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Page 1 GIOVAN BATTISTA PIRANESI DELLA MAGNIFICENZA ED ...

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perfezionate; e troverà essere stati senza dubbio gl’Italiani, cioè un Raffael d’Urbino, un Buonarroti, un Palladio, per accennare tre soli de’ tanti e tanti che potrei nominare. […] LXI. Quant’abbondanza d’ornamenti porta seco eziandio l’altra inconvenienza, che, dovendosene per molti in poco spazio, bisogna poi frastagliarli tutti, e ristringerli; o, se talora non piace agli artefici di così fare, bisogna venire alle innovazioni, e non poche: onde addiviene che, mentre cercasi di rendere adorna l’architettura, se ne diminuisce il decoro; vedendo bene ognuno, che le parti di essa, quanto più son grandiose, tanto più hanno del grave, per la qual cosa gli Egiziani avendo sommamente a cuore tal gravità, e volendo particolarmente che i membri d’un’opera si distinguessero tra loro, per esempio un piedistallo dal plinto soprappostogli, e dallo zoccolo che lo sostenta, come si vede nell’obelisco Vaticano, fra il plinto e ’l piedistallo fecero che sporgesse alquanto più in fuori la cornice formata da l’istesso e dell’uovolo segati per l’obbliquo. E per questo stesso parimente posero fra il piedistallo e lo zoccolo una base fatta della gola e del toro. Tal sorta di forme sembrerà forse zotica ai Greci amatori della novità, e agli architetti d’oggidì, il che io facilmente accorderei, se con sì fatte interposizioni e parti di membri si conservasse la stessa gravità che hanno avuto in vista agli Egizi […]. LXII. I Greci all’incontro coll’applicarsi agli ornamenti, alle suddivisioni delle parti, e agl’intagli, hanno atteso forse troppo ad una vana leggiadria, ma poco per altro alla gravità. Non v’è, si può dire, veruna sorta di frutici, o d’alberi, da’ quali eglino non prendano o i piccoli fusti, o le fronde, per ornamento dell’architettura: non vi son pomi, fiori, figurine d’animali, che non abbian trasportate ne’ fregi: non vi son pelli, né fasce, né qualsivoglia altra cosa suggerita dal capriccio, che non abbiano scolpito ne’ piedistalli e negli architravi: ma quantunque si prendano dalla natura, e si formino tali quali essa le produce, nientedimeno io giudico doversi riflettere se il collocarle nelle cornici, ne’ fregi e negli architravi, più naturale di quel che sia, come dice Orazio, di dipignere un cipresso in mezzo al mare, allor che si descrive un naufragio. Quanto ripugna alla natura il porre in mezzo al mare quest’albero, altrettanto tali cose ripugnano a quel che suol veramente farsi, e in conseguenza alla verità dell’architettura, e dirò ancora, al decoro. E che sia così, quando mai si è dato ch’elleno siano state realmente poste in uso nelle fabbriche? Chi mai prenderebbe ad ornar gli architravi, ed i fregi sì nelle facciate, che ne’ cortili delle case, con ghirlande intessute di pomi, e di grappoli d’uva, con delle noci, delle ghiande, delle pine, degli uccelletti, e de’ capi di buoi, quasi come in Napoli suol darsi in preda alla plebe la cuccagna, sospesa in alto sopra palchi, e adornata di rami d’alloro? So che l’uso di così fare fu introdotto da tempo antichissimo, vale a dire da che gli architetti incominciarono a ricever per legge il capriccio de’ Greci: ma s’e’ non sarebbe decoroso l’affigere agli edifizi tali cose, qualor fossero vere, come mai sarà convenevole il porvele figurate cogl’intagli? E poi che cos’è quel far venir fuori frondi e fiori, che non si sa donde abbian origine, da’ piccoli fusti, da’ quali escono mezze figurine d’uomini e d’ippogrifi ed altre mostruosità cotanto differenti dal vero, le quali né tampoco ammetteremmo doversi sopportar dipinte ne’ quadri? La Chiesa di S. Marco in Venezia, fabbricata nel secolo X dell’Era volgare, può dare un saggio copioso di tali invenzioni a chiunque v’entra a vederla, essendo adorna d’un numero quasi infinito di colonne, di capitelli, di cornici e di tavole di marmo, esistenti una volta in Grecia; dalle quali può facilmente desumersi quanto sia stato irregolare l’ingegno de’ Greci nell’architettura, essendosi eglino presa a poco a poco la libertà di farvi tutto quel che volevano. Molte di queste cose si veggono eziandio in Roma, o per esservi state trasferite di Grecia, o per esservi state inventate da architetti greci; alcune delle quali sono state da me raccolte nella mia opera delle antichità Romane. […] Sui Toscani 4 […] Rovine di queste fortificazioni de’ Toscani si veggono tuttavia in Cortona, in Volterra ed in Alba negli Equi; e quantunque il tempo della lor costruzione sia incerto, nondimeno quelle pietre quadrate, e disposte con perpetuo ed ugual tenore l’una sopra l’altra, danno facilmente a divedere ch’elleno sono antichissime; essendo della medesima costruttura de’ muri delle cloache di Roma, che nessun negherà esser d’opera Etrusca, secondo la testimonianza di Livio, e di Dionigi. E se le mura d’Alba negli Equi, come altrove abbiam detto, non son di pietre quadrate, né poste a retta linea l’una sopra l’altra, ma di 4 Riproduciamo il testo secondo l’edizione di Panza 1993, pp. 174, 175-­‐176, 203.

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