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Pagina 1 - Prima Pagina LE DUE CHIESE E IL PRINCIPE ADRIANO ...

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<strong>Pagina</strong> 1 - <strong>Prima</strong> <strong>Pagina</strong> <strong>LE</strong> <strong>DUE</strong> <strong>CHIESE</strong> E <strong>IL</strong> <strong>PRINCIPE</strong><strong>ADRIANO</strong> PROSPERI«Abbiamo dunque con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obbligo: di essere diventatisenza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione dellarovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa». Il tempo muta tuttele cose e non lascia niente com´era. Ma la realtà odierna, pur nelle nebbie che coprono ai nostriocchi i movimenti e i moventi reali, sembra offrire materiale adeguato per una verifica delladiagnosi di Machiavelli. Assistiamo oggi a un conflitto aperto e pubblico tra la coscienza morale delpopolo cattolico italiano coi suoi preti e i suoi vescovi e le necessità strategiche della Chiesa comepotere (quella che Machiavelli chiamava la Corte di Roma). Dalla parte dei primi è affiorato contoni sofferti il disagio davanti allo spettacolo di un potere senza freni e senza pudore. Annunciatosiin sordina, cresciuto col brontolio di un tuono lontano, quel disagio è esploso nello scandalo e nellaprotesta: i corpi utilizzati per i piaceri e quelli condannati a sparire nel Mediterraneo hannoscatenato un moto di ripulsa e il quotidiano dei vescovi e della Chiesa italiana ha dovuto dargliespressione, sia pure con i toni smorzati della retorica ecclesiastica. Ci si chiedeva che cosacorrispondesse a quel disagio nell´ovattato silenzio dei palazzi vaticani. E già le cene progettate e leperdonanze estorte all´ombra di quel papa Celestino morto prigioniero di un altro Papa facevanointuire che la diplomazia della Chiesa-Potere si stava adoperando per coprire e sedare. Forse ungiorno i movimenti segreti della diplomazia saranno resi noti dagli storici. Ma non c´è stato bisognodi un appuntamento segreto come quello che ci fu tra il 19 e il 20 gennaio 1923 tra il cardinalGasparri e il cavalier Mussolini per orientare la politica della comunicazione pubblica di partevaticana e portare all´uscita di ieri del direttore dell´Osservatore Romano sul Corriere della Sera. Daquella intervista ricaviamo un giudizio severo: ma non sull´aggressione del quotidianoberlusconiano al dottor Boffo che il cardinal Bagnasco ha definito «disgustoso», bensì sulle criticheche il quotidiano diretto da Boffo aveva avanzato nei confronti del berlusconismo immorale.E allora ci si chiede fino a che punto la marcia della Chiesa-Potere può accordarsi al cammino dellecoscienze italiane. Per sfuggire all´emozione e all´ira di un ignobile, disgustoso scenario di primipiani - ma la politica non è roba da stomaci delicati, com´è noto - ricorriamo al campo lungo dellastoria. Ci soccorre un libro importante che finalmente riprende in esame la questione dei rapporti traChiesa e Stato in Italia in tutta la sua complessità e nell´intrico dei movimenti reali: lo ha scritto unvalente storico, Roberto Pertici, lo pubblica per i tipi del Mulino il Senato della Repubblica (Chiesae Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984)). La storia è scienzadifficile, richiede che le passioni tacciano e che lo sguardo acquisti la lucidità di chi può e vuolesolo capire. Secondo Pertici è dalla Grande Guerra che si deve partire per comprendere perché laformula cavouriana del «libera Chiesa in libero Stato» sia stata accantonata per avviarsi sulla stradadel concordato. Fu allora che il papato di Benedetto XV sottrasse la Chiesa cattolica alcondizionamento degli Stati e fece della scelta di neutralità e della parola di pace il cuore dellanuova posizione nel mondo che l´immane carneficina le offriva. Non le servivano più dei portavocelaici autorizzati né delle forze politiche confessionali. Di conseguenza lo stesso rapporto col PartitoPopolare di don Sturzo e più avanti con la Democrazia Cristiana di De Gasperi non cancellarono piùla volontà della Chiesa di perseguire la sua politica con un rapporto diretto coi governi. Nacque cosìla politica dei concordati. E l´atto con cui Togliatti nella notte tra il 25 e il 26 marzo 1947 - un vero«luogo della memoria» nella storia dell´Italia repubblicana, come osserva Pertici - portò l´adesionenon desiderata e non gradita del Partito Comunista all´inserimento dei Patti Lateranensi nellaCostituzione nacque dalla coscienza della fragilità delle istituzioni del paese.Togliatti ci tenne a dire pubblicamente a De Gasperi che aveva ben compreso un suo accenno alfatto che il nuovo regime italiano di tutto aveva bisogno fuorché di turbamenti alla pace religiosa.De Gasperi aveva letto pubblicamente la formula del giuramento concordatario col quale i vescovisi impegnavano a essere leali verso lo Stato italiano, a rispettare e a far rispettare dal clero il capodella repubblica e il governo costituzionale: e aveva concluso: «Amici, non siamo in Italia cosìsolidificati, così cristallizzati nella forma del regime da poter rinunziare a simili impegni».


Questo lo scenario offerto dalla storia per affrontare la lettura del presente. Oggi niente è rimastocom´era nel paese Italia, un paese nei cui registri parrocchiali si leggeva allora molto spesso laqualifica di «miserabile», dove i mestieri più diffusi erano quelli di bracciante per gli uomini e dicasalinga per le donne. Un abisso sociale divide oggi i nipoti dalla realtà di chi tornò allora vivo omorto dalla guerra. E tuttavia nemmeno oggi il regime è "cristallizzato", anzi. E la Chiesa fa la suapolitica. Nell´incontro segreto del 1923 maturò la politica che portò il governo Mussolini areintrodurre la religione cattolica come materia da insegnare nelle scuole e a fare tutti i passi cheportarono al Concordato. Oggi un partito che ieri vantava il suo paganesimo e adorava le acque delPo si offre come il vero partito cattolico: non ci stupiremo pensando all´ateo Mussolini che sfidavala folgore di Dio dal pulpito. Un altro «uomo della Provvidenza» tenta la strada del Vaticano. Eforse oltre Tevere qualcuno starà valutando freddamente la sua credibilità come successore di unormai imbarazzante - anche per loro - presidente del Consiglio.

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