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31 agosto 2008 - Il Centro don Vecchi

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L’incontro 11Ma Giovanna ha un sogno ancora piùambizioso: «Vorrei riuscire - dice - arendere la struttura del tutto autonomada aiuti esterni perché il Madagascarnon si solleverà mai se nonsupera l’atteggiamento servile e didipendenza che mantiene nei confrontidell’uomo bianco. lo stessa avolte vengo chiamata “padrona” perchéi bianchi hanno questa immaginee questo ruolo ancora oggi, anche seufficialmente il colonialismo non c’èPer fortuna sono arrivate nella nostracittà badanti dai paesi dell’Est per curarei nostri vecchi, poi i muratori rumeniper costruire le nostre case, quindile infermiere dall’America latina peraccudire i nostri ammalati, poi i negridell’Africa per la raccolta dei pomodori,dell’uva e della frutta, ora arrivano iseminaristi e i preti dal mondo interoper per<strong>don</strong>are la nostra ignominia, lamollezza di spirito di sacrifi cio e pergestire le nostre parrocchie. Pubblichiamoqualche storia che prendiamodal periodico del seminario e che descrivel’origine e la vita dei seminaristiche si preparano a diventare i sacerdotidelle nostre parrocchie.La prima storia è quella di GianlucaFeso, un giovane architetto che s’èformato in seno a Comunione e Liberazione,l’associazione di <strong>don</strong> Giussaniche ancora molti preti e molti cristianiimpegnati guardano con sospetto esuffi cienza.IO VENGO DA COMUNIONE E LIBERA-ZIONE“Non alla pietra tocca fi ssare il suoposto, ma al maestro dell’opera chel’ha scelta” (Paul Claudel, L’Annuncioa Maria, Prologo). Chi mi conosce sache questa frase che Claudel fa dire alcostruttore di cattedrali Pietro di Craon- mi ha accompagnato dal primo giornoche sono arrivato in laguna. Ognitentativo di raccontare di me sarebbeinfatti incompleto se non partissi da unfatto. <strong>Il</strong> cristianesimo - posso dire col“senno di poi” -mi ha “toccato” proprioil giorno del mio ingresso in universitàa Venezia nel settembre 1999; quandomi sono iscritto alla facoltà di Architettura.Lo strumento di quest’opera, occorreprecisare, è stato molto modesto: unbanco di scuola nel chiostro dei Tolentini,cioè i “banchetti” attraverso cui iragazzi del CLU (Comunione e LiberazioneUniversitari) ogni anno, duranteil periodo delle iscrizioni, accolgono lematricole per farle sentire un po’ più “acasa”. In effetti, avevo bisogno propriodi questa “casa” ma nel senso fi sicopiù da una quarantina d’anni. Sonosicura che la situazione comincerà ,acambiare solo se i malgasci si sentirannoloro stessi padroni della loroterra».E conclude: «Alcuni, tra i bambinipiù grandi che vivono con me, hannoespresso il desiderio di proseguireun giorno la mia attività».Francesca Bellemo(riportato da “Gente veneta”il settimanale della diocesi di Venezia)LA STORIA DI UN SEMINARISTA CHE SI PREPARAA DIVENTARE PRETE NELLA NOSTRA DIOCESIdel termine. Dal banchetto davano tuttele indicazioni necessarie, ma anchegiudizi utili su molte altre cose. Si potrebbedire che si rimaneva presi dentroun’unità di vita.Da quel sì - detto alla proposta di andarea vivere in uno degli appartamentia Rialto, abitato da alcuni ragazzi diquel gruppo - è iniziato un camminodi amicizia e di approfondimento dellafede nella riscoperta della gioia divivere.Non è possibile saltare l’aspetto squisitamenteumano dello stile di vita chemi veniva proposto da quel gruppo diamici sempre lieti, evidentemente colpitida quel qualcosa” che rendeva instancabileil loro movimento: studiareinsieme, mangiare insieme, giocareinsieme, imparare a pregare insiemee addirittura andare in vacanza insieme.Tutto era vissuto con una libertàed una naturalezza disarmante. Unmodo talmente affascinante di viverela vita da rendere interessante ancheuna semplice gita in montagna. E viassicuro che appassionare un siciliano,tendenzialmente fatalista, non èimpresa facile!Pertanto, come lo studio in quegli annidiventava un momento per approfondirela mia passione per l’architetturacosì, tutto, dai bisogni più elementaridella casa a quelli più complessidella vita, era reso interessante dallapossibilità di imparare un metodo dachi l’aveva già appreso: gli amici piùgrandi. Questo modo bello di vivere laquotidianità prendeva dentro anche ildesiderio crescente di poter “vivere”l’università: seguire tutte le lezioni,studiare in biblioteca, partecipare allavita istituzionale, scrivere gli articoliper i giornalini universitari, invitare igrandi architetti di cui ero appassionatoa parlare della loro esperienza.Si potrebbe dire che da un incontrocristiano nasceva un’instancabile operositànel quotidiano.Tutto diventava opportunità di rapporto,di crescita in amicizia con le personeche incontravo.Dopo la laurea - conseguita col massimodei voti - nell’ottobre 2005, hoavuto la fortuna di iniziare a lavoraresubito dopo aver fatto l’esame di abilitazioneprofessionale di architetto.Ho cominciato in uno studio di due architettiche avevo conosciuto propriodurante un corso d’inglese al <strong>Centro</strong>linguistico di Ca’ Foscari presso SantaMaria Mater Domini.In quel periodo ho intuito che era arrivatoil momento di iniziare a verifi carese il desiderio di dedicarmi a Dio potevaessere veramente la mia strada. E’stato così che, dopo aver parlato con iresponsabili della mia comunità di Comunionee Liberazione - del Movimento- nel febbraio 2006 sono arrivato al“gruppo super segreto” (come lo chiamanoi miei amici seminaristi), il gruppodi verifi ca vocazionale diocesano.Da quel momento, fi no al mio ingressoin Seminario, ho continuato a lavorarein quello studio di architetti.<strong>Il</strong> lavoro e le amicizie che si dilatavanoscandivano le mie giornate conun’intensità crescente. Tra l’altro, hocominciato a frequentare la “Scuola diComunità” - una vera “scuola” che haaiutato a formare in me una più chiaracoscienza della natura del fatto cristianotutti i mercoledì alle 19-45 in patronatoa San Salvador.I nuovi amici lavoratori - Filippo, Silvia,Francesco, Stefania e tutti gli altri- con i quali ho cominciato a vivere unlegame più stretto all’interno della Fraternità, una fraternità di amici - hannoavuto un ruolo determinante per lapossibilità di paragone e di condivisionedelle gioie e delle fatiche, per l’aiutoconcreto nella quotidianità.Per riassumere un intero anno di verifica, fatto di continua adesione aisegni che la realtà ha via via svelatoe che mi hanno portato a chiedere dipoter entrare in Seminario - il cui raccontolascerei ad un successivo arti-

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