10Giovanna, ventitreenne maestramestrina che in Madagascarha aperto una casa per23 bambini di carceratiHo costruito un pozzo in giardino anchese in casa abbiamo l’acqua correnteperché i bambini imparino adusarlo per il loro futuro: quando ungiorno ritorneranno nelle loro famiglieo quando avranno una casa tuttaloro non potranno avere l’acquacorrente e dovranno sapersi adeguare.Lo stesso vale per l’educazionea fare le pulizie, a coltivare l’orto, acurare gli animali: sto offrendo a deibambini che vivevano per strada lapossibilità di vivere come personenormali.! ma secondo la normalitàdel Madagascar, non la nostra. Seabituassi questi bambini a tutte lecomodità occidentali invece che aiutarlifarei più danni.Giovanna Varisco è rientrata in Italiaper alcune settimane ed è tutta intentaa fare calcoli e conti e conversionidall’ euro all’ariary (la monetamalgascia) per il progetto di casache, con l’aiuto di numerose personedella città, sta realizzando ad Ambositra,la cittadina nel cuore del Madagascarin cui lei, mestrina, vive con i“suoi” 23 bambini figli di carcerati eche senza il suo aiuto si troverebberoper la strada.Giovanna, missionaria laica<strong>Il</strong> suo volto non è solo abbronzato,ma luminoso: Giovanna ha una grinta,un entusiasmo e una determinazionedavvero rara per una ragazzadi 23 anni. Al collo porta un visibilecrocifisso, tanto che qualcuno inMadagascar la chiama “suora”, mala sua è una vocazione missionarialaica: «Nella realtà diocesana localeracconta l’associazione che abbiamofondato insieme ad altri dueamici malgasci è riconosciuta comeesempio di impegno dei laici per lofatto che la Chiesa, constatando allaprova dei fatti, delle anomalie o dellecarenze sostanziali alla vita coniugaledi una coppia, dichiari che il matrimonioera stato un fatto solamenteformale e quindi lo dichiari nullo. Nonsono affatto d’accordo e continuo asperare e pregare per un ripensamentodella Chiesa sulle modalità, sui parametridel giudizio, sui costi e sullalunghezza dell’inchiesta giudiziaria.Avrei bisogno di un libro per una argomentazioneadeguata, mi limitosolamente ad una immagine. La casa,che ha avuto licenza edilizia e collaudostatico, se crolla, a meno cheil proprietario non abbia messo delladinamite per farla saltare, significache essa era carente di elementiessenziali. Se un matrimonio falliscesignifica che mancavano i presuppostiperché potesse reggere, e nove voltesu dieci dovrebbe essere dichiaratonullo senza tanti discorsi inutili!TESTIMONIANZA DI CRISTIANIDELLA DIOCESI DI VENEZIAI NOSTRI CAMPIONI E LE NOSTRE VITTORIEGIOVANNA VARISCOsviluppo di quella terra. Ed è l’unica.I malgasci sono abituati a vederepreti e suore fare i missionari e in uncerto senso sono abituati a lasciareche siano loro a prendersi cura deipoveri, a occuparsi dei problemi.Noi tre invece, che siamo tre giovanilaici, siamo un esempio fuori dalcoro. lo non faccio la missionaria insenso stretto, cioè non mi occupo dievangelizzazione o di battesimi, main molti mi dicono che attraverso lamia testimonianza hanno incontratoGesù, e questa è la cosa più bellaper me».Come spenderà i soldi raccolti.Galline, conigli, capre, cemento, mattonie legno: nella lista che sta compilandoper spiegare come verrannospesi i soldi che il Gruppo Amici delleMissioni del Duomo di S. Lorenzosta raccogliendo con il progetto “Nelcantiere di Giovanna”, Giovanna haelencato delle cose che saranno utiliper la costruzione di una nuovacasa (attualmente è in affitto) e perl’avvio di una serie di attività semplicicome l’allevamento di animalie la coltivazione della terra, che leista intelligentemente insegnando aibambini di cui si occupa. Anche partedel ricavato dello spettacolo “Danzaper le Missioni” che si terrà domenica8 giugno al Teatro Toniolo andrà asostegno delle sue attività e dei suoibambini: «Erano bambini - spiegaGiovanna - che non potevano andarea scuola perché figli di uomini o <strong>don</strong>necarcerati e quindi discriminati datutti. Li ho incontrati per le strade diAmbositra mentre rubavano al mercatoper sfamare i genitori in carcere.Ora vanno a scuola e vivono insiemea me in questa casa-famiglia».Offrire un futuro ai figli dei carcerati.Giovanna si preoccupa del loro presentema anche del loro futuro:«Ognuno ha dei compiti», spiega.«Al mattino ci svegliamo tutti moltopresto (alle 4.30!) e i più grandi,che hanno al massimo 14 anni, si occupanodei più piccoli per aiutarli alavarsi e a vestirsi; nel frattempo iopreparo la colazione. Poi, a turni, ungruppetto si occupa delle pulizie dellacasa, un altro degli animali, un altroancora dell’ orto, e solo poi andiamoa scuola. Sono bambini consapevolidi essere in situazione di difficoltà edi venire aiutati.Ogni giorno preghiamo insieme il rosarioe ricordiamo i nostri amici inItalia che ci aiutano».Obiettivo autonomia.La costruzione della casa è un sognoche si sta realizzando: gli operai sonogià al lavoro e molti di questi sonogli stessi genitori dei bambini che dalcarcere vengono in aiuto alla costruzionedella casa per i loro figli.IL REGALO ALLA SPOSA<strong>Il</strong> dottor Florio, giudice in pensionedel tribunale dei minori di Venezia,ha offerto 500 euro con questamotivazione: “Ero solito in occasionedella festa di S.Chiara, fareun regalo a mia moglie che portaquesto nome. Ora mia moglie èin Cielo, ma voglio continuare adoffrirle un segno del mio affettoe perciò le metto a disposizioneil corrispondente (500 euro) percompiere un’opera di bene
L’incontro 11Ma Giovanna ha un sogno ancora piùambizioso: «Vorrei riuscire - dice - arendere la struttura del tutto autonomada aiuti esterni perché il Madagascarnon si solleverà mai se nonsupera l’atteggiamento servile e didipendenza che mantiene nei confrontidell’uomo bianco. lo stessa avolte vengo chiamata “padrona” perchéi bianchi hanno questa immaginee questo ruolo ancora oggi, anche seufficialmente il colonialismo non c’èPer fortuna sono arrivate nella nostracittà badanti dai paesi dell’Est per curarei nostri vecchi, poi i muratori rumeniper costruire le nostre case, quindile infermiere dall’America latina peraccudire i nostri ammalati, poi i negridell’Africa per la raccolta dei pomodori,dell’uva e della frutta, ora arrivano iseminaristi e i preti dal mondo interoper per<strong>don</strong>are la nostra ignominia, lamollezza di spirito di sacrifi cio e pergestire le nostre parrocchie. Pubblichiamoqualche storia che prendiamodal periodico del seminario e che descrivel’origine e la vita dei seminaristiche si preparano a diventare i sacerdotidelle nostre parrocchie.La prima storia è quella di GianlucaFeso, un giovane architetto che s’èformato in seno a Comunione e Liberazione,l’associazione di <strong>don</strong> Giussaniche ancora molti preti e molti cristianiimpegnati guardano con sospetto esuffi cienza.IO VENGO DA COMUNIONE E LIBERA-ZIONE“Non alla pietra tocca fi ssare il suoposto, ma al maestro dell’opera chel’ha scelta” (Paul Claudel, L’Annuncioa Maria, Prologo). Chi mi conosce sache questa frase che Claudel fa dire alcostruttore di cattedrali Pietro di Craon- mi ha accompagnato dal primo giornoche sono arrivato in laguna. Ognitentativo di raccontare di me sarebbeinfatti incompleto se non partissi da unfatto. <strong>Il</strong> cristianesimo - posso dire col“senno di poi” -mi ha “toccato” proprioil giorno del mio ingresso in universitàa Venezia nel settembre 1999; quandomi sono iscritto alla facoltà di Architettura.Lo strumento di quest’opera, occorreprecisare, è stato molto modesto: unbanco di scuola nel chiostro dei Tolentini,cioè i “banchetti” attraverso cui iragazzi del CLU (Comunione e LiberazioneUniversitari) ogni anno, duranteil periodo delle iscrizioni, accolgono lematricole per farle sentire un po’ più “acasa”. In effetti, avevo bisogno propriodi questa “casa” ma nel senso fi sicopiù da una quarantina d’anni. Sonosicura che la situazione comincerà ,acambiare solo se i malgasci si sentirannoloro stessi padroni della loroterra».E conclude: «Alcuni, tra i bambinipiù grandi che vivono con me, hannoespresso il desiderio di proseguireun giorno la mia attività».Francesca Bellemo(riportato da “Gente veneta”il settimanale della diocesi di Venezia)LA STORIA DI UN SEMINARISTA CHE SI PREPARAA DIVENTARE PRETE NELLA NOSTRA DIOCESIdel termine. Dal banchetto davano tuttele indicazioni necessarie, ma anchegiudizi utili su molte altre cose. Si potrebbedire che si rimaneva presi dentroun’unità di vita.Da quel sì - detto alla proposta di andarea vivere in uno degli appartamentia Rialto, abitato da alcuni ragazzi diquel gruppo - è iniziato un camminodi amicizia e di approfondimento dellafede nella riscoperta della gioia divivere.Non è possibile saltare l’aspetto squisitamenteumano dello stile di vita chemi veniva proposto da quel gruppo diamici sempre lieti, evidentemente colpitida quel qualcosa” che rendeva instancabileil loro movimento: studiareinsieme, mangiare insieme, giocareinsieme, imparare a pregare insiemee addirittura andare in vacanza insieme.Tutto era vissuto con una libertàed una naturalezza disarmante. Unmodo talmente affascinante di viverela vita da rendere interessante ancheuna semplice gita in montagna. E viassicuro che appassionare un siciliano,tendenzialmente fatalista, non èimpresa facile!Pertanto, come lo studio in quegli annidiventava un momento per approfondirela mia passione per l’architetturacosì, tutto, dai bisogni più elementaridella casa a quelli più complessidella vita, era reso interessante dallapossibilità di imparare un metodo dachi l’aveva già appreso: gli amici piùgrandi. Questo modo bello di vivere laquotidianità prendeva dentro anche ildesiderio crescente di poter “vivere”l’università: seguire tutte le lezioni,studiare in biblioteca, partecipare allavita istituzionale, scrivere gli articoliper i giornalini universitari, invitare igrandi architetti di cui ero appassionatoa parlare della loro esperienza.Si potrebbe dire che da un incontrocristiano nasceva un’instancabile operositànel quotidiano.Tutto diventava opportunità di rapporto,di crescita in amicizia con le personeche incontravo.Dopo la laurea - conseguita col massimodei voti - nell’ottobre 2005, hoavuto la fortuna di iniziare a lavoraresubito dopo aver fatto l’esame di abilitazioneprofessionale di architetto.Ho cominciato in uno studio di due architettiche avevo conosciuto propriodurante un corso d’inglese al <strong>Centro</strong>linguistico di Ca’ Foscari presso SantaMaria Mater Domini.In quel periodo ho intuito che era arrivatoil momento di iniziare a verifi carese il desiderio di dedicarmi a Dio potevaessere veramente la mia strada. E’stato così che, dopo aver parlato con iresponsabili della mia comunità di Comunionee Liberazione - del Movimento- nel febbraio 2006 sono arrivato al“gruppo super segreto” (come lo chiamanoi miei amici seminaristi), il gruppodi verifi ca vocazionale diocesano.Da quel momento, fi no al mio ingressoin Seminario, ho continuato a lavorarein quello studio di architetti.<strong>Il</strong> lavoro e le amicizie che si dilatavanoscandivano le mie giornate conun’intensità crescente. Tra l’altro, hocominciato a frequentare la “Scuola diComunità” - una vera “scuola” che haaiutato a formare in me una più chiaracoscienza della natura del fatto cristianotutti i mercoledì alle 19-45 in patronatoa San Salvador.I nuovi amici lavoratori - Filippo, Silvia,Francesco, Stefania e tutti gli altri- con i quali ho cominciato a vivere unlegame più stretto all’interno della Fraternità, una fraternità di amici - hannoavuto un ruolo determinante per lapossibilità di paragone e di condivisionedelle gioie e delle fatiche, per l’aiutoconcreto nella quotidianità.Per riassumere un intero anno di verifica, fatto di continua adesione aisegni che la realtà ha via via svelatoe che mi hanno portato a chiedere dipoter entrare in Seminario - il cui raccontolascerei ad un successivo arti-