RITROVARCI n.2 2016
Rivista trimestrale della FAIS onlus
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i viaggi del ciclostomizzato<br />
La montagna stava confermando la sua fama di<br />
estrema variabilità atmosferica. Ero sotto la tettoia<br />
di un distributore di Pontresina nel Canton<br />
Grigioni, a circa 1.800 metri d’altezza insieme a<br />
tanti motociclisti, escursionisti e solo qualche ciclista,<br />
tutti a ripararsi dalla pioggia che in pochi<br />
minuti era divenuta battente e che stava durando<br />
da una ventina di minuti. Quella mattina ero partito<br />
dalla Valdidentro, la valle che da Bormio<br />
porta a Livigno e avevo fatto il passo del Fuscagno,<br />
il passo d’Eira e infine la Forcola di Livigno,<br />
tutti e tre sopra i 2.000 metri. Il giorno prima<br />
aveva fatto quell’altro famoso passo sopra i<br />
2.600 metri: il passo Gavia che, a ripensarlo<br />
mentre scrivo, mi ha rifatto allargare il cuore e<br />
il respiro. Le due giornate erano state magnifiche<br />
con sole limpido e con il caldo dei duemila metri<br />
che sembra fatto a misura d’uomo, sempre piacevole<br />
e mai afoso o torrido.<br />
La fatica non aveva mai superato il livello fisiologico<br />
e quando arrivai vicino alla dogana italiana,<br />
cominciai a pensare se imboccare la<br />
discesa verso Tirano per poi prendere il treno<br />
verso casa, oppure girare a sinistra e fare un’altra<br />
salita fino al passo del Bernina, circa 250<br />
metri più in alto, e poi forse scendere a Tirano,<br />
oppure arrivare in Engadina e passare dal Maloja<br />
per Chiavenna: il tratto di cui vi ho parlato<br />
nello scorso numero di “Ritrovarci”, dove incontrai<br />
il ciclista Ugo, lo svizzero tedesco che si<br />
sporcò all’inverosimile per aiutarmi a sbloccare<br />
la catena che si era incastrata malamente tra il<br />
telaio e il pignone posteriore.<br />
Scendere subito mi avrebbe lasciato una punta<br />
d’insoddisfazione, come una rinuncia. Erano le<br />
14.00-14.30, il tempo era bello e il Bernina, che<br />
già feci sette/otto anni fa, era a portata di mano<br />
e lo sapevo non proibitivo. Ripresi a salire e raggiunsi<br />
bene il passo a oltre 2.300 metri. La discesa<br />
nord del Bernina è bellissima: la valle è<br />
ampia, la visibilità della strada estesa e la pendenza<br />
non troppo ripida per cui si frena poco, si<br />
va veloci, nello stesso tempo si abbraccia anche<br />
il panorama dove in alcuni punti è meglio fermarsi<br />
per guardare, anche se per poco, il ghiacciaio<br />
del Morterasch che scende dal massiccio<br />
del Bernina, l’ultimo quattromila andando verso<br />
l’est delle Alpi. Ecco Pontresina che si avvicina,<br />
ma anche alcune nuvole che però non sembrano<br />
minacciose, iniziano a cadere delle gocce, ma si<br />
può proseguire. Il key way me l’ero messo prima<br />
della discesa, ma la strada ormai era bagnata e<br />
le auto sorpassandomi mi spruzzavano l’acqua<br />
addosso. In montagna mancano i ripari, ma un<br />
distributore con la tettoia è un dono del cielo e<br />
allora lì ad affollarmi tra voci italiane e tedesche,<br />
mentre io mangiavo qualche biscotto e bevevo<br />
un po’ d’acqua. Lentamente smise di piovere e<br />
quando sull’asfalto non vidi più i rimbalzi della<br />
pioggia mi rimisi in sella. Dovevo riprendere a<br />
muovermi altrimenti mi sarei raffreddato. Non<br />
era tardi, ma il cielo, rimasto coperto, mi metteva<br />
premura. Cominciai spingere su quel falso<br />
piano che da Sankt Moritz porta al passo del<br />
Maloja. Tenevo una buona media perché volevo<br />
cominciare a scendere di quota e lasciare alle<br />
spalle il pericolo della pioggia, ma quello mi<br />
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stava anche davanti. Al passo del Maloja le tettoie<br />
dei distributori erano zeppe di motociclisti<br />
in cerca di riparo, ma la mia risoluzione era di<br />
scendere il più rapidamente possibile. Le automobili<br />
erano incolonnate per la pioggia battente<br />
ed io le sorpassavo procedendo con relativa lentezza.<br />
Dall’alta parte non arrivavano macchine e<br />
questo, se mi favoriva in quel momento, non era<br />
un buon segnale; avrei potuto trovare un blocco<br />
del traffico. Dovevo preoccuparmi di non commettere<br />
imprudenze e di scendere di quota, sperando<br />
che insieme all’altezza diminuisse anche<br />
la pioggia. E così fu. A circa 1.500 metri smise<br />
di piovere, le automobili tornarono a sorpassarmi<br />
ed io a spingere sui pedali perché ormai<br />
era chiaro che il tempo aveva preso una brutta<br />
piega. Sopra di me le nuvole erano grige, ma davanti<br />
a me, verso la Val Chiavenna, prevaleva<br />
l’indaco: bellissimo colore, ma quando l’hanno<br />
le nuvole, se si è in bicicletta, si sta mettendo<br />
male. La mia speranza era di uscire dalla Val<br />
Bregaglia senza prendere acqua e arrivare a<br />
Chiavenna dove avrei potuto ripararmi nel treno<br />
per Colico, sul lago di Como. Ma l’indaco stava<br />
sfumando in cinquanta sfumature di grigio<br />
scuro, e ormai sapevo che prima o poi avrei dovuto<br />
fermarmi, intanto non sapevo a che altezza<br />
della Val Bregaglia fossi esattamente: certamente<br />
a meno di mille.<br />
Avevo le ali ai piedi, aiutato dalla leggera discesa,<br />
dalla mancanza di traffico e dalla forma fisica<br />
perché avevo nelle gambe duemila metri di dislivelli.<br />
Vidi un cartello con una deviazione per il<br />
paese di Castasegna e la imboccai: lì un riparo<br />
l’avrei trovato. A un certo punto sentii una goccia.<br />
Mi fermai subito per mettere il key way. Il<br />
tempo di cercarlo e di indossarlo e già pioveva<br />
a dirotto con vento rabbioso. Mi rimisi in sella<br />
pedalando con molta prudenza e nonostante ciò,<br />
a un ponticello, una raffica più forte, molto più<br />
forte, che scendeva dalla montagna mi buttò<br />
dalla bicicletta. Riuscii a non cadere e proseguii<br />
Il ciclostomizzato al passo Foscagno.<br />
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a piedi. Non avevo da cercare dove posare i piedi<br />
perché l’acqua scorreva sull’intera carreggiata<br />
come se fosse parte del suo letto. La strada diventò<br />
una via tra le case e il vento divenne subito<br />
tollerabile. Risalii in bici cercando con gli occhi<br />
un bar, un ristorante e vidi l’insegna dell’Albergo<br />
Posta. Poggiai la bicicletta sotto la sua tettoia ed<br />
entrai nell’albergo che aveva tutte le luci accese<br />
e chiesi: “Per il momento vorrei un caffè e, se<br />
non smette di piovere, anche una stanza per<br />
questa notte, per favore”. Per oltre un’ora fuori<br />
dai vetri sembrò notte mentre lì, al riparo dalla<br />
pioggia, mi assaporavo il piacere della lettura<br />
del libro che avevo portato con me. Ogni tanto<br />
facevo qualche domanda all’albergatore e tra<br />
queste ci fu il costo di una camera. Non era cara,<br />
70 franchi, ma sentite cosa mi aggiunse l’albergatore<br />
quando la pioggia aveva perso il carattere<br />
di tempesta. “Per onestà - le dico – che, se prosegue<br />
di altri 50 metri, trova la vecchia frontiera<br />
con l’Italia e lì c’è rimasto un altro albergo che<br />
costa circa la metà”. Lo ringraziai, ma se avesse<br />
continuato a piovere sarei stato da lui. Il suo albergo<br />
mi aveva protetto quando ero un fuscello<br />
tra masse violente di pioggia e di vento. E non<br />
potei non ripensare ad Ugo, che mi aveva aiutato<br />
due mesi prima in quella stessa valle, 900 metri<br />
più in alto, e adesso a questo albergatore. Insieme<br />
stavano demolendo il cliché dello svizzero<br />
sempre ordinato, preciso e attaccato al suo tornaconto.<br />
Come dappertutto, c’è chi sa andare<br />
oltre. Dobbiamo conoscerci, frequentarci e allora<br />
scopriamo che i passaporti sono sì importanti<br />
per la cultura che ci ha formato, ma ci sono momenti,<br />
piccoli o grandi, nei quali ad agire è solo<br />
lo spirito della persona con la sua generosità, le<br />
sue paure, il suo egoismo. Non si scoprono solo<br />
le grandi architetture e i paesaggi lontani, ma<br />
anche uomini e donne che li abitano, quando si<br />
viaggia e si vive da<br />
ciclostomizzato