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Nuovi scenari e vecchie liturgie del consumo culturale. Cosa accade ...

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<strong>Nuovi</strong> <strong>scenari</strong> e <strong>vecchie</strong> <strong>liturgie</strong> <strong>del</strong> <strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong>. <strong>Cosa</strong> <strong>accade</strong> e<br />

perché è così difficile prevedere il presente<br />

di Alessandro Bollo<br />

1. Fotografia di gruppo (leggermente mossa)<br />

Nell’intrigante ritratto in seppia che in questo volume Luca Da Pozzolo dedica al<br />

consumatore <strong>culturale</strong>, le annotazioni conclusive segnalano il bisogno di ricercare<br />

nuove modalità di indagine in grado di cogliere fenomeni evolutivi spesso<br />

sotterranei, le geografie e le antropologie emergenti dei consumi culturali<br />

contemporanei. Gli studi, le statistiche e gli indicatori, si dice, sono sempre più in<br />

difficoltà nel fare luce su quelle aree in cui sembrano annidarsi e svilupparsi, spesso<br />

in modo dirompente, i segni <strong>del</strong> mutamento e <strong>del</strong>l’innovazione.<br />

Il rischio, come si legge, è di accontentarsi di un ritratto <strong>del</strong> nostro consumatore<br />

<strong>culturale</strong> che ricordi i primi esperimenti di Monsieur Daguerre o nella migliore <strong>del</strong>le<br />

ipotesi i ritratti “tipizzati” di August Sander quando negli anni trenta cercava di<br />

cristallizzare attraverso la fotografia la relazione tra le classi sociali e la loro evidenza<br />

fotografica.<br />

Condivido pienamente le preoccupazioni di Dal Pozzolo e la necessità di velocizzare<br />

quel processo in grado di portare ad un cambiamento, forse paradigmatico, nel<br />

modo di affrontare, descrivere e misurare i consumi culturali. Quello che mi accingo<br />

a scrivere intende aggiungere ulteriori spunti di analisi su quello che sta succedendo<br />

“nel mondo dei consumi culturali”, di mettere altra carne al fuoco, di inserire nuove<br />

variabili e di suggerire proposte interpretative e percorsi di ricerca.<br />

Rimanendo dentro la metafora fotografica, se si volesse fare un ritratto<br />

grandangolare, di grande formato e onnicomprensivo <strong>del</strong>le molteplici forme di<br />

<strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong>, oltre ad una restituzione in scala di grigio ci si accorgerebbe che<br />

alcune parti <strong>del</strong>lo scatto risulterebbero più sfocate e mosse di altre (c’è chi indulge<br />

in pose plastiche, c’è chi si agita troppo rapidamente per i normali tempi di<br />

otturazione), alcuni soggetti risulterebbero parzialmente nascosti e defilati nello<br />

sfondo, altri spudoratamente a contendersi il primo piano.<br />

Una volta fatta asciugare la stampa (consentitemi questo vezzo da nostalgico <strong>del</strong>la<br />

reflex convertito giocoforza al digitale) e collocata in bella mostra a stagliarsi sulla<br />

parete scura <strong>del</strong>lo studio, nel mosaico complessivo che è questa Arca di Noè dei<br />

consumi culturali, anziché dedicarsi a districare da ogni ritratto una fisionomia<br />

singolare o una specifica antropologia (operazione tra l’altro particolarmente<br />

complessa se non impossibile) è più interessante osservare gli eventuali tratti di<br />

comunanza, le posture che si discostano dalla norma, gli elementi <strong>del</strong> contesto che<br />

sembrano avere qualche influenza sulle modalità di messa in posa.<br />

Da una prima analisi fotografica mi sembra emergano alcuni fenomeni, tra loro<br />

fortemente interrelati, che più di altri sono in grado di spiegare il risultato finale<br />

<strong>del</strong>la “composizione di gruppo”: l’emergere <strong>del</strong>le economie cosiddette “a coda<br />

lunga”, le nuove tribù e il loro impatto anche sui consumi culturali e la logica<br />

<strong>del</strong>l’evento.<br />

Prima di procedere all’analisi di questi punti vorrei soffermarmi su un dato di fondo<br />

che complica ulteriormente le sfide <strong>del</strong>la conoscenza e <strong>del</strong>l’interpretazione: la<br />

difficoltà crescente a individuare un rapporto di linearità e coerenza tra il<br />

consumatore <strong>culturale</strong> e i suoi consumi di cultura, con conseguenti problemi di<br />

1<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


previsione e di intervento da parte dei policy maker e degli addetti alla cultura.<br />

L’aumento <strong>del</strong>le sollecitazioni derivanti dalla competizione tra molteplici fattori di<br />

attrattiva ricreativo-<strong>culturale</strong> sempre più alla portata di tutti, la rivoluzione <strong>del</strong>la<br />

“convergenza tecnologica”, la tendenza contemporanea a cambiare stili di vita e stili<br />

di <strong>consumo</strong> con la stessa facilità con cui si mette e smette un abito (Di Nallo, 1997)<br />

contribuiscono a determinare una situazione in cui nei consumatori culturali<br />

convivono tendenze e comportamenti contrastanti, sfaccettati e apparentemente<br />

incongruenti. Anna Lisa Tota parla al riguardo di soggettività pluriappartenenti;<br />

nomadi e molteplici oscilliamo come pendoli indulgendo in comportamenti<br />

apparentemente contradditori che “ci fanno sonnecchiare davanti alla soap<br />

preferita, mentre sfogliamo un catalogo di Man Ray”. Siamo il risultato <strong>del</strong> lavorio<br />

continuo e subissante <strong>del</strong>l’industria <strong>culturale</strong> e <strong>del</strong>l’entertainment, che ci vorrebbe<br />

prevedibili e dipendenti dalle proposte <strong>del</strong> mainstream <strong>culturale</strong>, e di forze uguali e<br />

contrarie interne all’individuo, che si nutrono <strong>del</strong>l’intimo desiderio di distanziarsi dai<br />

consumi di massa; altaleniamo tra il bisogno rincuorante di “possedere” e<br />

condividere le hit di successo (che si tratti di un testo musicale, <strong>del</strong>la mostra<br />

imperdibile, <strong>del</strong> solito blockbuster hollywodiano o <strong>del</strong> monumento simbolo che<br />

campeggia nella copertina <strong>del</strong>le Lonely Planet) e la pulsione ad esplorare nicchie e<br />

terreni impervi in cui far crescere e soddisfare le proprie amabilissime ossessioni.<br />

Subiamo eventi e ricerchiamo esperienze da vivere. Riteniamo la solitudine una<br />

pratica virtuosa e spesso consona alla pratica <strong>culturale</strong>, ma non possiamo fare a<br />

meno degli altri per condividere e ricostruire il senso <strong>del</strong> nostro agire.<br />

Le nuove tecnologie, infine. Per quanto ideologiche possano risultare alcune singole<br />

posizioni o per quanto distanti dal problema possano apparire alcune fasce di utenza<br />

(gli anziani, ad esempio, e tutti quelli che il digital divide esclude) tutti ormai<br />

dobbiamo fare i conti con l’esigenza di mescolare atomi e bit nelle pratiche e nelle<br />

modalità di <strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong>. Compriamo libri online su Amazon grazie anche ai<br />

consigli di altri utenti sconosciuti, ma poi amiamo indugiare nelle librerie facendoci<br />

convincere da una copertina o dall’approvazione tacita <strong>del</strong> nostro commesso di<br />

fiducia, scattiamo fotografie in digitale perché sono comode, si possono ritoccare e<br />

non costano praticamente nulla, ma poi crescono esponenzialmente le comunità<br />

online dei paladini <strong>del</strong>la vecchia reflex, i nostalgici <strong>del</strong>la camera oscura. Piccole e<br />

grandi tribù hanno bisogno di nuove nicchie in cui rifugiarsi e dare sfogo alle proprie<br />

singolari crisi di rigetto nei confronti <strong>del</strong> mainstream che avanza e dei tentativi di<br />

omologazione <strong>del</strong> gusto e <strong>del</strong>le pratiche.<br />

A tale proposito Vin Crosbie nel suo blog 1 sostiene che «[…] ognuno di noi come<br />

singolo ascoltatore, lettore, spettatore, visitatore è, ed è sempre stato, un miscuglio<br />

unico di interessi generici e interessi specifici. Sebbene noi possiamo condividere<br />

interessi generici con molte altre persone, abbiamo interessi specifici molto diversi<br />

da ognuna di esse. Siamo un miscuglio unico di interessi generici e specifici».<br />

L’aspetto rilevante è che fino a qualche decennio fa le persone avevano grande<br />

difficoltà ad accedere a media in grado di soddisfare ogni singolo interesse specifico,<br />

ci si accontentava di condividere i principali media di massa che riuscivano a<br />

soddisfare con un certo successo molti dei nostri interessi generici. La discontinuità<br />

attuale – le cui conseguenze stiamo iniziando a leggere anche in termini di<br />

cambiamento <strong>del</strong>le pratiche e dei consumi culturali – riguarda il fatto che ci sono<br />

sempre più media e opportunità di soddisfare bisogni specifici. La frammentazione<br />

al posto <strong>del</strong>l’unità è sicuramente un fattore positivo di arricchimento sociale e<br />

<strong>culturale</strong>, ma complica le cose a chi la deve riconoscere, definire e misurare.<br />

1<br />

“Corante. Rebuilding media”: http://rebuildingmedia.corante.com/<br />

2<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


2. La vestaglia di Diderot e le code lunghe<br />

Si racconta che il filosofo illuminista Denis Diderot conducesse uno stile di vita molto<br />

pacato e sobrio. Nessun spazio era concesso al lusso e neppure al superfluo, a<br />

partire dallo studio che fungeva anche da abitazione: pochi e semplici mobili, una<br />

grande e funzionale libreria, uno scrittoio, una brandina e alcuni logori vestiti, buoni<br />

per ogni occasione. Ad un certo punto Diderot ricevette in dono da un amico una<br />

lussuosa vestaglia di seta color porpora che l’anziano intellettuale appese di fianco<br />

alla porta d’ingresso. Da quel momento qualcosa cambiò. La vestaglia era<br />

incoerente con gli altri oggetti <strong>del</strong> suo studio e Diderot si rese conto di come quel<br />

piccolo cambiamento gli provocasse un senso di inquietudine e di disturbo (non solo<br />

visivo). Alla fine si rassegnò e decise di sostituire tutto il vecchio mobilio <strong>del</strong>la casa<br />

con pezzi di arredamento e suppellettili di pregio affinché il nuovo ordine<br />

complessivo trovasse una sua coerenza con la vestaglia ricevuta in dono.<br />

L’antropologo americano Grant McCracken utilizza spesso questa storia per facilitare<br />

la comprensione <strong>del</strong>la sua teoria secondo la quale un bene considerato isolatamente<br />

è privo di significato, ma deriva la sua funzione simbolica dal sistema in cui è<br />

inserito (la cosiddetta «unità Diderot»). Quello che è interessante <strong>del</strong>la teoria di<br />

McCracken sono i cosiddetti «effetti Diderot»: le unità Diderot (si consideri ad<br />

esempio il sistema dei consumi culturali dominanti) agiscono spesso come una<br />

barriera contro l’intrusione di beni o nuove pratiche che possono destabilizzare i<br />

sistemi codificati, ma a volte quando elementi destabilizzanti, come la vestaglia di<br />

Diderot, sono introdotti in sistemi in equilibrio, viene minata la coerenza che<br />

cementava la varietà dei beni e <strong>del</strong>le pratiche e si produce una ristrutturazione<br />

<strong>del</strong>l’unità Diderot, con conseguenze innovative.<br />

Questo per dire che i nuovi atteggiamenti nel <strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong>, resi possibili dalle<br />

mutate possibilità di distribuzione sembrano avere la natura <strong>del</strong>l’«effetto diderot»<br />

appena descritto, i sostenitori di questa nuova visione ritengono infatti che<br />

probabilmente molti non se ne sono ancora accorti, ma una nuova vestaglia color<br />

porpora è già entrata nelle nostre case.<br />

Il direttore <strong>del</strong>la prestigiosa rivista Wired, nonché teorico <strong>del</strong>la “coda lunga” Chris<br />

Anderson parte da un dato che è sotto gli occhi di tutti: da un mercato di massa<br />

stiamo tornando ad un arcipelago di nicchie, gli spazi dei nostri consumi sono<br />

sempre meno definiti dalla nostra geografia e sempre di più dai nostri interessi. Mi<br />

perdonino i lettori di Anderson se semplifico eccessivamente il suo pensiero: in<br />

sostanza l’autore, dopo un lungo lavoro di ricerca condotto principalmente negli<br />

Stati Uniti, afferma che nei mercati <strong>del</strong>l’industria <strong>culturale</strong> ci sono molti più prodotti<br />

di nicchia che hit/blockbuster e il costo sostenuto per raggiungere queste nicchie sta<br />

diminuendo drasticamente grazie ai recenti sviluppi tecnologici. I soggetti<br />

<strong>del</strong>l’industria <strong>culturale</strong> più innovativi nella distribuzione – si pensi ad esempio ad<br />

Amazon (che dopo gli esordi nei prodotti editoriali ha esteso la sua offerta alle più<br />

diverse categorie merceologiche) a iTunes Store (musica e podcast) a Netflix<br />

(videonoleggio) - stanno assecondando e sfruttando questa nuova tendenza. Che<br />

cos’è esattamente e come funziona la coda lunga?<br />

3<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


Fig 1 La coda lunga; immagine gentilmente concessa da Hay Cranen<br />

In questa particolare distribuzione una popolazione ad alta frequenza o ampiezza<br />

(l’area verde) è seguita da una popolazione a bassa frequenza o ampiezza, che<br />

diminuisce gradatamente (area gialla). La parte gialla è la coda lunga ed è<br />

interessante perché in alcuni mercati gli eventi poco frequenti o di bassa ampiezza<br />

possono cumulativamente superare in numero la porzione iniziale <strong>del</strong>la curva, tanto<br />

che presi tutti insieme rappresentano la maggioranza.<br />

Anderson sostiene che i prodotti a bassa richiesta o con ridotti volumi di vendita<br />

possono collettivamente occupare una quota di mercato equivalente o superiore a<br />

quella dei pochi bestseller o blockbuster se i punti vendita sono abbastanza grandi e<br />

il sistema di distribuzione è particolarmente efficiente. Questo è quello che sta<br />

succedendo, ad esempio, per i libri, per i film e per la musica.<br />

Analizziamo la questione da un altro punto di vista. Partiamo dalla famosa regola di<br />

Pareto <strong>del</strong>l’80/20: in molti mercati una fetta limitata di prodotti (20%, le cosiddette<br />

“hit” o prodotti di successo) produce l’80% <strong>del</strong>le vendite (la nostra area verde). La<br />

teoria <strong>del</strong>la coda lunga non sovverte la regola di Pareto (la proporzione più o meno<br />

rimane), ma i costi di distribuzione molto bassi o addirittura nulli rendono<br />

conveniente vendere anche quell’80% di prodotti (chiamiamoli prodotti di “non<br />

successo” commerciale) che normalmente vengono esclusi dalla distribuzione<br />

tradizionale.<br />

Prendiamo i diversi settori e confrontiamo i mo<strong>del</strong>li tradizionali di distribuzione con<br />

quelli <strong>del</strong>l’era <strong>del</strong>la coda lunga: un megastore metropolitano può avere in vendita<br />

anche 50.000 titoli (l’impressione entrando è che si possa trovare di tutto, in realtà<br />

vengono distribuiti solo i prodotti che si trovano nella parte alta <strong>del</strong>la curva),<br />

Amazon, secondo le stime di Anderson, ha un inventario di 3,7 milioni di titoli e un<br />

quarto <strong>del</strong>le vendite non riguarda i 100.000 titoli più popolari. Tanto per dare un<br />

ordine di grandezza, in Piemonte nel 2006 sono stati proiettati nei cinematografi 502<br />

titoli diversi, la catena Blockbuster espone in un suo punto vendita 3.000 titoli, il<br />

negozio online Netflix ha un catalogo di 55.000 dvd che sono stati noleggiati almeno<br />

una volta a trimestre. Un grande negozio di musica può avere negli scaffali anche<br />

5.000 titoli di cd, I-tunes ha un catalogo di 2 milioni di brani che sono stati scaricati<br />

almeno una volta! Lo spazio che un cd occupa in uno scaffale è un costo per il<br />

venditore, il quale opera in modo che il suo scaffale sia riempito solo da titoli in<br />

grado di garantire un numero minimo di acquisti. Nel mondo virtuale un file Mp3<br />

non ha praticamente costi per un distributore online, diventa conveniente anche se<br />

4<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


venisse acquistato una sola volta; il Catalogo (con la C maiuscola come in un<br />

racconto di Borges) potrebbe teoricamente diventare infinito, contenere il mondo<br />

stesso.<br />

Nei sistemi tradizionali dove i costi di distribuzione sono elevati, vengono quindi<br />

venduti solo i prodotti più popolari; quando la coda lunga funziona, invece, i gusti<br />

non mainstream (o gli interessi specifici se ci rifacciamo alla definizione di Crosbie)<br />

vengono soddisfatti e aumenta teoricamente la possibilità di scelta. Dico<br />

“teoricamente”, dato che manca ancora un elemento affinché la coda lunga possa<br />

davvero funzionare. Ci si trova infatti in una situazione quasi paradossale di risorse<br />

iperabbondanti, mentre l’economia classica ci ha sempre insegnato a valutare i<br />

comportamenti dei singoli in una logica di scarsità di risorse. Le persone devono<br />

potersi raccapezzare di fronte ad un’offerta praticamente infinita, occorre quindi<br />

attivare dei meccanismi in grado di aiutare e guidare le persone a “scendere giù per<br />

la coda”. Nella coda si trova di tutto e quindi ci possono essere prodotti di nicchia di<br />

indubbio valore, ma anche moltissimo ciarpame. Devono essere presenti dei “filtri”<br />

che consentano ai clienti di distinguere il grano dal loglio, di poter trovare facilmente<br />

e velocemente ciò che interessa, di curiosare e di sperimentare, ma entro margini<br />

tollerabili di rischio. Il meccanismo di filtro più potente, allo stato attuale, sono gli<br />

altri utenti, possibilmente quelli che frequentano la propria stessa nicchia, attraverso<br />

il passaparola. Raccomandazioni, suggerimenti, recensioni, link, rating, classifiche,<br />

blog e community online sono strumenti formidabili, amplificati dalla nuove tecniche<br />

<strong>del</strong> marketing virale, di orientamento nella coda: si sfrutta l’opinione dei<br />

consumatori per fare incontrare offerta e domanda. La cosa interessante è che le<br />

persone messe nella condizione di poter scegliere in presenza di grande varietà e<br />

diversità preferiscono i prodotti culturali non blockbuster, si tratta di una domanda<br />

molto meno influenzata dai prodotti popolari di successo.<br />

Ritornando ad una visione più allargata sui consumi di arte e cultura ci troviamo di<br />

fronte ad una situazione complessa in cui convivono intrecciandosi – cooperando o<br />

facendosi concorrenza – prodotti ed esperienze dominati dalla logica <strong>del</strong> grande<br />

evento, <strong>del</strong>la concentrazione dei mercati, <strong>del</strong>la scarsità di risorse e ambiti nuovi di<br />

scelta in un regime di diversità e abbondanza. Mercati in cui la distribuzione e<br />

l’accesso al prodotto rappresentano spesso un vincolo, altri in cui è un fattore di<br />

sviluppo strategico. L’effetto complessivo sul consumatore e sui consumi culturali è<br />

ancora tutto da valutare: integrazione virtuosa o conseguenze schizofreniche?<br />

Alla luce di quanto detto, la logica <strong>del</strong>la coda lunga nell’ambito dei diversi consumi<br />

culturali diventa interessante per molteplici ordini di motivi:<br />

• consente di leggere da una prospettiva diversa il problema<br />

<strong>del</strong>l’interpretazione dei consumi culturali cumulati,<br />

• pone un interrogativo sulla capacità dei mercati a coda lunga di influenzare i<br />

comportamenti di <strong>consumo</strong> <strong>culturale</strong> nei settori tradizionali,<br />

• permette di formulare ipotesi circa la possibilità di creare code lunghe anche<br />

in settori in cui prevale la logica <strong>del</strong>l’80/20.<br />

Rispetto alla necessità di misurare e interpretare i consumi culturali in una logica<br />

cumulata (si veda nuovamente l’intervento di Dal Pozzolo), allo stato attuale, pur in<br />

mancanza di risposte convincenti, il nuovo <strong>scenari</strong>o dà luogo ad interessanti<br />

riflessioni. Si prenda ad esempio il <strong>consumo</strong> di cinema. La misurazione <strong>del</strong>la<br />

domanda di film nei cinematografi è ormai un indicatore assolutamente parziale e,<br />

se vogliamo, poco interessante se si intende misurare il reale <strong>consumo</strong> di prodotti<br />

<strong>del</strong>l’industria cinematografica e audiovisiva, la spesa effettiva (in termini di tempo e<br />

5<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


di denaro), il sistema <strong>del</strong>le preferenze dei consumatori, i mutamenti nel gusto, la<br />

capacità di penetrazione di un genere (si pensi al documentario professionale e<br />

amatoriale, praticamente inesistente nelle sale cinematografiche e in catene come<br />

Blockbuster, ma fenomeno in crescita esponenziale su Internet).<br />

Da questo punto di vista si assiste ad un interessante processo di spartizione <strong>del</strong><br />

mercato e <strong>del</strong>le preferenze tra cinema “in sala” e cinema “fuori sala”. I forti vincoli<br />

distributivi e i rapporti incestuosi tra produzione e distribuzione limitano fortemente<br />

la scelta; salvo rare eccezioni non esiste coda nel mercato <strong>del</strong>le sale<br />

cinematografiche, al contrario si registra una sempre più accentuata contrazione dei<br />

titoli, con un’enfasi sui film di sicuro successo. Dal punto di vista <strong>del</strong>la pratica la<br />

conseguenza è che, con sempre maggiore frequenza, si va al cinema solo quando<br />

c’è il film imperdibile, figlio di grandi campagne di marketing, e si perde l’abitudine<br />

ad un <strong>consumo</strong> che per decenni ha scandito il vissuto quotidiano dei nostri sabati<br />

sera e <strong>del</strong>le domeniche pomeriggio. Il paradosso è che nonostante i consumi siano<br />

molto diminuiti rispetto a trenta e quaranta anni fa, il cinema in sala è diventato<br />

molto più di massa di quanto non lo fosse una volta. Se nelle decadi precedenti, pur<br />

in modo parziale e limitato, consentiva di soddisfare interessi generici e qualche<br />

interesse specifico, la concentrazione e l’omologazione attuali pongono il cinema in<br />

sala come il regno <strong>del</strong>la soddisfazione degli interessi generici (che la grande<br />

produzione cinematografica contribuisce a creare e alimentare), demandano ad altri<br />

media e situazioni la soddisfazione dei molti e crescenti interessi specifici (festival<br />

cinematografici, canali tematici, pay per view, peer to peer, noleggi online).<br />

Riportando la questione sul terreno <strong>del</strong>la metodologia <strong>del</strong>la ricerca, il problema è<br />

che i nostri strumenti sono in grado di rilevare i prodotti e i supporti culturali che<br />

soddisfano in prevalenza interessi generici, ma non riescono ancora a descrivere e<br />

misurare quelli pensati esclusivamente per gli interessi specifici: questi ultimi, però,<br />

stanno diventando sempre più rilevanti e determinanti nei processi di produzione e<br />

distribuzione <strong>culturale</strong>.<br />

Nel medio-lungo periodo sarà inoltre interessante verificare se le pratiche di<br />

<strong>consumo</strong> sviluppate nei mercati a coda lunga sono capaci di influenzare quelle dei<br />

mercati tradizionali. Verificare cioè se si produce un “effetto Diderot” in grado di<br />

destabilizzare e rimodulare sistemi di <strong>consumo</strong> consolidati. La possibilità di avere<br />

accesso e scaricare online musica dei generi musicali più disparati, di ascoltare<br />

musicisti e sonorità sconosciuti, di essere pungolati a scoprire mondi nuovi<br />

(attraverso il passaparola e il marketing virale a costi molto limitati in termini di<br />

denaro, tempo e rischio connesso all’acquisto) avrà un effetto sui consumi di musica<br />

dal vivo? La diversità e la varietà sperimentata nel mondo dei consumi online<br />

produrrà una maggiore richiesta di varietà e specificità anche per la musica dal vivo?<br />

Oppure nelle performance live – così come sta avvenendo per il cinema - si<br />

ricercherà ancora maggiormente quel carattere simbolico di “eventi speciali” (perché<br />

ratificati dai canoni <strong>del</strong> mainstream dominante) <strong>del</strong>egando ai consumi e alle pratiche<br />

domestiche il compito di soddisfare curiosità e gusti personali?<br />

L’ultimo punto riguarda la possibilità di “allungare la coda” anche a mercati<br />

caratterizzati da “code tronche” e da vincoli nella distribuzione e nell’accesso ai<br />

prodotti e alle esperienze. Se si considera il settore <strong>del</strong> patrimonio e dei beni<br />

culturali, l’Italia “museo a cielo aperto” da questo punto di vista si presenta come<br />

una frantumazione di nicchie (i tanti centri minori, le bandiere arancioni <strong>del</strong> Touring<br />

Club Italiano, gli ecomusei, le rivisitazioni storiche e le iniziative locali, le oasi<br />

protette e l’archeologia industriale) che convivono e competono con le hit (le città<br />

d’arte, i grandi musei, le mostre di richiamo). Come sostiene Antinucci, in Italia ci<br />

troviamo di fronte ad un sistema museale fortemente concentrato 2 , dominato<br />

2<br />

Nella valutazione di Antinucci sui musei statali italiani ci troviamo di fronte ad un mercato 8/75,<br />

6<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


dall’effetto brand, in cui un numero esiguo di istituzioni di forte richiamo genera<br />

quote molto significative di domanda complessiva. Si creano di conseguenza forti<br />

inefficienze a livello complessivo perché a fronte di pochi musei sovraffollati e presi<br />

d’assalto dal turismo, si conta un numero elevato di musei di buona qualità con<br />

problemi di pubblico e di sottoutilizzazione <strong>del</strong>le risorse disponibili. Il discorso vale<br />

anche se lo si riporta alla scala <strong>del</strong>la città. Nelle città d’arte in particolare a fronte di<br />

alcuni fattori di attrattiva imperdibili (il museo rinomato, il duomo e la piazza<br />

centrale, il belvedere e lo scorcio fotogenico) si ritrovano decine di beni e<br />

monumenti di altrettanto valore totalmente trascurati dal turismo perché al di fuori<br />

dai percorsi canonici <strong>del</strong>la gita di giornata, non presenti nelle guide o<br />

nell’immaginario <strong>del</strong>le persone. Si tratta <strong>del</strong>la coda lunga potenziale <strong>del</strong> mercato dei<br />

monumenti e dei beni culturali. Come sappiamo, le condizioni per attivare una coda<br />

lunga sono la presenza di grande varietà nell’offerta, consumatori potenzialmente<br />

interessati a prodotti di nicchia e a soddisfare bisogni specifici, efficienza nei<br />

processi di distribuzione, collegamenti tra domanda e offerta. Si obietterà che in<br />

questo caso ci si trova nel mondo reale e i vincoli di spazio (non si possono<br />

smaterializzare i beni) e tempo (l’erogazione <strong>del</strong> servizio deve essere contestuale al<br />

suo utilizzo) nel processo distributivo sono difficilmente eludibili. Esistono comunque<br />

margini di crescita nella logica di una maggiore varietà e multidimensionalità <strong>del</strong><br />

<strong>consumo</strong> di beni culturali? La mia impressione è che il punto su cui si dovrà<br />

maggiormente lavorare riguarda l’individuazione di modalità nuove di<br />

infrastrutturare l’incontro tra la domanda e l’offerta. Si tratta di partire da quello che<br />

già si sta sperimentando in altri contesti più innovativi, senza dover inventare nulla<br />

di nuovo. Il dato eclatante di questa nuova economia <strong>del</strong>la coda lunga è la forza<br />

<strong>del</strong>le opinioni <strong>del</strong>le persone nel mediare domanda e offerta. Come si apprende dalle<br />

ricerche sul pubblico di musei e beni culturali il passaparola, già allo stato attuale, è<br />

il canale di comunicazione più efficiente nell’informare e convincere i visitatori. È<br />

però un processo comunicativo totalmente spontaneo, poco incentivato, che i musei<br />

e i territori non hanno ancora debitamente colto nella sua portata. Inserire musei e<br />

beni nei circuiti comunicativi di nicchie mirate, appoggiarsi alle reti già esistenti<br />

(blog, community, social networking, ecc.) per veicolare informazioni e contenuti,<br />

individuare modalità alternative per attrarre pubblici dispersi, difficilmente<br />

segmentabili ma uniti da interessi comuni, rappresentano alcune <strong>del</strong>le principali<br />

sfide, ma anche i passi obbligati, per chi dovrà occuparsi <strong>del</strong> marketing e <strong>del</strong>la<br />

valorizzazione <strong>culturale</strong>.<br />

Nuove e <strong>vecchie</strong> architetture di partecipazione: dai blog ai festival “culturali”<br />

Parto da una considerazione di Bernard Cova 3 in merito ad una tendenza attuale<br />

nelle modalità e nei riti di <strong>consumo</strong>: diminuiscono i prodotti e le esperienze che<br />

isolano e mettono a distanza e aumenta l’interesse per quelle che avvicinano a<br />

mettono in relazione. È un’affermazione la cui valenza assume un significato<br />

particolare quando la si riporta al campo <strong>del</strong>le esperienze culturali. In un periodo di<br />

retorica <strong>del</strong>l’individualità e <strong>del</strong>l’individualismo, si scopre che il legame conta spesso<br />

più <strong>del</strong>la merce, si riconosce cioè un’importanza addizionale a quei beni e a quelle<br />

pratiche che detengono un valore nella costruzione o nel potenziamento dei legami<br />

tra gli individui. Non è un caso, ad esempio, se nel settore dei videogiochi le<br />

principali innovazioni di prodotto non riguardano tanto un miglioramento <strong>del</strong>le<br />

prestazioni e <strong>del</strong>la qualità grafica (che comunque è avvenuto più per autoalimentare<br />

un meccanismo di “schiavitù tecnologica” <strong>del</strong> consumatore che per rispondere a sue<br />

l’8% dei musei più importanti produce due terzi <strong>del</strong>la domanda complessiva.<br />

3 Cfr. Bernard Cova, Il marketing tribale…<br />

7<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


esigenze specifiche), quanto la possibilità di condivisione <strong>del</strong>l’esperienza ludica con<br />

un numero idealmente infinito di persone attraverso Internet e la possibilità di<br />

giocare “in rete”.<br />

Da un lato si riscopre un sentimento comunitario – da intendersi però in<br />

un’accezione postmoderna, attribuendo cioè alla comunità, meglio alla tribù, uno<br />

statuto debole di “comunità emozionale” che si nutre di passioni e interessi volubili,<br />

di situazioni cicliche, costituita per scambiare conoscenze e provare sensazioni<br />

insieme ad altri – dall’altro si ricerca la soddisfazione diretta attraverso l’emozione<br />

condivisa con altri o in contiguità con altri. La condivisione, nel sistema dei consumi,<br />

ha che fare con un <strong>del</strong>icato equilibrio tra dimensione privata e dimensione pubblica,<br />

tra il bisogno di intraprendere un percorso di crescita e di soddisfazione individuale<br />

e il desiderio di mettere in circolo i significati che produce, di attribuire una logica<br />

sociale al proprio agire. Sono sempre più presenti nel web le comunità di<br />

discussione e i blog in cui si riportano emozioni e opinioni in merito a esperienze di<br />

natura <strong>culturale</strong>. Recenti studi condotti sul pubblico dei musei 4 mettono in evidenza<br />

come la visita sia frutto di una scelta individuale, ma con forti implicazioni sociorelazionali.<br />

L’attribuzione di senso <strong>del</strong>la visita passa anche attraverso la relazione<br />

con gli altri, non solo perché aiuta a comprendere meglio, ma anche perché rinforza<br />

e conferma l’esperienza che si sta vivendo.<br />

Il concetto di contiguità mi sembra altrettanto interessante perché contribuisce a<br />

spiegare alcune tendenze in atto nei consumi e nelle proposte culturali. Gli individui<br />

sono cioè portati a ricercare la compagnia degli altri, ma non necessariamente<br />

l’interazione e ancora meno la volontà di infrangere l’anonimato. Situazione<br />

piuttosto calzante se si pensa al fenomeno emergente <strong>del</strong>la festivalisation, ovvero la<br />

crescita esponenziale di manifestazioni aventi portata spazio-temporale definita e<br />

limitata, riconducibili a mo<strong>del</strong>li ideativi e organizzativi che riprendono in parte il<br />

concetto e la prassi <strong>del</strong>la festa e <strong>del</strong>la celebrazione, riattualizzati e riproposti<br />

attraverso quel succedaneo contemporaneo che è il festival. Le cause <strong>del</strong>la<br />

festivalisation sono molteplici e non interessa affrontarle in questa sede, quello che<br />

interessa è analizzare un fenomeno recente e tipicamente italiano, lo sviluppo e<br />

l’imporsi dei cosiddetti “festival culturali”, quelle iniziative temporanea pensate per<br />

divulgare in modo serio ma non serioso e spesso spettacolare temi scientifici o<br />

discipline specifiche (si pensi ai Festival <strong>del</strong>la Scienza, <strong>del</strong>la Mente, <strong>del</strong>la Creatività,<br />

<strong>del</strong>la Letteratura, <strong>del</strong>la Filosofia, <strong>del</strong>l’Architettura e <strong>del</strong>l’Economia solo per citarne<br />

alcuni). La ragioni <strong>del</strong> successo di queste iniziative dipendono, a mio parere,<br />

sicuramente dall’avere colmato un vuoto nell’offerta di divulgazione scientifica e<br />

<strong>culturale</strong> e di avere individuato <strong>del</strong>le nicchie (nemmeno troppo piccole) interessate a<br />

partecipare e a farsi coinvolgere, ma anche dalle modalità di fruizione che<br />

consentono di riappropriarsi degli spazi pubblici, di accedere ad una ritualità che<br />

porta a staccarsi, anche se temporaneamente, dalla dimensione <strong>del</strong> quotidiano, di<br />

soddisfare quel bisogno di socialità che si sostanzia nella logica <strong>del</strong>l’emozione<br />

condivisa per prossimità e riconoscimento e non per mimetismo. Alchimia che<br />

sembra funzionare con ancora più esoterica precisione per le tante “notti bianche”,<br />

nuovi rituali festivi urbani, termometro <strong>del</strong>la vitalità di un territorio e dei suoi<br />

abitanti.<br />

Alla luce di questi cambiamenti e nuovi <strong>scenari</strong>, anche il quadro teorico di Bourdieu,<br />

la cui analisi tanta influenza ancora esercita sul pensiero e sull’operato di chi si<br />

occupa di consumi culturali, sembra richiedere un lavoro di riattualizzazione.<br />

Facendosi più sfuggente quella relazione – che prima era immediata e quindi<br />

riconoscibile e dicibile – tra consumatore e <strong>consumo</strong>, la logica distintiva che la<br />

4<br />

Cfr. Alessandro Bollo (a cura di); I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche…<br />

8<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


sottende assume sempre di più una valenza temporanea e instabile. «Non c’è nulla<br />

che permetta di ribadire la propria “classe” come i gusti in campo musicale, niente<br />

attraverso cui si sia classificati in modo altrettanto infallibile; è certo che non esiste<br />

pratica dotata di maggior potere classificante […] <strong>del</strong>la frequentazione dei concerti o<br />

<strong>del</strong>la pratica di uno strumento musicale ‘nobile’»: tralasciando i concetti ormai<br />

superati di “classe” e “nobiltà artistica” figli <strong>del</strong>l’epoca in cui Bourdieu scriveva La<br />

distinzione, il dato di riflessione è che ora non possiamo più permetterci<br />

affermazioni così perentorie, e se tali affermazioni valgono ancora, valgono solo<br />

come criterio di riconoscibilità all’interno di piccole e provvisorie comunità aggregate<br />

in funzione di interessi specifici piuttosto che per una comunanza di gusto o una<br />

vicinanza di condizioni socio-culturali; un arcipelago di isolette e atolli separati e<br />

indipendenti, ma aperti al contatto e al passaggio da parte <strong>del</strong>le popolazioni vicine.<br />

Questa potrebbe forse essere l’immagine <strong>del</strong>la nostra fotografia di gruppo sul<br />

presente dei consumi e dei consumatori culturali. Un presente sempre più difficile da<br />

prevedere.<br />

9<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli


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10<br />

Testo tratto da L'arte <strong>del</strong>lo spettatore. Il pubblico <strong>del</strong>la cultura tra bisogni, consumi e tendenze, 2008 Franco Angeli

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