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Dieci Venticinque

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n.35 - settembre 2017<br />

A<br />

viaggio fra i beni confiscati alle mafie d'italia<br />

parte i I - centro e nord italia


4<br />

5<br />

7<br />

18<br />

21<br />

22<br />

26<br />

LE STORIE CHE NON TI ASPETTI<br />

Giuseppe Mugnano<br />

TRA FORMELLO E NEPI<br />

Il Lazio tra legalità e integrazione<br />

Danilo Daquino<br />

Salvatore Lo Monaco<br />

10<br />

Matteo Campana<br />

ALLA RICERCA DEL VERO BENESSERE<br />

IN ABRUZZO UNA CASA PER RINASCERE<br />

12<br />

Marta Costantini<br />

14<br />

Matteo Campana<br />

16<br />

24<br />

“LA TOSCANA NON è TERRA DI MAFIA, MA<br />

LA MAFIA C’è<br />

MARCHE. IL TEATRO DELL’ASSURDO<br />

EMILIA ROMAGNA REGIONE DI SEQUESTRI.<br />

è IL RIUTILIZZO?<br />

Irene Astorri<br />

SARACINESCHE PARLANTI E LEGALITà<br />

RESPONSABILE<br />

Veronica Rafaniello<br />

CONFISCATI E RICONFISCATI.<br />

Lo strano caso di Campolongo<br />

Giuseppe Mugnano<br />

LIBERA MASSERIA DI CISLIANO.<br />

Un bene confiscato recuperato dal basso<br />

Giovanni Modica Scala<br />

PIEMONTE. DOVE IL RIUTILIZZO FUNZIONA<br />

Sergio Scollo<br />

RIFORMA DEL CODICE ANTIMAFIA<br />

Parla il deputato Davide Mattiello<br />

Chiara Valzano<br />

2 n.35 | SETTEMBRE 2017 3


LE STORIE CHE NON TI ASPETTI<br />

di Giuseppe Mugnano<br />

editoriale<br />

TRA FORMELLO E NEPI<br />

la mafia non esiste”: sembra essere andato definitivamente in sordina il ritornello<br />

che molti si affrettavano a cantare, soprattutto al Nord. A spegnere i microfoni ci ha<br />

“Qui<br />

pensato la magistratura, ma anche i fatti di cronaca. Troppo schiaccianti per essere<br />

ignorati o minimizzati. Riavvolgendo il nastro delle innumerevoli inchieste condotte, si è scoperto<br />

poi che non solo la mafia c’era, bensì era ben radicata da decenni, anche nei luoghi più insospettabili.<br />

Finito il negazionismo, si prova poi a spiegare, soprattutto ai più giovani, le storie dei rispettivi<br />

territori, trovando testimoni di realtà pa-rallele, che hanno percorso una strada fin qui poco<br />

battute. Allora ecco che si viene a sapere che già negli anni Ottanta la ‘ndrangheta era arrivata in<br />

Piemonte e in Veneto, che la camorra aveva messo radici in Emilia-Romagna, che nelle Marche vi<br />

aveva messo su casa uno della Banda della Magliana, che Cosa Nostra non era un problema solo<br />

siciliano, ma un po’ di tutta l’Italia. Un po’ ovunque si corre ai ripari affermando che quelle della<br />

mafia erano dinamiche latenti, mentre oggi ci si interroga sul come sia stato possibile non accorgersi<br />

di nulla. Non solo, scavando ancora un po’ si trovano realtà associative che sono presenti sul<br />

territorio da più di dieci anni, mentre in altre regioni d’Italia, come nel caso di Valle d’Aosta, Friuli<br />

Venezia Giulia e Trentino Alto-Adige, in seguito alle confische (seppur si contino sulle dita di una<br />

mano) non vi è nata alcuna attività di riutilizzo dei beni confiscati, oppure quelle che vi erano<br />

sorte sono ormai scomparse. Questo accade per le difficoltà che s’incontrano per l’assegnazione<br />

dei beni, gli iter interminabili, le difficoltà nel reperire fondi utili a portare avanti una cooperativa<br />

sociale che non vive solo di ideali, ma anche di fatturati (come vedremo più avanti) e stipendi da<br />

pagare. Spesso si fa affidamento sul lavoro di volontari (vedi Libera), pronti a mettere a disposizione<br />

tempo e competenze per progetti sociali, però si tratta comunque di un lavoro. Spiegare e<br />

contrastare la mafia e provare a creare delle alternative produttive non dovrebbe essere un’occupazione<br />

svolta per beneficenza. <br />

IL LAZIO TRA LEGALITà<br />

Secondo le stime di gennaio,<br />

il Lazio, con 1270<br />

beni immobili, è la sesta<br />

regione in Italia per numero<br />

di confische. Di questi, la fetta<br />

più importante – quasi il 66 per<br />

cento – sarebbe gestita dall’Agenzia<br />

Nazionale dei Beni Sequestrati<br />

e Confiscati, mentre<br />

la parte restante è già stata destinata<br />

prevalentemente ai comuni.<br />

«I pochi beni confiscati<br />

che abbiamo qui, non vengono<br />

dati in affidamento», dice<br />

e integrazione<br />

di Danilo Daquino<br />

Marco Carducci, che con la cooperativa<br />

Sinergie ha gestito<br />

Villa Sandra durante la fase di<br />

sequestro. «Solitamente le assegnazioni<br />

avvengono dopo la<br />

confisca definitiva e una volta<br />

terminato l’iter giudiziario. Lì<br />

è accaduto il contrario, è bastato<br />

il primo grado di giudizio<br />

– racconta Carducci –. Il presidente<br />

della sezione misure di<br />

prevenzione del Tribunale di<br />

Roma ha pensato di avviare un<br />

utilizzo sociale dell’immobile<br />

ed è stato stipulato un contratto<br />

di affitto tra l’amministratore<br />

giudiziario e la nostra<br />

cooperativa. Poi, dal momento<br />

in cui l’iter giudiziario è andato<br />

avanti e si è concretizzata la<br />

condanna definitiva, è passato<br />

tutto in mano all’Agenzia Nazionale<br />

dei Beni Sequestrati e<br />

Confiscati. A luglio 2015 il Comune<br />

di Formello è diventato<br />

proprietario visto il decreto<br />

dell’ANBSC e ha garantito la<br />

continuità delle attività che la<br />

4 n.35 | SETTEMBRE 2017 5


cooperativa aveva concordato<br />

con l’amministrazione giudiziaria,<br />

il tutto nelle more di un<br />

bando di gara che ancora non<br />

è stato pubblicato», aggiunge.<br />

sequestrato e non ancora confiscato,<br />

andando ad abbattere i<br />

costi e le lungaggini che caratterizzano<br />

la gestione dei beni<br />

confiscati», ammette.<br />

Acquapendente, e ancora servizi<br />

di pulizia in due comuni,<br />

un’università agraria, un’industria<br />

privata e un cinema, con<br />

diversi lavoratori impegnati».<br />

Si tratta di un bene di oltre<br />

3500 metri situato nel territorio<br />

comunale di Formello e<br />

confiscato nel<br />

2011 alla società<br />

Adonis,<br />

che secondo i<br />

magistrati era<br />

collegata alla<br />

‘ndrina dei<br />

Gallico di Palmi.<br />

Al centro<br />

delle iniziative<br />

svolte dalla<br />

cooperativa<br />

all’interno<br />

della tenuta, i<br />

campi di formazione<br />

e volontariato<br />

di Libera, andati<br />

avanti per tre anni consecutivi,<br />

poi laboratori con i ragazzi dei<br />

centri diurni e con gli adolescenti<br />

del centro giovanile del<br />

comune, tutte attività sporadiche<br />

perché la gestione non<br />

era definitiva. La precedente<br />

amministrazione comunale di<br />

Formello l’aveva immaginata<br />

come una struttura adatta per<br />

realizzare una casa famiglia<br />

per minori ma in realtà, secondo<br />

quanto sostiene Carducci,<br />

da quando la villa è stata assegnata<br />

al comune di Formello,<br />

si è fermato tutto. «La classica<br />

burocrazia che rallenta la gestione<br />

dei beni confiscati si è<br />

concretizzata anche su questo<br />

bene – accusa l’uomo –. Siamo<br />

un po’ dispiaciuti, perché abbiamo<br />

prestato la nostra opera<br />

imprenditoriale a sostegno del<br />

disegno di quel giudice che ha<br />

voluto provare ad avviare una<br />

gestione speciale di un bene<br />

Oggi, dal percorso di fusione<br />

tra le cooperative Sinergie e<br />

Alice, è nata Alicenova che si<br />

occupa di servizi socio sanitari<br />

e educativi, nelle province di<br />

Viterbo e Roma, della gestione<br />

di centri diurni, di assistenza<br />

domiciliare, oltre all’accoglienza<br />

di richiedenti asilo<br />

con il modello dell’accoglienza<br />

diffusa, aggregazione giovanile<br />

e attività di impresa con<br />

l’assunzione di persone con<br />

difficoltà economiche. «In particolare<br />

– spiega il presidente<br />

Andrea Spigoni – abbiamo un<br />

settore agricolo dove oltre alla<br />

parte produttiva, seguita dalla<br />

cooperativa Fattorie solidali<br />

che è uno spin-off di Alicenova,<br />

effettuiamo servizi riabilitativi<br />

per persone con disagio<br />

psichico, con problemi di dipendenza<br />

e di vario tipo, poi<br />

abbiamo un settore di grafica<br />

e stampa e un altro turistico<br />

tramite il quale gestiamo un<br />

ostello a Formello, un casale<br />

nella riserva naturale Monte<br />

Rufeno, due piccoli alberghi ad<br />

Ma quello di restituire alla collettività<br />

ciò che per anni è stato<br />

nel patrimonio della collettività<br />

resta uno dei principi della<br />

cooperativa. A Nepi,<br />

in provincia di Viterbo,<br />

nel 2015 la Alicenova<br />

ha avuto assegnata<br />

– insieme alle<br />

cooperative Punto e<br />

a capo, Gea e Fattorie<br />

solidali – un’azienda<br />

agricola confiscata<br />

alla camorra, che<br />

verrà trasformata<br />

in luogo di aggregazione<br />

e formazione.<br />

«Metteremo su un<br />

progetto di agricoltura<br />

sociale, con laboratori per<br />

le attività riabilitative, un piccolo<br />

progetto di residenzialità<br />

che garantirà anche la guardiania,<br />

un punto per la vendita<br />

di prodotti nostrani col marchio<br />

Sémina e ristorazione»,<br />

spiega il presidente. Intanto<br />

è stata riattivata la corrente e<br />

sono stati ripuliti gli spazi. Il<br />

bene, confiscato al clan Nuvoletta<br />

nel 1997, comprende tre<br />

ettari di terreno e spazi che si<br />

estendono per 400 metri quadri,<br />

con un casale, una piccola<br />

abitazione e alcune stalle. Tutte<br />

strutture che necessitano di<br />

essere ristrutturate. «Stiamo<br />

cercando le risorse, adesso c’è<br />

anche la possibilità di ottenere<br />

finanziamenti a tasso zero<br />

per i beni confiscati, intanto ci<br />

è stato finanziato un progetto<br />

dall’Inail per la bonifica di una<br />

parte dei tetti in amianto» conclude<br />

Spigoni <br />

“LA TOSCANA NON è TERRA DI<br />

MAFIA, MA LA MAFIA C’è”<br />

L’OBCT è realizzato dal Centro<br />

di documentazione “Cultura<br />

della Legalità Democratica”<br />

della Regione Toscana in vista<br />

della pubblicizzazione di tutta<br />

la documentazioni disponibile<br />

sui beni confiscati alla criminalità<br />

organizzata presenti<br />

nella regione, con il proposito<br />

di facilitare le attività di studio,<br />

prevenzione e il riutilizdi<br />

Salvatore Lo Monaco<br />

Confisca e riutilizzo dei<br />

beni sono tematiche ricorrenti<br />

presso la regione<br />

Toscana, particolarmente<br />

attenzionate da una moltitudine<br />

di enti, primo tra questi<br />

“L’Osservatorio sui beni confiscati<br />

alla criminalità organizzata<br />

in Toscana” (OBCT), il<br />

quale riceve le informazioni di<br />

base a cura dell’ANBSC e quelle<br />

aggiuntive con il contributo<br />

delle amministrazioni locali,<br />

di Libera Toscana, dell’Arci<br />

Toscana, della Fondazione Caponnetto,<br />

dei volontari e dei<br />

ricercatori che lavorano quotidianamente<br />

sul tema, mantenendo<br />

aperta la possibilità di<br />

ulteriori contributi di tutte le<br />

associazioni operanti sul tema<br />

dell’antimafia sociale.<br />

6 n.35 | SETTEMBRE 2017 7


zo sociale dei beni; la relativa<br />

banca dati, con accesso georeferenziato,<br />

è destinata ad approfondire<br />

l’informazione sui<br />

beni, soprattutto di quelli localizzabili<br />

ed in particolare per<br />

quelli già destinati.<br />

Secondo l’ultimo aggiornamento,<br />

tramite<br />

sistema<br />

georeferenziato<br />

(giugno<br />

2017), la<br />

regione Toscana<br />

conterebbe<br />

52<br />

immobili destinati<br />

e ben<br />

301 in gestione,<br />

mentre<br />

per quanto<br />

riguarda le<br />

aziende 2<br />

sono quelle<br />

destinate e<br />

45 quelle risultanti in gestione;<br />

31 i Comuni che ospitano sul<br />

loro territorio beni o aziende<br />

confiscate definitivamente.<br />

Il numero più alto (ben 43 immobili<br />

sequestrati) si concentra<br />

a Marciano della Chiana in<br />

provincia di Arezzo; le aziende<br />

sequestrate si concentrano invece<br />

nei territori di soli cinque<br />

comuni: Aulla, Campi Bisenzio,<br />

Licciana Nardi, Prato e<br />

Sesto Fiorentino, una a testa<br />

per i primi tre, un paio per gli<br />

ultimi due.<br />

La frase del magistrato Caponnetto,<br />

“La Toscana non è terra<br />

di mafia, ma la mafia c’è”, è<br />

illuminante nella descrizione<br />

dell’attività mafiosa nella regione<br />

Toscana, e ne abbiamo<br />

dimostrazione in riferimento<br />

alla cronaca locale riguardo la<br />

confisca di beni legati ad attività<br />

di stampo mafioso e alla<br />

loro provenienza: a partire dalla<br />

confisca del “Caffè Bonetti”<br />

di piazza Pitti per mezzo della<br />

polizia di Napoli, avvenuta nel<br />

febbraio 2013, locale ritenuto<br />

di proprietà di una società con<br />

sede legale nella città partenopea,<br />

nei confronti della quale è<br />

di quindici milioni l’ammontare<br />

complessivo di immobili<br />

ed esercizi posti sotto sigillo;<br />

altro caso registrato è quello di<br />

Prato, in cui la Direzione investigativa<br />

antimafia di Firenze<br />

ha sequestrato un patrimonio<br />

stimato di oltre cinque milioni<br />

di euro nei confronti di tre imprenditori<br />

calabresi operanti<br />

in Toscana, nelle province di<br />

Prato, Firenze e Pistoia.<br />

Tra i beni sequestrati figurano<br />

anche bar e pizzerie a Firenze,<br />

sei appartamenti del complesso<br />

immobiliare Il Teatro in via<br />

Vallecorsi a Prato, il Bar Becco<br />

d’Ora (sempre a Prato), un immobile<br />

a Montecatini, un terreno<br />

e un fondo a Buggiano.<br />

Altro caso di confisca, a cui<br />

ha avuto seguito, questa volta,<br />

l’applicazione della legge<br />

109 del 1996 (Disposizioni in<br />

materia di gestione e destinazione<br />

di beni sequestrati o<br />

confiscati), è quello registrato<br />

nella provincia di Pisa, presso<br />

il comune di Montopoli in Val<br />

D’Arno, ove, lo scorso dicembre<br />

2016, un appartamento<br />

precedentemente confiscato al<br />

boss catanese Vincenzo Aiello<br />

è stato proficuamente destinato<br />

a “Centro Antiviolenza” sulle<br />

donne, affidato all’associazione<br />

“Frida”.<br />

Andando incontro<br />

alla<br />

sempre più<br />

crescente minaccia<br />

della<br />

violenza sulle<br />

donne, che<br />

tra il 2013 e<br />

il 2015 ha registrato<br />

dati<br />

allarmanti<br />

a livello nazionale<br />

(ben<br />

il 70% delle<br />

donne ha<br />

denunciato<br />

violenze e/o abusi per mezzo<br />

dei numeri rosa o rivolgendosi<br />

ad associazioni come “Frida”),<br />

primeggia l’impegno del vice<br />

Sindaco di Montopoli in Val<br />

D’Arno, Linda Vanni, la quale,<br />

in riferimento allo stesso bene<br />

dichiara: “Un bene come questo<br />

appartamento confiscato<br />

alla mafia e riutilizzato socialmente<br />

è un simbolo positivo a<br />

cui guardare con fiducia nelle<br />

istituzioni e speranza nel futuro<br />

dei cittadini, pensiamo inoltre<br />

che sarà un’opportunità di<br />

riscatto e crescita per tutto il<br />

terrritorio”.<br />

Oggi, comunica lo staff di “Frida”,<br />

la struttura del centro<br />

risponde perfettamente alla<br />

finalità per cui è stata costituita,<br />

e grazie agli operatori,<br />

impegnati quotidianamente a<br />

soccorrere le vittime di abusi<br />

e violenze, il centro assurge a<br />

modello organizzativo tendente<br />

a debellare il fenomeno, non<br />

solo a livello regionale, ma in<br />

un prospettiva nazionale.<br />

Il caso più celebre e complesso<br />

di confisca alla criminalità<br />

organizzata in Toscana è quello<br />

della tenuta di Suvignano<br />

(Monteroni D’Arbia, Siena),<br />

confisca avvenuta in un primo<br />

step per mano del magistrato<br />

siciliano Giovanni Falcone<br />

nel 1983, il quale sospettava<br />

rapporti del proprietario, imprenditore<br />

siciliano, Vincenzo<br />

Piazza con “Cosa Nostra”;<br />

successivamente la tenuta di<br />

Suvignano tornò in possesso<br />

dell’imprenditore fino al 1994,<br />

quando, a seguito dell’arresto<br />

di Piazza per associazione mafiosa,<br />

i magistrati siciliani fecero<br />

scattare un nuovo sequestro.<br />

Solo nel 2007, con il passaggio<br />

in giudicato della condanna di<br />

Piazza, tutti i suoi beni vengono<br />

definitivamente confiscati,<br />

e tra questi anche Suvignano.<br />

Il podere toscano, che vanta<br />

un’estensione di circa 700 ettari,<br />

è stato assegnato nel luglio<br />

2016 ai comuni di Monteroni<br />

D’Arbia e di Murlo, i cui<br />

sindaci hanno preso parte alla<br />

sigla dell’intesa insieme all’assessore<br />

regionale alla legalità<br />

Vittorio Bugli, e il viceministro<br />

per le politiche agricole Andrea<br />

Olivero.<br />

In merito all’utilizzo sociale<br />

che dello stesso bene può farsi,<br />

si esprimono anche i vertici<br />

politici: “Abbiamo un progetto<br />

pilota e che mi auguro sia di<br />

riferimento per l’assegnazione<br />

e l’utilizzo sociale, ed in tempi<br />

più rapidi, di tutti i beni sottratti<br />

alla criminalità”, dice il<br />

governatore Enrico Rossi; la<br />

realtà è però differente, infatti<br />

da ben 23 anni l’azienda Suvignano<br />

è gestita dallo stesso<br />

amministratore giudiziario,<br />

Cappellano Seminara, il quale,<br />

dal novembre 2009 è inoltre<br />

amministratore unico della<br />

“Società Agricola Suvignano<br />

s.r.l.”, di cui lo stesso podere fa<br />

parte.<br />

Già durante il governo Letta<br />

la Regione Toscana, in seguito<br />

ad un ricorso al TAR, aveva<br />

presentato un’autonoma proposta<br />

di<br />

utilizzo del<br />

podere, ma<br />

tutto sembrò<br />

essere<br />

paralizzato<br />

sotto la “solita”<br />

gestione,<br />

e oggi si<br />

assiste alla<br />

medesima<br />

situazione,<br />

nonostante<br />

il ricircolo<br />

dell’intero<br />

apparato politico.<br />

L’impegno della regione Toscana<br />

nella lotta alla mafia e<br />

alle sue manifestazioni è dimostrato<br />

dall’attività di “istigazione<br />

alla legalità” esercitata<br />

dai vertici.<br />

In una dichiarazione dello<br />

scorso 25 luglio il presidente<br />

della regione Toscana, Enrico<br />

Rossi, attualizza la già citata<br />

frase del magistrato Caponnetto:<br />

“In Toscana per ora non<br />

sembra esserci un’organizzazione<br />

criminale residente, con<br />

la testa qui”. Chi opera nella<br />

regione è legato ad organizzazioni<br />

che fanno capo ad altri<br />

territori – alla Campania, alla<br />

Puglia, alla Sicilia e alla Calabria<br />

– o a gruppi stranieri. Ma<br />

non è detto che domani non<br />

possa accadere e per questo,<br />

affinché il tessuto ancora sano<br />

non sia corrotto, dobbiamo essere<br />

pronti, vigili e attrezzati”;<br />

in tale prospettiva, “l’attrezzatura”<br />

di cui la Toscana gode<br />

rappresenta qualcosa di unico,<br />

dalle Alpi alla Sicilia, una vera e<br />

propria “Casa della Memoria”,<br />

il Centro di documentazione<br />

Cultura della Legalità Democratica<br />

(nel cuore di Palazzo<br />

Strozzi Sacrati a Firenze, sede<br />

della presidenza della Regione),<br />

un fornitissimo archivio<br />

contenente misteri, curiosità<br />

storiche, testimonianze sulla<br />

mafia e la criminalità organizzata,<br />

il tutto aperto a studiosi,<br />

curiosi e “addetti ai lavori”, con<br />

il fine di preservare e rinforzare<br />

la coscienza civica<br />

8 n.35 | SETTEMBRE 2017 9


ALLA RICERCA DEL VERO<br />

BENESSERE<br />

le. Il bene in questione, che per<br />

la cronaca risulta essere anche<br />

il primo bene confiscato alle<br />

mafie, si trova in provincia di<br />

Perugia, presso Col della Pila,<br />

nelle vicinanze di Pietralunga.<br />

Con ovvietà dei fatti s’intende<br />

evidenziare che, oggigiorno,<br />

la confisca dei beni alle mafie<br />

non giunge a un effettivo risultato<br />

a causa della mancanza di<br />

fondi che garantirebbe la sua<br />

concreta e futura riutilizzazione<br />

nel corso del tempo avvenire;<br />

permane così in Italia<br />

una vera e propria moltitudine<br />

di beni “fermi”, confiscati<br />

e sequestrati, sì, ma non (redi)<br />

vivi. Fossili a vita della crimidi<br />

Matteo Campana<br />

è una delle regioni<br />

del centro Italia<br />

L’Umbria<br />

col minor numero di<br />

confische di beni sul proprio<br />

territorio: secondo i dati riportati<br />

e aggiornati al 21 maggio<br />

2017 da OpenRegio dell’AN-<br />

BSC, si contano 112 beni confiscati,<br />

tra immobili destinati<br />

(43), aziende destinate(1), immobili<br />

(64) e aziende in gestione<br />

(6).<br />

Secondo quanto riporta Open-<br />

Regio, l’Umbria è diventata, e<br />

continua ad essere, un’importante<br />

area di ramificazione<br />

per i più potenti clan mafiosi,<br />

‘ndrangheta e camorra. Imponenti<br />

capitali son stati sequestrati<br />

di recente nelle principali<br />

città umbre; nel 2015 sono<br />

addirittura stati confiscati milioni<br />

di euro al clan dei Casalesi<br />

nelle città di Foligno e Terni;<br />

a Perugia, invece, nel giugno<br />

2016 sono stati confiscati tre<br />

autovetture e diversi conti<br />

correnti bancari ad un pregiudicato<br />

calabrese affiliato alla<br />

‘ndrangheta. Ciò che un poco<br />

affievolisce le speranze e la volontà<br />

di chi fa antimafia, di chi<br />

si batte per la giustizia e per<br />

la legalità, specie in Umbria,<br />

è l’ovvietà dei fatti: dati alla<br />

mano, in Umbria, solo per un<br />

bene è stato avviato un effettivo<br />

percorso di riutilizzo socia-<br />

nalità e non testimoni viventi<br />

della giustizia che prevale, della<br />

speranza che sopravvive ad<br />

ogni tipo di assenteismo, rassegnazione<br />

e disinteresse.<br />

Ora però qualcosa comincia a<br />

muoversi. L’Amministrazione<br />

comunale di Pietralunga, un<br />

piccolo paese collinare in provincia<br />

di Perugia, in collaborazione<br />

con l’associazione Borghi<br />

Autentici d’Italia e Libera,<br />

si propone infatti di trasformare<br />

il sito in una Cooperativa<br />

di comunità. Questo sito comprende<br />

un’azienda agricola e<br />

un palazzo del centro storico<br />

del paese. Al momento lo Stato,<br />

tramite l’ANBSC, ha dato<br />

in mano questa situazione alla<br />

prefettura di Perugia in modo<br />

che vengano trovate associazioni<br />

o enti vari che si mobilitino<br />

per riutilizzare e (ri)gestire<br />

questo bene. La prefettura<br />

di Perugia ha successivamente<br />

fatto un accordo col comune di<br />

Perugia per individuare una<br />

soluzione per la gestione del<br />

bene e a seguito di ciò è stato<br />

quindi aperto un bando pubblico<br />

a per trovare dei possibili<br />

gestori per i beni. Questo bando<br />

pubblico scade il 10 settembre.<br />

Tra le associazioni partecipanti<br />

vi troviamo anche Borghi Autentici<br />

d’Italia, il cui segretario<br />

generale, Maurizio Capelli, ha<br />

voluto sottolineare che, nonostante<br />

i lavori in corso, “l’associazione<br />

non preclude niente e<br />

nessuno. Siamo aperti a ogni<br />

tipo di associazione o individuo<br />

che voglia mettersi in gioco<br />

e rendersi disponibile nel<br />

partecipare<br />

alla riutilizzazione<br />

di<br />

questi<br />

beni.<br />

Accettiamo<br />

o g n i<br />

forma<br />

d’aiuto.<br />

Nonostante il bando, per il quale<br />

si dovrà aspettare la chiusura<br />

prevista per il 10 di settembre,<br />

il Comune di Pietralunga<br />

ha di recente chiesto aiuto<br />

all’associazione per dar vita ad<br />

una cooperativa di comunità,<br />

per “sostenere cioè interventi<br />

di natura sociale ed economica<br />

basati sulla mobilitazione sia<br />

di una compagnia cooperativa<br />

a partecipazione giovanile e<br />

femminile, che dell’intera comunità<br />

locale. In questo modo<br />

il bene confiscato ritorna a pieno<br />

titolo nella disponibilità sociale<br />

ed economica della comunità<br />

locale, trasformando una<br />

criticità<br />

in opportunità”,<br />

precisa il<br />

segretario<br />

generale<br />

Capelli.<br />

“Quella<br />

della cooperativa<br />

di<br />

comunità<br />

è una realtà<br />

tutta<br />

nuova in Italia” - continua-<br />

“Si sta diffondendo di recente<br />

in diversi comuni italiani.<br />

10 n.35 | SETTEMBRE 2017 11


Consiste nella voler dar vita a<br />

una cooperativa che svolge e<br />

si occupa di servizi collettivi<br />

all’interno del Comune. I cittadini<br />

volenterosi, proponendosi<br />

come volontari, a questo<br />

scopo hanno la possibilità di<br />

occuparsi di servizi di diverso<br />

tipo e ambito: dal turismo<br />

all’assistenza famigliare, dalla<br />

tutela dell’ambiente al settore<br />

energetico fino ad arrivare alla<br />

creazione propria di mestieri<br />

e attività che non sono ancora<br />

presenti sul territorio. In<br />

particolar modo l’associazione<br />

Borghi Autentici d’Italia andrebbe<br />

a focalizzarsi sul campo<br />

della produzione agricola e<br />

del turismo in generale. Questi<br />

progetti sono stati pensati e<br />

voluti al fine di rendere e sperare<br />

il proprio territorio una<br />

terra fertile e ricca di opportunità<br />

e di servizi per il bene<br />

delle persone. Dal malessere e<br />

inquinamento della mafia alla<br />

sostenibilità di cittadini liberi<br />

e desiderosi di benessere”.<br />

Questo è un vero amore: spendersi,<br />

dare, lavorare per una<br />

qualsiasi causa pretendendo<br />

nulla in cambio. Occuparsi della<br />

comunità, accudirla e farsene<br />

carico in comunione, nella<br />

condivisione; prendersi cura e<br />

avere realmente a cuore il bene<br />

comune. Mettersi in secondo<br />

piano dando spazio all’altruismo<br />

e alla generosità.<br />

Sono questi il bene e l’amore<br />

che solo una madre è in grado<br />

di dare.<br />

Non una madre qualunque.<br />

Non una madre presunta. Non<br />

la mafia: infame e bugiarda<br />

che con violenze e malvagità<br />

mette i figli in secondo piano e<br />

che in testa ha solo unicamente<br />

il proprio benessere <br />

IN ABRUZZO UNA<br />

CASA PER<br />

RINASCERE<br />

di Marta Costantini<br />

I<br />

proventi dell’usura trasformati<br />

in bene per la collettività.<br />

È la storia di un’abitazione<br />

civile appartenuta a una<br />

famiglia rom e destinata a diventare<br />

una casa di accoglienza<br />

per ex detenuti e le loro famiglie.<br />

«Un luogo per chi ne<br />

ha bisogno», come lo descrive<br />

suor Benigna Raiola, dell’associazione<br />

Liberi per Liberare.<br />

L’appartamento, situato in<br />

via Garibaldi 327 ad Avezzano,<br />

è stato confiscato nel 2006 e<br />

successivamente, nel 2009, affidato<br />

al Comune marsicano<br />

dall’ANBSC - Agenzia per la<br />

Gestione dei Beni Sequestrati<br />

e Confiscati. L’anno successivo<br />

don Francesco Tudini, di<br />

Liberi per Liberare, richiede<br />

al Comune la cessione dell’immobile<br />

per destinarlo all’accoglienza<br />

di ex carcerati, cessione<br />

accordata per un periodo di<br />

99 anni. Dopo un’esperienza<br />

trentennale nelle carceri, don<br />

Francesco, insieme a suor Benigna,<br />

si è fatto promotore di<br />

una struttura che sia in grado<br />

di accompagnare i detenuti<br />

del carcere San Nicola nel loro<br />

percorso rieducativo, con lo<br />

scopo principale di fornire assistenza<br />

per il reinserimento<br />

sociale. Quattro anni di lavori,<br />

tra iter burocratici e costruzione<br />

dell’edificio, hanno dato<br />

vita ad una struttura di due<br />

piani, per un totale di 400 metri<br />

quadrati. Fornita di cucina,<br />

refettorio, studio, lavanderia<br />

e posti letto, la casa è capace<br />

di ospitare 12 persone. Come<br />

spiega suor Benigna, l’associazione<br />

«ha dovuto demolire<br />

l’immobile, perché inagibile, e<br />

ricostruirlo ex novo». È stato<br />

faticoso trovare i fondi, arrivati<br />

dai finanziamenti della Diocesi<br />

di Avezzano e del Senato<br />

della Repubblica ma anche dalle<br />

donazioni di privati, per un<br />

totale di circa 500 mila euro. A<br />

maggio, terminati i lavori, la<br />

struttura è stata inaugurata,<br />

ma l’effettiva apertura è prevista<br />

per settembre, in quanto<br />

l’associazione sta aspettando<br />

le autorizzazioni per l’agibilità<br />

dell’immobile e il collaudo<br />

degli impianti. L’abitazione,<br />

«un’esperienza completamente<br />

nuova nel territorio» per<br />

don Francesco, nata dai resti di<br />

attività illecite, è stata trasformata<br />

in un luogo di rinascita,<br />

tanto metaforico quanto letterale,<br />

per coloro che vivono, o<br />

hanno vissuto, un percorso di<br />

detenzione.<br />

Secondo quanto fornito da<br />

Libera, la struttura d’accoglienza<br />

di Avezzano è il solo,<br />

in territorio abruzzese, tra i<br />

beni confiscati alla criminalità<br />

già riutilizzato per fini sociali.<br />

Infatti, stando ai dati dell’AN-<br />

BSC, aggiornati a luglio 2017,<br />

il totale degli immobili seque-<br />

strati che hanno concluso l’iter<br />

di rassegnazione e che sono<br />

stati destinati, è di 63. Tra questi<br />

è possibile perlopiù trovare<br />

appartamenti, garage, terreni<br />

agricoli e ville. Nello specifico,<br />

22 immobili sono stati riassegnati<br />

nel teramano, 18 in provincia<br />

de L’Aquila, 14 nel pescarese<br />

e 9 in provincia di Chieti.<br />

Tra i principali beneficiari degli<br />

immobili ci sono i singoli<br />

comuni che devono adoperarsi<br />

affinché le strutture vengano<br />

destinate a servizi utili alla comunità,<br />

così come vuole la precisa<br />

clausola di riutilizzo a fini<br />

sociali, emessa dai tribunali<br />

per 27 dei 63 immobili. Una<br />

decina degli edifici sequestrati<br />

sono stati, invece, destinati<br />

alla Polizia di Stato e alla Guardia<br />

forestale, mentre nessuna<br />

clausola è prevista per le strutture<br />

rimanenti. In totale i beni<br />

confiscati in Abruzzo, immobili<br />

e aziende – sia quelli in gestione,<br />

per i quali non è ancora<br />

stata emessa la destinazione,<br />

sia quelli che sono stati destinati<br />

– sono 259. Si tratta di un<br />

dato in aumento rispetto agli<br />

anni precedenti, che testimonia<br />

«l’efficacia della strategia,<br />

degli strumenti e delle risorse<br />

impegnate sul versante della<br />

legalità, della giustizia sociale,<br />

dell’inclusione, della diffusione<br />

di una cultura della cittadinanza<br />

responsabile e dell’etica<br />

d’impresa», come dichiara la<br />

dottoressa Tatiana Giannone<br />

dell’associazione Libera. Tuttavia<br />

sta anche a rappresentare<br />

un rinnovato interessate della<br />

criminalità organizzata nei<br />

territori abruzzesi. Nonostante<br />

alcune inchieste giudiziarie<br />

negli anni Novanta avessero<br />

già testimoniato la presenza<br />

di associazioni di stampo mafioso<br />

nella regione, è il terremoto<br />

del 2009, e la successiva<br />

ricostruzione, a rappresentare<br />

la chiave di volta attraverso cui<br />

la criminalità organizzata, ed<br />

in particolare la camorra dei<br />

Casalesi, è riuscita ad infiltrarsi<br />

in diversi settori. Primo fra<br />

tutti quello del mattone. A confermare<br />

l’interesse delle associazioni<br />

di stampo mafioso in<br />

Abruzzo è anche la più recente<br />

operazione “Isola felice”, indagine<br />

dell’Arma dei Carabinieri<br />

conclusa a settembre dello<br />

scorso anno, che ha portato alla<br />

custodia cautelare 25 soggetti.<br />

L’inchiesta, che ha coinvolto<br />

in totale 6 regioni (Abruzzo,<br />

Molise, Campania, Calabria,<br />

Sicilia e Marche), ha rivelato la<br />

consistente ascesa nella regione<br />

della ‘ndrangheta calabrese,<br />

i cui interessi si muovono dal<br />

traffico di stupefacenti e di<br />

armi all’usura e al riciclaggio<br />

di denaro. Il rapporto della Direzione<br />

Investigativa Antimafia<br />

sul secondo semestre del<br />

2016 ha confermato anche la<br />

continua e invasiva presenza<br />

dei clan romanì, le cui attività<br />

comprendono corruzione,<br />

narcotraffico, estorsioni, truffe<br />

e gioco illegale. Un intreccio<br />

perverso, soprattutto per<br />

quanto concerne il traffico di<br />

droga, i cui proventi legano la<br />

criminalità rom con le associazioni<br />

di stampo mafioso, che<br />

fa dell’Abruzzo un’isola tutt’altro<br />

che felice <br />

12 n.35 | SETTEMBRE 2017 13


MARCHE<br />

IL TEATRO DELL’ASSURDO<br />

Un teatro che mette in<br />

scena un variegato<br />

spettacolo di culture,<br />

tradizioni e territori: un palco<br />

variopinto di monti, colline e di<br />

un litorale che svela un Adriatico<br />

misteriosamente limpido.<br />

Una regione portuale ricca di<br />

commercio e turismo; ventre<br />

natale del grande poeta, filosofo<br />

e scrittore Giacomo Leopardi;<br />

manifesto ininterrotto<br />

di tradizioni e feste cittadine<br />

liana, la mafia.<br />

La regione Marche è infatti caratterizzata,<br />

oltre le sue diverse<br />

attrattive, dalla presenza di<br />

circa 47 beni confiscati alle mafie.<br />

Queste decine non sono di<br />

certo paragonabili alle migliaia<br />

che macchiano altre regioni,<br />

sono altresì, indistintamente,<br />

un importante segnale che<br />

attesta quanto le mafie siano<br />

vive, influenti e presenti all’indi<br />

Matteo Campana<br />

che si tramandano ancora oggi<br />

di paese in paese, di famiglia<br />

in famiglia, di generazione in<br />

generazione; terra ostinata,<br />

orgogliosa e desiderosa di conservarsi<br />

a lungo, frammentata<br />

in porti, città, borghi, sobborghi,<br />

stradine, vicoli, cucine e<br />

dialetti.<br />

All’oscuro del sipario che copre<br />

quest’intera meraviglia si cela<br />

un vecchio morbo ormai comune<br />

in tutta la penisola ita-<br />

terno del territorio marchigiano,<br />

e in larga scala, all’interno<br />

di tutto il Centro-Italia.<br />

Di questi 47 beni, circa il 90%<br />

di essi sono beni immobili,<br />

suddivisi in “abitazioni di tipo<br />

civile” o “di tipo economico”,<br />

secondo quanto è riportato<br />

dall’Agenzia Nazionale dei<br />

Beni Sequestrati e Confiscati<br />

alla criminalità organizzata.<br />

Interessante la vicenda di un<br />

podere nella contrada di Tufi,<br />

presso Jesi (An), bene confiscato<br />

e sequestrato a un affiliato<br />

della Banda della Magliana,<br />

che ora invece si occupa di accoglienza,<br />

assistenza e cura<br />

verso pazienti con disagi perlopiù<br />

psichici.<br />

“Circa venticinque anni fa, un<br />

terreno di 28.000 mq sito a<br />

Cupramontana presso la Contrada<br />

Tufi, con annesso fabbricato<br />

rurale di circa 200 mq di<br />

superficie, venne sequestrato<br />

e quindi confiscato perché risultato<br />

essere parte dei beni riconducibili<br />

ad Enrico Nicoletti,<br />

tesoriere della banda della<br />

Magliana di Roma, che lo aveva<br />

acquisito tramite un prestanome.<br />

Con provvedimento del<br />

29/10/2002 n. 33962 dell’Agenzia<br />

del Demanio gli immobili<br />

vennero trasferiti al patrimonio<br />

indisponibile del Comune<br />

di Cupramontana. Per alcuni<br />

anni il bene venne ceduto a<br />

privati e adibito a coltivazioni.<br />

Nel 2009 il Comune, dopo aver<br />

reperito i fondi necessari, sottoscrisse<br />

una convenzione con<br />

la Cooperativa Sociale Vivicare<br />

per la concessione in comodato<br />

di uso gratuito degli immobili<br />

e, in accordo con il Dipartimento<br />

di Salute Mentale e con<br />

l’Ambito Sociale competenti,<br />

venne deciso di costituire nel<br />

terreno confiscato una comunità<br />

residenziale per utenti<br />

con disagio psichico. Il progetto<br />

della Comunità nasce quindi<br />

da una stretta integrazione<br />

e collaborazione, anche economica,<br />

tra Pubblico e Privato<br />

sociale. L’obiettivo di tutti gli<br />

attori coinvolti era ed è quello<br />

di restituire alla comunità<br />

e ai cittadini un bene che in<br />

passato aveva alimentato l’economia<br />

di un’importante organizzazione<br />

criminale e che<br />

oggi svolge una fondamentale<br />

funzione pubblica al servizio<br />

del territorio. In questa prospettiva<br />

è essenziale anche la<br />

collaborazione che abbiamo<br />

con Libera, che ogni anno realizza<br />

un campo estivo nel bene<br />

confiscato.” riferisce il presidente<br />

della cooperativa sociale<br />

Vivicare, Nicola Vannoni.<br />

“La nostra struttura - continua<br />

- è una comunità alloggio che<br />

attualmente ospita 12 utenti<br />

e che si rivolge perlopiù a chi<br />

ha problemi borderline e/o<br />

antisociali di personalità accanto<br />

ai disturbi psichiatrici<br />

più stretti, con le sue diverse<br />

attività e proposte per la cura<br />

e la relativa assistenza ci ha<br />

resi in grado di dare una risposta<br />

efficace a un bisogno<br />

emergente del territorio con<br />

la definizione di progetti e di<br />

percorsi individuali che si pongono<br />

l’obiettivo di strutturare<br />

l’esperienza in comunità come<br />

una fase propedeutica e funzionale<br />

al passaggio a situazioni<br />

di maggiore autonomia,<br />

come quelle dei gruppi appartamento.”<br />

Questo bene, nato e predisposto<br />

come nido di villeggiatura<br />

per l’affiliato e tesoriere della<br />

banda della Magliana Enrico<br />

Nicoletti, rappresenta quindi<br />

un’importante svolta sociale e<br />

rivoluzionaria, bandiera della<br />

legalità e della giustizia.<br />

Il riutilizzo di questo bene,<br />

volto ad attività di volontariato,<br />

all’informazione, al sociale,<br />

alla cura e alla riabilitazione<br />

di persone con diversi tipi di<br />

disagi, è un altro pezzo considerevole<br />

che va ad aggiungersi<br />

a quel vasto puzzle che rappresenta<br />

tutti i frutti dell’antimafia<br />

e dell’onestà, un puzzle<br />

frequentemente trascurato e<br />

sminuito o altrimenti ostacolato;<br />

bensì un frutto sbocciato<br />

e ben maturato, non dimentichiamocene,<br />

per merito<br />

dell’applicazione della legge<br />

190/96, la legge “Rognoni-La<br />

Torre”, pietra angolare della<br />

confisca dei beni alle mafie <br />

14 n.35 | SETTEMBRE 2017 15


EMILIA ROMAGNA REGIONE DI<br />

SEQUESTRI.<br />

E IL RIUTILIZZO?<br />

Una costruzione completamente<br />

abbandonata<br />

a se stessa e piena di<br />

erbacce.<br />

È questo ciò che rimane dell’ex<br />

hotel King Rose di Granarolo,<br />

bene immobile sequestrato<br />

alla mafia ormai sei anni fa,<br />

nel 2011, e mai più utilizzato.<br />

Tre stelle, cinquantacinque<br />

stanze e duemila metri quadrati<br />

di terreno sequestrati<br />

a Vincenzo Barbieri, rappresentante<br />

della ‘ndrangheta in<br />

Emilia.<br />

Per un breve periodo, l’hotel è<br />

stato utilizzato per ospitare i<br />

terremotati dei territori della<br />

di Irene Astorri<br />

Bassa, colpiti dall’evento sismico<br />

che si è abbattuto sulla<br />

regione nel 2012, ma poi anche<br />

quello scopo sociale è venuto<br />

meno.<br />

E adesso la costruzione è divorata<br />

dalla burocrazia: nessuno<br />

si è fatto avanti per comperarla,<br />

nonostante il bene sia stato<br />

messo all’asta.<br />

Da un valore stimato iniziale<br />

dell’immobile intorno ai tre<br />

milioni e mezzo di euro, si è<br />

arrivati ad una offerta di un<br />

privato di poco più di un milione,<br />

praticamente meno di<br />

un terzo, immediatamente rifiutata<br />

dall’Agenzia per i Beni<br />

Confiscati. A pesare sull’offerta,<br />

sono stati anche un leasing<br />

del valore di un milione<br />

e mezzo di euro gravante sulla<br />

proprietà, oltre che i costi aggiuntivi<br />

di gestione ed operativi,<br />

considerati troppo alti da<br />

affrontare per eventuali privati<br />

interessati.<br />

L’ultima società che si è fatta<br />

avanti, e che voleva trasformare<br />

l’hotel in una casa di cura,<br />

si è scoperto essere priva del<br />

certificato antimafia: una vera<br />

e propria situazione paradossale.<br />

Per questo motivo la proprietà<br />

del bene si trova attualmente<br />

in mano ad una società di leasing,<br />

con il compito di cercare<br />

un compratore e liquidare allo<br />

Stato ciò che avanza.<br />

In ogni caso briciole, anche se<br />

dovesse riuscire nell’impresa.<br />

Quello dell’hotel King Rose<br />

non è l’unico fallimento, per<br />

quanto riguarda la gestione<br />

dei beni sequestrati alla criminalità<br />

organizzata.<br />

Un altro esempio è quello<br />

dell’ormai arcinoto caso della<br />

villa bolognese “La Celestina”,<br />

una costruzione a tre piani<br />

sequestrata al palermitano<br />

Giovanni Costa, arrestato più<br />

volte, prima per associazione a<br />

delinquere negli anni Novanta<br />

e successivamente per il presunto<br />

riciclaggio del denaro di<br />

Cosa Nostra nel 2001.<br />

Ormai della Villa non è rimasto<br />

più nulla: non è altro che un<br />

rudere, posizionato su Viale<br />

Aldini, tenuto su dalle impalcature.<br />

Ed è imprigionata in<br />

un limbo: impossibile venderla,<br />

impossibile ristrutturarla.<br />

L’eventuale costo di ristrutturazione<br />

è stato stimato intorno<br />

ai quattro milioni di euro,<br />

una somma assolutamente insostenibile<br />

per il Comune. Ma<br />

anche l’ipotesi di abbatterla sarebbe<br />

impraticabile.<br />

Sul bene era presente anche<br />

un’ipoteca, sciolta dall’Agenzia<br />

che attualmente l’ha in gestione.<br />

Ma a quanto pare, neanche<br />

questo è servito.<br />

Queste due situazioni, l’hotel<br />

King Rose e la villa “La Celestina”<br />

sono soltanto la punta<br />

dell’iceberg in Emilia Romagna,<br />

la regione che, secondo<br />

quanto riportato dal sito mafieeantimafia.it,<br />

“negli ultimi<br />

anni ha visto aumentare in<br />

maniera considerevole il numero<br />

dei beni sequestrati e<br />

confiscati alla criminalità organizzata<br />

di stampo mafioso”<br />

e nella quale si sta svolgendo il<br />

processo “Aemilia”.<br />

Secondo un rapporto del Ministero<br />

dell’Interno, datato<br />

dicembre 2015, il numero dei<br />

beni sequestrati si aggira intorno<br />

alle 700 unità, mentre<br />

quello dei beni confiscati supera<br />

le 350, collocando così<br />

l‘Emilia Romagna al settimo<br />

posto tra le regioni italiane<br />

per quanto riguarda i beni sequestrati<br />

e al quarto per quelli<br />

confiscati.<br />

Questi dati, se da un lato riescono<br />

ad evidenziare il lavoro<br />

svolto nel contrasto alla criminalità<br />

organizzata, dall’altra<br />

dimostrano come questa situazione<br />

sia ampiamente diffusa<br />

anche in zone che, in maniera<br />

completamente errata, sono<br />

ancora considerate, almeno a<br />

livello mentale, alquanto lontane<br />

da questo fenomeno.<br />

Di fatto, l’insieme dei beni<br />

confiscati e sequestrati rappresenta<br />

un patrimonio immenso,<br />

stimabile in decine di<br />

milioni di euro, che però fatica<br />

a tornare alla collettività, restando<br />

troppo spesso congelato<br />

tra le mani dell’Agenzia per<br />

i Beni Confiscati e Sequestrati.<br />

Secondo le stime della stessa<br />

agenzia del 2016 infatti, quasi<br />

il 70% di questi beni non vengono<br />

riutilizzati, anche se la<br />

situazione regionale è in realtà<br />

parecchio eterogena: si passa<br />

infatti dal Comune di Parma,<br />

dove il numero dei beni confiscati<br />

coincide con quello dei<br />

beni destinati (11 su 11), a quello<br />

di Modena e Reggio Emilia,<br />

dove la percentuale rasenta lo<br />

zero. Non a caso è stato proprio<br />

nel Comune di Brescello,<br />

situato nella provincia di Reggio<br />

nell’Emilia, che è partita<br />

l’inchiesta che ha portato al<br />

processo Aemilia.<br />

Caso a metà strada è il capoluogo<br />

di Regione, Bologna,<br />

dove circa il 50% dei beni confiscati<br />

viene riutilizzato.<br />

Un interessante esperimento<br />

in materia è stato portato<br />

avanti dagli studenti del Dipartimento<br />

di Scienze della<br />

Comunicazione dell’Ateneo<br />

Bolognese: per settimane hanno<br />

inviato richieste a diversi<br />

Comuni della Regione, per<br />

raccogliere informazioni sullo<br />

stato dell’arte in materia di<br />

beni confiscati e sequestrati e<br />

come su questi fossero riutilizzati.<br />

Di fronte a 44 comuni coinvolti<br />

nell’esperimento, la maggioranza<br />

non ha fornito alcuna<br />

risposta. E anche quelli che<br />

l’hanno fatto, a malapena 12,<br />

non sempre hanno fornito risposte<br />

esaurienti.<br />

La strada da percorrere è ancora<br />

lunga <br />

16 n.35 | SETTEMBRE 2017 17


SARACINESCHE<br />

PARLANTI E<br />

LEGALITà<br />

RESPONSABILE<br />

COSì LIGURIA COMBATTE LE MAFIE<br />

di Veronica Rafaniello<br />

La Liguria è un territorio<br />

nel quale negli anni, le<br />

mafie, hanno avuto modo<br />

di insinuarsi e fare affari. Tuttavia,<br />

cittadini e istituzioni<br />

non sono rimasti inermi, a<br />

guardare, ma si stanno pian<br />

piano riprendendo locali e terreni<br />

che fino ad ora sono stati<br />

simbolo della ragnatela con<br />

cui la criminalità organizzata<br />

aveva avvolto la regione. La Liguria<br />

‘vanta’, a dispetto delle<br />

dimensioni, diversi primati relativi<br />

alle tematiche di mafia e<br />

antimafia. Sono Liguri, infatti,<br />

i primi due comuni (Bordighera<br />

e Ventimiglia) sciolti per<br />

infiltrazione mafiosa nel Nord<br />

Italia, dopo il comune di Bardonecchia,<br />

nel 2011. Ed è genovese<br />

la confisca di beni più<br />

rilevante non solo del Settentrione,<br />

ma dell’intero territorio<br />

nazionale: 115, di cui ben 96<br />

nel centro storico del capoluogo.<br />

“Mai si erano visti così tanti<br />

immobili confiscati contemporaneamente<br />

in una porzione<br />

urbana così densa e circoscritta”<br />

ha commentato Libera Liguria.<br />

Con l’operazione Terra<br />

di nessuno, la Direzione Investigativa<br />

Antimafia di Genova<br />

ha assestato, nel 2009, un<br />

colpo clamoroso ai danni della<br />

famiglia Canfarotta, arricchitasi<br />

tramite sfruttamento<br />

della prostituzione e favoreggiamento<br />

dell’immigrazione<br />

clandestina. Il 26 febbraio 2014<br />

la sentenza definitiva, che ha<br />

restituito allo Stato e alla città,<br />

un quartiere da anni flagellato<br />

dal degrado e dal malaffare.<br />

Per favorire il riutilizzo con<br />

l’applicazione della legge<br />

109/96, è stato istituito il Cantiere<br />

per la legalità responsabile<br />

con lo scopo di ‘fare rete’<br />

tramite la collaborazione tra<br />

associazioni, cittadini, Comune<br />

e attività del terzo settore.<br />

Prima del maxi sequestro, infatti,<br />

i beni confiscati nella<br />

provincia di Genova erano 43 (e<br />

quelli totali dell’intera regione<br />

58), tuttavia lo stato di abbandono<br />

e la violazione di norme<br />

igieniche e di sicurezza, rendono<br />

particolarmente ostica la<br />

riassegnazione di quelli nuovi,<br />

ed è stato ritenuto necessario<br />

un impegno maggiore da parte<br />

di tutti i soggetti coinvolti.<br />

Solo recentemente, il 14 febbraio<br />

2017, il Consiglio comunale<br />

di Genova ha approvato<br />

all’unanimità la delibera per<br />

l’acquisizione gratuita del primo<br />

gruppo di immobili (11 su<br />

96) confiscati ai Canfarotta. Si<br />

tratta per lo più di lotti la cui<br />

riqualificazione non necessita<br />

di un alto dispendio monetario.<br />

Ora si attende un riscontro<br />

dall’ANBSC che deciderà se accettare<br />

o meno la richiesta del<br />

Comune e, nel caso di risposta<br />

positiva, avverrà l’effettivo<br />

passaggio di gestione con conseguente<br />

riassegnazione.<br />

MANIFESTI DI RINASCITA<br />

- Nonostante la portata del<br />

sequestro, ci si è resi conto<br />

che c’è poca consapevolezza<br />

a riguardo. Quasi nessuno, a<br />

Genova, sapeva il perché delle<br />

saracinesche chiuse lungo le<br />

strade del centro. Si è quindi<br />

deciso di fare di necessità virtù,<br />

utilizzando le stesse, tristi<br />

e grigie saracinesche, come<br />

manifesti dell’avvenuta caccia<br />

all’illegalità. Nel corso del<br />

2016 il Cantiere per la legalità<br />

responsabile, in particolare<br />

il gruppo Agesci Genova 5 del<br />

quartiere Maddalena e gli autori<br />

di GOA Cares hanno elaborato<br />

e messo in atto un’incursione<br />

notturna. Nella notte tra<br />

l’1 e il 2 aprile, infatti, i ragazzi<br />

del Cantiere hanno affisso sulle<br />

saracinesche di alcuni beni<br />

confiscati un cartello bianco,<br />

con la scritta nera che colpisce<br />

per la sua semplicità e forza<br />

espressiva: ‘Questa non è una<br />

saracinesca, ma un bene confiscato<br />

alla criminalità organizzata,<br />

quindi una risorsa per la<br />

comunità’.<br />

A seguito del successo dell’iniziativa<br />

si è poi deciso di rendere<br />

permanenti le ‘saracinesche<br />

parlanti’. Ne è nato un vero e<br />

proprio percorso urbano, chiamato<br />

Maddacinesca, per visitare<br />

la città attraverso messaggi<br />

di rinascita. Ogni saracinesca,<br />

in diverse occasioni, è stata<br />

dipinta e decorata da artisti o<br />

alunni delle scuole e contiene<br />

un preciso messaggio, legato<br />

esplicitamente a quello di un<br />

altro bene confiscato. In questo<br />

modo si mostra il legame<br />

tra i diversi locali e l’importanza<br />

che hanno all’interno non<br />

solo dei confini cittadini, ma<br />

dell’intera nazione: lotta, speranza,<br />

impegno.<br />

FARE ANTIMAFIA IN LIGU-<br />

RIA - “Ogni territorio ha la sua<br />

storia, e anche all’interno della<br />

stessa regione sono molte le<br />

specificità che impongono a<br />

chi si occupa di lotta alle mafie<br />

grande attenzione e cura – ci<br />

ha spiegato il Dottor Stefano<br />

Busi, responsabile regionale<br />

di Libera Liguria- Senz’altro in<br />

Liguria lo scoglio più grande è<br />

rappresentato, più che dal negazionismo<br />

(che pure ancora<br />

ci riguarda), da forme ancora<br />

più subdole di sottovalutazione<br />

del fenomeno”. Queste si<br />

traducono in “un atteggiamento<br />

diffuso di sostanziale indifferenza<br />

rispetto al problema,<br />

mai davvero avvertito come<br />

preoccupante dalla cittadinanza”.<br />

Tuttavia, le statistiche e<br />

le informazioni rilasciate dagli<br />

organi preposti mostrano<br />

la centralità di questa regione<br />

del Nord Italia e della sua economia<br />

nell’ambito delle strategie<br />

criminali. La sfida per chi<br />

fa antimafia in queste zone,<br />

dunque, risulta essere principalmente<br />

quella di scuotere gli<br />

animi, aprire gli occhi alle coscienze<br />

ed educare i residenti,<br />

18 n.35 | SETTEMBRE 2017 19


a partire dalle più piccole fasce<br />

d’età. Da qui la nascita di laboratori<br />

didattici e del progetto<br />

Osservatorio sulle mafie in Liguria<br />

dedic<br />

a t o<br />

a l l a<br />

m e -<br />

m o -<br />

ria di<br />

Boris<br />

Giuliano,<br />

capo<br />

della<br />

squadra mobile di Palermo assassinato<br />

da Cosa Nostra.<br />

LE REALTÀ DEL TERRITO-<br />

RIO- “Sono davvero poche, per<br />

il momento, le realtà nate da<br />

beni confiscati in Liguria- racconta<br />

Busi- Tuttavia ce ne sono<br />

due che vale la pena segnalare,<br />

perché, pur con tutti i limiti<br />

del caso, hanno rappresentato<br />

e rappresentano una risorsa<br />

per il territorio: l’esperienza<br />

del Quarto Piano a Sarzana<br />

(SP) e quella di In sciä stradda<br />

a Genova”. Quest’ultima è nato<br />

nel 2012, quando il bene confiscato<br />

in vico Mele, è stato assegnato<br />

alla comunità San Benedetto<br />

al Porto, che lo gestisce<br />

tramite la cooperativa sociale<br />

Il Pane e le Rose. In sciä stradda<br />

inizialmente si è presentata<br />

come bottega per la vendita dei<br />

prodotti di Libera Terra, provenienti<br />

dai terreni confiscati,<br />

e dei manufatti realizzati dai<br />

ragazzi di San Benedetto. In<br />

questo modo la comunità si è<br />

ripresa due ‘bassi da prostituta’,<br />

confiscati al boss di Cosa<br />

Nostra. Rosario Caci, trafficante<br />

di droga e sfruttatore<br />

della prostituzione, legato al<br />

mafioso Piddu Madonia. Oggi,<br />

a sei anni dall’assegnazione, il<br />

locale “ha cambiato pelle, divenendo<br />

uno spazio a disposizione<br />

delle associazioni del<br />

quartiere (e non solo) animato<br />

e vissuto da una decina di<br />

realtà”<br />

spiega<br />

Stefano<br />

Busi,<br />

orgoglioso.<br />

P e r<br />

q u e l<br />

che riguarda<br />

Il<br />

Quarto<br />

Piano, invece “è nato da un’idea<br />

di un gruppo di giovani<br />

volontari di creare un luogo<br />

dedicato alla cultura, al volontariato<br />

e al tempo libero, pensato<br />

soprattutto per i giovani<br />

delle scuole e delle associazioni”<br />

racconta Francesco Baruzzo,<br />

rappresentante di L’égalité,<br />

l’associazione fondata da studenti<br />

universitari sarzanesi,<br />

che gestisce il bene confiscato<br />

in via Landinelli 42. Le difficoltà<br />

maggiori sono state quelle<br />

amministrative, di assegnazione<br />

dell’immobile, che si sono<br />

protratte per ben due anni. Il<br />

bene è stato sequestrato nel<br />

2010 all’imprenditore e criminale<br />

locale Gabriele Venturi,<br />

confiscato in via definitiva<br />

nel 2011 e riassegnato solo nel<br />

2015. Da allora ha rappresentato<br />

“un vantaggio netto per la<br />

collettività - spiega Francesco<br />

- Non è la soluzione ai grandi<br />

problemi della nostra vita locale,<br />

ma senz’altro ci indica una<br />

via e una speranza.”<br />

In poco più di un anno di vita, Il<br />

Quarto Piano ha dato alla luce,<br />

con risorse esclusivamente<br />

private, un ambiente familiare<br />

e accogliente dove incontrarsi,<br />

studiare, passare del tempo<br />

insieme e svolgere le attività<br />

più diverse, dal doposcuola ai<br />

corsi d’italiano per stranieri, o<br />

leggere un libro in biblioteca.<br />

Ma non è finita qui, i ragazzi<br />

di L’égalité non si fermano: “I<br />

nostri progetti futuri consistono<br />

nella prosecuzione delle<br />

attività aggregative e di intrattenimento<br />

che animano il bene<br />

confiscato e che coinvolgono,<br />

ogni anno, decine di persone”<br />

spiega Baruzzo. Circa le difficoltà<br />

incontrate nel trattare e<br />

nel parlare del tema dell’antimafia<br />

e dell’illegalità, Francesco<br />

non ha dubbi nell’esporre<br />

le posizioni dell’associazione,<br />

“Più che educare alla legalità,<br />

oggi è importante educarci ad<br />

una cittadinanza responsabile,<br />

attenta e attiva - afferma - Non<br />

abbiamo messaggi da lanciare<br />

né insegnamenti da proporre,<br />

ma soltanto il nostro tempo e il<br />

nostro volontariato da mettere<br />

a disposizione, per lasciare che<br />

siano i giovani e i meno giovani<br />

a dire la propria sul nostro<br />

tempo e sulla nostra comunità”.<br />

Ai posteri, dunque, l’ardua<br />

sentenza. Nel presente possiamo,<br />

però, riconoscere di aver<br />

trovato in Liguria un terreno<br />

fertile, anche se ancora poco<br />

‘sfruttato’, per il recupero dei<br />

beni appartenuti al malaffare.<br />

Le esperienze di In sciä stradda<br />

e Il Quarto Piano dimostrano<br />

come la Regione abbia bisogno<br />

e dimostri di voler valorizzare<br />

i rinnovati beni comuni. L’attenzione<br />

e l’impegno di tanti<br />

cittadini lasciano ben sperare<br />

anche per il futuro della confisca<br />

Canfarotta, a patto che la<br />

burocrazia non freni la corrente<br />

dell’entusiasmo e la voglia di<br />

legalità che per ora gridano i<br />

loro messaggi dalle coloratissime<br />

saracinesche abbassate del<br />

capoluogo <br />

CONFISCATI E RI-<br />

CONFISCATI:<br />

LO STRANO CASO DI<br />

CAMPOLONGO<br />

di Giuseppe Mugnano<br />

Cosa Nostra, ‘ndrangheta,<br />

camorra, mafia<br />

cinese, ognuno con la<br />

propria zona di competenza,<br />

con i propri affari e i propri<br />

intermediari. È ciò che caratterizza<br />

il Veneto, regione che<br />

negli ultimi decenni è stata letteralmente<br />

invasa dalle organizzazioni<br />

criminali. Se poi ci<br />

si aggiunge anche la criminalità<br />

locale, il quadro si fa ancora<br />

più frastagliato. Negli anni<br />

Ottanta la Venezia criminale<br />

ha in Felice Maniero il proprio<br />

boss riconosciuto. Venuto alla<br />

ribalta prima come criminale<br />

locale, artefice di furti e rapine,<br />

Faccia d’angelo si è poi<br />

imposto come principale intermediario<br />

della criminalità<br />

organizzata nel traffico di sostanze<br />

stupefacenti dell’area<br />

veneta. “La sua storia - spiega<br />

Roberto Tommasi, responsabile<br />

regionale di Libera Veneto<br />

- ha assunto dei contorni<br />

che sono stati mitizzati: è<br />

stato complicato privarlo di<br />

quell’aura eroica agli occhi<br />

dei ragazzi, così come è stato<br />

difficile estirpare la credenza<br />

comune che la mafia qui non<br />

fosse affar nostro”. Oggi il boss<br />

della Mala del Brenta, la banda<br />

criminale sgominata grazie<br />

alle sue rivelazioni, ha cambiato<br />

vita grazie al programma di<br />

protezione testimoni; la sua<br />

villa di Campolongo Maggiore<br />

nel veneziano, in seguito alla<br />

confisca, ha cambiato faccia<br />

ed è diventata la sede dell’associazione<br />

Affari Puliti, a partire<br />

dal 2008. “Inizialmente questo<br />

spazio - racconta Pietro Bordin,<br />

direttore amministrativo<br />

di Affari Puliti - era stato pensato<br />

come spazio anziani, ma<br />

quando presentammo il nostro<br />

progetto, venne accolto di<br />

buon grado dal Comune, il quale<br />

deteneva l’amministrazione<br />

del bene. La nostra idea è stata<br />

semplice quanto efficace: fare<br />

di un luogo una volta adibito<br />

agli affari illeciti, un incubatore<br />

di imprese giovanili”. Fare,<br />

in sostanza, da rampa di lancio<br />

a nuove realtà imprenditoriali,<br />

ammortizzando inizialmente i<br />

costi di gestione. Ben 15 imprese<br />

finora si sono appoggiate a<br />

quest’associazione, come Fab<br />

Lab, laboratorio di stampa in<br />

3D che ha ottenuto importanti<br />

20 n.35 | SETTEMBRE 2017 21


iconoscimenti. Ma nell’ultimo<br />

anno le cose non sono andate<br />

per il verso giusto: l’amministrazione<br />

di Campolongo nel<br />

2016 è cambiata, passando<br />

nelle mani di una coalizione<br />

civica di centro-destra, capeggiata<br />

da Andrea Zampieri. Tra<br />

le nuove direttive anche quella<br />

di riprendere possesso di Villa<br />

Maniero, facendone uno spazio<br />

per le realtà associative del<br />

territorio. A marzo viene recapitata<br />

una prima lettera ad<br />

Affari Puliti, in cui si invitava<br />

l’associazione a lasciare l’abitazione.<br />

Pronta la replica, in<br />

cui si facevano valere i propri<br />

diritti, ovvero la convenzione<br />

ancora in essere con il Comune<br />

dal 2015. “La nuova amministrazione<br />

nei nostri confronti<br />

si è mostrata fredda sin dal<br />

primo momento - spiega Bordin<br />

-. Riteniamo che l’azione<br />

intrapresa contro di noi sia un<br />

atto di arroganza”. Difatti la<br />

vicenda ha assunto nuovi contorni,<br />

passando alle accuse. “Il<br />

Comune sosteneva - racconta<br />

il presidente di Affari Puliti<br />

- che la struttura non fosse<br />

idonea ad ospitare uffici, poi<br />

hanno accusato me di conflitto<br />

di interessi nel sostenere una<br />

delle imprese. La verità è che<br />

noi non siamo ben visti, perché<br />

non siamo allineati a loro”. Ora<br />

l’amministrazione comunale<br />

ha incaricato uno dei suoi consiglieri<br />

di maggioranza di farsi<br />

carico della vicenda, attraverso<br />

vie legali. “Hanno dato mandato<br />

ad un avvocato di seguire<br />

il caso. Il suo compenso si<br />

aggira intorno ai 13mila euro,<br />

una cifra considerevole per un<br />

Comune di 10 mila abitanti”-<br />

commenta Bordin. Il Comune,<br />

invece, non vuole alzare i toni<br />

della discussione “Abbiamo riscontrato<br />

delle difformità con<br />

la convenzione tra il Comune e<br />

l’associazione. - spiega la consigliera<br />

Katia Toson - Alle nostre<br />

rimostranze l’associazione<br />

ha risposto con una lettera<br />

di un legale. Vorremmo risolvere<br />

la questione in via bonaria,<br />

trovando un accordo tra le<br />

parti”. Se da una parte si spinge<br />

sull’acceleratore, dall’altra<br />

si morde il freno. Prossimo<br />

appuntamento a settembre, in<br />

cui si cercherà di trovare un<br />

LOMBARDIA:<br />

LIBERA MASSERIA DI CISLIANO - UN<br />

BENE CONFISCATO RECUPERATO DAL<br />

BASSO<br />

di Giovanni Modica Scala<br />

accordo. In tutto ciò, però, Libera<br />

tace. Non sono certo molti<br />

i casi in cui ad un bene confiscato<br />

riutilizzato si imputi una<br />

mala gestione, e in questi frangenti<br />

far da pacere dovrebbe<br />

essere un loro compito. Invece<br />

- a detta dell’associazione - Libera<br />

non si è mai interessata<br />

da vicino della questione, né si<br />

è mai fatta viva dalle loro parti.<br />

Come a dire, i panni sporchi è<br />

meglio che si lavino in casa <br />

ristorante “La Masseria”<br />

di Cisliano è un<br />

L’ex<br />

bene confiscato il 13<br />

ottobre 2014 al clan ‘ndranghetista<br />

Valle-Lampada e non<br />

ancora riassegnato definitivamente.<br />

Cisliano è un piccolo comune<br />

di circa 5000 abitanti a sudovest<br />

di Milano.<br />

Alla confisca seguirono numerosi<br />

“atti vandalici”: rimozione<br />

delle cancellate e delle tegole<br />

dal tetto, distruzione degli<br />

impianti, allagamento degli<br />

appartamenti e altri numerosi<br />

danni, per un ammontare di<br />

circa mezzo milione di euro.<br />

A fronte di tali atti, dopo che<br />

il Comune di Cisliano e Libera<br />

avevano più volte segnalato<br />

la situazione al Tribunale di<br />

Milano, in occasione del Consiglio<br />

Comunale aperto del<br />

21 aprile 2015 (al quale hanno<br />

preso parte anche Libera e Caritas),<br />

è stato votato all’unanimità<br />

l’impegno dell’Amministrazione<br />

a ottenere risposte<br />

dall’Agenzia Nazionale dei<br />

Beni Sequestrati e Confiscati e<br />

proteggere il bene da ulteriori<br />

atti di vandalismo.<br />

“Si iniziò con il responsabile<br />

regionale di Libera, che già<br />

seguiva anche RiMaflow – racconta<br />

Gigi Malabarba della<br />

fabbrica recuperata RiMaflow<br />

- e insieme a noi e Caritas si<br />

trovò un accordo col Sindaco<br />

per evitare la depredazione da<br />

parte dei mafiosi, per poi arrivare<br />

a costruire un progetto di<br />

utilizzo.”<br />

Sulla base di questo impegno,<br />

il 13 maggio 2015 viene avviato<br />

da Libera, Caritas e Comune<br />

un presidio permanente<br />

di legalità: un susseguirsi di<br />

volontari che giorno e notte<br />

hanno presidiato la struttura,<br />

impedendo danni ulteriori;<br />

riuscendo il 25 maggio 2015<br />

(dopo 12 giorni) a sbloccare la<br />

situazione di immobilismo e<br />

spingere finalmente l’Agenzia<br />

Nazionale dei Beni Sequestrati<br />

e Confiscati ad autorizzare<br />

nell’immediato la possibilità di<br />

stipulare un comodato d’uso<br />

gratuito per rendere immediatamente<br />

disponibile il<br />

bene alla collettività di Cisliano.<br />

“Con la nuova dirigenza di Libera<br />

- spiega Gigi - assai più<br />

tradizionalista, c’è stata la loro<br />

uscita”.<br />

Quindi a Cisliano si lavora<br />

principalmente con Ucapte<br />

(Una casa anche per te) di Caritas,<br />

utilizzando 4 mega appartamenti<br />

per ospitare famiglie<br />

sfrattate (siamo a 28 nuclei<br />

transitati in attesa di alloggio<br />

in due anni).<br />

Sono poi coinvolte altre realtà,<br />

associative e non (Cgil Lombardia,<br />

Camera del Lavoro di<br />

Milano, Cgil Ticino Olona, La<br />

Barriera, Caritas Ambrosiana,<br />

Cooperativa Terra e Cielo, Cascina<br />

Contina, Ri-MAFLOW,<br />

cooperativa IES, cooperatica<br />

Madre e terra, Comune Di<br />

Cisliano, e Lega delle autonomie),<br />

impegnate collettivamente<br />

nel promuovere e gestire<br />

i campi di Formazione e<br />

Lavoro nel bene confiscato Libera<br />

Masseria.<br />

“La confusione che si genera<br />

- spiegano i gestori in un comunicato<br />

chiarificatore del 27<br />

luglio - è data dal termine LIBE-<br />

RA che diversi hanno impiegato<br />

negli anni ed appartiene alla<br />

lingua italiana (…). Cogliamo<br />

l’occasione per ringraziare chi<br />

in Libera - nomi e numeri contro<br />

le Mafie risponde al telefono<br />

e ci indirizza le assistenti<br />

sociali dei diversi comuni, che<br />

cercano percorsi di formazione<br />

e lavoro per i ragazzi/e in<br />

difficoltà. Del resto anche NOI<br />

quando ci chiedono dei campi<br />

di E!StateLiberi formazione ed<br />

impegno diamo i contatti della<br />

associazione che tanto ha fatto<br />

e continua a fare, e resta nel<br />

nostro cuore.”<br />

Oltre all’uso abitativo per le<br />

famiglie sfrattate, lo stabile è<br />

dotato anche di una pizzeria<br />

(“siamo in attesa di farla funzionare<br />

di nuovo ufficialmente,<br />

creando anche posti di lavoro”).<br />

In più, grazie alla Caritas, ci<br />

sono 5 ettari di terreno in comodato<br />

a fianco della Masseria:<br />

è stato avviato all’interno<br />

uno spaccio di Fuorimercato e<br />

col tempo il ristorante funzionerà<br />

coi prodotti del campo.<br />

“L’idea - svela Gigi - è di costituire<br />

un’altra comunità sociale<br />

autogestita lì, dopo quella<br />

già avviata nel Lodigiano, e di<br />

avere tutte le realtà economiche<br />

all’interno della rete Fuorimercato<br />

tenute insieme da<br />

un progetto di economia popolare”.<br />

Nelle scorse settimane vi si<br />

sono tenuti campi di approfondimento<br />

e lavoro che hanno<br />

coinvolto centinaia di ragazze<br />

e ragazzi.<br />

La domanda, gravida di riflessioni,<br />

che Gigi pone al termine<br />

della nostra conversazione è<br />

la seguente: se si è potuto fare<br />

con la Masseria, perché non<br />

è possibile recuperare tutti i<br />

beni confiscati (e la Lombardia<br />

è la regione del Nord che<br />

ne possiede di più) e abbandonati<br />

attraverso un’iniziativa<br />

diretta dal basso? <br />

22 n.35 | SETTEMBRE 2017 23


PIEMONTE<br />

DOVE IL RIUTILIZZO<br />

Il fenomeno dell’infiltrazione<br />

mafiosa in molti settori<br />

economici e sociali si può<br />

riscontrare anche in regioni<br />

come il Piemonte, notoriamente<br />

considerata estranea a<br />

dinamiche legate alla criminalità<br />

organizzata. Secondo gli<br />

ultimi dati aggiornati al 2016,<br />

sono stati confiscati complessivamente<br />

265 immobili appartenenti<br />

a clan mafiosi e il 55% è<br />

già stato destinato a riutilizzo<br />

mentre la restante parte si trova<br />

sotto la tutela dell’ ANBSC.<br />

Dalle statistiche si nota che<br />

la provincia più interessata<br />

è quella di Torino (con il 76%<br />

FUNZIONA<br />

di Sergio Scollo<br />

del totale dei beni confiscati)<br />

seguita, con percentuali molto<br />

più basse, da Cuneo (6%). I<br />

beni, nella maggior parte dei<br />

casi, sono stati destinati ai<br />

Comuni che ne hanno avviato<br />

il processo di riutilizzo per la<br />

quasi totalità. Considerando<br />

la tipologia dei beni confiscati<br />

già destinati, viene alla luce<br />

che la più presente è quella degli<br />

appartamenti in condominio<br />

(15,8%) seguita dai terreni<br />

agricoli (14%).<br />

In questi territori Libera e il<br />

gruppo Abele hanno avviato<br />

progetti di riutilizzo di notevole<br />

portata e importanza;<br />

un esempio lampante è quello<br />

della Cascina Caccia, dedicata<br />

alla memoria del magistrato<br />

Bruno Caccia. Procuratore<br />

della Repubblica a Torino, era<br />

considerato un individuo incorruttibile<br />

e ligio al suo dovere;<br />

il suo lavoro di contrasto<br />

alle organizzazioni criminali,<br />

in particolar modo alla ‘ndrangheta,<br />

lo ha pagato a caro prezzo.<br />

Infatti, il 26 giugno 1983,<br />

venne assassinato con 17 colpi<br />

di pistola. Venne accusato<br />

come mandante dell’ omicidio<br />

Domenico Belfiore, un noto<br />

esponente ‘ndranghetista attivo<br />

in Piemonte, poi condannato<br />

all’ergastolo.<br />

Nel 2008 è stata eseguita la<br />

confisca dei beni del boss, fra<br />

cui una cascina situata a San<br />

Sebastiano da Po, dimora della<br />

sua famiglia con difficoltà<br />

si riuscì a togliere dalle mani<br />

mafiose questo immobile che<br />

venne riutilizzato dall’associazione<br />

ACMOS e venne dedicato<br />

ai coniugi Caccia. “Oltre<br />

che all’operato del procuratore<br />

Bruno Caccia - spiega Noemi<br />

Tacconi, coordinatrice delle<br />

attività della cascina - la dedica<br />

va anche a sua moglie Bruna,<br />

che per tanti anni si è spesa<br />

per raccontare la storia di suo<br />

marito in giro per le scuole,<br />

spiegando ai ragazzi cosa fosse<br />

la ‘ndrangheta. Si, perché<br />

in Piemonte non solo non si<br />

conosceva la figura di Bruno<br />

Caccia, ma tantomeno si aveva<br />

percezione del fenomeno<br />

criminale di matrice calabrese.<br />

Lo ammette Noemi, ricordando<br />

di un sondaggio fatto in<br />

giro per Torino che aveva tante<br />

facce interrogativi; da quella<br />

ricerca se ne è ricavato un video<br />

che facesse anche da memorandum.<br />

“Dopo l’operazione<br />

Minotauro - precisa Noemi<br />

- che nel 2011 portò alla luce i<br />

contorni delle vicende criminali<br />

del capoluogo piemontese,<br />

la consapevolezza è aumentata.<br />

Adesso molte persone sono<br />

a conoscenza che anche qui<br />

la mafia è presente, anche se<br />

molto più silenziosa”. Anche<br />

dopo la confisca della cascina,<br />

i parenti di Domenico Belfiore<br />

hanno continuato a dimorare<br />

in alcuni appartamenti antistanti<br />

al bene confiscato, fino<br />

a quando, nel maggio 2017, il<br />

nuovo sindaco di San Sebastiano<br />

(“dimostrando di avere pugno<br />

duro”, come dice la Tacconi)<br />

ha intimato loro lo sfratto.<br />

Dirimpettai a parte, in quasi<br />

dieci anni Cascina Caccia si è<br />

data un bel da fare per autogestirsi<br />

e portare avanti i propri<br />

progetti -“perchè è fisiologico<br />

che, dopo i primi anni in cui la<br />

Regione ti dà una mano, gradualmente<br />

i fondi amministrativi<br />

vadano esaurendosi; ed è<br />

anche giusto, perché una cooperativa<br />

ce la deve fare con le<br />

proprie forze, mettendo a frutto<br />

i propri progetti”. E attraverso<br />

l’Associazione Acmos ne<br />

hanno realizzati tanti, a partire<br />

dall’accoglienza, sia di chi si<br />

occupa dell’organizzazione (la<br />

stessa Noemi infatti abita nella<br />

Cascina “anche - dice - per<br />

evitare che vengano fatti più<br />

danni che in precedenza”), sia<br />

di chi ha bisgno di una casa,<br />

ma non solo. Sono previste<br />

infatti diverse forme di ospitalità:<br />

la prima in giornata,<br />

la seconda di qualche giorno,<br />

entrambe per conoscere, più<br />

o meno in modo approfondito<br />

meglio la nostra realtà. Poi ci<br />

sono i percorsi formativi per<br />

persone provenienti da istituti<br />

penitenziari, anche minorili;<br />

un’occasione questa per offrire,<br />

durante un breve periodo di<br />

lavoro, una prima vetrina sul<br />

futuro che verrà. Infine Estate<br />

Liberi, momento in cui i ragazzi<br />

di Libera hanno l’occasione<br />

di vivere la realtà di un bene<br />

confiscato alle mafie dando<br />

una mano nella produzione dei<br />

prodotti di Libera Terra. Come<br />

il miele, ad esempio, “uno dei<br />

primi prodotti italiani a prendere<br />

l’etichetta di Libera Terra”<br />

- spiega Noemi. Dal 2009 si<br />

sono aggiunti anche i noccioli,<br />

e nel corso di questi anni è<br />

stata avviata la produzione di<br />

prodotti composti con queste<br />

due materie prime, che - come<br />

sperano in cascina - presto si<br />

potranno produrre in loco, per<br />

abbattere i costi, perché - “e<br />

questo nessuno lo dice - spiega<br />

Noemi - una cooperativa è una<br />

macchina produttiva che ha<br />

bisogno di alimentarsi, e noi<br />

ogni anno abbiamo bisogno<br />

di circa 150 mila per andare<br />

avanti”. Fondi che cercano di<br />

ricavare in modi diversi, dalle<br />

cene di raccolta fondi agli<br />

eventi privati. Tutto per portare<br />

avanti una comunità che<br />

sappia stare insieme coltivando<br />

prodotti e ideali <br />

24 n.35 | SETTEMBRE 2017 25


varato nel 2011, con legge delega<br />

del 2010. Dal 2013 in poi<br />

la Commissione Antimafia ha<br />

aperto un’inchiesta dedicata al<br />

funzionamento dei sequestri e<br />

delle confische, e nel dicembre<br />

2014 ha redatto una proposta<br />

complessiva finale con l’aiuto<br />

di altre associazioni, tra cui<br />

Libera. Quest’ultima ha infatti<br />

giocato un ruolo significativo<br />

nella raccolta di firme, che<br />

hanno permesso di presentare<br />

la proposta come di iniziativa<br />

popolare di fronte al Parlamento.<br />

Di lì, la Commissione<br />

ha prodotto una nuova proposta<br />

di modifica.<br />

RIIFORMA DEL CODICE AN-<br />

TIMAFIA SULLA DISCIPLINA<br />

RELATIVA ALLA CONFISCA<br />

DEI BENI<br />

parla il deputato Davide Mattiello<br />

di Chiara Valzano<br />

Non basta togliere e<br />

sottrarre beni alle<br />

mafie, se ciò che si è<br />

tolto e sottratto si trasforma<br />

in una sconfitta sociale. Non<br />

basta sequestrare i beni alla<br />

criminalità organizzata, se<br />

poi questi beni finiscono in<br />

malora, abbandonati a loro<br />

stessi. In Italia lo scenario<br />

sembra essere particolarmente<br />

complesso.<br />

Oltre 23.000 sono gli immobili<br />

confiscati, ma di questi<br />

non si conosce quanti siano<br />

stati effettivamente destinati.<br />

Più di 3000 sono le imprese<br />

confiscate, ma di queste<br />

solo pochissime hanno ripreso<br />

la loro attività.<br />

È alla luce di questi dati che<br />

è nata una nuova proposta<br />

di legge che ha come oggetto<br />

i beni confiscati e la riforma<br />

del Codice Antimafia. Una riforma<br />

la cui parola chiave è organicità:<br />

contro la criminalità<br />

organizzata bisogna costruire<br />

un sistema forte e unitario,<br />

che non lasci spazio a lacune.<br />

Per comprendere meglio il<br />

testo della proposta, i nodi<br />

cruciali della stessa, mi sono<br />

rivolta ad un esperto, l’onorevole<br />

Davide Mattiello. Relatore<br />

della Commissione Permanente<br />

di Giustizia, è sicuramente<br />

uno dei soggetti che ha maggiormente<br />

influito su tale progetto<br />

particolarmente ambizioso.<br />

Innanzitutto Mattiello ha precisato<br />

che tale riforma mira a<br />

modificare il Codice Antimafia<br />

“Cosa ha portato alla nascita<br />

di questa riforma, se si pensa<br />

che tale disciplina è entrata in<br />

vigore solo poco tempo prima<br />

con il Codice del 2011?”<br />

“La disciplina del Codice Antimafia<br />

prevede l’istituzione di<br />

un ente, quale l’Agenzia Nazionale<br />

per l’amministrazione<br />

e destinazione dei beni sequestrati<br />

e confiscati alla criminalità<br />

organizzata. Come si può<br />

dedurre dalla denominazione<br />

stessa, questo ente svolge essenzialmente<br />

due funzioni: la<br />

prima consiste nel governare<br />

la destinazione dei beni definitivamente<br />

confiscati, la seconda<br />

nell’amministrare quelli<br />

che ancora non hanno ottenuto<br />

una destinazione, e che non<br />

sono soggetti a confisca definitiva.<br />

Il problema che è stato riscontrato<br />

fin da subito è che tale<br />

ente funziona poco e male,<br />

pertanto i risultati sono stati<br />

al di sotto delle aspettative.<br />

Quest’ente ha le gambe troppo<br />

sottili, è troppo debole e<br />

poco organizzato, dotato di<br />

poco personale. È questo uno<br />

dei punti principali di questa<br />

26 n.35 | SETTEMBRE 2017 27


iforma, che mira ad una ridefinizione<br />

e potenziamento<br />

del ruolo dell’Agenzia e del suo<br />

funzionamento.”<br />

“Il testo di legge prevede la<br />

creazione di un Fondo di garanzia<br />

per beni e aziende sequestrate.<br />

Come funziona<br />

questo strumento?”<br />

“Quello delle aziende è stato<br />

un altro dei punti fondamentali<br />

che ha portato alla nascita<br />

di questo testo. Circa il novanta<br />

per cento di queste aziende,<br />

una volta confiscate, falliscono.<br />

Tra i tanti motivi, ricordiamo il<br />

fatto che una volta che queste<br />

aziende vengono sequestrate,<br />

le banche che le finanziavano<br />

chiudono i rubinetti del credito.<br />

E questo mi porta a fare<br />

una considerazione di natura<br />

politica: perché le banche fornivano<br />

crediti alle aziende nel<br />

momento in cui erano gestite<br />

dalle mafie, e tagliano i fondi<br />

quando invece arriva lo stato a<br />

dare loro un riscatto?<br />

Questa proposta vuole con questo<br />

istituto aumentare i fondi<br />

di finanziamento per queste<br />

aziende sequestrate, tali da<br />

consentire all’amministratore<br />

giudiziario e all’Agenzia di potersi<br />

muovere più agevolmente<br />

nella strada che condurrà alla<br />

rinascita delle imprese.<br />

Di fatto, quando una di queste<br />

aziende fallisce, il fallimento<br />

è doppio: da un lato infatti lo<br />

Stato “distrugge” posti di lavoro,<br />

dall’altro è una sconfitta<br />

nella battaglia contro la mafia<br />

se si considera che la produttività<br />

di queste aziende era<br />

elevata ed efficiente quando<br />

queste erano sotto il controllo<br />

delle mafie.”<br />

“La riforma incide profondamente<br />

anche nella procedura<br />

che intercorre tra la proposta<br />

di sequestro e la condanna definitiva<br />

di confisca. Quali sono<br />

gli obiettivi che si cercano di<br />

ottenere?”<br />

“Si, per quanto riguarda la<br />

procedura, l’intervento è stato<br />

profondo, per assicurare due<br />

garanzie: tempi certi e rapidi,<br />

ma soprattutto tutelare i diritti<br />

della difesa del proposto<br />

e del terzo creditore in buona<br />

fede.<br />

Relativamente al primo punto,<br />

vorrei osservare il fatto che<br />

oggi il processo che porta alla<br />

condanna definitiva può durare<br />

anche fino ai 10 anni. Il che<br />

è inconcepibile. Ad esempio, la<br />

proposta prevede la così detta<br />

distrettualizzazione. Si cerca<br />

in questo modo di concentrare<br />

le accuse all’interno dei singoli<br />

distretti antimafia.<br />

Per quanto riguarda la tutela<br />

dei terzi e del proposto, la questione<br />

è fortemente delicata.<br />

Sia l’UE, sia la Corte Costituzionale<br />

hanno più volte invitato<br />

il legislatore a rendere questa<br />

procedura maggiormente<br />

tutelante, soprattutto in tema<br />

di prevenzione patrimoniale.<br />

In questo caso sequestro e confisca<br />

prescindono dal giudizio<br />

del giudice. Nonostante non<br />

sia stato accertato alcun reato<br />

o delitto, si ha l’ablazione del<br />

bene. Il soggetto che subisce<br />

tale misura di prevenzione non<br />

è un condannato, ma solo un<br />

indiziato. L’effetto che si produce<br />

nei suoi confronti è devastante<br />

e pericoloso, proprio<br />

per le conseguenze negative<br />

che può comportare. Si genera<br />

un’indagine patrimoniale, si<br />

accerta che quei determinati<br />

beni oggetto dell’indagine non<br />

possano essere giustificati con<br />

il reddito o con il lavoro svolto<br />

dal sospettato. Si cercano indizi<br />

di comportamenti illeciti e<br />

abituali. Si tratta di un istituto<br />

privo di garanzie processuali.”<br />

Questa riforma sembra costituire<br />

uno strumento rivoluzionario<br />

nella lotta contro<br />

la criminalità organizzata. A<br />

maggior ragione se pensiamo<br />

che il potenziamento degli<br />

strumenti in mano allo Stato<br />

avviene in assenza della spinta<br />

emotiva del “morto eccellente”,<br />

a differenza di quanto avvenne<br />

nella storia passata.<br />

Questa proposta nasce con la<br />

consapevolezza che le mafie<br />

sono tanto più forti e persuasive<br />

quando non sono in guerra<br />

tra loro. Quando non sparano.<br />

Quando non uccidono. Sono<br />

tanto più forti quando di nascosto<br />

accrescono il loro impero<br />

economico, contaminano<br />

la buona economia e la produzione<br />

di un Paese che, d’altro<br />

canto, non ha smesso mai di<br />

lottare contro di esse<br />

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n.35 | SETTEMBRE 2017 29

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