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31 agosto 2008 - Il Centro don Vecchi

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ANNO 4 - N° 35 Domenica <strong>31</strong> <strong>agosto</strong> <strong>2008</strong>L’ incontroSettimanale di formazione e d’informazione cristiana. Organo della Fondazione Carpinetum onlus, dei Centri <strong>don</strong> <strong>Vecchi</strong>,dell’Associazione Carpenedo solidale onlus, della Pastorale del Lutto e del cimitero di Mestre - Autorizzazione del Trib. di VEn. 624 del 5/2/1979 - Direttore <strong>don</strong> Armando Trevisiol - Cellulare 334.9741275 - info@centro<strong>don</strong>vecchi.itIL DIRETTORE D’ORCHESTRA<strong>Il</strong> direttore d’orchestra ha la bacchetta come unico strumento all’interno del complesso orchestrale, un bastoncino che nonemette alcun suono, ma che serve al direttore perché l’orchestra si esprima al meglio.Ogni Comunità, grande o piccola,per funzionare a dovere ha sempre bisogno di un “Direttore d’orchestra” che la armonizzi, dia i tempi giusti, guidi l’interocomplesso non si lasci condizionare da alcuno. Un direttore che abdichi al suo compito di guidare non rifacendosi alla suaintelligenza e al suo compito specifico, porta l’orchestra al fallimento. Ogni membro di qualsiasi gruppo sociale ha una suaprecisa funzione, ma quella del capo le riassume un po’ tutte dovendo rimanere la guida dell’intero complesso. Nel nostroPaese forse c’è carenza di uomini responsabili e liberi che abbiano il coraggio di assumersi la responsabilità di guidare ilPaese nonostante le critiche o le spinte contrapposte.


2INCONTRICostante DeganCristiano mestrino impegnato nella politica<strong>Il</strong> 1 luglio 1988 moriva CostanteDegan Deputato per cinque legislature;eletto per due voltesenatore; Sottosegretario ai trasportiin sei governi, Ministro dellaSanità dal 1983 al 1986 e della MarinaMercantile dal 1986 al 1987, sindacodi Venezia nel 1988.L’ultima uscita pubblica la fece il 18giugno del 1988. Provato dal male,raggiunse il palco del 34° Congressoprovinciale della Democrazia Cristianadi Venezia su una sedia a rotelle.E pronunciò un discorso che aveva lospessore di un testamento politicoe morale –intitolato “Coerenti conL’ispirazione cristiana”.Un “titolo” che era stato paradigmae programma di tutta la sua vita. Eraentrato in politica per spirito di servizio,che mai trasformò in asservimento,come chi deve rendere contoprima che agli uomini a Dio e alla propriacoscienza.Coniugava l’umiltà con la capacitàdecisionale, la sapienza nell’ascoltarecon il pragmatismo incanalato dauna visione prospettica di eventi eproblemi.La società italiana beneficia ancoraoggi in modo tangibile del suo operare,sempre lontano da qualsiasi protagonismo.A vent’anni dalla sua morte abbiamosentito la necessità di ripercorrereil suo modo di essere per ricordarloma anche e soprattutto per rifletteresulla sua eredità ideale che ci halasciato.Un cristianoconvinto e convincenteHo gia dedicato un editoriale allatestimonianza di Costante Degan,cristiano in politica. Mi sono rifattonel precedente editoriale a ricordipersonali perché per quasi vent’anniegli fu membro della parrocchia di SanLorenzo, ove io ho esercitato per tuttoquel periodo il mio ministero pastorale.Per chi ha letto quell’editoriale ricorderàil mio commosso ricordo dellaconferenza che Degan ha tenuto nellasala Lux di quella parrocchia gremitissimadi giovani. Era ammalato, quasialla fine dei suoi giorni, ed ha faticatoquanto mai a parlare, eppure ci misetanta convinzione affrontando in temacoraggioso di fronte ad una platea ormaischifata dalla politica.<strong>Il</strong> quel momento poi il comune di Veneziastava passando un momento difficilissimoin cui lo scontro tra partiti eraassolutamente incomprensibile all’opinionepubblica della città, che quasisgomenta e scandalizzata, assisteva impotenteall’incapacità del Consiglio comunaledi eleggere una maggioranza.Da mesi continuava una diatriba provocatadalla più bassa e deludente politica,interessata ai posti, al prestigio e alpartito, incurante del bisogno assolutodella città di un governo che desse risposteai problemi più urgenti.Degan, possibile sindaco, era ammalato,si diceva che si fosse fatto portareuna branda a Ca’ Farsetti per riposaretra le pause di infinite e deludenti riunioni.Ebbene, pur in questo clima, che noninvitava certamente all’entusiasmoverso le parole di un politico e soprattuttoin una sala piena di giovani cherisentivano ancora della stagione barricadieradel “‘68”, Degan riuscì a convincereaffermando che la politica è unfatto alto e nobile, che ogni cittadinovero aveva il dovere morale e civicodi parteciparvi. Nelle parole di Deganc’era il cuore, la convinzione profonda,il motivo per cui aveva ormai speso lasua vita ispirato da una fede profonda ecoerente. I giovani in quell’occasione loapplaudirono calorosamente.Lo meritava. Io poi che avevo accompagnatofino alla tomba la mamma diDegan, ne avevo raccolte le confidenze,conoscevo l’intera sua famiglia, ebbiper molto tempo l’opportunità di incontrarloin cimitero, quando il sabatomattina veniva puntualmente a pregaresulla tomba di sua madre. Nei nostri incontrichiacchieravamo amichevolmentedei problemi e dei fatti emergenti,egli mi illustrava con semplicità bonariagli aspetti che io non conoscevo emi inquadrava in una cornice più vastaquesti problemi.Ho veramente un bel ricordo di Degan,cristiano convinto, fedele praticante,con una convinzione di una freschezzaLa direzione di “Carpenedo solidale” hachiesto al Banco alimentare di Veronail raddoppio di contributi alimentari, perpoter assistere il numero crescente di bisognosiitaliani ed extracomunitari, chericorrono ai nostri magazzini per averealimenti. In questo momento diffi cile pertutti, ma più diffi cile per i poveri


L’incontro 3veramente edificante.Quando ho letto il bell’articolo di PaoloFusco su “Gente venete”, che riportofedelmente, sono venuto a conoscererisvolti della sua azione in Parlamento eal Governo che il suo segretario ha portatoalla luce e che io non conoscevo.M’è parso quindi doveroso offrire all’attenzionedegli amici lettori questopatrimonio ideale del quale tutti gli italianisono eredi ma che noi concittadinie fratelli di fede di Degan, ne siamo idiretti destinatari.Credo che pure Costante Degan meritiun capitolo su quel volume, che deveessere costantemente aggiornato il chefortunatamente abbiamo vasto materialeper farlo: “I santi e i testimonidella porta accanto”Don Armando Trevisiol<strong>don</strong>armando@centro<strong>don</strong>vecchi.itL’eredità sociale e cristiana che l’OnorevoleCostante Degan lascia alla nostra cittàe all’intero paeseUn uomo d’ordine, rispettosodelle persone.Un cattolico prestato alla politica,strano e concreto, “atipico”si direbbe oggi. I tratti singolaridi Costante Degan emergono, uno dopol’altro, nel corso dell’incontro promossoa Mestre dalla Scuola sociopolitica.diocesana a quasi vent’anni dalla morte.A parlare di Degan e a ripercorrernela vicenda umana e politica è chi lo haseguito, per tantissimi anni, da vicino:Ulisse Moron, suo segretario personalee stretto collaboratore. Sfilano ricordi,aneddoti e ricostruzioni che riportano amomenti delicati della più recente storiaitaliana.La famiglia di origine<strong>Il</strong> racconto di Moron comincia dalla famigliad’origine di Degan.Era orgogliosissimo della madre e delfoglietto che lei, in punto di morte,aveva lasciato con poche e chiare disposizioni:sepolta sulla nuda terra, nienteloculi o fiori, soldi a <strong>don</strong> Armando per ipoveri “veri”. I fratelli più grandi di Costanteandarono presto a lavorare perpermettere a lui e alla sorella di studiare.E fino alla fine il suo cruccio sarà dinon riuscire a ripagarli abbastanza deisacrifici compiuti.La politica«<strong>Il</strong> suo ingresso in Parlamento, nel1963, dipende dalla Conferenza episcopaletriveneta che a quei tempi - narraMoron - puntava esplicitamente su alcuninomi, nelle liste della DemocraziaCristiana, in ciascuna provincia». E perquesti il sostegno delle diocesi, delleparrocchie e delle associazioni risultavavincente. Altri tempi.«E’ un cattolico - prosegue - anche integralista,prestato alla politica. Nonaveva scelto lui di entrare in politica,è stato scelto. E se la Chiesa a un certopunto avesse chiamato fuori i cristianidalla politica, lui sarebbe andato fuori.<strong>Il</strong> deputato Costante Degan rovesciatutto, ha chiaro quello che vuole fare.Si mette in testa di essere a serviziodella povera gente veneta, di cui nonsi interessava nessuno, e va a vederecome vive. E’ presente in provincia,dappertutto. Non prometteva posti maprometteva di interessarsi, Delle persone,del comune, delle parrocchie».I primi anni in Parlamento lo portano avivere ancor più da vicino la serie incredibiledi tragedie che scuotono il Veneto(dal Vajont alla grande alluvione). Dal1974 al 1980 è sottosegretario ai trasportie nel consiglio d’amministrazionedelle Ferrovie; se ne andrà ricevendo l’ovazione dei dipendenti e un indimenticatoorologio da taschino come regalo.Dal 1983 al 1986 guida il ministero dellaSanità, l’anno successivo è alla MarinaMercantile. «Ovunque - continua UlisseMoron - non farà forse grandi innovazionima mette ordine. Ed ha semprepresente la persona. S’impone con il silenzio,lavorando pazientemente».I temi etici nella politicaA Roma è amico di tanti cardinali (piùche dei politici) e spesso andava a chiedereloro consiglio. Quando arriva il referendumsul divorzio, che innesca tensionianche nel mondo cattolico, Deganpare tranquillo e apatico. «Quelli chegli sono attorno - racconta il segretario- non capiscono. Lo sollecitano adesporsi e in quel momento ho preso unalezione morale che mi ricorderò finchévivo. Diceva: “Stiamo parlando di unsacramento, come volete che mi esprima?Un sacramento si rispetta e non sicontesta. O gavemo fede o no. O ghecredemo o no. Se passa il divorzio preparateviall’aborto, all’eutanasia e a echi vuole il figlio bello”. Discorsi che 35anni fa facevano venire i brividi».E’ Degan a preparare nel 1985 la primalegge quadro sul volontariato e a mobilitarsi)per raccogliere - nella discrezionepiù assoluta - medicinali da passarea <strong>don</strong> Di Liegro e alla Caritas per le primemigliaia di extracomunitari arrivatiin Italia o, addirittura, da spedire nell’ancora chiusa Albania attraverso insospettatima efficaci contatti diplomaticie personali.La lotta contro il fumo«Non si fermava di fronte a niente - diceMoron - e lo dimostra nelle battagliecontro il fumo e gli interessi delle multinazionali,condotte da lui fumatore eche gli costarono una diatriba accesissimae mai sopita con Bruno Visentiniche poi riemerse quando, a pochi mesidalla morte, divenne sindaco di Veneziasolo per pochi giorni». Da ministro dellaSanità è lui a dover fronteggiare nel1986, tra molte incertezze sui dati e sulda farsi, le conseguenze italiane dell’incidentedi Chernoby1. E’ sempre luia rendere possibile ed inaugurare, nelnostro Paese, la stagione dei trapiantidi cuore.I trapianti di cuore«Una vicenda difficile e contorta -rievocaMoron - ma Costante non era unosprovveduto. Studia giorno e notte,prende atto della legge esistente che,per i trapianti di cuore, è impossibileda applicare. E’ tartassato dai primari:ci sono organi buttati via, i bambinimuoiono e... allora prende il coraggioa due mani». Va a Houston e si fa spiegarecome fanno gli americani. Con undecreto legge scardina le norme più intricatee paralizzanti. Prepara, nominae autorizza le équipes di alcuni ospedaliitaliani. E giunge il momento, atteso etemuto. Tutto è pronto: il <strong>don</strong>atore (ungiovane di 19 anni), l’ammalato (<strong>Il</strong>arioLazzari) e l’équipe (quella del prof.Gallucci di Padova). Fa all’istante undecreto per l’autorizzazione definitivae permette all’ équipe di andare a farel’espianto del cuore là dove il giovaneè morto: l’organo arriverà a Padova inuna ghiacciaia da picnic... Si diffonde lanotizia e, prima ancora che inizi l’operazione,fiaccano tensioni e polemiche.C’è già chi, molto in alto, mette le maniavanti e chiede in anticipo le dimissioni


4di Degan se le cose non dovessero finirebene. La sera tardi, mentre comincial’operazione, il ministro va in cappellaa pregare e ringraziare la Provvidenzasenza la quale, confessava, “questecose non si fanno”’. Alle cinque delmattino il prof. Gallucci comunicherà aDegan, primo fra tutti, la perfetta riuscitadell’ operazione.<strong>Il</strong> ricordo dei suoi cariUlisse Moron termina il suo appassionatoracconto: «Ho l’orgoglio personaledi aver lavorato con quest’uomo. Mi haarricchito personalmente sono nato evissuto con lui».Nella sala del <strong>Centro</strong> pastorale PapaLuciani,i fanno capolino il volto e lavoce di Degan attraverso spezzoni diinterviste televisive e il servizio sui funeralitratti dalla cineteca Rai.Altri interventi ne rievocano ancora lafigura e fanno emergere ulteriori caratteristichedell’uomo.Uno dei figli (Andrea) aggiunge un piccoloricordo, intimo e privato: «<strong>Il</strong> giornodel funerale c’era un gran viavai in casa.Ero frastornato ma mia madre, che eramolto attenta, mi disse: “Andrea, nondolertene. <strong>Il</strong> papà è di tutti”».Alessandro Polet - Gente VenetaPRETI COSÌ E PRETI COSÀPENSIERI IN LIBERTÀ DI UNA CRISTIANA “TIEPIDA”Ogni tanto vado a confessarmi,come penso facciano tutti ibravi cristiani quando si accorgono,pur senza aver fatto gravipeccati, di sentir qualcosa traballarenella loro coscienza, qualcosa che dàfastidio, anche se non si sa bene checosa sia: “Sarà perché ho preso un’arrabbiatura?Sarà perché dovevo esserepiù gentile? Sarà perché non ho fattotutto quello che avrei potuto e dovutofare?Sarà semplicemente perché oggi ho lagiornata storta?” Insomma quando sisente il bisogno di mettersi l’anima inpace.Dunque vado a confessarmi. Vado daifrati in via Cappuccina. Vado là perdue motivi: primo perché non sono poitanto una brava cristiana e pur sapendoche il sacerdote, chiunque egli sia,è solo un tramite fra me e il buon Dio,che non mi giudicherà, né parlerà conalcuno dei miei affari, io mi sento a disagioa confessare le mie miserie a unsacerdote che mi conosce, dopo tantianni potrebbe farsi una brutta opinionedi me; 2° perché oberare di superlavorochi ha già tanti impegni e preoccupazioni,quando ci sono i frati chesono ormai depositari di tutti i peccatidi Mestre?Mi si potrà obiettare che manco diumiltà e pecco di ipocrisia. Proprio quista il punto.Non solo per la confessione, ma ancheper la messa e le altre occasionidi incontro con la Chiesa, quella con laC maiuscola - battesimo, comunione,matrimonio… - noi cristiani “tiepidi”abbiamo le nostre preferenze per unoo per l’altro sacerdote. Per cui andiamoalla messa delle 10 perché la predica èpiù stringata, perché il prete è più bonaccionee ti manda a casa con l’animopiù sereno, perché “sa parlare cosìbene che ti tocca il cuore”, mentrequello di mezzogiorno fa una predicacosì barbosa che ti addormenti, ripetesempre le stesse cose, ti inchioda aituoi doveri e ti fa sentire colpevole.Ogni sacerdote porta in sé le qualitàe i difetti di tutti gli esseri umani enon sta a noi giudicarli, però a volte lenostre scelte sono motivate anche dalloro comportamento che noi giudichiamopiù o meno lodevole.C’era un certo pretaccio della BassaPadana che molti detestavano, peròquando fu spedito per punizione in unaparrocchietta abban<strong>don</strong>ata, persa nelgelo della montagna, i suoi vecchi parrocchiani,quelli della DC e quelli delPCI, rifiutarono di nascere e perfinodi morire finché lui non fosse tornato.Questa era stima.Io ho memoria di un certo confessoreche mi costrinse a “pentirmi” di unpeccato che per me non era peccato,altrimenti non mi avrebbe dato l’assoluzione.Naturalmente non mi ha piùvisto. Ho memoria anche di un miovecchio parroco che mi sposò rapidorapido in meno di mezz’ora, perché percomodità frequentavo un’altra chiesae per lui ero una pecorella di un altrogregge.In cambio abbiamo avuto parecchi“<strong>don</strong>” con l’aureola, che si sono spesianima e corpo per i poveri, per i diseredati,per gli orfani e le vedove.Oggi abbiamo diverse categorie di preti.Quelli che prediligono la messa inlatino e si nutrono di preghiere e incontrispirituali. Quelli che parlano di “ariafritta”, come dice qualcuno che conosco.Quelli “in prima linea” che esconodi notte in cerca dei poveracci, deidrogati, degli extracomunitari e delleprostitute. Quelli, anch’essi innamoratidell’uomo, che si impegnano su centofronti, riuscendo a coinvolgere autoritàe centinaia di volontari al servizio deidiseredati, delle creature più sofferentie bisognose.Ci sono, purtroppo, anche dei pretipedofili. E ci sono i preti “accomodanti”,come li chiamo io: compaionosui rotocalchi e in televisione attorniatidal popolo dei VIP, da belle signore indécolleté e trasparenze che mostranotanta grazia di Dio. Te li ritrovi in chiesaa sposare belle ragazze in ricchi abitida sposa, più simili a sottovesti o amises da gran sera. E tu ti domandise dovrebbe vergognarsi di più la bellaragazza, le sue damigelle e le ospiti,altrettanto svestite, o quel parroco chesi è astenuto dal fare una chiacchierataprematrimoniale, forse temendo dirimetterci uno dei già pochi matrimonireligiosi e magari la sostanziosa offerta,la quale offerta alla fine verrà utilizzataper uno scopo nobile. Dal chesi deduce che qualche volta il preteaccetta dei compromessi adeguandosialla “clientela”, così come il celebranteadegua la propria omelia al tipo di fedelie all’orario delle messe.Per finire, ci sono persino dei preti matti,ma spero che non siano cattolici.Li abbiamo visti sposare i due colombisul fondo di una piscina o appesi aduno spuntone di roccia, o lanciati involo col paracadute. Oggi hanno fattodi meglio: lui, il sacerdote, e loro, i duesposi, in alta quota, in piedi, ciascunosul proprio aeroplano da turismo, contanto di cuffie e microfoni per sentire efarsi sentire. Quanto allo scambio dell’anellonon si sa certo sono arrivati piùvicini al cielo, ma non saprei dire checosa ne pensa il buon Dio.Laura Novello


L’incontro 5GIORNO PER GIORNOrette, oneste, anonime, giovani creature.In ristrutturazionei magazziniS. MartinoENTUSIASMO E SEDUZIONEUna moltitudine. Da ogni parte delmondo. Li abbiamo visti a Sidney perle Giornate Mondiali della Gioventù.Ben più numerosi delle folle abitualmentepresenti al concerto di questoo quel cantante. Infinitamente più numerosidei giovani sballati che si dannoconvegno ai vari rave-party tuttialcool e droga. Magari in oasi naturalisticalasciando solo terra bruciatae ogni sorta di sporcizia.Grazie a Blu Sat 2000 ho potuto seguirei momenti salienti di quelle giornate.Più volte mi sono chiesta quali fosserole motivazioni che hanno portatoquella marea di giovani ad affrontareviaggio, conseguenti spese, sacrificio,fatica e non poca stanchezza. Ugualio diverse possano essere state le ragioni.Sono state certamente molte.Certamente forti.Nonostante dubbi, contraddizioni,certezze, paure i giovani sono ancoracapaci di seduzione. Non mi riferiscoa quella bieca e fasulla di Veline o delGrande Fratello. Bensì a quella autentica,vera che viene dal credere che iveri valori vanno sempre e comunquevissuti, perseguiti .Pensiamo a loro e ai moltissimi braviragazzi di ogni religione, nazionalità,razza. Pensiamo a loro quandogiornali, tv o altre fonti ci dicono digiovanili misfatti, di giovanili delitti.Per ognuno di questi noti disgraziatici sono centinaia, migliaia di brave,A cinque anni dall’apertura dei magazziniS. Martino per il recupero e la distribuzionedegli indumenti per chi ne ha bisogno, s’èdeciso di ristrutturare gli ambienti per dareun volto più nuovo e più funzionale allastruttura. Con l’occasione s’è creato unospazio particolare per la bigiotteria, chesta sviluppando un crescente interessepresso la gente che frequenta i magazziniOPPORTUNITA PERDUTEHo deciso. Ci vado.Prima la seggiovia. Poi, a piedi, il girodelle trincee. Già a metà percorsol’impalcatura che sorregge la miaschiena dice tutta la gravità dellascelta. Impossibile tornare indietro.La certezza di un non ritorno quassùmi spinge a vedere, sentire, viverecon maggior attenzione la visita aquesto straordinario museo di guerra.Nuvole e qualche sprazzo di sole.L’ombra aiuta la fatica evitando ulterioresudore.Piccoli meravigliosi fiori. Minuscolavegetazione. E sassi, gra<strong>don</strong>i, pali,postazioni, baracche. Profonde tanedi marmotte. L’odore aspro e fortedegli escrementi di camosci, capriolied altre bestie selvatiche. Ben primadel tramonto, con la chiusura dellaseggiovia, torneranno ad essere padronidi questo luogo. Per mesi, peranni, soldati italiani ed austroungariciqui sono vissuti come topi. Sono mortio sono stati feriti in numero così altoda non poter essere ancora quantificato.Postazioni della linea difensivalitaliana.Camminiamo all’’interno della trinceaalta. Gli occhi spaziano su quello chefu l’intero fronte dei combattimenti.Dalle Tofane al Lagazuoi, al Sass deStria. Si sale e si scende su stretticamminamenti, postazioni di artiglieria,baracca comando, osservatori ericoveri. Tutto fa parte di un più estesoe restaurato Museo della GrandeGuerra che si estende sui monti vicini.Fotografie, spiegazioni, bollettiniufficiali, pagine di diario aiutano acapire e vedere. Non solo con gli occhi,ma con quella che dovrebbe essereadeguata consapevolezza. Moltii giovani.Ma anche famiglie con bambini e piùmaturi ansanti visitatori. Sul percorsodisagiato e scosceso un padre tieneper mano il figlio ancora bambino.Una postazione d’artiglieria. Manichiniin altezza naturale vestiti delladivisa italiana stanno caricando ilcannone di cui è specificato gittata,potenza e numero di uomini necessarioal suo caricamento. <strong>Il</strong> padre, sostandodi lato, prosegue il raccontodi una tragica, vera storia di guerra. <strong>Il</strong>bambino interrompe, chiede, ricordacose già dette dal papà. Sosto appoggiandomiad un sasso lasciando liberolo spazio di percorso. Due giovanisignore con bambini a seguito. Piùdistanziati i mariti. “ Te gaveo ditoche l’ultima volta nol tee gavea fateben!”- dice l’una all’altra, riferendosialle meches, guardando disgustata lacapigliatura dell’amica - “Massa rosse!E te voe più bionde. El’è semprestà estroso chel paruchier”.Nonostante l’ansare per la scomoditàdel percorso le signore non interromponoil loro conversare. Uno deibambini batte con insistenza il bracciodella madre. Chiede spiegazionisulla cartina appesa al lato del percorso.La madre non risponde finchè,infastidita dall’insistenza del figlio,gli allontana in malo modo il braccio“Asseme stare! Vai dal papà. Cossavusto che sapia! Non vedi che so drioparlare”. <strong>Il</strong> bambino chiede al padre.Senza successo. Sta parlando conl’amico del suo ultimo acquisto enologico:“Na partia de verdiso ecessionae.Roba da far schei”.Una baracca ricovero-infermeria. Angustae buia quasi quanto un cucciaper animali. Qui dormivano trentacinquesoldati. In doppio strato settanta.Legno per le pareti, cartone per iltetto, paglia per sdraiarsi. Dopo unavisita quassù il re Vittorio EmanueleIII° dispone l’invio di pagliericci.Come risulta da riprodotta pagina delregale diario. Dentro la baracca manichinidi medico e feriti completanola fedele ricostruzione. Davanti allesbarre protettive sommessi commentie considerazioni. Finchè sguaiati decibelgiungono ad ammorbare il luogo.Una giovane paffuta signora si falargo.Al telefonino descrive al marito quantolei vede oltre le sbarre “Ce so’ deimanichini. Pure questi de sordati. Eda te che c’è?”- A tutta voce continuail telefonico interloquire dei coniugi,che dato il tono, rivela tutta laloro delusione “Mo m’aspettavo n’an-


6perché era mingherlino, balbuziente,molto timido ed appena li vedeva sifaceva la pipì nei pantaloncini: per ibulli questo era un vero sballo.Anche quel giorno si avvicinarono alragazzino prendendo lo in giro quandoudirono un abbaiare stridulo edinsistente. Guardarono verso il bassoe videro un cagnolino con grandiorecchie, spelacchiato ma molto agguerrito.“E tu chi saresti?” gli domandòGiorgione ed il piccolo animalegli rispose: “Mi chiamo Minny. Lasciastare subito il mio amico o ti morderò.Hai capito?”.I giovani, si sa, non si meraviglianodelle cose strane che possono accadereed infatti nessuno dei presentisi sorprese nel comprendere illinguaggio del cane mentre è moltopiù difficile per noi adulti accettarefatti inconsueti perché siamo abituatiad analizzare ogni singola cosache ci accade ma poiché questa contracosa”.I figli, una coppia di ragazzini, vannoavanti e indietro, urtando i visitatoriimpegnati nel percorso e gridandoa tutta voce “ A ma’ so’ stanco! Ciòfame! Ciò sete! Annamo”. Qua nunPASTORALE DEL LUTTOLETTERA ALLA NONNA CHE PARTE PER IL CIELOCARA NONNAscusaci, scusaci perché questa volta nonpossiamo obbedirti.“Non piangete quando non ci sarò più”questa è la frase che ci hai ripetuto sinda prima che questa maledetta malattiati strappasse lentamente via da noi. Eppureè così difficile perché vedi, nonna,quando una persona è stata così speciale,così incredibilmente perfetta, il vuotoche lascia è troppo immenso per potercomandare agli occhi e al cuore di nonpiangere.E tu nonna sei stata così.Ha poco senso ricordare oggi episodi particolariche ti riguardino perché in realtànon c’è stato un solo gesto nella tua vitache non meriterebbe di essere annotatocome atto d’amore.E in questi giorni i ricordi riemergono aflotti, e quelli del passato più prossimo siconfon<strong>don</strong>o con quelli più remoti, tessendocosì un’immagine di te quasi fuori deltempo.Così sentiamo bruciare già la nostalgiadella tua cucina sempre aperta per noi,dei tuoi tostini e dei tuoi pranzi conditinon solo con le migliori prelibatezze maanche con l’amore e la passione che tuttinoi abbiamo avuto la fortuna di assaporare.Ci sembra di sentire ancora il ripetutascampanellio del citofono quando arrivavila mattina prestissimo, con merendee brioche, per accompagnarci a scuolao per star con noi: quando in un balenoc’è niente”La Storia? Cos’è l Storia? Cosa che nonsi mangia. Che non fa fare quattrini.E’ cosa che non serve.sistemavi la casa, spolveravi, stiravi, cucinaviper aver più tempo di giocare connoi (facendo bene attenzione a non vinceremai e rammaricandoti davvero se “percaso” trovavi la coppia di carte giuste alMemory).E’ ancora così nitido il rumore familiare einconfondibile dei tuoi passi sempre cosìsvelti e pronti mai stanchi.Lo vedi nonna! Tu sei stata caposaldo dellanostra infanzia, compagna di giochi,custode di segreti, confidente, compliceamica, colei che ci difendeva dai genitorie nascondeva le nostre marachelle , coleiche ci portava di nascosto le merendine alcioccolato e ci faceva trovare le caramelleche preferivamo. E una volta cresciuti,quella a cui mi rivolgevo quando litigavocon la mamma, che stava dalla nostraparte ma ci faceva capire quando sbagliavamo.Quella che aveva sempre la parolagiusta al momento giusto, un anetodi dellasua vita che si attagliava perfettamenteal caso nostro, un buon proverbio dacitare e meditare. Intelligente, presente,acuta, divertente….e immensamentebuona.Mamma meravigliosa, moglie perfetta,nonna impareggiabile.Sei stata per tutti un esempio di amore“SLuciana Mazzer MerelliM I N N Yincondizionato e dedizione in ogni campodella tua vita. Modello di un’esistenzarealmente spesa al servizio del prossimo:di un marito certo non facile ma che haiservito con una cura per noi quasi incomprensibile,dei tuoi figli, dei nipoti, deglianziani da assistere, dei vicini di casa daaiutare.<strong>Il</strong> tuo vivere quotidiano ci ha insegnatopiù delle tue stesse parole e ti assicuriamocara nonna, che ogni tuo pensiero èimpresso nel nostro cuore. Niente di ciòche ai insegnato andrà perduto e nulla diciò che ai detto dimenticato.Speriamo che questi lunghissimi mesi dimalattia tu ti sia sentita avvolta nell’amoredi tutti noi: il meritato raccolto di chiha seminato solo bontà. Una bontà realmentepura, sconfinata, gratuita, santa.E ora desideriamo solo che salga a te ilnostro grazie, vogliamo tu senta quanto cisentiamo fortunati ad averti avuta comenonna ed orgogliosi di poter dire che seistata nostra.Sei stata un immenso <strong>don</strong>o del Cielo, e dalCielo, ne siamo sicuri, continuerai ad avercura di noi come ai sempre fatto.Perché nonna sbagliavi a dire che le nonnenon vivono per sempre. Quelle specialisi. E tu vivrai con noi e in noi ogni giorno.A te continueremo a raccontare ognitraguardo, come quando ti chiamavo perdire a te , prima che agli altri, di un belvoto a scuola o di un successo nel lavoro,perché tu fossi fiera di noi.Ci manchi già da morire nonna adorata,ma sappiamo che sei qui con noi e cosìcontinueremo a rivolgerci a te, che sei ilnostro angelo e la nostra guida.Ti amiamo così tantoI tuoi nipotiLA FAVOLA DELLA SETTIMANAimone sei un mammone! Simonesei un fifone! Dammisubito la merendina o tispacco la biciclettina. Avete vistoquanto sono stato bravo? Sono riuscitoa fare una rima e pensare chela professoressa di italiano dice chenon mi so esprimere correttamente.”Chi aveva parlato era Giorgione unpluri-rimandato della prima media,chiamato così sia per la statura cheper la stazza. Lui, con alcuni amici,aspettava quasi ogni giorno i bambiniche frequentavano le elementari permolestarli, rubare le loro merendine,stracciare i quaderni minacciando liche se avessero parlato l‛avrebberopagata cara. Nessuno di loro avevamai osato riferire ai genitori o aimaestri quanto accadeva perché erano,a dir poco, terrorizzati. I prepotentise la prendevano indifferentementecon tutti i bambini ma Simoneera il loro bersaglio preferito, forse


L’incontro 7IN MEMORIALa famiglia Mariotto, in occasionedel primo anniversario dellamorte improvvisa dell’amatissimafi glia Michela, ha messoa disposizione di <strong>don</strong> Armando2500 euro per onorare la memoriadella fi glia e perché lui possaproseguire le opere di bene cheha intrapreso.Don Armando esprime pubblicamentericonoscenza per questoaiuto a favore del prossimosiderazione non interessa alla nostrastoria continuiamo con il racconto.“Davvero mi morderesti? Sai chepaura mi fai micetto. Vai, vai a chiamarela mamma micetto” e la bandadei piccoli malviventi si mise a sghignazzare.“lo sono un cane femmina,non sono un micio e non ho bisogno diandare a chiamare la mamma mi sodifendere da sola” ed appena terminatodi parlare si avventò sulle cavigliedi Giorgione morsicando lo ferocementecon i suoi piccoli ma aguzzidentini. “Mi hai fatto male stupidomicio” urlò il malcapitato alzando ilpiede per sferrare un calcio. Simoneperò, vedendo l‛amica in pericolo,accorse in suo aiuto afferrandoil braccio del gradasso e dicendo glisenza neppure balbettare una volta:“Lascia stare Minny e poi dovetesmetterla di continuare a minacciarci.Siamo stanchi di voi e delle vostreangherie quindi, se verrete ancoraqui, vi denunceremo alla polizia”.Rimasero tutti senza parole per ilcoraggio del piccolo balbuziente manessuno dei suoi compagni si schieròal suo fianco. Simone si ritrovò quindisolo, in mezzo ai ragazzi più grandi,che intanto stringevano il cerchio attornoa lui ma il ragazzino non accennòad abbassare la testa in segno diresa, era stanco di subire vessazionie non voleva che ferissero quella piccolacagnolina che da qualche giornoveniva a trovarlo nel giardino dellascuola per giocare con lui, le volevacosì bene che non gli importava diessere picchiato.Vide il pugno di Giorgione alzarsi,prendere di mira la sua bocca quandosi sentì l‛abbaiare inferocito di Minny.<strong>Il</strong> ragazzo si fermò con il pugnoa mezz‛aria e, di nuovo, guardò versoil basso fissando la cagnolina negliocchi. “Mi hai proprio rotto hai capito?Prima picchio lui poi ti strapperòquelle ridicole orecchie. Ti avevodetto di andare a chiamare la mammaper farti proteggere, stupido micio”.“lo sono un cane ed ho obbedito.Sono andata a chiamare la mamma edinsieme a lei è venuto anche il miopapà ed i miei quattro fratelli. Seicontento adesso?”“Certo che lo sono così potrò strapparele orecchie a tutta la tua famiglia.Avete sentito, sono venutialtri sei micetti con cui divertirsi?Che cosa avete? Perché avete quell‛espressione?Sembrate impauriti,non ditemi che avete paura di cagnolinipiccoli come questa”.“No” risposero i suoi amici “non diquelli piccoli come lei ma abbiamoinvece molta paura di quelli grandicome loro”.Giorgione si voltò e vide dapprima lapiccola Minny in prima fila e poi, subitodietro di lei, scorse sei, grossi,arrabbiatissimi, mastini napoletani.Parlò il padre mentre un filo di bavagli scendeva dalla bocca, teneva gliocchi socchiusi e non muoveva unsolo muscolo del suo possente corpo,tutto faceva capire che era furente:“Tu, piccolo essere umano insignificante,hai dato un calcio alla miapiccola bambina e questo non possosopportarlo. Hai poi minacciato piùvolte il suo amico e non riesco a sopportareneppure questo. Sei abituatoa fare il bullo perché sei grande egrosso, bene ora prova a prendertelacon me, prova a strapparmi le orecchie.Vieni ti aspetto”.<strong>Il</strong> papà mastino parlava con calmasenza togliere gli occhi di dosso aGiorgione, la mamma mastino guardavala sua piccolina con gli occhiche esprimevano solo amore mentrei quattro fratelli mastini si erano posizionatial fianco del padre. Era unospettacolo agghiacciante.Giorgione, con la gola secca ed il terrorenegli occhi, iniziò a piagnucolareed “a balbettare: “lo non sapevo,scusa non sapevo che questa piccolinafosse tua figlia è così diversa date, da voi”.“Minny era orfana ed è stata adottatada noi. Non sarà un mastino napoletano,è vero, ma è nostra figlia enoi non vogliamo che le venga fattodel male e non vogliamo neppure chevenga fatto del male a chi non è ingrado di difendersi. E‛ da vigliacchiprendersela con quelli più piccoli dinoi.Hanno avuto più coraggio di te la miapiccola cuccioletta ed il suo amicoche non tutti voi messi insieme. Oraandatevene subito da qui e non fatevipiù vedere altrimenti .... altrimentici arrabbiamo”.Giorgione ed i suoi amici scapparonoa gambe levate e non tornarono piùcosì che i piccoli scolari vissero finalmenteun periodo di pace protettida una scorta canina terribilmentegrossa ed agguerrita.Minny e Simone con il loro coraggioed il loro affetto sono riuscitia sconfiggere la sopraffazione e laviltà, sì anche la viltà perché non civuole molto coraggio a fare del malea persone deboli come, ad esempio,bambini, anziani o ammalati ma cene vuole molto invece per guardarein faccia il nemico senza abbassarela testa e dire NO a chi ci molesta,sicuramente però sarebbe molto piùfacile se una banda di mastini napoletani,piemontesi o altro ci spalleggiasse,non è vero?Mariuccia PinelliPREGHIEREsemi diSPERANZAVIVENDO LA TUA ADORAZIONEMio Signore e mio Dio,Cristo onnipotente,purifi ca i miei occhiaffi nchè io possa vederee riconoscere la tua vita.Oggi e sempre sta all’inizio di tuttocosì come la tua parola eterna. Tusei presente e visibile nella creazionecome nella nostra redenzione.Gloria a Dio.Consolida in me la tua graziae il coraggio di appartenerti,vivendo sempre la tua adorazionee la tua presenza, nel rispettoe nell’amore dell’uomo integrale.Debbo farmi prossimo, nel suocorpo malato con la sua animapiagata.Dammi la forza di restare accantoa luiQuando c’è la disperazioneo l’agghiacciante solitudine.Fammi restare accanto a lui,tua immagine e somiglianzà.Testimonianza della tua epifania.


10Giovanna, ventitreenne maestramestrina che in Madagascarha aperto una casa per23 bambini di carceratiHo costruito un pozzo in giardino anchese in casa abbiamo l’acqua correnteperché i bambini imparino adusarlo per il loro futuro: quando ungiorno ritorneranno nelle loro famiglieo quando avranno una casa tuttaloro non potranno avere l’acquacorrente e dovranno sapersi adeguare.Lo stesso vale per l’educazionea fare le pulizie, a coltivare l’orto, acurare gli animali: sto offrendo a deibambini che vivevano per strada lapossibilità di vivere come personenormali.! ma secondo la normalitàdel Madagascar, non la nostra. Seabituassi questi bambini a tutte lecomodità occidentali invece che aiutarlifarei più danni.Giovanna Varisco è rientrata in Italiaper alcune settimane ed è tutta intentaa fare calcoli e conti e conversionidall’ euro all’ariary (la monetamalgascia) per il progetto di casache, con l’aiuto di numerose personedella città, sta realizzando ad Ambositra,la cittadina nel cuore del Madagascarin cui lei, mestrina, vive con i“suoi” 23 bambini figli di carcerati eche senza il suo aiuto si troverebberoper la strada.Giovanna, missionaria laica<strong>Il</strong> suo volto non è solo abbronzato,ma luminoso: Giovanna ha una grinta,un entusiasmo e una determinazionedavvero rara per una ragazzadi 23 anni. Al collo porta un visibilecrocifisso, tanto che qualcuno inMadagascar la chiama “suora”, mala sua è una vocazione missionarialaica: «Nella realtà diocesana localeracconta l’associazione che abbiamofondato insieme ad altri dueamici malgasci è riconosciuta comeesempio di impegno dei laici per lofatto che la Chiesa, constatando allaprova dei fatti, delle anomalie o dellecarenze sostanziali alla vita coniugaledi una coppia, dichiari che il matrimonioera stato un fatto solamenteformale e quindi lo dichiari nullo. Nonsono affatto d’accordo e continuo asperare e pregare per un ripensamentodella Chiesa sulle modalità, sui parametridel giudizio, sui costi e sullalunghezza dell’inchiesta giudiziaria.Avrei bisogno di un libro per una argomentazioneadeguata, mi limitosolamente ad una immagine. La casa,che ha avuto licenza edilizia e collaudostatico, se crolla, a meno cheil proprietario non abbia messo delladinamite per farla saltare, significache essa era carente di elementiessenziali. Se un matrimonio falliscesignifica che mancavano i presuppostiperché potesse reggere, e nove voltesu dieci dovrebbe essere dichiaratonullo senza tanti discorsi inutili!TESTIMONIANZA DI CRISTIANIDELLA DIOCESI DI VENEZIAI NOSTRI CAMPIONI E LE NOSTRE VITTORIEGIOVANNA VARISCOsviluppo di quella terra. Ed è l’unica.I malgasci sono abituati a vederepreti e suore fare i missionari e in uncerto senso sono abituati a lasciareche siano loro a prendersi cura deipoveri, a occuparsi dei problemi.Noi tre invece, che siamo tre giovanilaici, siamo un esempio fuori dalcoro. lo non faccio la missionaria insenso stretto, cioè non mi occupo dievangelizzazione o di battesimi, main molti mi dicono che attraverso lamia testimonianza hanno incontratoGesù, e questa è la cosa più bellaper me».Come spenderà i soldi raccolti.Galline, conigli, capre, cemento, mattonie legno: nella lista che sta compilandoper spiegare come verrannospesi i soldi che il Gruppo Amici delleMissioni del Duomo di S. Lorenzosta raccogliendo con il progetto “Nelcantiere di Giovanna”, Giovanna haelencato delle cose che saranno utiliper la costruzione di una nuovacasa (attualmente è in affitto) e perl’avvio di una serie di attività semplicicome l’allevamento di animalie la coltivazione della terra, che leista intelligentemente insegnando aibambini di cui si occupa. Anche partedel ricavato dello spettacolo “Danzaper le Missioni” che si terrà domenica8 giugno al Teatro Toniolo andrà asostegno delle sue attività e dei suoibambini: «Erano bambini - spiegaGiovanna - che non potevano andarea scuola perché figli di uomini o <strong>don</strong>necarcerati e quindi discriminati datutti. Li ho incontrati per le strade diAmbositra mentre rubavano al mercatoper sfamare i genitori in carcere.Ora vanno a scuola e vivono insiemea me in questa casa-famiglia».Offrire un futuro ai figli dei carcerati.Giovanna si preoccupa del loro presentema anche del loro futuro:«Ognuno ha dei compiti», spiega.«Al mattino ci svegliamo tutti moltopresto (alle 4.30!) e i più grandi,che hanno al massimo 14 anni, si occupanodei più piccoli per aiutarli alavarsi e a vestirsi; nel frattempo iopreparo la colazione. Poi, a turni, ungruppetto si occupa delle pulizie dellacasa, un altro degli animali, un altroancora dell’ orto, e solo poi andiamoa scuola. Sono bambini consapevolidi essere in situazione di difficoltà edi venire aiutati.Ogni giorno preghiamo insieme il rosarioe ricordiamo i nostri amici inItalia che ci aiutano».Obiettivo autonomia.La costruzione della casa è un sognoche si sta realizzando: gli operai sonogià al lavoro e molti di questi sonogli stessi genitori dei bambini che dalcarcere vengono in aiuto alla costruzionedella casa per i loro figli.IL REGALO ALLA SPOSA<strong>Il</strong> dottor Florio, giudice in pensionedel tribunale dei minori di Venezia,ha offerto 500 euro con questamotivazione: “Ero solito in occasionedella festa di S.Chiara, fareun regalo a mia moglie che portaquesto nome. Ora mia moglie èin Cielo, ma voglio continuare adoffrirle un segno del mio affettoe perciò le metto a disposizioneil corrispondente (500 euro) percompiere un’opera di bene


L’incontro 11Ma Giovanna ha un sogno ancora piùambizioso: «Vorrei riuscire - dice - arendere la struttura del tutto autonomada aiuti esterni perché il Madagascarnon si solleverà mai se nonsupera l’atteggiamento servile e didipendenza che mantiene nei confrontidell’uomo bianco. lo stessa avolte vengo chiamata “padrona” perchéi bianchi hanno questa immaginee questo ruolo ancora oggi, anche seufficialmente il colonialismo non c’èPer fortuna sono arrivate nella nostracittà badanti dai paesi dell’Est per curarei nostri vecchi, poi i muratori rumeniper costruire le nostre case, quindile infermiere dall’America latina peraccudire i nostri ammalati, poi i negridell’Africa per la raccolta dei pomodori,dell’uva e della frutta, ora arrivano iseminaristi e i preti dal mondo interoper per<strong>don</strong>are la nostra ignominia, lamollezza di spirito di sacrifi cio e pergestire le nostre parrocchie. Pubblichiamoqualche storia che prendiamodal periodico del seminario e che descrivel’origine e la vita dei seminaristiche si preparano a diventare i sacerdotidelle nostre parrocchie.La prima storia è quella di GianlucaFeso, un giovane architetto che s’èformato in seno a Comunione e Liberazione,l’associazione di <strong>don</strong> Giussaniche ancora molti preti e molti cristianiimpegnati guardano con sospetto esuffi cienza.IO VENGO DA COMUNIONE E LIBERA-ZIONE“Non alla pietra tocca fi ssare il suoposto, ma al maestro dell’opera chel’ha scelta” (Paul Claudel, L’Annuncioa Maria, Prologo). Chi mi conosce sache questa frase che Claudel fa dire alcostruttore di cattedrali Pietro di Craon- mi ha accompagnato dal primo giornoche sono arrivato in laguna. Ognitentativo di raccontare di me sarebbeinfatti incompleto se non partissi da unfatto. <strong>Il</strong> cristianesimo - posso dire col“senno di poi” -mi ha “toccato” proprioil giorno del mio ingresso in universitàa Venezia nel settembre 1999; quandomi sono iscritto alla facoltà di Architettura.Lo strumento di quest’opera, occorreprecisare, è stato molto modesto: unbanco di scuola nel chiostro dei Tolentini,cioè i “banchetti” attraverso cui iragazzi del CLU (Comunione e LiberazioneUniversitari) ogni anno, duranteil periodo delle iscrizioni, accolgono lematricole per farle sentire un po’ più “acasa”. In effetti, avevo bisogno propriodi questa “casa” ma nel senso fi sicopiù da una quarantina d’anni. Sonosicura che la situazione comincerà ,acambiare solo se i malgasci si sentirannoloro stessi padroni della loroterra».E conclude: «Alcuni, tra i bambinipiù grandi che vivono con me, hannoespresso il desiderio di proseguireun giorno la mia attività».Francesca Bellemo(riportato da “Gente veneta”il settimanale della diocesi di Venezia)LA STORIA DI UN SEMINARISTA CHE SI PREPARAA DIVENTARE PRETE NELLA NOSTRA DIOCESIdel termine. Dal banchetto davano tuttele indicazioni necessarie, ma anchegiudizi utili su molte altre cose. Si potrebbedire che si rimaneva presi dentroun’unità di vita.Da quel sì - detto alla proposta di andarea vivere in uno degli appartamentia Rialto, abitato da alcuni ragazzi diquel gruppo - è iniziato un camminodi amicizia e di approfondimento dellafede nella riscoperta della gioia divivere.Non è possibile saltare l’aspetto squisitamenteumano dello stile di vita chemi veniva proposto da quel gruppo diamici sempre lieti, evidentemente colpitida quel qualcosa” che rendeva instancabileil loro movimento: studiareinsieme, mangiare insieme, giocareinsieme, imparare a pregare insiemee addirittura andare in vacanza insieme.Tutto era vissuto con una libertàed una naturalezza disarmante. Unmodo talmente affascinante di viverela vita da rendere interessante ancheuna semplice gita in montagna. E viassicuro che appassionare un siciliano,tendenzialmente fatalista, non èimpresa facile!Pertanto, come lo studio in quegli annidiventava un momento per approfondirela mia passione per l’architetturacosì, tutto, dai bisogni più elementaridella casa a quelli più complessidella vita, era reso interessante dallapossibilità di imparare un metodo dachi l’aveva già appreso: gli amici piùgrandi. Questo modo bello di vivere laquotidianità prendeva dentro anche ildesiderio crescente di poter “vivere”l’università: seguire tutte le lezioni,studiare in biblioteca, partecipare allavita istituzionale, scrivere gli articoliper i giornalini universitari, invitare igrandi architetti di cui ero appassionatoa parlare della loro esperienza.Si potrebbe dire che da un incontrocristiano nasceva un’instancabile operositànel quotidiano.Tutto diventava opportunità di rapporto,di crescita in amicizia con le personeche incontravo.Dopo la laurea - conseguita col massimodei voti - nell’ottobre 2005, hoavuto la fortuna di iniziare a lavoraresubito dopo aver fatto l’esame di abilitazioneprofessionale di architetto.Ho cominciato in uno studio di due architettiche avevo conosciuto propriodurante un corso d’inglese al <strong>Centro</strong>linguistico di Ca’ Foscari presso SantaMaria Mater Domini.In quel periodo ho intuito che era arrivatoil momento di iniziare a verifi carese il desiderio di dedicarmi a Dio potevaessere veramente la mia strada. E’stato così che, dopo aver parlato con iresponsabili della mia comunità di Comunionee Liberazione - del Movimento- nel febbraio 2006 sono arrivato al“gruppo super segreto” (come lo chiamanoi miei amici seminaristi), il gruppodi verifi ca vocazionale diocesano.Da quel momento, fi no al mio ingressoin Seminario, ho continuato a lavorarein quello studio di architetti.<strong>Il</strong> lavoro e le amicizie che si dilatavanoscandivano le mie giornate conun’intensità crescente. Tra l’altro, hocominciato a frequentare la “Scuola diComunità” - una vera “scuola” che haaiutato a formare in me una più chiaracoscienza della natura del fatto cristianotutti i mercoledì alle 19-45 in patronatoa San Salvador.I nuovi amici lavoratori - Filippo, Silvia,Francesco, Stefania e tutti gli altri- con i quali ho cominciato a vivere unlegame più stretto all’interno della Fraternità, una fraternità di amici - hannoavuto un ruolo determinante per lapossibilità di paragone e di condivisionedelle gioie e delle fatiche, per l’aiutoconcreto nella quotidianità.Per riassumere un intero anno di verifica, fatto di continua adesione aisegni che la realtà ha via via svelatoe che mi hanno portato a chiedere dipoter entrare in Seminario - il cui raccontolascerei ad un successivo arti-


12colo, userei soltanto un’altra frase diClaudel, un “pendant” della citazioneiniziale. <strong>Il</strong> coraggioso Anna Vercorsusa questa sequenza di domande persintetizzare un’evidenza che non erastato capace di cogliere e che ha vistonella vita della fi glia perduta: “E chevale la vita se non per essere data?E perché tormentarsi quando è cosìsemplice obbedire?” (Paul Claudel,L’Annuncio a Maria, Atto IV, scena V).Gianluca Faso<strong>Il</strong> quinto VANGELO<strong>Il</strong> Vangelo viene completato ogni giorno ed in ogni terra mediante le vite e leopere degli uomini migliori, ed in linea con la proposta di GesùUN MIRACOLO DEL PROF. RAMAGesù, al tempo della sua vitaterrena guariva direttamente gliammalati che ricorrevano a Lui.Oggi non è che non li faccia più imiracoli, ma si serve di professionistiseri, preparati, disinteressatie con spirito di sacrificioe di generosità. Vi presentiamouno dei seimila miracoli che Cristoha fatto a Mestre medianteil suo discepolo prof. GiovanniRama.UN “MIRACOLO” DEL PROF. RAMANicolino Ambrosiani direttore di bancadi Roma, non riusciva più a firmarei documenti, ed era già diretto a Barcellona.«Entravo nello studio di Rama, esenza neanche sentirlo parlare avevogià deciso: mi sarei fatto operareda lui. E dire che la visita - raccontaoggi Nicolino, a distanza di vent’anni- non durò più di 5 minuti». Mai lasciarsiingannare dai nomi. NicolinoAmbrosini, uomo di bella presenzae di robusta statura, 58 anni, nato aPescara e romano d’adozione, era ancheallora uno stimato professionistacon una vita molto attiva e densa diresponsabilità, direttore di un istitutodi credito. «Scoprii il mio stato disalute casualmente, accompagnandomia moglie ad una visita». Fu lì chescoprì la propria malattia: «Cheratocono?Ma che significava? Pian pianomi sono acculturato - continua Nicolino- ho deciso di capire di che cosasi trattasse. Avevo deciso di andaread operarmi a Barcellona, sennonchémio fratello anestesista mi telefonòdicendo che diversi pazienti eranoandati a Mestre.Avevo fatto tante visite a Roma, manon mi sentivo tranquillo. <strong>Il</strong> 13 dicembredell’87, il giorno di Santa Lucia,venni qui a Mestre per la primavolta».Fu proprio quello il giorno dell’incontrocon il prof. Giovanni Rama. «Lovidi, e mi ispirò subito fiducia. Sintetico,mi spiegò tecnicamente l’intervento,e poi conobbi una signora“molto antipatica”...» racconta Nicolinoridendo e strizzando l’occhio aLucia Trevisiol, infermiera caporepartoe “angelo custode” di moltissimipazienti che in quegli anni si affidavanoalle mani del professore.«Avevo un cheratocono fulminante infase perforante, continuavo a fare ilmio lavoro, ma non riuscivo più a firmarei documenti.<strong>Il</strong> mio stato di salute peggiorava dimolto e molto in fretta. <strong>Il</strong> 1° maggiodell’89 Lucia mi chiamò al telefono».<strong>Il</strong> giorno della Festa dei Lavoratorinon pareva una data delle più rassicurantiper sottoporsi ad un interventochirurgico: «Non ci avrei sperato.Quando sono arrivato in reparto diprimo acchito mi sono chiesto: masono davvero in Italia? Arrivai e fecitutta la parte clinica: analisi, torace,tutto quello che serviva. Due oredopo ero pronto per entrare in sala».Fu un disguido a far rimandare l’interventoal giorno dopo: «Lasciaronoche mia moglie, quella notte, dormissein camera con me. Quando sono arrivatoqui a Mestre non vedevo nulla,avevo una lacrimazione forte. Mi operaronoe poi mi tennero a letto pertre o quattro giorni. Quel ricovero,tuttavia, mi sembrò quasi un day hospital».<strong>Il</strong>trapianto andò a buon fine.Due anni dopo, fu la volta dell’altroocchio.<strong>Il</strong> percorso del signor Ambrosini perònon finì lì. <strong>Il</strong> suo fu uno dei casi, inrealtà piuttosto rari, in cui si presentòda una parte l’opacizzazione deltessuto cornea le, e dall’altra il rigetto.L’ultimo intervento di Nicolinorisale infatti appena al maggio delloscorso anno.«Ma quello che mi resta dentro, nonostantetutto, è la sensazione di ritornarea vedere.lo debbo dire grazie a questa struttura,a Lucia, e al prof. Rama.La preghierina della sera la facciosempre per coloro che hanno <strong>don</strong>ato.Vivo ancora a Roma, ma appenac’è un problema piglio e vengo a Mestre».«Con Rama, questo posto mi ha ridatola vista» dice oggi Nicolino, guardandosiattorno nel reparto di oculisticadi Mestre. «Questa è diventata la miaseconda casa».“IL SAMARITANO“ E GLI ALTRI!Tutticonoscono il sogno el’impegno della FondazioneCarpinetum di creare vicinoal nuovo “ospedale dell’Angelo”una struttura di una trentina distanze, con sala soggiorno, salada pranzo, lavanderia, parcheggioecc… per ospitare i familiari provenientida regioni lontane e peroffrire ospitalità ad ammalati, chepur dimessi abbiano bisogno di rimanerea Mestre per ulteriori terapiee visite.Tutto era stato definito: il comunemediante l’Ive era disposto a darcicinquemila metri di terreno in convenzionel’assessore all’urbanisticaaveva assicurato il suo consenso esoprattutto il Sindaco era convintoad appoggiare decisamente lastruttura di cui sono forniti i principaliospedali dell’alta Italia.Sennonché il dottor Padovan, direttoredella Ulss 12 è intervenutoimprovvisamente chiedendo al sindacodi acquistare l’intera area vicinaall’ospedale per realizzare unprogetto unitario che tenga contodi tutte le esigenze connesse allastruttura ospedaliera. Per ottenereil consenso del sindaco e della Regiones’è impegnato di costruire luistesso la struttura di accoglienza edi affidarne la gestione alla nostraFondazione a costo zero perchéesso potesse mettere in atto l’iniziativaumanitaria.<strong>Il</strong> dottor Padovan affermava che luiera in grado di far prima di quantonon saremmo stati capaci di farnoi. Scrissi una prima volta al dottorPadovan perché non ci fosseropoi equivoci di sorta. Non ricevettirisposta. Gli telefonai per saperecome stessero andando avanti lecose perché qualche articolo sullastampa cittadina dava quasiper fatta la struttura. Mi risposealla Garibaldi “Stiamo lavorando”.Chiesi ad un amico di fare una verifica,e costui mi rassicurò che l’iterstava facendo il suo corso.Ora l’Umberto 1° e definitivamentechiuso e l’ospedale dell’Angeloaperto, ci auguriamo quindi chequanto prima si apra il cantiere per“<strong>Il</strong> Samaritano”. La nostra iniziativa,però, apprendiamo che è giàsuperata dalla vicina Padova ovenon solo si da ospitalità ai familiariche giungono da lontano, ma siorganizzano perfino i “Viaggi dellasperanza”.La nostra città e la nostra Chiesasono ancora una volta “gli ultimi”della classe. Triste primato!La Redazione

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