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Page 1 GIOVAN BATTISTA PIRANESI DELLA MAGNIFICENZA ED ...

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varia figura, e connesse fra loro senza alcun ordine, non per questo io credo che non si abbiano a tener per Toscane, come pure le rovine che vi rimangon del tempio, veggendo noi lastricate nello stesso modo le antiche vie, la struttura delle quali i Romani appresero dalle mura de’ Toscani. A me piuttosto sembra, con Vitruvio, che questa maniera di costruire sia molto più antica, non però più debole dell’altra che in primo luogo abbiamo riferita; imperocché in questa si scorge una certa semplicità propria de’ primi tempi, ed in quella un’eleganza, la quale per lo più di lungo tempo e d’esercizio ha d’uopo, per esser usata ne’ lavori. Ma che sto io a parlare di queste cose incerte, quando il Signor Le Roy non nega che l’arte e l’industria di munir le città è propria de’ Toscani? Se “non si può affermare”, egli dice, “che non abbiano appreso direttamente dagli Egiziani l’arte di costruire le lor forti mura”. Dunque, anche secondo la testimonianza di Le Roy, i Toscani non sono debitori di questa parte d’architettura ai Greci, ch’egli né tampoco nomina; anzi pare che i Toscani l’abbiano insegnata ai Greci. […] Ma dice l’Investigatore, che gli archi furono incogniti agli Egizi, e che sono stati inventati da’ Greci; asserzioni l’una e l’altra irragionevoli a mio giudizio. Io poi credo di dover procedere con maggiore indulgenza in questa controversia; talché concedo volentieri che e gli Egizi e i Greci e i Toscani abbiano avuto ingegno da volger gli archi: non giudicando io ciò cosa sì difficile, che non si potesse inventare da questi ingegnosissimi popoli quasi per istigazione medesima della natura. Ma poiché veggio che il Signor Le Roy attribuisce tutto ai Greci, e che l’Investigatore li decanta per inventori degli archi, senza punto parlar de’ Toscani; se in quella stessa maniera ch’essi affermano molte cose, io negassi che i Greci abbiano mai avuto gli archi, e volessi che me ne mostrasse qualche monumento per prova, avrebbon eglino che mostrare? Non ne ho certamente dubbio; ma bisognava che l’Investigatore lo accennasse prima di dare una tal lode ai Greci, e, quel ch’è più, ad essi soli. Ma se lo stesso chiedesi ai Toscani, mostreran subito due monumenti di archi, che per anche sono in essere, l’uno della Cloaca Massima de’ tempi di Trquinio Superbo, l’altro dell’Emissario del lago Albano, fatto, secondo Livio, l’anno CCCLVI di Roma, ambedue della stessissima costruttura e maniera: sicché, essendo certo che il primo fu opera de’ Toscani, non può esservi dubbio che il secondo sia di maniera Toscana. […] Agli amatori di queste arti è ugualmente aperta la via d’Italia che della Grecia: vadano pur dove vogliono, o piuttosto in ambedue le parti; e dopo aver ben disaminate e riconosciute le cose dell’uno e dell’altro paese, ne dicano il lor parere: che, quanto a me, non istarò a dir di più, bastandomi l’irrefragabile attestato a favor dell’Italia del nobilissimo e dottissimo Signor Conte Caylus: “In Italia sortattutto la potenza de’ Romani ha portato le spoglie dell’universo; ivi ciascun passo conduce ad un oggetto di studio; ivi la terra, per così dire, condiscendente ai voti dell’antiquario, gli restituisce in dettaglio e senza interruzione i tesori, ch’ella sembra non aver nascosi nel suo seno, che per salvarli dal furore de’ barbari”. Aggiunge poscia: “Gl’Italiani calpestano gli avanzi rispettabili dell’antichità. La terra s’apre ogni giorno sotto i loro passi per arricchirli. Una città intera inghiottita dai vulcani del Vesuvio ritorna a farsi vedere per fornirli di nuove ricchezze. Avventurosa scoperta! che interessar dice le nazioni sagge dell’Europa, e risvegliare in esse il gusto dell’antico”. Doveva il Signor Le Roy aver in considerazione tutte queste cose, prima d’avanzarsi a far sì poco conto de’ monumenti di Roma e dell’Italia, in paragone di quei della Grecia. […]

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