decorazione a liberare l’oggetto<br />

dalla sua congenita pesantezza.<br />

È una idea tragica quella che Fornasetti<br />

mette in scena saturando il mondo<br />

con le sue tipiche immagini «lunari».<br />

Rispetto a Duchamp, che nel suo<br />

scetticismo nichilista si limita a firmare<br />

un orinatoio per imprimergli i crismi<br />

dell’arte, Fornasetti – con una malinconia<br />

di segno ancora romantico – crede<br />

che la decorazione sia un mezzo<br />

per dare alla realtà un tono più sopportabile,<br />

che allontana per un po’<br />

l’horror vacui, ma non elude del tutto<br />

l’angoscia.<br />

RIVISTE<br />

CULTURA<br />

E ARTE<br />

MARTEDÌ<br />

11 AGOSTO 2009<br />

FIRENZE: QUALE FUTURO?<br />

◆ L’ultimo numero in uscita della<br />

rivista «Testimonianze» si<br />

interroga sull’avvenire del<br />

capoluogo toscano. «Crisi (e<br />

rinascita?) della città: il caso<br />

Firenze» è il titolo del dossier<br />

monotematico che vuole<br />

fotografare il particolare<br />

momento storico della patria di<br />

Dante in un periodo di grande<br />

incertezza e preoccupanti<br />

cambiamenti.<br />

Il periodico, fondato da padre<br />

Ernesto Balducci nel 1958 e oggi<br />

diretto da Severino Saccardi,<br />

ospita tra gli altri i contributi di<br />

Giacomo Trentanovi,<br />

Giandomenico Amendola,<br />

Riccardo Conti, Luigi Ulivieri,<br />

Paolo Baldeschi, Giuliano Della<br />

Pegola, Erasmo D’Angelis,<br />

Roberto Mosi.<br />

Aosta<br />

Sant’Anselmo,<br />

9 secoli di ragione<br />

DI PATRIZIA ZANETTI<br />

«L’<br />

uomo e la ragione,<br />

da Anselmo a<br />

Benedetto XVI» è il<br />

titolo dell’incontro che domani<br />

celebrerà a Champoluc (Val<br />

d’Aosta) il IX centenario della<br />

morte di Anselmo d’Aosta e di<br />

Canterbury. Ma non si tratta solo<br />

di una commemorazione dovuta:<br />

Bruno Marcotti – animatore<br />

dell’iniziativa giunta alla V<br />

edizione e promossa dalla<br />

parrocchia locale, da Comunione e<br />

Liberazione, dall’Aiat Monterosa e<br />

dall’assessorato al Turismo del<br />

Comune di Ayas – vede<br />

nell’incontro una proposta di<br />

riflessione sulla ragione come<br />

centro della vita individuale e<br />

sociale e come strumento per la<br />

ricerca della verità. Dopo<br />

l’introduzione del senatore<br />

Antonio Fosson parleranno Luigi<br />

Negri, vescovo di San Marino-<br />

Montefeltro, e il professor Aldo<br />

Rizza, della Scuola superiore di<br />

formazione «Rebaudengo» di<br />

Torino. Monsignor Negri si<br />

concentrerà sulla ragione moderna<br />

che, attraverso mediazioni<br />

razionalistiche e illuministiche, è<br />

divenuta strumento di assurde<br />

manipolazioni scientificotecnologiche.<br />

Come spiegare tale<br />

contraddizione? «Acuto interprete<br />

della modernità, Giovanni Paolo II<br />

osservò che la ragione ha<br />

rappresentato di fatto il<br />

fondamento dei grandi sistemi<br />

totalitari distruttori dell’uomo.<br />

Quindi cercò di ristabilire il nesso<br />

tradizionale – e al contempo<br />

rivoluzionario – tra ragione e senso<br />

religioso, cuore dell’uomo.<br />

Benedetto XVI poi insegna che la<br />

fede cristiana è discontinua nei<br />

confronti del cammino della<br />

ricerca razionale tesa a individuare<br />

il senso ultimo della vita, ma ne è<br />

compimento e valorizzazione». In<br />

questo senso l’insegnamento di<br />

Anselmo d’Aosta può essere<br />

ancora attuale, in quanto c’è una<br />

profonda richiesta di sinergia tra<br />

fede e ragione, perché l’uomo<br />

possa fidarsi <strong>delle</strong> nuove aperture<br />

della conoscenza e smascheri il<br />

legame tra relativismo culturale e<br />

presunzione tecnico-scientifica,<br />

alibi di varie manipolazioni. Da<br />

parte sua Aldo Rizza ricorda che gli<br />

europei sono figli del Medioevo,<br />

quando un modo diverso di<br />

recepire la filosofia greca diede<br />

origine alla nostra civiltà con la sua<br />

cultura universale e i benedettini<br />

forgiarono indelebilmente<br />

l’Europa; Ambrogio, Agostino,<br />

Benedetto rifondarono quella<br />

«città terrena» che pareva<br />

tramontata alla fine dell’impero<br />

romano. In tale contesto Anselmo<br />

avviò la stagione degli studi<br />

scolastici che un secolo dopo<br />

produssero figure come<br />

Bonaventura e Tommaso<br />

d’Aquino. Infatti secondo<br />

monsignor Negri, l’eredità di<br />

Anselmo e il suo fondamentale<br />

contributo fu proprio la preziosa<br />

esperienza della sua scuola: «Egli<br />

visse in un contesto caratterizzato<br />

dall’enorme pressione religiosa<br />

dell’islam, teso ad assoggettare<br />

Oriente bizantino e Occidente<br />

cattolico non solo con le conquiste<br />

ma anche con la forza del proprio<br />

sincretismo religioso e del<br />

pensiero, e fornì in modo geniale<br />

all’Europa una <strong>delle</strong> sue maggiori<br />

glorie: la struttura degli studi e il<br />

possente strumento di quelli<br />

universitari».

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