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La retribuzione costituzionalmente adeguata e il dibattito ... - Studium

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<strong>La</strong> <strong>retribuzione</strong> <strong>costituzionalmente</strong> <strong>adeguata</strong> e <strong>il</strong> <strong>dibattito</strong>sul diritto al salario minimodi Giancarlo RicciSommario: 1. Il diritto alla <strong>retribuzione</strong> fondamentale come “variab<strong>il</strong>e indipendente” dallacongiuntura economica: ascesa, consolidamento, declino (nel contesto della crisi globale).- 2. Il diritto negato ai minimi salariali e la reazione giudiziale (in sede civ<strong>il</strong>e) ai sensidegli artt. 36, comma 1, Cost. e 2099, comma 2, c.c. Le tecniche di integrazione della <strong>retribuzione</strong>in<strong>adeguata</strong>. - 3. (segue) <strong>La</strong> vocazione “proporzionalistica” della giurisprudenzasull’art. 36, comma 1, Cost. - 4. (segue) Fattori economici e/o ambientali all’origine deltrend “ribassista” di una recente giurisprudenza: alcune notazioni critiche. - 5. Il diritto negatoai minimi salariali e la reazione giudiziale (in sede penale): la giurisprudenza sui reatidi “estorsione datoriale” e di “sfruttamento schiavistico del lavoro”. Recenti sv<strong>il</strong>uppi legislativiin materia di reato di “intermediazione <strong>il</strong>lecita e sfruttamento del lavoro”. - 6. Unnuovo revirement del <strong>dibattito</strong> sul diritto al salario minimo. Una proposta di competizionevirtuosa fra legge e contrattazione collettiva.1. Il diritto alla <strong>retribuzione</strong> fondamentale come “variab<strong>il</strong>e indipendente”dalla congiuntura economica: ascesa, consolidamento, declino (nel contestodella crisi globale)Il diritto del lavoratore a percepire una <strong>retribuzione</strong> <strong>adeguata</strong> è evocatoin molte delle Costituzioni “ritrovate” dopo la fine dei regimi dittatorialiinstauratisi, in differenti periodi del secolo scorso, nei principalipaesi europei (cfr. Rimoli 2011, p. 164) 1 . Un riconoscimento che avvienenel contesto del più ampio processo di rigenerazione dei diritti socialinell’ambito del costituzionalismo democratico (da ultimo v. Rovagnati2009) 2 . Tali Costituzioni trovano peraltro un comune punto di riferi-1Specificamente sul diritto alla <strong>retribuzione</strong> sufficiente o comunque <strong>adeguata</strong> v. l’art.35 Cost. spagnola; l’art. 59 Cost. portoghese; l’art. 22 Cost. greca; evocano <strong>il</strong> diritto alla <strong>retribuzione</strong><strong>adeguata</strong> alle esigenze del lavoratore e della famiglia anche <strong>il</strong> Preambolo alla Cost.francese del 1946 e l’art. 75 della Cost. danese. Invece, l’art. 9, par. III della Cost. tedescalo riconduce al «diritto di formare associazioni per la salvaguardia ed <strong>il</strong> miglioramento dellecondizioni economiche e del lavoro [...] garantito ad ognuno e ad ogni professione».2Sulla collocazione dei diritti sociali all’interno della mappa generazionale dei diritti v.ancora di recente Pizzorusso (2010).LAVORO E DIRITTO / a. XXV, n. 4, autunno 2011


26GIANCARLO RICCImento nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 che,all’art. 23, par. 3, sancisce che «ogni individuo ha diritto ad una remunerazioneequa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famigliauna esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario,da altri mezzi di protezione sociale» 3 . Una formula, questa, che seppuremaggiormente generica rispetto a quella ut<strong>il</strong>izzata dalle Costituzioni nazionali,è comunque tale da rendere quasi trascurab<strong>il</strong>i le successive enunciazionicontenute nelle Carte dei diritti internazionali ed europee: dallaCarta Sociale Europea del 1961 (revisionata nel 1996: parte II, punto 4)al Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del1966 (art. 7); dalla Carta dei diritti sociali fondamentali del 1989 (art. 5)alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da poco formalmentein vigore a seguito del Trattato di Lisbona e della conseguente riproclamazionea Strasburgo (2007), nella quale, di riflesso al difetto dicompetenza “per materia” degli organismi legislativi dell’Ue, non è codificato<strong>il</strong> diritto alla <strong>retribuzione</strong>, d<strong>il</strong>uito nel più generale disposto dell’art.31, par. 1 che riconosce <strong>il</strong> diritto di ogni lavoratore a «condizioni di lavorosane, sicure, dignitose» 4 (per un più completo riep<strong>il</strong>ogo v. Bellomo2009a, p. 188 ss.).In Italia, l’art. 36, comma 1, Cost., enuncia <strong>il</strong> diritto del lavoratorea una «<strong>retribuzione</strong> proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoroe in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenzalibera e dignitosa». <strong>La</strong> disposizione costituisce uno dei più significativiprecipitati dell’elevato compromesso fra forze progressiste e forze cattolichepresenti in Assemblea Costituente, <strong>adeguata</strong>mente interpretando, perdirla con Dossetti, <strong>il</strong> desiderio di «superare una società in cui le esigenzefondamentali di vita sono state sempre considerate in senso restrittivo,onde è stato possib<strong>il</strong>e che vaste masse di lavoratori fossero insufficientementecompensate»; sulla stessa linea <strong>La</strong> Pira che attribuisce (anche)all’art. 36 <strong>il</strong> compito di «far cambiare la struttura economico-sociale delpaese» nella prospettiva del superamento del paradigma liberistico, senza3Sulla r<strong>il</strong>evanza dei diritti economico-sociali in seno alla Dichiarazione Universale deiDiritti dell’Uomo cfr. Costa (2010, p. 15 ss.); da ultimo, qualche riferimento anche in Sen(2010, p. 284 ss.).4Il che, d’altronde, non esclude l’attualità di un <strong>dibattito</strong> sul diritto al giusto salarioin prospettiva europea, quantomeno come epifenomeno dell’allargamento dei confinidell’Unione europea e <strong>il</strong> conseguente intrecciarsi di modelli regolativi assai distanti in puntodi riconoscimento di tale diritto, come dimostra esemplarmente la vicenda, ampiamenteassurta agli onori della giurisprudenza europea, delle condizioni applicab<strong>il</strong>i ai lavoratoridistaccati nell’ambito di una prestazione di servizi (specificamente sul punto cfr. Lo Faro2008).


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO27<strong>il</strong> quale «l’articolo proposto avrebbe scarso valore» (riferimenti in Ichino2010, p. 733; Andreoni 2006, p. 66; Treu 1979, p. 73).Un compromesso, peraltro, meno complicato di quanto si possa pensare,essendosi in sede costituente manifestata ampia convergenza fra leprincipali componenti politiche in ordine al r<strong>il</strong>ievo dignitario-esistenzialedel criterio della sufficienza (<strong>il</strong> salario “giusto” come portato sia delladottrina sociale cattolica – su cui Scarano 2011 – che del paradigma teoricomarxiano) 5 , accompagnata dal comune rifiuto di contaminazioni“mercatistiche”, sino alla bocciatura dell’emendamento proposto da Colettiche mirava ad adeguare <strong>il</strong> diritto alla <strong>retribuzione</strong> «alle possib<strong>il</strong>itàdell’economia nazionale» in modo da non porre «le basi di una economiaab initio tarata, con grave danno degli stessi lavoratori» (oltre ad Andreonie Treu, cit. supra, v. anche Colapietro 2006, p. 36).Se all’Assemblea Costituente si deve la “gestazione” del diritto di cuiall’art. 36, comma 1, Cost., alla schiera di autorevoli giuristi orbitanti, neglianni del dopoguerra, intorno alla Rivista giuridica del lavoro e dellaprevidenza sociale (Pugliatti e Natoli in primis) va ascritto la primogenituradella funzione “precettiva” della disposizione costituzionale, anchesulla scia di due fondamentali saggi pubblicati fra la fine degli anni ’40 el’inizio del decennio successivo da Mortati e Giannini sulla collocazionedel lavoro e dei diritti dei lavoratori all’interno della struttura costituzionale6 . Una funzione, del resto, presto scoperta dalla giurisprudenza dellavoro che, a partire dalla storica sentenza di Cass. 21 febbraio 1952, n.461 7 , ha promosso uno dei più longevi f<strong>il</strong>oni giudiziali che si ricordino,con cui si è sancito <strong>il</strong> diritto del lavoratore a percepire, in ogni caso ea prescindere dall’appartenenza sindacale, una <strong>retribuzione</strong> tendenzialmenteparametrata sul quantum desumib<strong>il</strong>e dai contratti collettivi nazionalidi categoria vigenti (cfr. Scognamiglio 1995, p. 1246).A tale giurisprudenza si deve dunque <strong>il</strong> superamento dell’angustavisione “programmatica” della norma costituzionale e, per diretta conseguenza,l’affrancamento dell’an del diritto dall’esistenza di un dispositivolegale sul salario minimo 8 ; ma soprattutto la concretizzazione, nel diritto5Cfr. Romagnoli (2011, p. 12) che individua nell’art. 36 Cost. una delle più significativeespressioni della «egemonia politico-culturale del lavoro dipendente» al punto da configurarela <strong>retribuzione</strong> come «fonte esclusiva di sostentamento della stragrande maggioranzadella popolazione» secondo una concezione non meramente «appiattita sulla logica di unoscambio tra ut<strong>il</strong>ità economiche».6Da ultimo lo ricorda Ichino (2007, p. 18 ss.); v. anche Costa (2008, p. 38).7Il più significativo “estratto” della motivazione è riprodotto da Zoppoli L. (2009, p.176).8In sede costituente, non passò in Assemblea plenaria la proposta dei deputati comunistiBitossi e Bibolotti circa la funzionalizzazione della disposizione costituzionale all’istitu-


28GIANCARLO RICCIvivente, del legame fra l’art. 36, comma 1, e <strong>il</strong> negletto art. 39, secondaparte, Cost., sicché, come ha ben scritto Massimo Roccella, favorendol’estensione dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi di categoria,«la giurisprudenza sulla <strong>retribuzione</strong> sufficiente pare aver contribuito,oggettivamente, ad allentare tensioni sociali, inserendosi funzionalmentenell’ordinamento sindacale di fatto dell’immediato dopoguerra» (Roccella1986, p. 67; ma v. anche Treu 1979, p. 79).A distanza di molti decenni, l’ampiezza dell’operazione giurisprudenziale– sulle cui modalità tecniche si tornerà nei paragrafi seguenti – siconfigura di tale portata da far parlare di un modello “forte” di tutela, sicuramenteeccedente l’ambito di una mera casistica di sentenze, con tuttii limiti connessi al valore individuale del giudicato 9 .Il “salario minimo costituzionale” è divenuto, nella percezione comune,sinonimo di quella porzione del trattamento economico del lavoratoresubordinato – la “<strong>retribuzione</strong> fondamentale” – costituente una“variab<strong>il</strong>e indipendente” dalle congiunture economiche e dagli andamentidel mercato, da riconoscersi hic et nunc al lavoratore operante alle dipendenzealtrui (in tal senso, pur in una diversa prospettiva, Ichino 2010, pp.734-735). <strong>La</strong> giurisprudenza sull’art. 36 Cost. ha lungamente avallato talemodello. <strong>La</strong> Corte Costituzionale non si è rivelata da meno, spingendosia sostenere che la nozione di <strong>retribuzione</strong> <strong>costituzionalmente</strong> <strong>adeguata</strong>“incorpora” <strong>il</strong> valore reale del salario, da assicurare attraverso meccanismiautomatici di adeguamento (l’ormai defunta scala mob<strong>il</strong>e) o tramitela contrattazione collettiva in quanto attuativa dell’art. 36, comma 1: meccanismi,ha precisato la corte, <strong>il</strong> cui funzionamento può essere circoscrittoper periodi di tempo limitati corrispondenti all’esistenza di situazioni dicrisi o di particolari necessità di contenimento del costo salariale 10 .Tali convinzioni vac<strong>il</strong>lano a partire dagli anni ’80, allorché una seriedi operazioni di “desensib<strong>il</strong>izzazione” dei vigenti automatismi salarialipalesa l’intento del legislatore di condizionare la misura del salario minimocostituzionale agli andamenti dei cicli economici. Intento culminatonell’abbandono del sistema della scala mob<strong>il</strong>e (ritenuto colpevole dellacrescita incontrollab<strong>il</strong>e dell’inflazione) con conseguente affidamento allazione per legge di un salario minimo legale: cfr. Magnani (2010, p. 755). Stessa sorte avevasubito l’emendamento presentato in commissione da Amintore Fanfani. In argomento v. ancheinfra, par. 6.9Tanto da far dire a Mazzotta (2011, p. 8) che «l’art. 36 costituisce davvero un unicumnel panorama dei rapporti privatistici: nessun altro contratto di diritto privato ritrovaall’interno della carta costituzionale i principi-guida per la determinazione di quello che <strong>il</strong>vocabolario del diritto privato classico definisce come un suo “elemento essenziale”».10C. Cost. 26 marzo 1991, n. 124.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO29dinamica contrattuale del compito di garantire gli incrementi del salarionominale, attraverso <strong>il</strong> mix fra adeguamenti al costo della vita e incrementireali basati sulla produttività (per una compiuta ricostruzione Z<strong>il</strong>ioGrandi 1996, p. 49 ss.).Negli ultimi tempi, poi, la parola “crisi” ha smesso di definire unostato congiunturale, più consono al suo significato etimologico, di “rottura”fra una fase economica e un’altra, per assumere un connotato pressochéstrutturale (cfr. Bev<strong>il</strong>acqua 2011, p. X). Le drammatiche vicendeeconomico-finanziarie del 2008, con ampie rifluenze negli anni a seguiree sino ai giorni nostri, hanno confermato questa realtà, portandoci dentrol’era, sino ad oggi sconosciuta in siffatte dimensioni, della “crisi dei debitisovrani” (cfr. Guetta 2011; Reich 2011).Il “costo umano” del big bang economico-finanziario dell’ultimo quadriennioè già stato altissimo, in termini di crescita della disoccupazione eaumento dei tassi di povertà (cfr. ampiamente Gallino 2011a, p. 107 ss.),investendo in pieno <strong>il</strong> diritto alla <strong>retribuzione</strong> come parte essenziale del“modello sociale europeo” (su cui, da ultimo, Gallino 2011b). Basti direche l’ultimo Rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulle“Politiche salariali ai tempi della crisi” segnala con chiarezza che, nellaprima fase della crisi (2008-2009), si è avuto un consistente calo dei salarireali nei paesi europei più sv<strong>il</strong>uppati e un vero e proprio crollo nei paesidell’Europa orientale, a fronte di una complessiva tenuta nei paesi adeconomia emergente (talora ex-emergente) caratterizzati da una dinamicaeconomica maggiormente vivace (Ilo 2010) 11 .Ma la tendenza recessiva delle retribuzioni non è semplicementelegata alle dinamiche di mercato. Le autorità monetarie e finanziariesovranazionali (la c.d. trojka Ue, Bce e Fmi), con una mossa che perl’Unione europea appare senza precedenti, hanno infatti ingiunto, ai paesimaggiormente in difficoltà, <strong>il</strong> congelamento – se non addirittura <strong>il</strong>taglio “secco” – delle retribuzioni dei dipendenti pubblici; suggerendo,in riferimento ai lavoratori del settore privato, misure finalizzate adiniettare nel sistema forti dosi di flessib<strong>il</strong>ità, che vanno dall’abolizione11Il quadro, in Italia, non era roseo neanche prima. Come si è incaricato di dimostrareMarco Revelli, si è assistito ad un duplice fenomeno: a) una dinamica salariale talmentepiatta da determinare nel periodo dal 2000 al 2007 una discesa, nella scala “comparata”deiredditi da salario, da più 13 a meno 8 (rispetto alla media dell’Ue); b) inoltre, nel periodocompreso fra <strong>il</strong> 1980 e <strong>il</strong> 2005, ben otto punti percentuali di P<strong>il</strong> annuo sono transitati dairedditi da lavoro ai profitti d’impresa, senza essere, in larga parte, reinvestiti tant’è vero chenegli stessi anni si è assistito a un imponente processo di riduzione dei livelli di produttivitàdel nostro sistema (cfr. Revelli 2011, p. 87 ss.; per una sintetica ma lucidissima riflessione sutali fenomeni cfr. anche Ruffolo 2011).


30GIANCARLO RICCIdelle normative sui minimi salariali alla ristrutturazione del modello dicontrattazione collettiva, con un consistente spostamento dei suoi equ<strong>il</strong>ibrisul versante della contrattazione d’impresa (v. per un’aff<strong>il</strong>ata critica,Lettieri 2011) 12 .Alcuni paesi si sono obtorto collo subito adeguati a siffatte prescrizioni.Particolarmente draconiane le misure adottate dall’Irlanda, conun mix di riduzioni stipendiali per i dipendenti pubblici e abbattimento(di quasi <strong>il</strong> 25%) del salario minimo orario per i lavoratori privati (cfr.Farrelly 2011). Anche la Grecia ha fortemente penalizzato le retribuzionidei pubblici dipendenti, con riduzioni in una misura compresa fra<strong>il</strong> 20% e <strong>il</strong> 40%; <strong>il</strong> governo ellenico si è tuttavia opposto alla richiestadi abrogazione della normativa sui minimi salariali (attualmente fissatiin misura di 877 euro mens<strong>il</strong>i: cfr. Eurostat 2011). Situazione sim<strong>il</strong>e inSpagna e in Portogallo, che hanno introdotto r<strong>il</strong>evanti tagli delle retribuzionidei dipendenti pubblici, mentre, sul versante del lavoro privato,si registrano ulteriori input legislativi verso <strong>il</strong> decentramento della contrattazionecollettiva, con contestuale accrescimenti dei poteri derogatori,attraverso <strong>il</strong> congelamento o la revisione in peius degli standard salarialinazionali (sul caso spagnolo v. Mercader Aguina, Perez del Prado2010; in generale, cfr. Keune 2011; v. anche Glassner, Keune, Marginson2011) 13 .In un sim<strong>il</strong>e scenario, anche l’Italia, coinvolta in pieno nella crisi deldebito sovrano, ha fatto, per così dire, la sua parte. Pur circoscrivendo aipubblici dipendenti più facoltosi le misure di decurtazione secca della <strong>retribuzione</strong>base 14 , governo e parlamento hanno messo in atto una politicalegislativa indifferenziata di “blocco” di lungo periodo della <strong>retribuzione</strong>12Da Roccella (1986, pp. 52-53) si apprende peraltro che un fenomeno sim<strong>il</strong>are si determinòin occasione della grave recessione della fine degli anni ’20: in Italia, <strong>il</strong> salario medioreale nel periodo fra <strong>il</strong> 1927 e <strong>il</strong> 1932 diminuì di una percentuale osc<strong>il</strong>lante fra <strong>il</strong> 10% e <strong>il</strong>15%.13In Ungheria, <strong>il</strong> diritto alla <strong>retribuzione</strong> equa, eredità della Costituzione socialista,è stato persino depennato dalla nuova Carta costituzionale (approvata <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e 2011 edestinata ad entrare in vigore <strong>il</strong> 1 o gennaio 2012), ulteriormente alimentando le preoccupazionidegli osservatori per uno Stato che, a dispetto dell’appartenenza all’Unione europea,si è dato, in forza di una preponderante maggioranza conservatrice, una Costituzionefortemente regressiva sia sul versante degli equ<strong>il</strong>ibri fra i poteri istituzionali che su quellodel riconoscimento dei diritti sociali, ora del tutto subordinati all’esercizio della libertà diiniziativa economica privata (per una esauriente ricostruzione cfr. De Simone 2011).14Ai sensi dell’art. 9, comma 2, d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, «i trattamentieconomici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previstidai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche [...] superiori a 90.000 eurolordi annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente <strong>il</strong> predetto importo fino a 150.000euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro».


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO31fondamentale (ed accessoria) nelle pubbliche amministrazioni 15 con l’inevitab<strong>il</strong>eeffetto di determinare, per i prossimi anni, una riduzione consistentedel valore reale delle paghe dei dipendenti pubblici 16 . Mentre, conriferimento al settore privato, gli Accordi interconfederali del 2009 e del2011 hanno introdotto misure indirizzate ad accrescere i poteri regolatividella contrattazione aziendale, anche in deroga ai contratti collettivinazionali. Lo stesso legislatore, in un contesto di accese polemiche, haritenuto di intervenire direttamente sui rapporti fra contrattazione collettivadi prossimità e contratto nazionale, attraverso l’art. 8, d.l. n. 138 del2011, conv. in l. n. 148 del 2011, anche se l’incidenza di questa normasulla materia retributiva appare, come si dirà meglio in seguito, alquantodubbia (v. infra par. 6) 17 .In definitiva, prevale la sensazione che sia definitivamente tramontatal’idea della <strong>retribuzione</strong> fondamentale come “variab<strong>il</strong>e indipendente”dalle condizioni del mercato o più generalmente dagli andamenti macroeconomici.<strong>La</strong> logica della “moderazione salariale”, che ha caratterizzatoun paio di decenni di politiche economiche e del lavoro, sembra lasciarcampo a quella della “austerità salariale”, prof<strong>il</strong>andosi le condizioni peruna “decrescita” del trattamento retributivo fondamentale. Il processo,come si diceva, è in atto, ma le linee di sv<strong>il</strong>uppo appaiono certo abbastanzachiare e non segnalano nulla di buono sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o della “tenuta”del diritto costituzionale alla <strong>retribuzione</strong> 18 .15V. l’art. 9, comma 1, d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, con cui si dispone<strong>il</strong> blocco per <strong>il</strong> triennio 2011-2013 del «trattamento economico complessivo deisingoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso <strong>il</strong> trattamento accessorio»(salve limitatissime deroghe); è poi intervenuto l’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98 del2011, conv. in l. n. 111 del 2011, <strong>il</strong> quale rinvia ad un regolamento da approvare ai sensidell’art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988, su proposta dei Ministri della pubblica amministrazionee dell’economia e delle finanze «la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigentidisposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personaledelle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime».16Il blocco delle retribuzioni è esteso, naturalmente, anche al personale in regime didiritto pubblico (non contrattualizzato), ai sensi dei commi 21 e 22 del menzionato art. 9,l. n. 122 del 2010. Con riferimento agli appartenenti alla magistratura, Tar Salerno, sez. I,ord. 23 giugno 2011, n. 1162, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della normativaai sensi degli artt. 3, 23, 36, 53, 104 Cost.17Nella letteratura più recente, è ricorrente l’accento sulla perdita verticale del potered’acquisto per le classi operaie e medie indotto dalle politiche di governo neoliberiste: cfr.Ginsborg (2011, p. 55).18In termini allarmistici Rodotà (2011, p. 142), <strong>il</strong> quale segnala <strong>il</strong> rischio del ritornoad una dimensione della <strong>retribuzione</strong> «come mera soglia di sopravvivenza, come garanziasolo del “salario minimo biologico”».


32GIANCARLO RICCI2. Il diritto negato ai minimi salariali e la reazione giudiziale (in sede civ<strong>il</strong>e)ai sensi degli artt. 36, comma 1, Cost. e 2099, comma 2, c.c. Letecniche di integrazione della <strong>retribuzione</strong> in<strong>adeguata</strong><strong>La</strong> giurisprudenza italiana sul diritto alla <strong>retribuzione</strong> <strong>adeguata</strong> exart. 36, comma 1, Cost. ha rappresentato, dunque, un essenziale elementodi compensazione rispetto all’astensionismo del legislatore: astensionismotradottosi nell’assenza sia di una legislazione sul salario minimo che di unprocedimento legale attuativo dell’art. 39, seconda parte, Cost. idoneo adassicurare alla contrattazione collettiva di categoria l’efficacia soggettivaerga omnes. In questo modo, si è prodotto <strong>il</strong> notevole effetto di assicurareuna tutela di matrice collettiva attraverso un tipico rimedio individuale,quale <strong>il</strong> ricorso giurisdizionale, al quale qualsiasi dipendente ha la possib<strong>il</strong>itàdi accedere invocando un «parametro oggettivo, di agevole provanel processo» qual è, per l’appunto, la parte economica del Ccnl di categoria(cfr. Gragnoli 2011, p. 10) 19 .Come già accennato in precedenza, le questioni postesi all’attenzionedella giurisprudenza hanno riguardato, nell’ordine: 1) <strong>il</strong> carattere programmaticoo precettivo del disposto costituzionale; 2) la tecnica giudizialedi adeguamento del salario non conforme al precetto costituzionale;3) l’ut<strong>il</strong>izzo di parametri oggettivi come strumento di integrazione del regolamentocontrattuale, deprivato della clausola retributiva non conformeai criteri dell’art. 36, comma 1, Cost.Superato de plano <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma sulla natura giuridica del disposto costituzionale,nel senso di riconoscerne la precettività 20 , la giurisprudenza dellavoro ha metabolizzato in fretta <strong>il</strong> procedimento logico-giuridico sottostanteal giudizio di adeguamento, generalmente rifacendosi al combinatodisposto fra la disposizione costituzionale e l’art. 2099, comma 2, c.c. 21 .19Per ragioni di “spazio”, non è possib<strong>il</strong>e dedicare in questo contributo la dovuta attenzionealla tematica che concerne gli ambiti di applicazione dell’art. 36 Cost. ai rapportidi lavoro flessib<strong>il</strong>i, ovvero limitrofi o, ancora, esterni all’area della subordinazione: per ampiriferimenti, v. Bellomo (2009a, p. 200 ss.); Magnani (2010, p. 789 ss.)20Ancorché non immaginata dai padri costituenti: cfr. Ichino (2010, p. 739), <strong>il</strong> qualerichiama <strong>il</strong> noto pensiero di Giugni (1971) sull’eterogenesi dei fini dell’art. 36 Cost. che,nato «senza dubbio come norma programmatica [...] fu improvvisamente accettato comenorma precettiva, atta a colmare quello che allora appariva come <strong>il</strong> vuoto legislativo derivantedall’inattuazione dell’art. 39»; sul punto v. anche Marinelli (2010, p. 87).21Il potere del giudice di applicare l’art. 36, comma 1, Cost. prescinde dal fatto che,nella domanda, <strong>il</strong> lavoratore abbia fatto specifico richiamo o, al contrario, omesso <strong>il</strong> riferimentoal precetto costituzionale, dovendosi esso ritenere implicito nella domanda di adeguamentodella <strong>retribuzione</strong>: cfr. Cass. 9 maggio 2003, n. 7157, in NGL, 2003, p. 678; 3agosto 2001, n. 10767, in RFI, 2001, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1094.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO33Assunta l’esistenza di un diritto soggettivo immediatamente azionab<strong>il</strong>ea una <strong>retribuzione</strong> conforme ai canoni costituzionali, i giudici hannosperimentato l’attitudine demolitorio-modificativa del regolamento contrattualeiniquo del cennato procedimento, mediante un’operazione tecnicamentestrutturata su due passaggi: a) la formulazione di un giudizio diinadeguatezza del quantum in concreto corrisposto al lavoratore; b) la rideterminazionedel quantum medesimo in modo da renderlo conforme aiprecetti costituzionali. Il prof<strong>il</strong>o di legittimità dell’operazione è stato asseveratodalla giurisprudenza della Corte di cassazione, per nulla turbatadall’ut<strong>il</strong>izzo in fondo improprio del secondo comma dell’art. 2099 c.c.,trasformato da norma finalizzata alla conservazione del contratto in casodi latenza della clausola retributiva a disposizione che rinvia al giudiziodi equità lo scrutinio in ordine alla semplice adeguatezza di una clausolainvero esistente (cfr. Dell’Olio 1986, p. 53 ss.). Come ancora di recentesi è sottolineato, «la natura precettiva ed imperativa dell’art. 36 Cost. hafavorito <strong>il</strong> ricorso all’art. 2099 c.c. in quanto ha consentito ai giudici direndere esplicito <strong>il</strong> condizionamento che l’autonomia dei contraenti ricevedalla norma costituzionale, la quale, se fatta fermare alla funzione direndere nulla la clausola contraria ai precetti in essa contenuti, avrebbegenerato un “vuoto” nel regolamento contrattuale diffic<strong>il</strong>mente sostituib<strong>il</strong>eda differenti fonti» (Palladini 2011, p. 47).Alla luce di ciò, sembra evidente che <strong>il</strong> nodo realmente problematicoconcerna l’individuazione delle tecniche di adeguamento della <strong>retribuzione</strong>iniqua (già in tal senso Treu 1979, p. 77). L’art. 2099 c.c. rinvia, infatti,genericamente all’equità del giudice, che, come si è tentato di dimostrarealtrove (Ricci 1995, p. 525 ss.), non è tuttavia “libera” ma vincolatadall’altro corno del combinato disposto, vale a dire i criteri di commisurazionecostituzionale del trattamento economico. Tale limite all’eserciziodel potere giudiziale d’equità si esprime, a ben vedere, nella riconduzionedel medesimo all’uso di quelle nozioni o criteri di comune esperienza chepossono guidare e sostanziare la decisione del giudice di merito.Ebbene, hic rhodus hic salta. È proprio la scelta del criterio di integrazionedel regolamento contrattuale a costituire <strong>il</strong> punto nodale delprocedimento giudiziale. In punto di diritto, <strong>il</strong> giudice non è tenuto arifarsi ad un criterio piuttosto che a un altro. Occorre che <strong>il</strong> criterio presceltosia conforme ai canoni dell’art. 36 Cost. e che <strong>il</strong> giudice di meritoespliciti con chiarezza, in motivazione, le ragioni di tale ut<strong>il</strong>izzo.Alla base dell’assunto si situa una contraddizione in qualche modo insitanella stessa ratio dell’operazione di tutela costituzionale, a suo tempolimpidamente r<strong>il</strong>evata da Tiziano Treu (1979, p. 83): l’esigenza di sopperirealla carenza di un sistema di contrattazione collettiva efficace erga


34GIANCARLO RICCIomnes, mai venuto in essere, non può giustificare l’aggiramento dell’art.39, seconda parte, Cost.; l’interpolazione delle tariffe retributive delCcnl, o l’uso di parametri totalmente eccentrici, formalmente in esecuzionedel potere equitativo, serve proprio ad evitare che la pratica giurisprudenzialesull’art. 36 Cost. finisca per introdurre un elemento dirottura della Costituzione formale, con riferimento appunto all’art. 39,seconda parte Cost.Ciò spiega perché la giurisprudenza sull’art. 36 Cost. non abbia assunto,per l’appunto, un’univoca ed oggettiva direttrice di adeguamentodelle retribuzioni inique, facendo applicazione tout court dei minimi tabellaritratti dal Ccnl di categoria e perché, invece, abbia messo in attouna variegata serie di soluzioni applicative 22 .Un primo indirizzo fa proprio “senza se e senza ma” l’ut<strong>il</strong>izzo delletabelle retributive del contratto collettivo nazionale di settore omogeneoovvero, in mancanza, di quello affine: la parte economica del Ccnl di categoriafunge da “nozione d’esperienza” dotata di particolare affidab<strong>il</strong>ità,in virtù della presunzione di equità e sufficienza che connota le tariffesalariali 23 . Ugualmente ricorrente è <strong>il</strong> principio alla cui stregua <strong>il</strong> rinvio aiminimi salariali del contratto collettivo nazionale assume carattere “nonrecettizio”, trattandosi di «un rinvio materiale e non formale» (Ghera1998, pp. 115-116): <strong>il</strong> giudice, sulla base di una valutazione di merito sindacab<strong>il</strong>ein sede di legittimità solamente sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o della congruitàe logicità della motivazione, può dunque legittimamente operare una re-22Spesso criticate in dottrina per una buona dose di approssimazione o contraddittorietà:v. per tutti Zoli (1996, p. 431).23Cfr. fra le più recenti Cass. 15 ottobre 2010, n. 21274, in OGL, 2011, p. 574; 29marzo 2010, n. 7528, in GI, 2010, p. 2373, con nota di Cataudella; 28 ottobre 2008, n.25889, in NGL, 2009, p. 201; 7 luglio 2008, n. 18584, in GC, 2009, I, p. 2433; 20 giugno2008, n. 16866, in FI, 2008, I, c. 2811; 20 settembre 2007, n. 19467, in RFI, 2007, voce <strong>La</strong>voro(rapporto), n. 1199; 16 maggio 2006, n. 11437, in RCDL, 2006, p. 839; 5 luglio 2002,n. 5759, in RFI, 2002, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1046. Una variante di tale orientamentoè quello che fa leva sul disposto dell’art. 2070, comma 1, c.c. secondo cui l’appartenenzaalla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determinasecondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Secondo la giurisprudenza,nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune propriodi un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, <strong>il</strong> lavoratorenon può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se <strong>il</strong> datore di lavoronon vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplinacome termine di riferimento per la determinazione della <strong>retribuzione</strong> ai sensi dell’art.36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economicoprevisto nel contratto applicato: cfr. Cass. s.u. 26 marzo 1997, n. 2665, in GI, 1998,I, p. 915, con nota di Marazza, cui si conforma la giurisprudenza successiva: Cass. 13 luglio2009, n. 16340, in RFI, 2009, voce <strong>La</strong>voro (contratto), n. 21; 23 giugno 2003, n. 9964, inNGL, 2003, p. 678.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO35visione, in ipotesi anche verso <strong>il</strong> basso, della <strong>retribuzione</strong> contrattuale 24 .D’altra parte, <strong>il</strong> giudice non ha un obbligo di riferirsi al contratto collettivo,potendo fondare la pronuncia su elementi del tutto esterni, qual<strong>il</strong>a natura e le caratteristiche dell’attività svolta, nozioni di comune esperienzae altri criteri equitativi, salvo l’obbligo di <strong>adeguata</strong> motivazione deldecisum 25 .Tale assetto si è perpetuato sino ai tempi a noi più vicini, pur conuna variab<strong>il</strong>e tecnica di non poco conto: in una parte della giurisprudenzapiù recente capita di non ravvisare l’uso del combinato dispostofra norma costituzionale e art. 2099 c.c. (cfr. Nogler 2009, p. 47; v.anche Galizia 2009, p. 597). Una semplificazione che origina, con ogniprobab<strong>il</strong>ità, dalla consapevolezza che la precettività dell’art. 36 Cost. costituisceun dato del diritto vivente talmente consolidato e indiscutib<strong>il</strong>eda rendere <strong>il</strong> precetto costituzionale “autosufficiente” anche come strumentodi integrazione della <strong>retribuzione</strong> in<strong>adeguata</strong>. Il che segna, se sivuole, una rivincita per quelle tesi dottrinali che hanno lungamente sostenuto<strong>il</strong> carattere tutto sommato pleonastico del richiamo alla disposizionecodicistica 26 .3. (segue) <strong>La</strong> vocazione “proporzionalistica” della giurisprudenza sull’art.36, comma 1, Cost.Dal punto di vista del lavoratore sotto-retribuito, che si rivolge algiudice allo scopo di ottenere la rideterminazione del trattamento economico,la giurisprudenza ex art. 36 Cost. da <strong>il</strong> meglio di se ove esplicala propria vocazione “proporzionalistica” (messa in r<strong>il</strong>ievo soprattutto daRoccella 1986, p. 68; Hernandez 1998, p. 19; Galizia 2009, p. 609 27 ; contraIchino 2010, p. 750).24Cfr. Cass. 28 agosto 2004, n. 17250, in RFI, 2004, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1378;15 novembre 2001, n. 14211, in RIDL, 2002, II, p. 299, con nota di Stolfa; 8 agosto 2000,n. 10465, in RIDL, 2001, II, p. 658.25Cfr. Cass. 6 apr<strong>il</strong>e 1992, n. 4200, in RFI, 1992, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1109; 22gennaio 1987, n. 589, in RFI, 1987, voce cit., n. 1322.26Marinelli (2010, p. 93) contesta però l’attitudine dell’art. 36, comma 1, a determinarein concreto la <strong>retribuzione</strong>, oltre a indicare i criteri di commisurazione, ritenendo pertantonecessario «<strong>il</strong> ricorso alla categoria della nullità parziale e della successiva sostituzionedella clausola nulla con quella determinata dal giudice, come previsto dall’art. 2099 c.c.».27Da ultimo anche Gragnoli (2011, p. 11) che ne evidenzia peraltro la modesta portatauniversalistica, nella misura in cui gli accordi di categoria individuano diversi minimi ditrattamento tarati sulle condizioni dei singoli settori merceologici di riferimento.


36GIANCARLO RICCIIl riscontro del prof<strong>il</strong>o quali-quantitativo della prestazione lavorativa– all’esito di un accertamento di fatto in ordine alle mansionisvolte, cui consegue la riconduzione a un determinato livello retributivoall’interno del sistema contrattuale di classificazione – conduce in genereall’applicazione della paga definita nel Ccnl di settore o, in difettodi questo, di quello “affine”. Ciò vale a realizzare la funzione social tipicadel contratto collettivo di «provvedere alla distribuzione del redditotra i soggetti del processo produttivo e i diversi gruppi professionali esociali» (Ghera 1998, p. 117). <strong>La</strong> sufficienza pare fungere, semmai, damero elemento correttivo, sul versante della definizione “materiale” delminimo salariale costituzionale (cfr. Perone 1989, p. 45). Sicché, unavolta proceduto ad una ponderazione complessiva, e non voce per voce,della struttura della <strong>retribuzione</strong> 28 , essa tende generalmente a individuarenella sommatoria di paga base, indennità di contingenza (ove ancorapresente) 29 e 13 a mens<strong>il</strong>ità <strong>il</strong> “contenuto” della <strong>retribuzione</strong> <strong>adeguata</strong> 30 ,così escludendo ulteriori elementi presuntivamente eccedenti l’obiettivodi remunerazione della professionalità media del lavoratore.<strong>La</strong> tendenza è risalente: si pensi alla già richiamata giurisprudenzache – sul fondamento di C. Cost. n. 153 del 1971 31 – autorizza <strong>il</strong> giudicedi merito a ridefinire, ex art. 36 cost., <strong>il</strong> trattamento economico del dipendentedisapplicando le determinazioni contenute nei Ccnl resi erga omnesex l. n. 741 del 1959, dando applicazione alla parte economica del Ccnldi diritto comune sopravvenuto 32 . Come si è opportunamente r<strong>il</strong>evato intal caso «non si trattava tanto, a ben vedere, di assicurare la sufficienzaperduta quanto, piuttosto, di consentire nel tempo <strong>il</strong> riassetto della proporzionalitàche non sarebbe stata rispettata ove le retribuzioni fosserorimaste ferme» (Hernandez 1998, p. 19; v. anche Treu 1979, p. 84).Di recente, la vocazione “proporzionalistica” sembra conoscere ulteriorevis espansiva: alcune sentenze della Corte di Cassazione riconoscono,infatti, al prestatore di lavoro <strong>il</strong> diritto alla quota di <strong>retribuzione</strong>28Ancora da ultimo in tal senso Cass. 19 gennaio 2009, n. 1173, in RFI, 2009, voce<strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1246; 8 gennaio 2009, n. 162, ibidem, n. 1247.29Per <strong>il</strong> principio secondo <strong>il</strong> quale «la <strong>retribuzione</strong> equa e sufficiente è determinatadal giudice, alla stregua dei principî di cui all’art. 36 cost., tenendo conto anche dell’indennitàdi contingenza, stante la sua funzione di adeguamento del salario nominale all’effettivocosto della vita» è ancora di recente Cass. 20 giugno 2008, n. 16866, in FI, 2008, I, c. 2811.30In genere è esclusa la 14 a mens<strong>il</strong>ità: v. Cass. 9 giugno 2008, n. 15148, in RFI, 2008,voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1294; 7 luglio 2004, n. 12520, in RFI, 2004, voce cit., n. 1379.31C. Cost. 6 luglio 1971, n. 156; v. anche C. Cost. 13 luglio 1963, n. 129. Per una recentericostruzione cfr. Tripodina (2008, pp. 356-357).32Cfr. Cass. 8 agosto 2000, n. 10434, in RFI, 2000, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1282; 9ottobre 1999, n. 11338, in RGL, 2000, II, p. 501, con nota di Terenzio.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO37legata all’anzianità di servizio, in considerazione dell’accresciuta “qualità”della prestazione di lavoro derivante dalla maggiore esperienza acquisitanel corso del tempo (cfr. Galizia 2009, p. 608) 33 . È evidente che tale assuntorinvia a uno schema logico-interpretativo entro <strong>il</strong> quale l’adeguatezzasi misura sulla base del canone di proporzionalità.Schema che, del resto, non pare contraddetto dal consolidato orientamentoche nega l’esistenza di un principio di parità di trattamento retributivo:secondo la giurisprudenza, l’art. 36, comma 1, Cost. agisce,infatti, con riferimento al singolo rapporto individuale, non implicandocomparazioni intersoggettive, né introducendo un principio di uguaglianzanei rapporti interprivati. Sicché la corresponsione di trattamentieconomici migliorativi rispetto alla <strong>retribuzione</strong> fondamentale, differenziatifra lavoratori a parità di mansione, è considerata legittima, purchénon siano violati i principi legali di non discriminazione ed osservati, peraltro verso, i modelli di condotta negoziale secondo correttezza e buonafede (cfr. Zoli 1996, p. 432 ss.; Ghera 1998, p. 117; Treu 2010, p. 665; daultimo un riep<strong>il</strong>ogo in Novella 2011) 34 .4. (segue) Fattori economici e/o ambientali all’origine del trend “ribassista”di una recente giurisprudenza: alcune notazioni criticheDel resto, laddove la giurisprudenza abbandona <strong>il</strong> modello di adeguatezzain senso proporzionalistico per priv<strong>il</strong>egiare quello della sufficienza,ciò in genere equivale all’affermazione di un trend giudiziale ditipo “ribassista” (cfr. Bellomo 2009b, p. 4).Il fatto è che <strong>il</strong> criterio della sufficienza retributiva come originariamenteinteso, cioè quale parametro di adeguatezza del salario “tarato”sulle condizioni personali e fam<strong>il</strong>iari del lavoratore, è stato quasi deltutto inapplicato. <strong>La</strong> prospettiva di una sua valorizzazione in senso solidaristico,evocata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale neglianni ’60, è rimasta sullo sfondo, non suffragata dal concreto andamento33Cfr. Cass. 19 agosto 2011, n. 17399, inedita; 7 luglio 2008, n. 18584, in GC, 2009,I, p. 2433; 9 giugno 2008, n. 15150, in FI, 2008, I, c. 2811; 28 agosto 2000, n. 11293, inRFI, 2000, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1278; contra Cass. 3 febbraio 2005, n. 2144, in NGL,2005, p. 469; 28 agosto 2004, n. 17274, in RFI, 2004, voce cit., n. 1376.34Cfr. da ultimo Cass. 26 apr<strong>il</strong>e 2011, n. 9644, di prossima pubblicazione in FI, 2011;v. anche Cass. 19 luglio 2007, n. 16015, in NGL, 2008, p. 12; 22 giugno 2006, n. 14465,Id., 2006, p. 744; 10 apr<strong>il</strong>e 2006, n. 8310, in RFI, 2006, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 863; 7marzo 2006, n. 4850, in NGL, 2006, p. 592; 19 agosto 2004, n. 16262, in RFI, 2004, vocecit., n. 1387; 20 maggio 2004, n. 9643, ibidem, voce cit., n. 11186; 17 maggio 2003, n. 7752,Id., 2003, voce cit., n. 1319; 8 gennaio 2002, n. 132, in FI, 2002, I, c. 1033.


38GIANCARLO RICCIdella giurisprudenza ordinaria 35 . Inut<strong>il</strong>i sembrano altresì gli sforzi delladottrina di rinverdire l’originario afflato di quel criterio, quale strumentodi soggettivizzazione del meccanismo di adeguamento, così da esaltare <strong>il</strong>tratto dignitario e la proiezione esistenziale-fam<strong>il</strong>iare del diritto alla <strong>retribuzione</strong>(cfr. Roma 1997; contra Pera 1998, p. 191).Si assiste, per contro, a partire dagli anni ’80 e con ulteriore rafforzamentodel trend nell’ultimo ventennio, al diffondersi di una pratica giudiziale(specie fra i giudici di merito delle aree meridionali) che si discostadai parametri definiti dal Ccnl di appartenenza o di settore affine, riducendoin maniera più o meno consistente <strong>il</strong> quantum retributivo fissatodal Ccnl di categoria, in riferimento a criteri che attengono alle condizionieconomico-finanziarie del datore di lavoro o al contesto ambientaleentro <strong>il</strong> quale è prestata l’attività lavorativa (cfr. Bellomo 2009b, p. 5; DeFelice 2007, p. 433; Angiello 2003, pp. 32-33; Del Vecchio 2003; Liso1998, p. 207 ss.; Roma 1997, p. 91 ss.; Z<strong>il</strong>io Grandi 1996, p. 345 ss.) 36 .A scorrere la più recente casistica della giurisprudenza di Cassazione(una recente ricostruzione in Galizia 2009, p. 611 ss.), ci si avvede che<strong>il</strong> criterio maggiormente “valorizzato” a fini di decremento della <strong>retribuzione</strong>contrattual-collettiva è quello che attiene alle “piccole dimensionidell’impresa”: da queste si è fatta discendere, infatti, una (presunta) minoritàdelle condizioni economico-finanziarie della stessa, tale da impedire,di fatto, l’applicazione dei minimi salariali del Ccnl, posto che <strong>il</strong>loro generale riconoscimento finirebbe per mettere a repentaglio la sopravvivenzadell’azienda 37 . In altri casi, è in questione l’ut<strong>il</strong>izzo, comefondamento della decisione giudiziale “ribassista”, di criteri attinenti alcontesto ambientale, quali “la situazione di grave crisi economica” nel cuiambito l’attività è svolta 38 ; <strong>il</strong> “costo del lavoro mediamente sopportato nellocale mercato del lavoro” anche in ragione del potere d’acquisto che, in35Nella giurisprudenza costituzionale degli anni ’60, si ritrovano in effetti ampi richiamialla necessità che la <strong>retribuzione</strong> ex art. 36 Cost. sia calcolata in relazione alla situazionepersonale del lavoratore e all’esistenza di carichi di famiglia (oltre a C. Cost. n.30 del 1960, cit.; v. anche C. Cost. 13 gennaio 1966, n. 3). Soltanto che sim<strong>il</strong>i suggestioninon hanno avuto seguito nella giurisprudenza ordinaria: «ne fa fede – sottolinea Hernandez(1998, p. 10) – l’ammissione, quasi imbarazzata, di quelle sentenze della Corte di legittimitàin cui si afferma che la circostanza che <strong>il</strong> lavoratore abbia o no fam<strong>il</strong>iari a carico, non influenza<strong>il</strong> giudizio sull’entità della <strong>retribuzione</strong> dovutagli» (per un rassegna di questa giurisprudenzacfr. Tripodina 2008, p. 355).36Cfr. T. Catania 5 novembre 1997 e 4 apr<strong>il</strong>e 1997, in RGL News, 1998, n. 3, p. 34;P. Vallo della Lucania 16 ottobre 1987, in LPO, 1988, p. 863; P. Ispica 22 giugno 1987, inDL, 1989, II, p. 292; dello stesso tenore T. Bologna 30 gennaio 1971, in FI, 1971, I, c. 1735;contra P. Viterbo 21 febbraio 1981, in GM, 1982, I, p. 40.37Cfr. Cass. n. 14211 del 2001, cit.; 14 maggio 1997, n. 4224, in FI, 1998, I, c. 3227.38Cfr. Cass. 14 dicembre 2005, n. 27591, in RCDL, 2006, p. 556, con nota di Bianchi.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO39quel determinato ambito territoriale, la <strong>retribuzione</strong> può concretamenteesercitare 39 ; l’aggancio alle “retribuzioni correnti nella zona” 40 . Bisognaprecisare che, anche laddove questa giurisprudenza non avalla l’ut<strong>il</strong>izzodi tali criteri, ciò non si deve al r<strong>il</strong>evato contrasto con le direttive ex art.36, comma 1, Cost., ma sol perché non si ritiene provato dal giudice dimerito, o non suffragato da adeguati elementi probatori prodotti da partericorrente, l’accertamento di fatto che fonda la determinazione giudiziale“ribassista” oggetto di impugnazione 41 .Per quanto non risulti sempre agevole confrontarsi con le tesi giurisprudenzialirichiamate, palesandosi sovente «l’assenza di una verificadella conformità del criterio ut<strong>il</strong>izzato ai requisiti di proporzionalità esufficienza» (Galizia 2009, p. 620), pare chiaro che esse sottendano unapred<strong>il</strong>ezione di fondo per <strong>il</strong> criterio della sufficienza, l’unico in grado digiustificare <strong>il</strong> decremento dei minimi salariali di derivazione contrattualein dipendenza di valutazioni di ordine economico ed ambientale (cosìanche Persiani 1998, p. 35). Del resto, laddove la giurisprudenza, comedetto quasi sempre elusiva sul lato del “dialogo” con i principi costituzionali,ha provato a giustificare la decisione facendo richiamo a un criterioeconomico applicato alla stregua del canone costituzionale di proporzionalità,è incorsa in una palese incongruenza argomentativa. Ci si riferiscea quel passaggio di Cass. n. 14211 del 2001, in cui questa afferma che «<strong>il</strong>criterio di necessaria proporzione della <strong>retribuzione</strong> alla “qualità” del lavorosvolto non comporta la corrispondenza della prestazione lavorativadi un certo contenuto ad una immutab<strong>il</strong>e quantità di denaro, ben potendodarsi che la prestazione venga apprezzata diversamente in relazionealle esigenze e alle capacità economiche di chi la ut<strong>il</strong>izza»; ne consegueche «la medesima attività lavorativa, valutab<strong>il</strong>e in una certa misura dallagrande impresa, può esserlo in misura minore da un datore di lavoro dotatodi modesti mezzi e perciò assoggettab<strong>il</strong>e a sacrifici patrimoniali nonoltre certi limiti, oltrepassati i quali sarebbe a rischio la sua stessa sopravvivenzaeconomica».<strong>La</strong> tesi della suprema corte appare del tutto destituita di fondamento,nella misura in cui pretende di sostenere che la misura qualitativa dell’apportolavorativo dipende non dal “pregio oggettivo” che a questo va ri-39Cass. 26 luglio 2001, n. 10260, in RIDL, 2002, II, 299, con nota di Stolfa.40Cass. 9 agosto 1996, n. 7383, in RIDL, 1997, II, con nota di Mammone.41V. in particolare Cass. n. 10260 del 2001, cit., che riferendosi alla sentenza impugnata,r<strong>il</strong>eva come questa colga «un nocciolo di verità nella sua operazione riduttiva deiminimi contrattuali nazionali», salvo poi cassarla con rinvio all’esito di una più approfonditavalutazione in ordine all’insufficienza del ragionamento che aveva condotto all’esitoribassista.


40GIANCARLO RICCIconosciuto (con conseguente parametrazione del trattamento retributivobase sulla base delle tabelle del Ccnl) bensì dalle capacità di “valorizzazione”della prestazione medesima in capo a chi la riceve (la parte datoriale),in ragione dei mezzi economico-finanziari più o meno r<strong>il</strong>evanti adisposizione di quest’ultimo.Tale modo di ragionare, le cui conseguenze si palesano incontrollab<strong>il</strong>inella misura in cui apre la strada a una “balcanizzazione” dei minimiretributivi a seconda dell’ab<strong>il</strong>ity to pay della singola impresa, è fortunatamentesmentito da una recentissima sentenza con la quale la Corte diCassazione ha escluso che la caratteristica di piccola impresa sita nel mezzogiornod’Italia possa giustificare operazioni di decremento dei minimicontrattuali nazionali, atteso che «le tabelle salariali allegate alla contrattazionecollettiva sono state elaborate dalle contrapposte parti sindacalitenendo conto anche dell’esistenza e delle esigenze delle piccole imprese,ed anche delle difficoltà in cui si potevano trovare quelle che operavanoin alcune zone del paese». Pertanto, «la <strong>retribuzione</strong> proporzionata prescrittadalla norma costituzionale è, nella normalità dei casi, quella fissatadalle parti sociali contrapposte nella contrattazione collettiva» 42 .È appena <strong>il</strong> caso di r<strong>il</strong>evare che neppure paiono reggere ad un piùapprofondito esame critico gli spunti giurisprudenziali intorno al “potered’acquisto” delle retribuzioni come elemento che sostiene l’adeguamentoal ribasso della <strong>retribuzione</strong> non equa per i lavoratori meridionali, con effettidi sventagliamento degli standard retributivi su base territoriale (giàin tal senso Zoppoli L. 1994, p. 131 ss.) 43 . Tale impostazione, ancorchéripresa di recente da autorevole dottrina (Ichino 2010, p. 744; v. ancheGragnoli 2011, p. 12) non è convincente, atteso che è fin troppo provatoche le retribuzioni di fatto sono, quelle sì, ampiamente sb<strong>il</strong>anciate a favoredei dipendenti di imprese del centro-nord 44 e che, per altro verso,la quota di salario destinata a servizi pubblici per i lavoratori del sud èpiù elevata rispetto a quella dei colleghi settentrionali, sì da rimettere indiscussione <strong>il</strong> giudizio di “sufficienza” nell’ampiezza originariamente implicatadalla disposizione costituzionale (cfr. Bettio, Mazzotta 2009).42Cass. 17 gennaio 2011, n. 896, in RCDL, 2011, p. 170, con nota di Meroni e in Questionelavoro, 2011, n. 5, p. 64, con nota di Vitaletti; analogamente Cass. 17 marzo 2000, n.3184, in RFI, 2000, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1303. Che <strong>il</strong> richiamo alle condizioni socioeconomiche dell’ambiente di lavoro non possa in alcun modo giustificare lo sfruttamentodelle attività lavorative v. anche la notissima Cass. 25 febbraio 1994, n. 1903, in FI, 1994, I,c. 3079.43V. la sopra richiamata Cass. n. 10260 del 2001.44Del resto lo ammette la stessa Cass. n. 10260 del 2001.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO41Infine, non è neppure appagante la tesi del “b<strong>il</strong>anciamento” fra interessiafferenti a beni giuridici <strong>costituzionalmente</strong> garantiti. Appare fuordi luogo, oltre che estraneo al dettato costituzionale, ritenere che una tecnicagiudiziale di graduazione delle retribuzioni a seconda di specifichecondizioni ambientali possa reputarsi legittima in quanto in grado di realizzareun trade-off fra minor salario e maggiore occupazione (cfr. Ichino2010, p. 741) 45 . Al di là, ripeto, degli evidenti limiti di congruità con icriteri dell’art. 36 Cost., non si comprende perché al giudice debba affidarsiuna funzione di supplenza rispetto alle mancate scelte di politica legislativao contrattuale, così peraltro da pregiudicare legittime aspettativeindividuali di tutela (sostanzialmente in tal senso Ghera 1998, p. 118).Insomma, i limiti tratteggiati dall’art. 36, comma 1, Cost. rendonogli spazi per l’adeguamento al ribasso dei minimi salariali individuali inragione di fattori economico-ambientali oggettivamente assai circoscritti.Resta da indagare se qualche ambito di agib<strong>il</strong>ità in tal senso – nella prospettivadi una differenziazione su base territoriale o ambientale dei minimiretributivi – può invece riconoscersi alla legge o alla contrattazionecollettiva. Ma su questo si tornerà fra breve (v. infra, par. 6).5. Il diritto negato ai minimi salariali e la reazione giudiziale (in sede penale):la giurisprudenza sui reati di “estorsione datoriale” e di “sfruttamentoschiavistico del lavoro”. Recenti sv<strong>il</strong>uppi legislativi in materia direato di “intermediazione <strong>il</strong>lecita e sfruttamento del lavoro”<strong>La</strong> giurisprudenza civ<strong>il</strong>e sull’art. 36, comma 1, Cost. rappresenta,dunque, un tópos del giuslavorismo post-costituzionale. Una giurisprudenza,si è detto, polifunzionale: strumento di garanzia individuale per<strong>il</strong> lavoratore ingiustamente remunerato, ma al contempo mezzo di razionalizzazionedell’ordinamento intersindacale, ancora oggi sprovvisto dimisure di attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. Non è peròugualmente evidenziato, in letteratura, come a fronte del diniego deldiritto del lavoratore a percepire una <strong>retribuzione</strong> <strong>adeguata</strong>, egli reagisca,sovente con successo, anche in sede penale. Negli ultimi anni sonoemersi, al riguardo, due f<strong>il</strong>oni giurisprudenziali di r<strong>il</strong>evante interesse.45A meno che non si tratti di prestazione di lavoro che implichi, per le caratteristichedel rapporto di lavoro, un minor apporto in termini quali-quantitativi, come nel casodell’apprendistato (cfr. Cass. 4 settembre 1990, n. 9138, in RFI, 1990, voce <strong>La</strong>voro (rapporto),n. 1040).


42GIANCARLO RICCI(A) Il primo concerne <strong>il</strong> reato di estorsione (art. 629 c.p.) del qualeè imputab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> datore di lavoro che imponga condizioni retributive (e,più in generale, di lavoro) deteriori sotto la minaccia di ritorsioni di varianatura (mancata assunzione, licenziamento etc.) 46 . Le sezioni penalidella Corte di Cassazione ritengono che <strong>il</strong> condizionare, da parte del datoredi lavoro, l’offerta di un’opportunità lavorativa o <strong>il</strong> mantenimentodell’occupazione alla mancata accettazione, da parte del dipendente, diun trattamento retributivo inferiore ai minimi fissati dal contratto collettivo,configuri gli estremi della minaccia idonea a determinare una coercizionedell’altrui volontà con perseguimento di un ingiusto profittoper <strong>il</strong> soggetto datoriale. Si aggiunge, da parte della giurisprudenza, che:1) costituisce elemento che concorre decisivamente a definire l’elementomateriale del reato <strong>il</strong> condizionamento “ambientale” rappresentato dallecondizioni depresse del mercato del lavoro: la minaccia di non ottenereo di perdere <strong>il</strong> lavoro è tanto più efficace in quanto proferita in un contestodi diffic<strong>il</strong>e accesso ad ulteriori opportunità occupazionali, una voltaperduta la precedente; 2) la minaccia può essere tale anche se espressain forma larvata, indeterminata, implicita o indiretta; 3) infine, <strong>il</strong> configurarsidel reato non è escluso dal raggiungimento di un previo accordocon <strong>il</strong> lavoratore 47 .Come si è correttamente r<strong>il</strong>evato (Piovesana 2010, p. 1091) ad integrarela fattispecie di reato non può tuttavia contribuire la mera corresponsionedi un salario inferiore al “minimo sindacale”, possib<strong>il</strong>menteaccompagnata dalla prospettazione datoriale per cui la mancata accettazionedella condizione economica determinerebbe la perdita dell’occasionedi lavoro. Quantomeno nel caso in cui <strong>il</strong> datore di lavoro, non essendoiscritto all’organizzazione datoriale firmataria del Ccnl di categoria,non sia, in base ai principi del diritto comune, obbligato all’applicazionedel contratto collettivo. In tal caso, occorre, dunque, che la <strong>retribuzione</strong>effettivamente percepita risulti inferiore a quella risultante dal prospettopaga. L’intento fraudolento del datore di lavoro risulta, a quel punto, evidente:lucrare sulla differenza fra quanto documentalmente dichiarato,mercé l’accettazione del dipendente, e quanto effettivamente erogato,46Da ultimo Cass., II sez., 14 dicembre 2010, n. 1284, Lucente; 21 settembre 2010, n.37276, Pecora; 20 apr<strong>il</strong>e 2010, n. 16656, Proc. gen. di Catania.47Cass., sez. II, 26 novembre 2009, n. 48868, Deriu, in FI, 2010, II, c. 112; 10 luglio2008, n. 28682, R.C., in RGL, 2009, II, p. 15, con nota di Cas<strong>il</strong>lo; 5 ottobre 2007, n. 36642,Levanti, in FI, 2007, II, c. 662; 11 febbraio 2002, n. 5426, Proc. Rep. Trib. di Catanzaro;parzialmente contra, nel senso che <strong>il</strong> reato non si configura in assenza di esplicita minacciadatoriale Cass. pen., sez. V, 28 marzo 2003, <strong>La</strong>vornia, in Diritto e giustizia, 2003, n. 21, p.28, con nota di Cremonesi.


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO43con in più la considerevole certezza che <strong>il</strong> lavoratore diffic<strong>il</strong>mente potràcontestare dinanzi al giudice del lavoro l’inadeguatezza del trattamentoeconomico per contrarietà all’art. 36, comma 1, Cost.(B) L’altra ipotesi riguarda <strong>il</strong> reato di “riduzione o mantenimento inschiavitù o in servitù”. Ai sensi dell’art. 600 c.p. «chiunque esercita suuna persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovverochiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa,costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggioo comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento,è punito con la reclusione da otto a venti anni». Fra le condotte datorialiatte a integrare gli estremi dello sfruttamento da costrizione lavorativa,o per ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> linguaggio dei giudici, da «profittamento dell’altrui attivitàlavorativa», vi è <strong>il</strong> diniego di una <strong>retribuzione</strong> <strong>adeguata</strong> al lavorosvolto 48 . <strong>La</strong> giurisprudenza che si è formata appare peraltro osc<strong>il</strong>lante inpunto di interpretazione della nozione di “stato di soggezione”. Dopoun iniziale orientamento maggiormente largheggiante, che riteneva sufficiente,ad integrare i presupposti del reato, l’esistenza di un semplice“stato di necessità” del lavoratore 49 , con una recente sentenza la Corte diCassazione ha escluso che <strong>il</strong> “mero profittare” configuri l’elemento materialedel reato, richiedendosi una condizione di soggezione costrittivavera e propria, tale da impedire alla persona di «determinarsi liberamentenelle sue scelte esistenziali» 50 .A fronte dei limiti applicativi di una fattispecie d’incerta applicazione– nella quale del resto <strong>il</strong> caso di riduzione in schiavitù per sfruttamentodelle prestazioni di lavoro è solo una parte del tutto – è comprensib<strong>il</strong>eche <strong>il</strong> legislatore, con l’art. 12 d.l. n. 138 del 2011, conv. in l. n. 148del 2011, abbia introdotto <strong>il</strong> nuovo art. 603-bis c.p., che regola direttamente<strong>il</strong> reato di “intermediazione <strong>il</strong>lecita e sfruttamento del lavoro” 51 . Ilprimo comma prevede che «salvo che <strong>il</strong> fatto costituisca più grave reato,chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutandomanodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento,mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittandodello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusioneda cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per cia-48Cass., sez. V, 10 febbraio 2011, n. 13532, Facchineri, in FI, 2011, II, p. 331.49Cass., sez. III, 12 marzo 2009, Jeffi, in RFI, 2009, voce Schiavitù, n. 8; sez. V, 13novembre 2008, Ingrassia, ibidem, voce cit., n. 6.50Cass., sez. V, 10 febbraio 2011, n. 13532, cit. supra.51<strong>La</strong> fattispecie era già oggetto di autonomo p.d.l. Turco e a. (per riferimenti cfr. Piovesana2010, p. 1094).


44GIANCARLO RICCIscun lavoratore reclutato». Il dato innovativo è che, al comma seguente,si elencano taluni “indici di sfruttamento” fra i quali «la sistematica <strong>retribuzione</strong>dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivinazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualitàdel lavoro prestato».<strong>La</strong> disposizione appare r<strong>il</strong>evante per un duplice ordine di ragioni. Inprimo luogo, supera, per così dire, le risultanze di un Rapporto dell’Organizzazioneinternazionale del lavoro sul “lavoro forzato”, pubblicatoqualche anno fa, nel quale si esplicitava che «l’evasione della normativasul salario minimo non è da considerarsi un sufficiente indizio di lavoroforzato» (Belser, De Cock, Mehran 2005, p. 13; in argomento v. ancheBoschiero 2010, p. 351). Secondariamente – e per tornare ad una prospettivacongruente con l’art. 36, comma 1, Cost. – <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> legislatoreabbia dato r<strong>il</strong>ievo, a fini di configurazione dell’elemento materialedel reato, alla corresponsione di una <strong>retribuzione</strong> in<strong>adeguata</strong> sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>odella mancanza di proporzionalità conferma la r<strong>il</strong>evanza vieppiù predominantedi tale criterio costituzionale – nel raffronto con quello dellasufficienza – quale parametro per valutare l’adeguatezza o l’inadeguatezzadel trattamento economico fondamentale, confermando l’orientamentodottrinale e giurisprudenziale più recente, in ordine all’applicazione, insede civ<strong>il</strong>e, dell’art. 36, comma 1, Cost. 52 .6. Un nuovo revirement del <strong>dibattito</strong> sul diritto al salario minimo. Unaproposta di competizione virtuosa fra legge e contrattazione collettivaCome si è sottolineato in precedenza, l’Italia non si è mai dotata diuna legislazione atta a definire – direttamente o indirettamente – la misuradel salario minimo garantito. <strong>La</strong> funzione di catalizzatore della dinamicaretributiva assunta dall’art. 36, comma 1, Cost, spiega come mai<strong>il</strong> <strong>dibattito</strong> sull’introduzione, nel nostro paese, di una normativa di talfatta si sia mantenuto «sotto traccia» (Magnani 2010, p. 782). Negli ultimianni, peraltro, <strong>il</strong> <strong>dibattito</strong> ha conosciuto un significativo revirement,anche se l’irrompere della drammatica crisi economico-finanziaria ha segnatouna nuova battuta d’arresto, come dimostrato dal fatto che, in al-52<strong>La</strong> novità legislativa non piacerà di certo a Vallebona (2007, p. 859) per <strong>il</strong> quale«nell’ordinamento vigente <strong>il</strong> lavoro nero costituisce <strong>il</strong>lecito civ<strong>il</strong>e e amministrativo, ma nonè lavoro forzato punib<strong>il</strong>e penalmente quale riduzione in servitù (art. 600 c.p.) o estorsione(art. 629 c.p.)». Per una diversa impostazione cfr. Miscione (2009); un’analisi di più ampiorespiro sulla drammatica attualità del lavoro serv<strong>il</strong>e in Roccella (2010).


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO45cuni dei paesi europei in maggiore difficoltà economica, si assista ad unridimensionamento del meccanismo (v. supra, par. 1).Le “piattaforme” propositive si differenziano a seconda degli obiettiviperseguiti. V’è chi disegna l’istituto come indispensab<strong>il</strong>e complemento diuna nuova figura contrattuale (<strong>il</strong> c.d. contratto unico di ingresso) caratterizzatada una inedita articolazione fra fase dell’occupazione a tempodeterminato (<strong>il</strong> primo triennio) seguita dalla successiva stab<strong>il</strong>izzazione delrapporto di lavoro (cfr. Boeri, Garibaldi 2008) 53 ; v’è invece chi lo configuracome una tecnica di universalizzazione delle tutele a vantaggio prevalentementedei lavoratori atipici o più in generale in condizione di debolezzasalariale (Ceruti, Treu 2010, p. 131 ss.); v’è infine chi ne fa unostrumento di razionalizzazione del mercato del lavoro, presupposto diuna differenziazione del costo del lavoro su base territoriale, con conseguenteincentivo per le imprese a investire nella parte più svantaggiatadel territorio italiano (Ichino 2010, p. 741 ss.).Muovo da quest’ultima proposizione dottrinale strettamente correlataalla condivisione del trend giurisprudenziale ribassista in dipendenzadelle condizioni economico-ambientali della prestazione di lavoro. Si tratterebbedi istituire, per legge, un salario minimo intercategoriale definito“al ribasso”: esso non interferirebbe con l’azione sindacale, fungendoal contempo da strumento di emersione del lavoro sommerso nelle areemeno produttive del paese, prevalentemente dunque nelle regioni meridionali.Ciò perché, mentre <strong>il</strong> salario minimo verrebbe ut<strong>il</strong>izzato dalle impreseallocate nelle aree economicamente svantaggiate, nelle zone a piùelevata trazione produttiva permarrebbe la prevalenza applicativa dellaparte economica del Ccnl. Il salario minimo diverrebbe, dunque, unasorta di strumento di “federalismo retributivo”.Il punto è che, in un sistema giuridico caratterizzato da una presenzaingombrante qual è quella dell’art. 36 Cost., l’implementazione di unalegge sul salario minimo in chiave di differenziazione retributiva di naturaterritoriale, rischia di trasformare in vizi di legittimità costituzionale i r<strong>il</strong>ievidi non conformità all’art. 36 Cost. già addebitati alla giurisprudenzache riduce, in sede di adeguamento, gli standard retributivi del Ccnl disettore. Senza voler ritornare sui già manifestati dubbi di iniquità sostanzialedi una misura che oblitera, entro una logica di rigida separatezzafra nord e sud del paese, temi delicati e complessi quali la commisurazionedel potere d’acquisto monetario o la conformazione del mercato53A questa proposta si ispira <strong>il</strong> p.d.l. n. 2000 del 5 febbraio 2010 presentato dai senatoriNerozzi e a., <strong>il</strong> cui art. 6 prevede l’istituzione del salario minimo.


46GIANCARLO RICCIdel lavoro, va detto che un salario minimo tarato al ribasso dal legislatoree quantitativamente distante dalle tariffe del Ccnl di categoria (pur conriferimento, naturalmente, ai livelli più bassi di inquadramento) proporrebbeipso facto un problema di conformità al principio di proporzionalitàdella <strong>retribuzione</strong>. Senza contare <strong>il</strong> rischio, non certo preventivab<strong>il</strong>e,di una “fuga” delle aziende dal contratto collettivo, anche in aree economicamenterobuste, per spuntare le meno onerose condizioni, in terminidi costo del lavoro, derivanti dalla normativa sul salario minimo legale(cfr. Roccella 2009, p. 126).Con ciò non si può tralasciare di considerare che nel nostro paese learee più marginali della forza lavoro – con preponderante presenza nelsud Italia – sono di fatto sottratte all’applicazione dei minimi salariali dipromanazione contrattual-collettiva e soffrono di condizioni strutturali disottosalario, sicché <strong>il</strong> salario minimo legale potrebbe costituire, per questi,uno strumento di garanzia ben più efficace e formalmente presidiatorispetto alla tutela giudiziale ex art. 36, comma 1, Cost. (cfr. Magnani2010, p. 792; Alleva 2006, p. 96).Ma perché questo meccanismo possa ut<strong>il</strong>mente ed efficacementefunzionare, debbono ricorrere tre condizioni. <strong>La</strong> prima è che si tratti,secondo l’insegnamento della migliore dottrina, di un salario minimointercategoriale operante su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale (cfr. Treu 1979,p. 97; Roccella 1986, p. 87; Perone 1989, p. 55). <strong>La</strong> seconda rinvia allamisura del salario minimo legale, che dovrebbe essere ragionevolmenteelevata, tale cioè da collocare l’Italia fra i paesi europei statisticamentedotati di un salario minimo “difensivo” e non meramente “protettivo”(cfr. Baglioni 2008, p. 142) 54 . Infatti, le caratteristiche del nostro sistemadi contrattazione collettiva (in particolare <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Ccnl sia sprovvistodi efficacia erga omnes) impongono che la normativa sul salario minimo,per essere effettiva e conforme ai principi costituzionali, si pongain competizione virtuosa con la parte economica del Ccnl. I lavoratorimarginali non garantiti dall’applicazione del Ccnl potrebbero attenders<strong>il</strong>’applicazione dell’ombrello salariale definito dalla legge, per una misura54In Europa, la determinazione di un salario minimo è pratica assai diffusa, riguardandoben venti paesi membri su ventisette. L’operatività del meccanismo varia a secondadegli ordinamenti: la fissazione della misura del minimo salariale può derivare direttamentedalla legge, oppure questa affida tale funzione ad autorità amministrative ad hoc; più dirado, la fonte deputata è negoziale (accordi collettivi intersettoriali o settoriali). <strong>La</strong> stessamisura quantitativa è fortemente differenziata in ambito europeo: un ventaglio molto ampio,che va dai 123 euro lordi mens<strong>il</strong>i del lavoratore bulgaro fino ai 1.758 euro di quellolussemburghese, anche se destinato a ridimensionarsi allorché si ragioni in termini di valorereale (valutando cioè gli indici di potere d’acquisto) e non di valore nominale (cfr. Eurostat2011).


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO47della <strong>retribuzione</strong> base per l’appunto non distante da quella definita dalCcnl di settore. Da qui la terza ed ultima condizione: la rimozione dellatradizionale diffidenza verso questo strumento da parte delle organizzazionisindacali, chiamate ad accettare una potenziale riduzione della lorocapacità d’azione negoziale. È giunto <strong>il</strong> momento di farlo, data l’ampia ecostante diffusione del lavoro irregolare o comunque del lavoro non copertodalle tutele sindacali nel nostro paese (contra Vallebona 2008, chesostiene l’inut<strong>il</strong>ità di una eventuale legge sui minimi salariali).Nulla esclude, d’altra parte, che all’interno della cornice contrassegnatadalla competizione virtuosa fra legge (sul salario minimo) e Ccnldi categoria (che definisce la parte economica del rapporto) si inseriscafattivamente <strong>il</strong> contratto collettivo decentrato. Il quale potrebbe, nei casiconcreti, funzionare da “incubatore” delle deroghe agli standard retributivicontrattuali “condizionate” ad obiettivi reali, misurab<strong>il</strong>i e monitorab<strong>il</strong>idi investimento produttivo o di r<strong>il</strong>ancio economico del territorio 55 .I fattori economico-ambientali di svantaggio sarebbero dunque certificatidal contratto collettivo decentrato (e non apoditticamente richiamati dalgiudice di turno come pretesto per “abbattere” <strong>il</strong> minimo retributivo),determinando, congiunturalmente e per un tempo definito, la fuoriuscitadai parametri retributivi standard dei Ccnl 56 . Ciò non escluderebbe, peraltro,che accordi collettivi del tutto irragionevoli o palesemente in violazionedei canoni dell’art. 36, comma 1, Cost., siano sottoposti a sindacatogiudiziale (cfr. <strong>il</strong> caso descritto e commentato da Perulli 2001). Né impedirebbe,peraltro, che la contrattazione aziendale si orienti ove possib<strong>il</strong>ein direzione opposta: i sindacati potrebbero richiedere un impegno, adesempio, a che le imprese operanti nelle aree del paese con costo dellavita più elevato della media, contrattino, in presenza di <strong>adeguata</strong> ab<strong>il</strong>ityto pay, la corresponsione di specifiche indennità locali (cfr. Bettio, Mazzotta2009).In un sim<strong>il</strong>e scenario, razionalizzato dall’esistenza di una legge sul salariominimo e depurato da suggestioni che richiamano fantasmi del passato(le famigerate gabbie salariali), anche le organizzazioni sindacali potrebberoassumere un atteggiamento di maggiore apertura. Non mancano55Con riferimento ad esperienze pregresse di varia natura (programmazione negoziata,contratti d’area, contratti di riallineamento) v. De Felice (2007, p. 435).56Del resto, la Corte di Cassazione ha in talune circostanze convalidato l’ut<strong>il</strong>izzo delcontratto collettivo locale o aziendale in luogo di quello nazionale come parametro di adeguamento,ai sensi dell’art. 36, comma 1, Cost., della <strong>retribuzione</strong> non conforme ai critericostituzionali, anche laddove <strong>il</strong> primo deroghi in peius al contratto nazionale (cfr. Cass. 20settembre 2007, n. 19467, in RFI, 2007, voce <strong>La</strong>voro (rapporto), n. 1198; 26 marzo 1998, n.3218, in FI, 1998, I, c. 3227).


48GIANCARLO RICCIgià segnali in tale direzione. L’Accordo interconfederale del 15 apr<strong>il</strong>e2009 (non sottoscritto dalla Cg<strong>il</strong>) ha introdotto, al par. 5, un richiamoalle “intese per <strong>il</strong> governo delle situazioni di crisi e per lo sv<strong>il</strong>uppo economicoed occupazionale del territorio”, attribuendo al Ccnl la facoltà diconsentire che «in sede territoriale [...] siano raggiunte intese per modificare,in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoliistituti economici o normativi disciplinati dal contratto collettivo nazionaledi lavoro di categoria». Tali modifiche si esercitano «sulla base diparametri oggettivi individuati nel contratto nazionale quali, ad esempio,l’andamento del mercato del lavoro, [...], la necessità di determinare condizionidi attrattività per nuovi investimenti». L’Accordo interconfederaleunitario del 28 giugno 2011 (ratificato <strong>il</strong> 21 settembre 2011), al par. 7,dispone in termini sim<strong>il</strong>ari, nel senso che «i contratti collettivi aziendalipossono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurarela capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi.I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentalee temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazionicontenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e conle procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro».Anche se tale apertura è resa ambigua dal par. 2, con <strong>il</strong> quale la primadisposizione va certamente coordinata, che assicura al contratto collettivonazionale «la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici enormativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nelterritorio nazionale” (punto 2)”» (cfr. Zoppoli A. 2011, p. 22) 57 .57Per contro, l’art. 8. d.l. n. 138 del 2011, conv. in l. n. 148 del 2011 non esplicaalcun effetto in materia retributiva. Com’è noto, la disposizione (comma 1) attribuisce alcontratto collettivo decentrato (aziendale o territoriale) funzioni di disciplina, anche insenso derogatorio peggiorativo, di alcune materie espressamente elencate nel comma 2. Siprevede, infatti, al successivo comma 2-bis, che “le specifiche intese di cui al comma 1 operanoanche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dalcomma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.Come si è correttamente r<strong>il</strong>evato in dottrina, “ciò che è derogab<strong>il</strong>e non è <strong>il</strong> Ccnl diper se stesso, ma solo quelle parti di tale contratto che sono “relative”, cioè riguardano, lematerie disciplinate dalla legge” (Maresca 2011, p. 4; cfr. anche Carinci 2011, p. 65). Nonha senso pertanto immaginare che <strong>il</strong> Ccnl aziendale abbia <strong>il</strong> potere di ridurre i minimi salarialinazionali, che non possono essere compresi nell’elenco, in quanto definiti esclusivamentedai Ccnl di categoria (così invece Giglio, Sartori 2011, p. 22). Peraltro, va aggiuntoche fra i “vincoli di scopo” (Perulli, Speziale 2011, p. 41) di cui al comma 1 dell’art. 8, <strong>il</strong>quale delinea le possib<strong>il</strong>i finalità per la quale si stipula l’intesa di prossimità, si fa richiamo“agli incrementi di competitività e di salario”, lasciando trasparire la funzionalizzazione degliaccordi a progressi economici (e non a riduzioni di salario) in cambio, magari, di misuredi concessione su altri versanti regolativi. Ciò del resto rinviene la sua ratio nel fatto chel’intento del legislatore non è quello di incidere sulle condizioni retributive, bensì di stimolarela contrattazione di prossimità a farsi carico di peggioramenti sul lato del trattamento


LA RETRIBUZIONE NELLA COSTITUZIONE E IL SALARIO MINIMO49Molto vi sarebbe da dire, infine, sulla correlazione fra <strong>il</strong> <strong>dibattito</strong> susalario minimo e minimi retributivi contrattuali e quello sulle condizionidi tutela “esterne” al rapporto di lavoro. L’optimum sarebbe un’organicae razionale disciplina che inglobi, a fianco del diritto al salario minimo,adeguate misure sul reddito minimo garantito (nelle condizioni di inoccupazionee disoccupazione, secondo i dettami del workfare) e sul redditodi cittadinanza (per i casi di fuoriuscita, in casi e a condizioni attentamentedefinite, dal circuito del mercato del lavoro). Solo che, nell’attualefrangente storico-economico, delineare un quadro tanto impegnativo– ancorché, in condizioni di normalità e non di emergenza, necessarioe troppo a lungo rinviato – può apparire semplicemente utopistico. Edelle utopie sarà meglio tornare a discutere a suo tempo, quando quellecondizioni di normalità si saranno ripristinate e <strong>il</strong> nostro paese sarà dinuovo in grado di compiere, auspicab<strong>il</strong>mente in un nuovo scenario politico,scelte consapevoli, non condizionate dai diktat emergenziali di queisoggetti istituzionali europei e internazionali che, in questi mesi, hanno difatto (e purtroppo con indicazioni non sempre condivisib<strong>il</strong>i) commissariatogoverno e parlamento.Riferimenti bibliograficiAlleva P. (2006), Vecchi e nuovi percorsi per i diritti costituzionali del lavoro, inI diritti sociali e del lavoro nella Costituzione italiana, a cura di G. Casadio,Roma: Ediesse, p. 91.Andreoni A. (2006), <strong>La</strong>voro, diritti sociali e sv<strong>il</strong>uppo economico, Torino: Giappichelli.Angiello L. (2003), <strong>La</strong> <strong>retribuzione</strong>. Artt. 2099-2102, Commentario al codice civ<strong>il</strong>e,diretto da F.D. Busnelli, M<strong>il</strong>ano: Giuffrè.Baglioni G. (2008), L’accerchiamento. Perché si riduce la tutela sindacale tradizionale,Bologna: Il Mulino.Bellomo S. (2009a), Sub art. 36 Cost., in Diritto del lavoro. <strong>La</strong> Costituzione, <strong>il</strong> codiceciv<strong>il</strong>e e le leggi speciali, a cura di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca,vol. I, M<strong>il</strong>ano: Giuffrè, p. 182.Bellomo S. (2009b), Retribuzione. I) Rapporto di lavoro privato, in EGT, vol.XXXI.Belser P., De Cock M., Mehran F. (2005), Ilo Minimum Estimate of Forced <strong>La</strong>bourin the World, Geneve: Ilo.Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere (2011), a cura di P. Ginsborg ed E.Asquer, Bari: <strong>La</strong>terza.normativo, secondo <strong>il</strong> modello della contrattazione aziendale di secondo livello negli stab<strong>il</strong>imentidella Fiat (sul quale Caruso 2011).


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