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Il sogno e i maestri<br />
introduzione di elisa bernardinis<br />
Quando Lucia mi ha proposto di scrivere questo breve articolo, mi sono resa<br />
conto di due cose: che l'argomento del sogno potrebbe essere percepito come<br />
insolito, forse addirittura, potrebbe essere visto come fuori posto in uno<br />
haiku, dal momento che solitamente le prime nozioni che impara uno haijin<br />
sono che ―lo haiku deve parlare del qui e ora, (così come lo concepiamo in<br />
occidente) e di quella che è la nostra esperienza diretta del momento, senza<br />
abbellimenti‖, o che ―nello haiku le emozioni/impressioni dell'autore non<br />
dovrebbero essere direttamente menzionate‖.<br />
Allora come conciliare lo haiku a un argomento così rarefatto come in effetti<br />
è quello del sogno? Come esprimerlo con maestria nella propria poesia?<br />
Ecco dunque che la proposta di Lucia diventa particolarmente interessante,<br />
motivo di ricerca e riflessione che inevitabilmente conduce a fare un passo<br />
indietro, verso quelle che sono le radici di questa splendida forma di<br />
espressione poetica.<br />
tabi ni yande<br />
yume wa kareno wo<br />
kakemeguru<br />
malato in viaggio<br />
i miei sogni vagano<br />
per un campo desolato<br />
Matsuo Bashō traduzione di Lorenzo Marinucci(1)<br />
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