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SI È TENUTA DAL 24 LUGLIO AL 9 SETTEMBRE PRESSO IL ...

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carte sul tavolo<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

L’invettiva<br />

all’italiana<br />

in tutti i menù<br />

L’informazione<br />

non obbliga l’insulto<br />

né la volgarità<br />

di ANGELO DI MARINO<br />

Tutto partì una sera di gennaio di quasi trent’anni fa. Era il<br />

1984, da meno di un lustro era attiva la terza rete della<br />

Rai, la riforma sapeva ancora di fresco. Sul secondo canale<br />

tirava molto Blitz, contenitore nato per dare fastidio<br />

alla già consolidata Domenica In…, autentica corazzata<br />

della Rai. In studio Gianni Minà e Stella Pende che nella sua rubrica<br />

Sotto a chi tocca intervista Leopoldo Mastelloni, collegato da “Bussoladomani”<br />

di Camaiore. L’attore napoletano, nel bel mezzo della<br />

diretta, bestemmia. Panico sul volto di Minà, il collegamento si<br />

chiude. Da quella sera Mastelloni e la Pende non misero più piede in<br />

tivù per anni. Sempre da quella sera del 22 gennaio 1984 la bestemmia,<br />

la parolaccia, l’invettiva entrano d’autorità nel dibattito culturale<br />

del Paese. E, di conseguenza, nelle pagine dei giornali.<br />

Quello che il mondo dei media aveva per decenni evitato, condannato,<br />

emarginato si trovò invece ad essere d’improvviso sdoganato.<br />

Bestemmiare in televisione equivaleva all’antico “lo ha detto la<br />

radio” o al mai tramontato “è scritto sul giornale”. La vicenda, in realtà,<br />

finì nelle aule di tribunale ed arricchì i rotocalchi ed i quotidiani<br />

di estenuanti confronti sull’accaduto. La trasgressione di un trasgressivo,<br />

sciorinata al di fuori delle regole, diventò notizia. Anzi,<br />

essa stessa norma. Da raccontare sin nei minimi particolari, con una<br />

morbosità che manco la cronaca nera più efferata aveva meritato.<br />

Non sappiamo quanto di consapevole ci sia stato nel costruire quella<br />

sera un delitto perfetto come pochi. Sul pavimento insanguinato<br />

caddero pudore e buonsenso. Nelle mani la pistola fumante della<br />

bestemmia. Segno dei tempi, si disse anche. Forse. Di sicuro il Paese<br />

si spaccò, perché la blasfemia pronunciata nel giorno del Signore<br />

nell’Italia dei Papi assunse un peso, una potenza inarrivabile. Ecco<br />

cosa accadde: gli schemi dell’equilibrio secolare tra proibito e lecito<br />

precipitarono in un attimo. Come se in un sussulto improvviso tutti<br />

fossero stati autorizzati a bestemmiare, lanciare invettive, dire e scri-<br />

vere espressioni irripetibili. In contesti dove tutto questo non era (e<br />

non è) ammissibile. Mai avremmo pensato che il turpiloquio divenisse<br />

uno degli elementi della mediaticità, della politica, dell’informazione<br />

nel nostro Paese.<br />

Pensate a una generazione come quella di chi scrive. Il presupposto<br />

era (e resta) informare senza insultare, parlare senza offendere,<br />

graffiare senza volgarità. E pensate anche a una parola, una sola:<br />

casino. Mai cotanta trisillaba aveva trovato spazio nel lessico ufficiale,<br />

mai era stata stampata dai rulli di una rotativa, nessuno l’aveva<br />

mai sentita in radio o in televisione. D’un botto e senza alcun preavviso,<br />

eccola divenire d’uso comune. Un’altra barriera caduta, un<br />

altro piccolo muro di Berlino sgretolato dalla smania di essere<br />

“avanti”, di stupire, sbalordire chi ascolta, chi legge, chi guarda.<br />

Non sembri blasfemia a questo punto tirare in ballo il Padre della<br />

lingua italiana. Precursore dei tempi e critico inarrivabile, Dante Alighieri<br />

scrive il Canto Sesto del suo Purgatorio pensando proprio all’invettiva.<br />

Definisce l’Italia serva, nave senza guida, bordello.<br />

Affondando la penna nella carne come uno stiletto, il Sommo si infervora<br />

e se la prende con i Potenti, i politici e arriva a chiedere conto<br />

e ragione al Signore dei mali di cui è afflitta l’umanità in perenne<br />

conflitto con se stessa. L’invettiva all’Italia, declinata in un crescendo<br />

drammatico che trascina anche il lessico in forme ardite e fuori convenzione,<br />

spiega molte cose. Svela la nostra vera indole, risentendo<br />

dell’indolenza e della falsa indulgenza manifestata verso il prossimo.<br />

Caratteri su cui si fonda nei secoli un’Italia unita ma mai coesa.<br />

“E’ nello spirito di quell’invettiva che si modula, ancora oggi, la<br />

vita sociale del nostro Paese”. “E mondi paralleli come cultura, politica,<br />

scienza si contaminano con il principio dei vasi comunicanti”.<br />

Che nel caso specifico diventano tracimanti. Inquinamenti che altro<br />

non sono che esempi lampanti e mai fulgidi di scadimento etico.<br />

Perché parlare, scrivere, informare, riportare senza regole è esercizio<br />

Il tempo scorre e talvolta soccorre<br />

Fra’ Girolamo ci guarda<br />

da cinque secoli:<br />

proclami ed esempi<br />

di noi contemporanei<br />

di FEDERICO NAVARRA<br />

eato il predicatore! Degenerazioni della<br />

BChiesa, inutilità dei parlamenti, meretricio<br />

e vizi – spesso capitali – dei singoli e nelle loro<br />

forme associate! Ma a rinfrancare lo spirito<br />

due passi per andare dal convento di San<br />

Marco a Santa Maria del Fiore ed il placido<br />

lung’Arno. La nobiltà d’animo allora come<br />

oggi si scontrava con l’ignobiltà umana ma<br />

non tutto è ora come allora: chi infatti troverebbe<br />

ad ascoltare? Quali gli oggetti del suo<br />

predicare? E quanti decibel e che sgargianti<br />

colori? E privo di un consulente di mercato?<br />

Svanita (o quanto meno sopita) la predica in<br />

cornu epistulae et evangeli, tradotta dal tubo<br />

catodico ai cristalli liquidi passando per il plasma,<br />

fiorisce ora nella rete, piazza virtuale<br />

senza tempo (e spazio) ed ospita i temi del<br />

presente sia esso molto prossimo (lavoro che<br />

non essendoci non permette di diventare nobili)<br />

sia un po’ futuro (quale Terra lasciare ai<br />

nostri figli sebbene i nipoti siano lontani). Assente<br />

la sacralità del luogo e la dimensione<br />

escatologica (tamen infinitum era pur sem-<br />

2 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

pre spazio!) nella quale venivano proiettati i<br />

più terreni (e terricoli) temi di umana apprensione,<br />

cede così l’attualità di quest’ultimi: diviene<br />

pertanto necessario sostenerla (se non<br />

fabbricarla) con astuzia e furbizia, ammiccando<br />

qua e là e con buona pace se poi la<br />

cornice è più grande del quadro. Cornice che<br />

ne è pur sempre parte, contribuendo a defi-<br />

nire l’identità del quadro stesso: potrebbe suscitare<br />

qualche malessere in un araldo spirituale<br />

sopravvissuto il pagano ardore di manifestazioni<br />

di piazza davanti i Templi della Finanza<br />

ma anche il domenicano predicò innanzi<br />

al Palazzo della Signoria. Per avere<br />

un’identità necesse habere corpus ed una<br />

volta possedutolo bisogna dargli una voce:<br />

non sufficit tuttavia, occorre farla ascoltare.<br />

Gli ultimi arrivati (giovani? basta l’anagrafe<br />

per indicare gli esclusi o non completamente<br />

inclusi? E gli espulsi? E i riottosi ad includersi?)<br />

nell’avere particolarmente a cuore questa carenza<br />

esistenziale che un buon lavoro oblierebbe<br />

in più di un caso, tentano d’aggredire<br />

la vita per ritagliarsi il posto che meritano sul<br />

proscenio, con clamore e battaglie di principi,<br />

manifestando e sfilando, migrando e solidarizzando.<br />

Si disse che la virtù sola dà la forza:<br />

la fortezza non viene dal corpo in quanto<br />

corpo e c’è chi trovò il tempo della riflessione<br />

certamente più silente che urlante, in apparenza<br />

fragile e senile che trasse però linfa dall’immaginare<br />

– in questo futuro contemporaneo<br />

– la propria dimensione negli spazi interiori<br />

ed in quelli esteriori, urbani ed iper-urbani,<br />

dove il cogitato prendeva (e dava)<br />

continuamente forma.<br />

Siamo or dunque grati al santo e non rammarichiamoci<br />

oltre modo dell’infausta sorte<br />

che ci costringe a vivere tempi così tremendi<br />

ed oscuri: «Tyger! Tyger! Burning bright, in<br />

the forests of the night…».<br />

da fuorilegge. E dove non arriva la bestemmia, la parolaccia, l’invettiva<br />

elevata a simbolo di libertà (?) ci pensa la volgarità a rendere la<br />

strada senza ritorno.<br />

Da tempo, ormai, siamo costretti a confrontarci con titoli di giornali<br />

urlanti, zeppi di doppi sensi e di sconcerie lessicali. Rappresentano<br />

la clava nelle mani di chi va a caccia di prede e non certo di<br />

lettori. Di adepti prima ancora che di sodali. Dietro a invettive forti e<br />

linguaggi grevi si nascondono idee deboli, impalpabili. Che hanno bisogno<br />

di essere urlate, distorte per prendere forza. Armi improprie,<br />

mulinate ad altezza d’uomo. Provate a leggere chi tira la volata a<br />

piazzisti della politica, come quelli toccatici negli ultimi vent’anni.<br />

Caratteri cubitali a tutta pagina con tre, massimo quattro parole una<br />

più pesante dell’altra.<br />

A sostenere tale mole di piombo, sommari anche di tre righe fittissime<br />

in cui la notizia scompare per far spazio a ragionamenti teorici<br />

che portano all’inevitabile conclusione: la colpa è sempre degli<br />

altri. La fragilità in casi come questi diventa il punto di partenza. Il panegirico<br />

che ne scaturisce ha ancor più debolezza del già esile pensiero.<br />

Il titolo, invece, è una bastonata. Ordito per far male, non certo<br />

per ragionare. Se è quindi questo il nostro Purgatorio, molto meno<br />

poetico di quello illustrato dal Sommo, non c’è che da aspettarsi l’Inferno.<br />

No, non può essere così. Conosciamo giovani leve che hanno<br />

molta più etica di quanti li hanno preceduti. E se raccontare senza insultare<br />

è un dovere, stare lontani dal disperato esercizio dell’immoralità<br />

non rappresenta altro che obbligo personale. Ultima frontiera<br />

della coscienza prima del baratro, pullulante di anime che non provano<br />

alcun rimorso. E se il pudore ha il sapore della vetustà, il senso<br />

dell’etica resta valore senza tempo. Al quale tutti dobbiamo garantire<br />

un futuro.<br />

Le pagine sono illustrate da disegni e tecniche miste dell’artista MARTINA CELI<br />

nel prossimo numero<br />

Luce&luci nuove “realtà” che modellano<br />

la città contemporanea e,<br />

al tempo stesso, la nostra immaginazione.<br />

Luci di superficie e luce<br />

dell’anima si rincorrono senza dar<br />

vita ad ombre in un breve viaggio<br />

che geaArt propone nei luoghi,<br />

nelle idee, negli sguardi di sociologi,<br />

storici, urbanisti e scrittori. All’interno<br />

un’intervista ad Alberto<br />

Abruzzese. La controcopertina è<br />

di Nicola Salvatore.<br />

geaArt non ha fini di lucro. La collaborazione<br />

è da ritenersi completamente<br />

a titolo gratuito, sotto<br />

qualsiasi aspetto, comprese le attività<br />

di Direzione e Redazione. Gli<br />

articoli e i lavori pubblicati riflettono<br />

esclusivamente il pensiero dei<br />

loro autori, che ne sono unici responsabili<br />

di fronte alla legge, e<br />

che possono di conseguenza non<br />

coincidere con la linea direzionale<br />

e editoriale del giornale. Attività<br />

editoriale di natura non commerciale<br />

ai sensi previsti dall’art. 4 del<br />

D.P.R. 26-10-1972 n. 633 e successive<br />

modifiche.<br />

Bimestrale di cultura, arti visive,<br />

spettacolo e nuove tecnologie creative<br />

Associazione Culturale<br />

Mediterraneo (Onlus)<br />

Corso Garibaldi, 16/A -<br />

84123 Salerno<br />

Direttore responsabile<br />

Massimo Bignardi<br />

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Giuseppe Funicelli<br />

Progetto grafico e impaginazione<br />

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- La Comunicazione -<br />

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Stampa<br />

Tipografia Gutenberg S.r.l.<br />

Via Ponte Don Melillo<br />

Fisciano (SA) - tel. 089-891385<br />

Tiratura 2.000 copie<br />

Registrata presso il Tribunale di Salerno<br />

n. 6/2012 del 17.05.2012<br />

Foto in prima pagina,<br />

I sermoni di Savonarola (ph © Tauro, 2012)<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

Invettiva contro lo spaccio dei lettori<br />

Quoniam non cognovi litteraturam, introibo in potentias Domini (Ps 70, 15-16)<br />

di GABRIELE FRASCA<br />

La letteratura, così com’è nata,<br />

unitamente alla parola<br />

stessa che la designa, grosso<br />

modo tre secoli fa fra Francia<br />

e Inghilterra, continua a svolgere,<br />

persino oggi che parrebbe confinata<br />

nel negozio del rigattiere, il cómpito<br />

che le fu assegnato in culla, quando<br />

ancora se ne stava avvinghiata al suo<br />

gracile gemello, il copyright, che avrebbe<br />

però, una volta cresciuto, avuto ben<br />

più fortuna di lei, estendendo il suo diritto<br />

di nascita in ogni campo di quella<br />

vaporosa schiuma tipografica che si<br />

chiama libero pensiero. Più che di un<br />

cómpito, si tratta in verità di un mandato<br />

(o se volete di una lettera di cambio),<br />

e la letteratura, da quando è apparsa<br />

come un evento di Badiou (qualcosa<br />

in soprannumero cui mancava solo<br />

un nome), non ha mai smesso di adempierlo:<br />

delimitare e periodizzare per<br />

un’intrapresa di anonimi una messa-instato<br />

fantasmatica, almeno quanto il discorso<br />

che (non) regola l’economia. È la<br />

solita logica che regola il capitale: separare<br />

qui (un terzo stato da un eventuale<br />

quarto, al quale lasciare in eredità il proprio<br />

destino innominabile) per ricongiungere<br />

altrove. Batte e ribatte lo stesso<br />

chiodo, sin dal suo nascere, la letteratura,<br />

che è quello di dare un nome a<br />

chi non ne ha, Robinson Crusoe o Moll<br />

Flanders; batte e ribatte, ed è per questo<br />

che stupisce, e stupefà. La classe innominabile<br />

che si sarebbe poi letta<br />

borghesia (per istupidirsene), e il collante<br />

di stupori ancora senza etichetta<br />

che sarebbe stato detto letteratura, i<br />

nomi, come càpita in simili circostanze,<br />

se li sono dati l’uno all’altro.<br />

Attualmente, certo, se pure continua<br />

a svolgere il suo mandato, è indubbio<br />

che la letteratura, strictu sensu, lo faccia<br />

su scala ridotta, ma comunque in buona<br />

compagnia, vale a dire con quell’allegra<br />

famigliola di strumenti di comunione<br />

ben più generalisti, dei quali fra<br />

l’altro ritiene (e non a torto) di essere la<br />

primogenita (per inciso: ogni medium<br />

che voglia essere di massa, deve innanzi<br />

tutto dirsi familista, quanto l’economia<br />

che, è noto, lo denuncia persino nel suo<br />

etimo quanto non sia altro che una faccenda<br />

di casa, e uno sporco segretuccio).<br />

Ma se credete che la lallazione<br />

letteraria, come tutte le altre coccole<br />

mediali (al bambino, quando lo si bam-<br />

boleggia, non è giusto il suo nome, o la<br />

pletora dei suoi soprannomi, che gli si<br />

ripete ipnoticamente?), sia nient’altro<br />

che un po’ d’intrattenimento («è sempre<br />

festa nell’asilo globale», notava<br />

acutamente McLuhan), vi sbagliate di<br />

grosso. Da quando ha ricevuto il suo<br />

nome dalla classe cui ha dato un nome,<br />

non c’è mai stato niente come il sistema<br />

letterario che abbia fatto filare dritti<br />

come sonnambuli. Solitamente verso il<br />

baratro. E per due motivi: innanzi tutto<br />

perché è esattamente il modo in cui le<br />

logiche del capitale, partendo dalla<br />

prima catena di montaggio (che è<br />

quella della tipografia) si sono annesse<br />

l’al di là verso cui ha sempre spinto<br />

l’arte del discorso (per «arte del discorso»,<br />

a scanso di equivoci, intendo<br />

tutti i sistemi «narrativi» nati per avversare<br />

la frase idiota, in senso etimologico,<br />

che ogni parlante, appena immesso<br />

nel linguaggio, deve ripetere per legarsi<br />

al destino designato; da questo<br />

punto di vista, non c’è alcuna differenza<br />

fra l’Iliade, la Commedia, o un canto<br />

popolare: puntano tutti verso un al di là<br />

dell’idiozia). E poi perché al sistema letterario<br />

il cosiddetto liberismo, già nelle<br />

sue fasi sorgive, ha chiesto niente di<br />

meno che assorbire il soprannaturale<br />

(pochi ricordano che una delle questioni<br />

principali di Robinson Crusoe, presunto<br />

alfiere dell’empirismo dominante, sia<br />

quella di trovare sulla sua isola deserta<br />

tracce della presenza di Dio), per svincolare<br />

per così dire l’economia da un’ingerenza<br />

tanto ingombrante. Alla crisi<br />

della fede nel soprannaturale, la letteratura<br />

ha supplito con un sistema di credenze<br />

a tempo («fin quando siete qui,<br />

credete a quello che vi dico», ripete<br />

dalle pagine del suo volume, e di tutti i<br />

suoi sequel, il solito Robinson). La letteratura,<br />

primogenita col copyright del<br />

pensiero liberale, non può dunque che<br />

tornare ad avanzare la richiesta propria<br />

di chi le assicurò i natali: «datemi credito».<br />

E credere, sia pure per una momentanea<br />

sospensione del giudizio, è<br />

già obbedire e combattere.<br />

Il mondo conteso dalle nazioni nelle<br />

ultime due guerre (trovatemi una sola<br />

nazione, non dico uno stato, che non<br />

nasca, o quanto meno si riconosca, in<br />

un romanzo), visto quanto l’economia<br />

liberale non gradisce confini (e non assicura<br />

dunque appartenenze), da dove<br />

avrebbe potuto del resto mai stagliarsi,<br />

se non dalle pagine della letteratura?<br />

HIC SUNT LEONES<br />

afonia e stipsi<br />

dell’invettiva politica<br />

L’invettiva ai tempi dell’ideologia<br />

aveva dignità e spessore<br />

DI <strong>AL</strong>ESSANDRO LIVRIERI<br />

C’<br />

Persino coloro che si sono correttamente<br />

definiti nel secolo scorso dittatori,<br />

non hanno fatto altro, incantati<br />

come a loro volta erano, che sentirsi<br />

«dittare dentro» storie, per significarle<br />

ad altri, a che altri le significassero. Il rinnovato<br />

Impero di Roma, il Millennio del<br />

Terzo Reich, la Grande Madre Russia...<br />

Vi potrà sembrare strano, ma per<br />

quanto Goebbels abbia saputo come<br />

erano una volta gli anni eroici. Quelli<br />

(almeno per me) delle botte coi fascisti.<br />

Esercizio – ex post – vacuo ma generoso e<br />

con qualche ragione storica. Poi venne l’eclisse.<br />

La sera del 3 luglio 1992, a Salerno, dopo<br />

il voto parlamentare che tutelava Craxi in<br />

nome e per conto delle guarentigie parlamentari,<br />

nugoli di fascisti e comunisti (presagi<br />

della loro imminente superfluità storica) vennero<br />

a gridare per strada «fuori il bottino,<br />

dentro Bettino». Quella sera le botte furono<br />

serrate e amare. Le diedi e le presi! Non per<br />

difendere Craxi quanto un’idea di politica.<br />

Che era si, talvolta, crudele anzi truculenta<br />

ma che rifiutava la “ratio” della distruzione<br />

vicendevole. Era venuto, quindi, il tempo dell’invettiva<br />

che demonizzava. Trasfigurava l’avversario<br />

non per costruire sorti magnifiche e<br />

progressive ma per distruggere senza ricostruire,<br />

a prescindere da qualsivoglia ripartenza<br />

e per pianificare la prospettiva del nulla:<br />

la seconda Repubblica! L’invettiva politica ha<br />

logiche ed essenzialità, ovvero è una sfida<br />

(come Savonarola) o una sollecitazione (Nenni),<br />

un obbligo morale della denuncia (Matteotti),<br />

uno sprone all’arte del riformismo (La<br />

Malfa). Talvolta rasenta anche la burla guittesca.<br />

Negli anni Sessanta, nel Vallo del Diano<br />

(Salerno), un parlamentare socialista si presentava<br />

ai comizi con un gallo sulla spalla alla<br />

cui zampa erano connessi fili elettrici collegati<br />

ad una batteria. Quando l’invettiva diventava<br />

ultimativa, qualcuno tracimava una scossa al<br />

pochi piegare all’ideologia nazista la radiofonia<br />

(e con minore «genialità» il cinema),<br />

Hitler, basterebbe dare un’occhiata<br />

al sua guardaroba, resta il personaggio<br />

di un mediocre romanzo di formazione.<br />

E se vi va di pensare all’oggi,<br />

badate che la televisione con i suoi<br />

show sgangherati non regola flussi di<br />

voti; se mai, e se proprio, lo fa la sua fiction<br />

(che, ci intendiamo, è letteratura<br />

gallo che, giustamente, cantava. E la folla delirava!<br />

Scontri ideologici? Macché! Disbrighi<br />

di collegio elettorale che, però, rappresentavano<br />

ruralità democratica e temperie dei<br />

tempi. Dialettiche forti, cioè, su cui si è snodata<br />

la crescita culturale, sociale e civile di<br />

tutto il Mezzogiorno. Diciamolo forte! L’invettiva<br />

ai tempi dell’ideologia aveva dignità e<br />

spessore. Anche la sua declinazione finale:<br />

l’omicidio politico, tratteggiava tragiche gran-<br />

carte sul tavolo<br />

latu sensu). Quiz e ballerine, per fare un<br />

esempio lampante, non hanno nulla a<br />

che fare con quello che si è definito berlusconismo;<br />

le vite dei santi teletrasportati<br />

fin nel nostro salotto dalle retrovie<br />

siderali, magari qualcosa in più.<br />

Ma via, mi si potrebbe obiettare, mica<br />

tutta la letteratura, quella del sistema<br />

letterario in atto, si identifica alla solo<br />

fiction televisiva, o si riduce, che so, alla<br />

saga di vampiri tormentati dall’angoscioso<br />

dubbio se succhiare il sangue o<br />

schiacciarsi ancora i brufoli, se mai per<br />

una massa di adolescenti (o di lettori<br />

sempre adolescenti) ai quali, in tempo<br />

di crisi economica, neanche par vero di<br />

assicurare una vita da non-morti! Eppure<br />

anche su questo (sempre penultimo)<br />

caso letterario potremmo riflettere,<br />

dal momento che questi discendenti<br />

efebici di Nosferatu sono perfetti<br />

per il mondo che stiamo consegnando<br />

ai loro lettori: improduttivi come il ben<br />

più tenebroso progenitore rumeno, ma<br />

al contrario di costui capaci di procrastinare<br />

praticamente in eterno il consumo<br />

per cui sono nati. Una crisi è una<br />

crisi, e produce sempre il suo immaginario.<br />

Ma concediamo almeno questo:<br />

la letteratura in atto non si riduce mica<br />

ai soli casi letterari. Del resto il sistema<br />

letterario, per funzionare, deve ammettere<br />

per lo meno, una doppia velocità. E<br />

se riuscite a far svettare il capo al di là<br />

delle pile dei libri di successo, nelle megalibrerie<br />

la trovate pure da qualche<br />

parte quella letteratura che è stato necessario<br />

di contro definire «seria» (ma il<br />

«serio», suggeriva Lacan, è il «seriale»),<br />

che poi è quella di cui si occupa- no le<br />

pagine appena un po’ più austere dei<br />

giornali, le trasmissioni radiofoniche da<br />

salotto, le briose televendite di Fazio e<br />

le estenuanti sagre cittadine. E non è<br />

questo già un segno, ne avessimo ancora<br />

bisogno, di come funziona il sistema<br />

letterario? C’è poco da girarci intorno,<br />

vampiri o non vampiri, si appartiene<br />

tutti alla stessa famiglia di morti viventi;<br />

e se il teenager è stato per anni,<br />

già all’indomani della seconda guerra<br />

mondiale, il consumatore ideale, e a<br />

tutti è stato chiesto di restare adolescenti<br />

nello spaccio delle merci (culturali<br />

o meno), ebbene in tempo di recessione,<br />

e di scarsità di risorse, è fin troppo<br />

facile capire quanto sia il consumatore<br />

a dover essere consumato. Non si vendono<br />

libri nei megastore, ve ne sarete<br />

resi conto da un pezzo, ma lettori.<br />

diosità shakespeiriane. Cosa dice, infatti,<br />

Saint-Just l’archetipo dei giacobini alla requisitoria<br />

contro il Re? «Il cittadino Luigi Capeto<br />

può anche vivere, ma Luigi XVI deve morire<br />

non per il suo agire amministrativo ma in<br />

quanto usurpatore». L’invettiva era preludio<br />

alla costruzione disperata del nemico come<br />

simbolo ma, nel contempo, riconoscimento<br />

dialettico dell’avversario. Dai giacobini (che<br />

erano grandi) si è passati allo scherno plurale,<br />

alla denigrazione gratuita. Allo sberleffo<br />

senza giusta causa. Certo! Se i “Partiti sono<br />

partiti per non tornare più” a che serve l’invettiva<br />

se non nei termini dello sfogatoio? E,<br />

smarriti i luoghi dell’organizzazione democratica<br />

della contraddizione e del conflitto,<br />

quale prateria migliore del Web che più anonimo<br />

e violento non si può? Oltre il merito del<br />

“grillismo” (talvolta condivisibile) e fatta la<br />

tara dello straniamento civile da cui nasce e<br />

naturalmente si incanala per morire, il Vaffa-<br />

Day altro non è che un’ordalia post-moderna.<br />

Una Formidabile stipsi culturale che (dentro e<br />

oltre il Web) finisce il lavoro di Berlusconi. Non<br />

più cittadini, nemmeno sudditi, ma soggetti<br />

afoni di audience, sondaggi e riempitori di<br />

piazze più o meno virtuali. Oltre il confine dell’attuale<br />

aggregazione sociale si scivola (come<br />

nelle mappe latine dove l’ignoto si raccontava<br />

con hic sunt leones) fra lande desolate, barbari<br />

e barbarie. Non si “invettiva” ma si grida<br />

al vento, pervenendo al traguardo malinconico<br />

e depresso della clamorosa inutilità.<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 3

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