Burri e Pistoia

BURRI
E PISTOIA
a cura di bruno corà
testi di
aurelio amendola
bruno corà
giuliano gori
chiara sarteanesi
fotografie di
aurelio amendola

Nella pagina a fianco, Alberto
Burri, New York, 1978
Facing page, Alberto Burri,
New York, 1978

Volume realizzato in occasione della mostra
BURRI
E PISTOIA
a cura di Bruno Corà
Pistoia, Palazzo Sozzifanti
10 maggio – 26 luglio 2015
Realizzazionie del volume
Gli Ori, Pistoia
Mostra promossa da
Organizzato da
Redazione e impaginazione
Gli Ori Redazione
Impianti e stampa
Bandecchi e Vivaldi, Pontedera
Traduzione
Shanti Evans
Referenze fotografiche
Archivio Collezioni Gori, Pistoia pp. 60, 71, 80, 81, 82
Carlo Chiavacci – Archivio Collezioni Gori, Pistoia p. 18
Serge Domingie – Archivio Collezioni Gori, Pistoia 64-65
Carlo Fei – Archivio Collezioni Gori, Pistoia pp. 23, 38-39, 42-43
Archivio Palazzo Albizzini Fondazione Burri, Città di Castelli pp. 28-29
Luciano Magnini pp. 56, 57, 58, 59, 62
Alberto Burri ai sensi della legge n. 633 del 22 aprile 1941 (diritti
di autore): Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di
Castello (Perugia) © by SIAE 2013 pp. 19-20, 23, 28-29, 31, 33, 38-39,
41, 42-43, 44-45
Marino Marini ai sensi della legge n. 633 del 22 aprile 1941 (diritti
di autore) Fondazione Marino Marini, Pistoia © by SIAE p. 18
© Copyright 2015 Fondazione Cassa Risparmio Pistoia e Pescia, Pistoia
per l’edizione Gli Ori, Pistoia
ISBN 978-88-7336-573-0
Tutti i diritti riservati
www.gliori.it
info@gliori.it
Presidente
Ivano Paci
Vice Presidente
Luca Iozzelli
Consiglio di Amministrazione
Giuseppe Alibrandi
Roberto Cadonici
Giulio Masotti
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Cristina Pantera
Collegio dei Revisori
Presidente
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Giovanna Evangelista
Antonella Giovannetti
Alberto Burri Centenario | 1915-2015
in collaborazione con Fondazione
Palazzo Albizzini Collezione Burri,
Città di Castello
Coordinamento Generale
Roberto Cadonici
Umberto Guiducci
Segreteria organizzativa
Elena Ciompi
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
Progetto allestimento
Arch. Tiziano Sarteanesi – Studio
Architettura 80 – Città di Castello
Realizzazione allestimento
Salvadori R.&C. s.n.c., Pistoia
Illuminazione
Illumino Tecnica Pistoiese, Pistoia
Cartellonistica e segnaletica
Multideco, Pistoia
Servizi di Biglietteria e sorveglianza
Ad Astra srl, Massa
Trasporti
Arteria
Apice Firenze srl
Ditta Trasporti Vegni Lido
Assicurazione
Willis Italia s.p.a.
AIB Insurance Broker srl
Ufficio stampa
Delos servizi per la cultura, Milano
Visite guidate
Artemisia Associazione Culturale, Pistoia

Pistoia can boast a really special relationship with Alberto Burri, starting
from the presence in the region of the Celle Big Iron [Grande Ferro
Celle] that the Umbrian artist made in 1986, designing it expressly for
that site and supervising its installation personally.
The work—as is well known—is located at Santomato, at the entrance
to the Celle sculpture garden, but in an open space on the side of the
road that links Pistoia with Montale.
The very close relationship of the Big Iron with Giuliano Gori’s collection
of environmental art is evident from the title and the location. The
fact remains that it is to all intents and purposes a public work, which
has been an integral part of the local geography for almost thirty years.
Created explicitly as a public work of art (almost uniquely in
Burri’s production), it constitutes a very strong link with the city
where it was erected, but it is not the only one. In Pistoia, in fact,
live two of Burri’s friends and fellow travelers: Aurelio Amendola
and Giuliano Gori.
The first can be considered in every respect Burri’s photographer:
over the course of time he has documented his work on several occasions,
with informal portraits and pictures of his creations. The
image by which the artist is known in the world is the famous one
of the “combustions,” a spectacular series of photographs taken by
Amendola in the studio at Morra in 1976, the most significant of
which are preserved in our foundation’s collection. While those pictures
are probably the best known, they are very far from the only
fruits of their relationship. One of the pillars of this exhibition is in
fact the possibility it offers—for the first time—of seeing a very wide
selection of that extraordinary gallery, which plainly has a twofold
Pistoia può vantare con Alberto Burri un rapporto davvero speciale, a
partire dalla presenza sul territorio del Grande Ferro Celle che l’artista
umbro realizzò nel 1986 progettandolo espressamente per quello spazio
e curando di persona l’installazione.
L’opera – come noto – è collocata a Santomato, proprio all’ingresso del
parco di Celle, ma in uno spazio aperto, lateralmente alla carreggiata
stradale che unisce Pistoia a Montale.
Lo strettissimo rapporto del Grande Ferro con la collezione di arte
ambientale di Giuliano Gori è evidente nel titolo e nella collocazione;
ciò non toglie che si tratti di un’opera a tutti gli effetti pubblica, che da
quasi trent’anni è parte integrante della geografia del territorio.
Un’opera nata con esplicita destinazione pubblica (quasi un unicum
nella produzione del maestro) che di per sé costituisce un fortissimo
legame con la città in cui è stata collocata: ma non è l’unico. A Pistoia
risiedono infatti due amici e compagni di viaggio di Burri: Aurelio
Amendola e Giuliano Gori.
Il primo si può considerare a tutti gli effetti il fotografo di Burri: nel
corso del tempo ne ha documentato il lavoro, a più riprese, sia con
ritratti amicali sia fotografando le sue opere. L’immagine dell’artista
nel mondo è quella celebre delle “combustioni”, una spettacolare serie
realizzata da Amendola nell’atelier di Morra nel 1976, di cui la nostra
Fondazione conserva in collezione gli scatti più significativi. Se quelle
foto sono probabilmente le più note, sono tuttavia molto lontane
dall’esaurire il rapporto. Uno dei pilastri di questa esposizione è infatti
costituito dalla possibilità – e sarà la prima volta che accade – di gettare
uno sguardo su una selezione molto ampia di quella formidabile galleria,
che assume con tutta evidenza un duplice valore: da un lato si tratta di

value: on the one hand it represents an important documentation of
Burri and his work, and on the other the photographs are in themselves
high-quality works of art.
But an exhibition on Burri cannot neglect his creations, and here the
second pillar comes into play: the Gori Collection. The Big Iron has always
been a sort of visiting card of the Fattoria di Celle, located as it is
just outside the entrance. However, Giuliano Gori’s personal collection
also contains an important group of the artist’s works, documenting
some decisive passages in his development.
Since these are works from a private collection, they are naturally not
on the normal exhibition circuits, and this is what makes the event so
interesting and attractive. The inclusion of a “historic” work like the
Sack [Sacco] of 1952, on loan from the Fondazione Palazzo Albizzini
Collezione Burri in Città di Castello, completes the picture and makes
the occasion a particularly alluring one, and perhaps the most outstanding
of the few Italian initiatives undertaken to celebrate the centenary
of his birth.
Ivano Paci
President
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
una importante documentazione relativa a Burri e al suo lavoro, ma
dall’altro le stesse fotografie rappresentano di per sé prodotto artistico
di alta qualità.
Ma una mostra su Burri non può prescindere dalle sue opere, e qui
entra in campo il secondo pilastro dell’esposizione: la collezione Gori.
Il Grande Ferro è da sempre una sorta di biglietto da visita della Fattoria
di Celle, posto com’è proprio all’esterno del suo ingresso. Giuliano Gori
conserva però nella propria collezione anche un importante nucleo di
lavori dell’artista, che documentano alcuni passaggi decisivi del suo
percorso.
Trattandosi di opere che provengono da una collezione privata, sono
naturalmente fuori dai normali circuiti espositivi, e questo rappresenta
l’interesse e l’attrattività della mostra; l’integrazione con un’opera
“storica” come il Sacco del 1952, conservato a Città di Castello presso
la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, completa il quadro e
fa diventare l’occasione particolarmente allettante, così da trasformarla
forse nell’evento che meglio di altri si segnala tra le rare iniziative
italiane per la celebrazione del centenario della sua nascita.
Ivano Paci
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

SOMMARIO | CONTENTS
bruno corà
BURRI AND PISTOIA 14
BURRI E PISTOIA 15
giuliano gori
THE CELLE BIG IRON: A HISTORY 54
IL GRANDE FERRO CELLE: UNA STORIA 55
aurelio amendola
BURRI AND THE PHOTOGRAPHER 96
BURRI E IL FOTOGRAFO 97
FRIENDSHIP BEFORE ALL ELSE
chiara sarteanesi interviews aurelio amendola 122
L’AMICIZIA PRIMA DI TUTTO
chiara sarteanesi intervista aurelio amendola 123
Nella pagina a fianco, Alberto
Burri e Minsa Craig, Venezia,
1983
Facing page, Alberto Burri
and Minsa Craig, Venice, 1983

BURRI AND PISTOIA
bruno corà
BURRI E PISTOIA
bruno corà
Anyone taking the Via Montalese that runs through the hills from
Pistoia to the village of Santomato will be surprised to suddenly come
across—in the area right in front of the entrance to Villa Celle—Alberto
Burri’s Celle Big Iron [Grande Ferro Celle], placed there in 1986 at the
express desire of the artist himself. The work, made of iron and painted
red, is of considerable size (5,25 x 5,90 m) and one of the very few sculptures
by the artist from Città di Castello to be located in the open air.
With vertebra that make it look like the skeleton of an airship, the Big
Iron has the same airy lightness, while emphasizing the solidity of a
structure obtained by linking two triangles together with curved “ribs”
that enclose its volume. The flat profiles of the pieces of iron chosen
and shaped by Burri accentuate the sharp-edged and hollow character
of the solid, which has the power to evoke one of the figures drawn by
Leonardo for Luca Pacioli’s De Divina Proportione (1492). As elastic as
a sail filled with wind, the work Celle Big Iron (1986) offers glimpses
through its open spaces of the surrounding greenery, the fencing of the
nearby vegetable gardens and the large pillars of the gateway to the
villa which for years has hosted Giuliano Gori’s extensive collection of
environmental art.
This exhibition, which on the centenary of Burri’s birth celebrates the
artist’s relationship with the city of Pistoia, offers an extraordinary photographic
image of this important sculptural creation taken by Aurelio
Amendola, responsible for the most successful pictures of the great
artist from Città di Castello and his works.
A visit to the exhibition of a group of works of Burri on loan from the
Gori Collection and of a substantial set of prints of Amendola’s photographs,
assembled for the event organized by the Fondazione Cassa di
A chi percorresse la via Montalese che da Pistoia si snoda attraverso
le colline e reca al borgo di Santomato, sarebbe riservata la sorpresa
– proprio nell’aria antistante l’ingresso di Villa Celle – di trovarsi d’improvviso
al cospetto del Grande Ferro Celle, 1986 di Alberto Burri, là
collocato per desiderio dell’artista stesso. L’opera, in ferro dipinto di
color rosso, dalle considerevoli dimensioni (5,25 x 5,90 m) è una delle
pochissime sculture dell’artista tifernate situata en plein air.
Vertebrata come lo scheletro di un dirigibile il Grande Ferro ne condivide
l’ariosa leggerezza, ponendo tuttavia in risalto la salda strutturazione
ottenuta mediante due triangoli collegati tra loro da ‘costole’
curve che ne conchiudono la volumetria. I piatti profili del ferro prescelto
e dimensionato da Burri accentuano la dimensione tagliente e
vacua del solido che ha la forza di evocare una delle figure disegnate
da Leonardo per il De Divina Proportione di Luca Pacioli (1492). Elastica
come una vela gonfiata dal vento, l’opera Grande Ferro Celle, 1986 lascia
intravedere attraverso la sua aperta spazialità il verde circostante,
la recinzione degli orti limitrofi e il grande portale d’ingresso alla villa
ove da anni risiede la grande collezione d’arte ambientale ordinata da
Giuliano Gori.
Di questa importante creazione plastica di Burri, la mostra, che nel
Centenario della nascita celebra la relazione avuta dall’artista con la città
di Pistoia, fornisce una straordinaria immagine fotografica dovuta ad
Aurelio Amendola, artefice peraltro delle più riuscite pose del grande
artista di Città di Castello e delle sue opere.
Nel visitare così l’esposizione di un nucleo di opere di Burri concesse
in prestito dalla Collezione Gori e di un repertorio considerevole di
stampe di Amendola, riuniti per l’evento promosso dalla Fondazione
14 15

23

Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982
This and previous pages,
Alberto Burri, Città di
Castello, 1982
24 25

Risparmio in Palazzo Sozzifanti, will make the cultural and emotional
reasons for staging it in the city clear. Burri struck a chord in Pistoia at
a time when there were really very few people who understood his art
and realized its greatness. And Giuliano Gori and Aurelio Amendola
can certainly be proud of being members of the restricted circle that
appreciated the quality of the works and the artist as well as the man.
But there is reason to believe that Burri also held Marino Marini in
high esteem, judging by the testimony of both Gori and Amendola and
of other people who knew him and heard him express his admiration
of the sculptor from Pistoia on more than one occasion. It is also known
that Marini had a high opinion of Burri and that they, like Morandi
and other great artists, did not hesitate to acknowledge each other’s
talents. Thus the exhibition in Pistoia offers not only a new reflection
on Burri’s work, but also on those relations.
Before examining Burri’s works and Amendola’s photographs, I do not
think it would be out of place in these circumstances to mention some
other artistic figures who, in different ways, have contributed to the
formation of the city’s cultural fabric, underscoring the original role it
has played in the broader national panorama. I am alluding to Giovanni
Michelucci, Agenore Fabbri and Fernando Melani, among others. In
the work of each of them, in fact, we can find numerous parallels with
Burri’s poetics of material. It suffices to recall Melani’s constant interrogations
of matter, through hundreds of “experiments” on its elementary
constituent entities, on the atoms and particles that determine the
properties on which Burri himself worked to develop a new form and
a new language for his creations. But if this is the context in which it
is opportune to reconsider the presence of Burri, well known to all the
artists whom I have named, the vision of his works at first hand today
provides a further, invaluable opportunity of observation. And one that
is a reminder of some particularly happy moments at Palazzo Fabroni
over the course of the nineties, with exhibitions by artists like Uncini,
Kounellis, Pistoletto and Ruffi, almost all of which were organized by
myself at that museum in an explicit dialogue with the legacy of Burri,
recognized as a master by them all.
Cassa di Risparmio in Palazzo Sozzifanti, si comprendono assai bene
le ragioni che giustificano culturalmente ed emotivamente l’appuntamento.
A Pistoia Burri ha trovato ascolto sin dagli anni in cui erano
davvero poche le persone che subito compresero la sua arte e la sua
grandezza. E tra coloro che apprezzarono le opere e l’artista oltreché
l’uomo, certamente Giuliano Gori e Aurelio Amendola possono vantare
quel sodalizio. Ma si ha motivo di credere che insieme a entrambi Burri
avesse molta stima anche di Marino Marini, stando alle testimonianze
sia di Gori che di Amendola e di altre persone che lo frequentavano e
che più volte l’hanno sentito esprimere giudizi positivi sullo scultore
pistoiese. D’altronde è altresì noto che Marini ricambiava con sincerità
la stima di Burri e che dunque, come Morandi e altri grandi artisti, non
esitavano a riconoscersi reciprocamente. La mostra di Pistoia fornisce
così un nuovo spunto di riflessione sull’opera di Burri, ma anche su tali
rapporti.
Ancor prima di prendere in esame le opere di Burri e le immagini fotografiche
di Amendola, non mi sembra fuori luogo richiamare in questa
circostanza anche alcune altre personalità artistiche che, seppure con
altre valenze, hanno contribuito alla formazione dello stesso tessuto
culturale della città, marcandone il ruolo originale nel più vasto panorama
artistico nazionale. Alludo apertamente a Giovanni Michelucci,
ad Agenore Fabbri, a Fernando Melani e altri. Ognuno di loro, infatti,
in modi e con contributi diversi ha avuto con la poetica della materia
di Burri numerose tangenze. Basti ricordare le costanti interrogazioni
di Melani, attraverso centinaia di ‘esperienze’ sulla materia, sulle sue
entità costitutive elementari, sugli atomi e sulle particelle che determinano
quelle proprietà che Burri stesso, in sintesi, elaborava ottenendo
una nuova forma e una nuova lingua per le proprie opere. Ma se questo
è il contesto entro cui è opportuno rimeditare la presenza di Burri ben
nota a tutti quegli artisti che ho nominato, oggi la visione diretta delle
sue opere fornisce un’ulteriore preziosa occasione di osservazione che
risveglia momenti particolarmente felici vissuti negli anni Novanta a
Palazzo Fabroni nel corso delle mostre di artisti come Uncini, Kounellis,
Pistoletto e Ruffi, da me stesso quasi tutte ordinate in quel Museo,
26 27

Alberto Burri, Sacco, [1952],
sacco, tela, olio, vinavil su
tela, cm. 87 x 102
Fondazione Palazzo Albizzini
Collezione Burri, Città di
Castello
Alberto Burri, Sack [Sacco,
1952], sacking, canvas, oil
and polyvinyl acetate glue
on canvas, 87x102 cm.
Fondazione Palazzo Albizzini
Collezione Burri, Città di
Castello

Together with the photographs of the Big Iron, eight historic works
from the Gori Collection will be displayed alongside the Sack [Sacco,
1952] from the Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri as paradigmatic
examples of Burri’s art.
If the Sack, 1952, and Mold [Muffa, 1952] mark in “oracular” fashion the
beginning of Burri’s discourse on the poetics of material in the fifties,
both also determine its flagrant entry onto the scene of painting with
deferred but potent examples. The first, by showing all its phenomenological
experience of a leftover piece of furnishing. Run through
with darns, imponderable itineraries of threads and stitches that restore
and bring back to life a now unhoped-for integrity, the Sack is the
victorious banner of a strenuous struggle against a beauty that is too
often taken for granted and entrusted to the orderly arrangements of
a canonical painting. Disruptive and never previously considered examples
of a range of materials regarded as unserviceable, the humble
“sacking” and “mold” do not cease to send astonishing impulses that
have the power to ecstatically assail the individual perception.
Similarly, the composition Black [Nero, 1951] and the Combustion
[Combustione, 1957] from the same period mark the surface of the works
with images of equally dramatic disintegration of the material. In the
Combustion, the torch has consumed with its vigor the organic continuity
of the support, leaving only poor and dark ashes and noticeable
breaks in parts of the image to evoke its action. And no one could object
to the Black if it were to be pictured as the “de-composition” of a
figurality that is improbable because unimaginable. With a work like
this one of Burri’s it would have been possible to speak of “dark matter”
as far back as the middle of the fifties!
The vast expanse of Big Wood M. [Grande Legno M., 1958] has its spatiality
eaten into by the well-separated burns of the flame, like a combed
Zen garden in which islands of solitary stones sprout from the ground.
A masterpiece that could easily have stood alongside the ones that
will be on show in the exhibition at the Guggenheim scheduled for
October of this year if its delicate structure had not made it unsuitable
for such a long journey. But visitors will be able to enjoy it here.
quale retaggio esplicito e dialettico con l’opera di Burri, riconosciuto
maestro da tutti loro.
Insieme al Grande Ferro, le otto opere storiche della Collezione Gori
si dispiegano insieme con il Sacco, 1952, proveniente dalla Fondazione
Palazzo Albizzini Collezione Burri quale paradigmatica esemplarità
dell’arte di Burri.
Se il Sacco, 1952 e la Muffa, 1952 avviano in modo ‘oracolare’ il pronunciamento
di Burri che negli anni Cinquanta introduce l’ostensione
poetica della materia, entrambi ne determinano la flagrante entrata in
scena della pittura con differiti ma potenti esempi. Il primo, mostrando
tutto il suo vissuto fenomenologico di una suppellettile residuale.
Attraversato da rammendi, itinerari imponderabili di fili e cuciture che
ripristinano e rimettono in vita un’integrità ormai insperata, il Sacco
è il vessillo vincitore di una strenua lotta contro una bellezza troppo
spesso scontata e affidata a ordinate disposizioni di una pittura canonica.
Esempio dirompente e mai prima considerato di un repertorio di
materie ritenute inservibili, l’umile ‘sacco’, insieme alla ‘muffa’ non
cessano di inviare impulsi stupefacenti che hanno il potere di investire
estaticamente la percezione individuale.
Non diversamente, la composizione Nero, 1951 e la Combustione, 1957
nello stesso frangente segnano la superficie di quelle due opere con
immagini di analoga drammatica disgregazione della materia. Nella
Combustione, la fiamma ha consumato col suo vigore la continuità organica
del supporto considerato, lasciando a evocarne l’azione solo
povere ceneri oscure e interruzioni di parti sensibili dell’immagine. E
il Nero non avrebbe l’obiezione di alcuno se la immaginassimo anche
come “s-composizione” di una figuralità improbabile perché inimmaginabile.
Già con Burri si sarebbe potuto parlare da quella metà degli
anni Cinquanta di ‘materia oscura’ con un’opera come questa!
La vasta pagina del Grande Legno M., 1958 ha la spazialità intaccata dalle
distanziate ustioni del fuoco come un pettinato giardino Zen in cui
spuntano dalla terra isole di solitarie pietre. Un capolavoro che avrebbe
potuto ben figurare tra quelli che saranno in mostra al Guggenheim
nella mostra prevista per l’ottobre di quest’anno se la sua delicata strut-
30 31

Alberto Burri, Nero, 1951,
catrame, olio, vinavil, bianco
di zinco su tela, cm. 77x77
Collezione Gori, Pistoia
Alberto Burri, Black [Nero,
1951], tar, oil, polyvinyl
acetate glue and zinc white on
canvas, 77x77 cm
Gori Collection, Pistoia
32 33

Alberto Burri, Combustione,
1957, carta, vinavil, acrilico,
combustione su cellotex
cm. 34x25
Collezione Gori, Pistoia
Alberto Burri, Combustion
[Combustione, 1957], paper,
polyvinyl acetate glue, acrylic
and combustion on Cellotex,
34 x 25 cm. Gori Collection,
Pistoia
34 35

White Plastic 2 [Bianco plastica 2, 1962] along with White Crack [Bianco
Cretto], 1973 and Black Crack [Cretto nero, 1973] introduced an ulcerated
material subjected to a controlled crumbling, as if a numen had guided
the effects of an earthquake. That that numen is the artist himself is
made clear by the insertion into the Black Crack of a round piece of
tin from a can riddled with holes by shots fired from a gun by Burri
himself. “Albedo” and “nigredo” of an almost alchemical process of
transformation of the material employed in the creation of these works.
And finally, White Plastic 2 is as desolately sorrowful and dramatic as Cellotex,
1982, the polychrome work that is the last from Gori’s precious collection,
is filled with golden, positive and even heraldically merry relations.
But I would not be doing the exhibition full justice if I did not mention
the extensive collection of photographs by Aurelio Amendola, a worthy
appendix that bears witness, among other things, to the relationship
of this photographer and many other people with Burri. Outstanding
among the now legendary pictures is the sequence depicting Burri
during the combustion of a sheet of plastic in which we see the flame
take on substance in Burri’s own body, in a magical and truly unique
set of images. But there are numerous other portraits of Burri, working
on Cellotex with a cutter, or at the center of Wright’s spiral in the
Guggenheim Museum or underneath his Theater at the Venice Biennale
with his back to the lens.
Amendola has also presented us with a gallery of portraits of Burri’s
friends, people like Nemo Sarteanesi, Peppino Palazzoli, Alberto
Zanmatti, Enrico Castellani, Cesare Brandi, Vittorio Rubiu, Mario
Ceroli, Emilio Vedova, Antonio Sapone, Michelangelo Pistoletto,
Burri’s wife Minsa Craig and Giuliano Gori. These photos in particular
are of great help in reconstructing around the figure of this great artist
the network of human relations that played such an important and significant
role in his life and his work.
April 21, 2015
tura non ne avesse sconsigliato una così notevole dislocazione. Se ne
godrà la vista in questa rassegna.
Il Bianco plastica 2, 1962 con il Bianco Cretto, 1973 e il Cretto nero, 1973
introducono la matericità ulcerata e in preda alla frantumazione controllata,
come se un nume avesse potuto guidare gli effetti di un sisma.
Che quel nume sia l’artista stesso si evidenzia con l’inserimento nel
Cretto nero, 1973 di quel tondo di latta di un barattolo sforacchiato dai
tiri di un’arma compiuti da Burri stesso. ‘Albedo’ e ‘nigredo’ di un processo
di trasformazione quasi alchemica della materia adoperata nella
creazione di queste opere.
E infine, è così sconsolatamente dolente e drammatico il Bianco plastica
2 per quanto è pieno di rapporti aurei, positivo e perfino araldicamente
gaio, il Cellotex, 1982 policromo che conchiude la preziosa raccolta di Gori.
Ma non avrei nominato tutto se non mi soffermassi a osservare il folto
repertorio di immagini fotografiche messe in mostra da Aurelio Amendola,
degno corollario di testimonianza e non solo del rapporto di questo
fotografo e di molte altre persone con Burri. Tra le ormai mitiche
pose si distingue la sequenza dell’azione di Burri durante la combustione
di una plastica in cui si osserva la fiamma prendere corpo nel corpo
stesso di Burri, in una resa magica e davvero unica. Ma Burri è sorpreso
in altri numerosi ritratti, mentre elabora con un cutter il cellotex, oppure
quando sosta al centro della spirale di Wright nel Guggenheim
Museum o sotto il suo Teatro alla Biennale di Venezia mentre volge le
spalle all’obiettivo.
Amendola ha altresì il merito di consegnarci una galleria di ritratti di
amici di Burri, come Nemo Sarteanesi, Peppino Palazzoli, Alberto Zanmatti,
Enrico Castellani, Cesare Brandi, Vittorio Rubiu, Mario Ceroli,
Emilio Vedova, Antonio Sapone, Michelangelo Pistoletto, la stessa moglie
di Burri Minsa Craig e Giuliano Gori. Queste foto in particolare
offrono lo spunto per ricostruire intorno alla figura di questo grande artista
quel tessuto di relazioni umane che nella sua vicenda esistenziale
hanno avuto un ruolo importante e significativo.
21 aprile 2015
36 37

38 39

Nelle pagine precedenti,
Alberto Burri, Bianco Plastica
2, 1962, plastica, acrilico,
combustione su cellotex
su telaio di alluminio, cm.
75x100
Collezione Gori, Pistoia
Previous pages, Alberto Burri,
White Plastic 2 [Bianco Plastica
2, 1962], plastic, acrylic and
combustion on Cellotex on
aluminum frame, 75x100 cm.
Gori Collection, Pistoia
Alberto Burri, Cretto nero,
1973, acrovinilico, latta su
cellotex, cm. 62,5x60,5
Collezione Gori, Pistoia
Alberto Burri, Black Crack
[Cretto nero, 1973], acrovinyl
and tin on Cellotex, 62.5x60.5
cm. Gori Collection, Pistoia
40 41

42 43

Nelle pagine precedenti,
Alberto Burri, Bianco Cretto,
1971, acrovinilico su cellotex,
cm. 70,3x100
Collezione Gori, Pistoia
Previous pages, Alberto Burri,
White Crack [Bianco Cretto],
1971, acrovinyl on Cellotex,
70.3x100 cm. Gori Collection,
Pistoia
Alberto Burri, Cellotex, [1982],
cellotex, acrilico, vinavil su
cellotex, cm. 69x99x4
Collezione Gori, Pistoia
Alberto Burri, Cellotex [1982],
Cellotex, acrylic and polyvinyl
acetate glue on Cellotex,
69x99x4 cm. Gori Collection,
Pistoia
44 45

Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1982
46 47

Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1982
48 49

Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1982
50 51

Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982
52 53

THE CELLE BIG IRON: A HISTORY
giuliano gori
IL GRANDE FERRO CELLE: UNA STORIA
giuliano gori
At Città di Castello, the seat of the Fondazione Burri, the events to
mark the centenary of Alberto Burri’s birth were officially opened in
solemn fashion on March 12, 2015. The ceremony was attended by
numerous representatives of national and foreign institutions, artists
and journalists, many of whom were unable to find room in the large
reception hall. However, suitable facilities were provided for the remaining
hundred or so people in other rooms of the City Hall and in
the large square in front of it.
The commemoration was conducted by the president of the foundation,
Bruno Corà, who among other things listed the cities and other
places that are playing an official part in the celebrations, including the
city of Pistoia. Two natives of Pistoia were present: Aurelio Amendola,
Burri’s official photographer, and myself, his old friend and admirer.
GROTTAROSSA – My first meeting with Alberto Burri took place
in the early sixties, at his home and studio in Grottarossa, Rome, with
the painter Rinaldo Burattin, the journalist and photographer Luciano
Magnini and my son Fabio. Magnini did not fail to bring out his
Hasselblad and use it repeatedly, something which struck the artist’s
wife, Signora Minsa. Calling me aside, she expressed her surprise at
seeing her husband let himself be photographed in the studio, something
which up until that moment had been strictly forbidden. That
concession was not destined to remain isolated: it was followed, in fact,
by many others over the long and uninterrupted course of our association,
characterized by numerous episodes that have now become
cherished memories.
Among Burri’s hobbies, hunting and the Perugia soccer team were
A Città di Castello, sede della Fondazione Burri, Il 12 marzo 2015 si
sono ufficialmente aperte in forma solenne le manifestazioni per il
Centenario della nascita di Alberto Burri. Erano presenti numerosi rappresentanti
di istituzioni nazionali ed estere, artisti e giornalisti molti
dei quali non hanno potuto trovare spazio nel grande salone municipale.
Tuttavia adeguati impianti hanno soddisfatto le restanti centinaia di
presenze che hanno sostato sia in altre sale comunali, sia nella grande
piazza prospicente il Municipio.
La commemorazione è stata diretta dal Presidente della Fondazione,
Bruno Corà, che tra l’altro ha menzionato l’elenco delle città e dei
luoghi che partecipano ufficialmente alle manifestazioni, tra questi la
Città di Pistoia. Erano presenti due pistoiesi: Aurelio Amendola, fotografo
ufficiale del Maestro e il sottoscritto in qualità di antico amico ed
estimatore.
GROTTAROSSA – Il mio primo incontro con Alberto Burri è avvenuto
nei primi anni Sessanta, nel suo studio-abitazione di Grottarossa
- Roma, con il pittore Rinaldo Burattin, il giornalista e fotografo Luciano
Magnini e mio figlio Fabio. Magnini non mancò di utilizzare ripetutamente
la sua Hasselblad, cosa che colpì la moglie del Maestro,
signora Minsa, la quale chiamandomi in disparte, mi fece rilevare la sua
sorpresa nell’assistere al marito che si lasciava fotografare all’interno
dello studio, cosa fino a quel momento restata rigorosamente vietata
a chiunque. Quella concessione, era destinata a non rimanere isolata
ne seguirono infatti molte altre durante tutto il lungo e ininterrotto
periodo del nostro sodalizio, caratterizzato da così numerosi episodi,
trasformati oggi in carissimi ricordi.
54 55

Giuliano Gori e Rinaldo
Burattin in visita allo studio
di Alberto Burri fotografati da
Luciano Magnini, Grottarossa,
primi anni Sessanta
Giuliano Gori and Rinaldo
Burattin on a visit to Alberto
Burri’s studio, photographed
by Luciano Magnini,
Grottarossa, early 1960s
his greatest passions. One day the artist revealed
to me that when he withdrew to his
mountain refuge, where he could devote
himself to hunting, his desire not to be disturbed
was so strong that he had not told
anyone about the telephone with which his
beloved retreat was equipped. And yet one
day, after finding out that I had been calling
him in vain at his home in Città di Castello,
he decided, “just in case,” to let me in on
the secret, pointing out that “if it does ring
it could only be you.”
ORSANMICHELE – In 1979 Franco
Camarlinghi, the councilman in charge of
culture at the municipality of Florence, told
me he would like to meet Alberto Burri,
with the aim of inviting him to hold a solo
exhibition in the city. I informed the artist,
who proposed fixing an appointment for
February 11, so that he could take advantage
of it to watch the game that would be
held on that date at the stadium in Florence
between the local team and that of Perugia.
Burri spent the night before at our place
in Celle and at 11 in the morning we
went to meet Camarlinghi, in Piazza della
Santissima Annunziata. Although the meeting
was held in a very cordial atmosphere,
things did not look as if they were going to
turn out the way the councilman wanted.
In fact, Burri rejected Camarlinghi’s proposal
to hold the exhibition at the Forte di
Tra gli hobby preferiti di Burri la caccia e la
squadra di calcio del Perugia erano al centro
del proprio interesse; un giorno il Maestro
mi rivelò che quando si ritirava nel suo rifugio
di montagna, per dedicarsi appunto alla
caccia, era così forte il desiderio di non essere
disturbato, da non avere comunicato ad
alcuno il telefono di cui era dotato l’ambito
sito. Ebbene, un giorno, saputo che lo avevo
inutilmente cercato alla sua abitazione di
Città di Castello, decise “per ogni evenienza”
di svelarmi il segreto, precisando che “
nel caso di un eventuale squillo non avrei
potuto essere che io.”
ORSANMICHELE – Nel 1979 Franco Camarlinghi,
Assessore alla Cultura del Comune
di Firenze, mi informò che avrebbe
desiderato incontrarsi con Alberto Burri, con
lo scopo di invitarlo a realizzare una mostra
personale a Firenze. Informai il Maestro, il
quale mi propose di fissare l’appuntamento
per il giorno 11 di febbraio, così da poterne
approfittare per assistere alla partita che si
sarebbe disputata allo stadio fiorentino tra la
squadra locale e quella del Perugia.
La sera precedente Burri dormì da noi a
Celle e alle ore 11 ci recammo all’incontro
con Camarlinghi, avvenuto in piazza della
SS. Annunziata. L’incontro, sia pure svolto
in modo assai cordiale, sembrava però destinato
a non concludersi nel modo desiderato
dall’Assessore. Infatti, alla proposta di
In alto, Giuliano Gori e Rinaldo
Burattin in visita allo studio
di Alberto Burri fotografati da
Luciano Magnini, Grottarossa,
primi anni Sessanta; in basso
Minsa Craig e Fabio Gori,
Grottarossa, primi anni Sessanta
Above, Giuliano Gori and
Rinaldo Burattin on a visit
to Alberto Burri’s studio,
photographed by Luciano
Magnini, Grottarossa, early
1960s; bottom, Minsa Craig and
Fabio Gori, Grottarossa, early
1960s
56 57

Qui e nella pagina a fianco,
Giuliano Gori e Rinaldo
Burattin in visita allo studio
di Alberto Burri fotografati da
Luciano Magnini, Grottarossa,
primi anni Sessanta
This and facing page, Giuliano
Gori and Rinaldo Burattin
on a visit to Alberto Burri’s
studio, photographed by
Luciano Magnini, Grottarossa,
early 1960s
58 59

Alberto Burri, tra Pina e
Giuliano Gori, mentre dedica
un libro, Villa Celle, primi
anni Settanta
Alberto Burri, between Pina
and Giuliano Gori, writing
a dedication in a book, Villa
Celle, early 1970s
Belvedere, declaring that he would never
agree to show in that place because the
municipality of Florence had accorded
the prestigious venue to the British artist
Henry Moore without offering it first to
Marino Marini, the most important Italian
sculptor. Camarlinghi had a card up his
sleeve, another magnificent space, that of
the Ospedale degli Innocenti, located right
in front of the place where the meeting
was being held. But Burri turned down this
offer too, on the grounds that it had been
used to stage an exhibition by American
artists in which some of his works had been
included without his knowledge, with incorrect
attributions and presented in an unworthy
manner.
Saying goodbye to the councilman, Burri
Camarlinghi di tenere la mostra al Forte di
Belvedere, Burri reagì in modo negativo dichiarando
che non avrebbe mai accettato di
esporre in quel luogo, in quanto il Comune
di Firenze aveva concesso quella prestigiosa
sede all’artista inglese Henry Moore, senza
prima privilegiare Marino Marini, ovvero il
nostro il più importante scultore italiano.
Allora Camarlinghi usò come carta di riserva
un altro magnifico spazio, ossia quello
dell’ex Ospedale degli Innocenti, che si
trovava proprio di fronte al luogo dove stava
avvenendo l’incontro. Ma anche in questo
caso Burri si dichiarò contrario all’offerta,
perché in quel luogo era stata ospitata una
La mostra che Burri tenne a
Orsanmichele, Firenze, 1980
The exhibition that Burri
held at Orsanmichele,
Florence, 1980
60 61

Giuliano Gori, Alberto Burri
e Francesco Gurrieri a casa di
Gianna e Francesco Gurrieri,
Firenze, anni Settanta
Giuliano Gori, Alberto Burri
and Francesco Gurrieri at
the home of Gianna and
Francesco Gurrieri, Florence,
1970s
apologized and expressed his hope that
things would go better at a future meeting.
Unwilling to give up on the exhibition,
however, Camarlinghi took me aside and
begged me to find an alternative solution.
In fact Burri agreed to the subsequent proposal
to use the upper part of the church of
Orsanmichele, after carrying out an inspection
and being struck by the possibility of
presenting his creations in one of the most
exquisite settings in Florence. The only
condition he imposed was the blocking up
of the windows, as he wanted attention to
be focused on the works. The exhibition,
accompanied by a catalogue edited by Vanni
Bramante, was held from November 15,
1980, to January 11, 1981.
Burri made a sculpture for the exhibition as
mostra di artisti americani, nella quale erano
state inserite a sua insaputa alcuni suoi
lavori con attribuzioni sbagliate e allestiti in
modo indegno.
Burri, nel salutare l’Assessore, si scusò auspicando
un futuro incontro più favorevole.
Camarlinghi, però, non volendo in nessun
modo rinunciare alla mostra, chiamatomi in
disparte, mi sollecitò di trovare una soluzione
alternativa. .
Alla successiva proposta di usare la parte superiore
della Chiesa di Orsanmichele Burri,
dopo aver fatto il sopralluogo e restato colpito
dalla possibilità di poter usare uno degli
scrigni più preziosi di Firenze, dette conferma
ponendo come unica clausola la chiusura
delle finestre, poiché voleva richiamare
una maggiore attenzione alle opere. La
Alberto Burri con Pina e
Giuliano Gori nel parco di
Villa Celle
Alberto Burri with Pina and
Giuliano Gori in the park of
Villa Celle
62 63

Grande Legno M. di Alberto
Burri e Il Grido di Marino
Marini
Alberto Burri’s Big Wood M.
[Grande Legno M.] and Marino
Marini’s The Cry [Il Grido]
65

Giuliano Gori e Alberto Burri
all’esterno di Villa Celle
Giuliano Gori and Alberto
Burri outside Villa Celle
well, which is now on display at the Rocca
Paolina in Perugia.
THE GRANDE CRETTO – The Grande
Cretto or Big Crack deserves a separate discussion.
I happened to meet up with Burri immediately
after his return from Gibellina, and
I remember the experience as if I had been
talking to a climber just after he had conquered
K2 rather than a visual artist. I saw a
happy man but one overcome with emotion.
He started by saying that when he arrived at
the place where the new Gibellina was being
built he realized that he would never be
able to create a work there. Before leaving he
went to see the ruins left by the earthquak
mostra, presentata con un catalogo di Vanni
Bramante, ebbe luogo dal 15 novembre del
1980 all’11 gennaio 1981.
Per l’occasione Burri realizzò anche una
scultura che installò nella mostra e che oggi
si trova all’interno della Rocca Paolina di
Perugia.
IL GRANDE CRETTO – L’opera meriterebbe
un capitolo a parte. Occasionalmente
ho avuto un incontro con Burri subito
dopo il suo rientro da Gibellina, ho memorizzato
l’avvenimento come se invece di
avere incontrato un artista visuale avessi
parlato con un rocciatore dopo aver scalato
il K/2. Ho visto un uomo felice ma sopraffatto
dall’emozione; ha iniziato dicendo
Giuliano Gori, Reinhilde e
Abraham Hammacher e Alberto
Burri a Villa Celle, anni
Ottanta
Giuliano Gori, Reinhilde and
Abraham Hammacher and
Alberto Burri at Villa Celle,
1980s
66 67

Il Grande cretto di Alberto
Burri, fotografato da
Aurelio Amendola,
Gibellina 2011
Alberto Burri’s Great
Crack [Grande Cretto],
photographed by Aurelio
Amendola, Gibellina, 2011
69

e that had completely destroyed the old city. He had the impression of
visiting a cemetery, in which the only source of inspiration was a strong
sense of pity, and nothing else. His reaction had been to go home without
having been able to satisfy the earnest requests of the mayor, Ludovico
Corrao. He said that it was only over the course of a quick lunch that he
began to feel the distress turn into a sense of rebirth, and came to the
conclusion that the thing to do was create a cretto that would reproduce
the plan of what had been the city before the earthquake.
I had already been to Gibellina and could not help but share the feelings
expressed by the artist. I was also to follow almost every phase in
the operation through the reports I received from friends in Città di
Castello and occasionally from Burri himself.
Five long years of work and tons of white concrete to cover an area of
90 000 square meters: completed in 1989, it is recognized as the largest
work of Land Art in the world.
The desire to go back Gibellina grew ever more pressing and in the
March of 1996 I was able to persuade a group of some thirty friends,
mostly architects, engineers and art lovers, to make the trip. We hired
a coach and set off for Gibellina. Arriving in the vicinity of the city and
making a pit stop at the insistence of my friends, under a sky heavy
with storm clouds, we were treated to a scene that was transcendental
to say the least: the menacing clouds parted to let through the sun,
whose rays picked out the Grande Cretto, leaving us all dumbfounded.
Once we reached the massive work another stimulating surprise rewarded
us for the fatigue of the long journey. In fact, the roads of the
cretto, around 160 cm deep, offered the bizarre sight of a number of
people moving around the work with only their heads visible, sticking
out from the trenches.
On the return journey each of the participants expressed his reactions
to the experience. Some of them were really appropriate, like the friend
who recited almost the whole of the first canto of Dante’s Inferno, putting
the emphasis on a tercet that seemed to sum up the emotion stirred by
the Grande Cretto: “Ah me! how hard a thing it is to say / What was this forest
savage, rough, and stern, / Which in the very thought renews the fear.”
che quando è arrivato sul luogo dove stava
sorgendo la nuova Gibellina ha capito
che non avrebbe mai potuto realizzarvi
un lavoro. Prima di ripartire ha voluto visitare
anche le macerie lasciate dal sisma
che aveva interamente distrutto l’antica
Gibellina. L’ impressione è stata quella
di trovarsi immerso in una necropoli, la
cui unica fonte ispiratrice era quella di un
forte senso di pietà e nient’altro. La reazione
era stata quella di tornarsene a casa
senza poter soddisfare le calorose richieste
del sindaco Ludovico Corrao. Soltanto
nel corso di una rapida colazione dice di
avere avvertito che l’angoscia si stava trasformando
in un sentimento di rinascita,
raggiungendo la sicurezza che ciò che ci
sarebbe stato da fare era un cretto che ri-
Il biglietto di auguri che
Alberto Burri inviò a Giuliano
Gori in occasione del suo
sessantesimo compleanno
The greetings card that
Alberto Burri sent to Giuliano
Gori on his sixtieth birthday
70 71

Veduta aerea del Grande Ferro
Celle
Aerial view of the Celle Big
Iron [Grande Ferro Celle]
73

Some magical photos taken on the occasion
seem, unfortunately, to have vanished into
the depths of the Celle archives.
Alberto Burri, Mauro
Polverosi, Mario Vannetti e
Giuliano Gori nel piazzale
antistante il cancello della
Villa intenti a studiare
l’installazione del Grande
Ferro Celle di Burri
Alberto Burri, Mauro
Polverosi, Mario Vannetti and
Giuliano Gori in the area in
front of the gate of the villa
studying the installation of
Burri’s Celle Big Iron
GRANDE FERRO CELLE – Ever since
the beginning of the eighties I had thought
it necessary to realize a work that, as well as
serving as a symbol of the collection of environmental
art at Celle, would also become
the point of reference of the entrance for visitors.
At the time the public road, in front of
the gate of the Fattoria di Celle, was a repository
for all kinds of filth, garbage dumped
mostly at night by persons unknown into a
sort of large pit at the bottom of which ran
a small watercourse. Thus the location of a
disegnasse l’urbanistica di come era stata
la Città prima del sisma.
Personalmente ero già stato a Gibellina e
non potevo non condividere il sentimento
espresso dall’artista, ho così poi seguito
quasi tutte le fasi dell’operazione
attraverso le notizie che riuscivo a raccogliere
dagli amici di Città di Castello ed
anche di tanto in tanto dallo stesso Burri.
Cinque lunghi anni di lavoro, tonnellate
di cemento bianco per coprire un’area
di 90.000 mq, conclusasi nel 1989, e
Una fase dell’installazione
del Grande Ferro Celle sulla via
Montalese davanti all’ingresso
della Villa
A stage in the installation
of the Celle Big Iron on Via
Montalese in the front of the
entrance to the villa
74 75

Il giorno dell’inaugurazione
del Grande Ferro Celle nel
1986, in primo piano la moglie
di Marino Marini, Mercedes
Pedrazzini, detta Marina
The day of the unveiling of
the Celle Big Iron in 1986.
In the foreground, Marino
Marini’s wife, Mercedes
Pedrazzini, called Marina
work of such importance would also have
solved the environmental problem by upgrading
the place.
Who could be better than my friend Burri for
such a project, in view too of the artist’s international
prestige? After agreeing to the proposal,
and designing the bed on which the sculpture
was to stand, he set to work on the Celle Big
Iron [Grande Ferro Celle]. This required solving
a series of major problems, above all that
of road safety. The work, installed in 1986, is
composed of two superimposed triangles from
which run steel blades that form three large
ogives. Despite its imposing size (5.25 m high
and 34 m in diameter), it is completely transparent
so as not to block the view of anyone
driving around the nearby bend in the road,
from either direction.
riconosciuta come la più grande opera di Land Art del mondo.
Il desiderio di ritornare a Gibellina si faceva sempre più pressante fino
a quando nel marzo del 1996, ho potuto coinvolgere una trentina di
amici, perlopiù architetti, ingegneri e cultori d’arte. Noleggiato un pullman
siamo partiti alla volta di Gibellina. Giunti in prossimità, con un
cielo gravido di turbolenze, nel corso di una fermata tecnica rivendicata
dagli amici abbiamo potuto assistere a una scena a dir poco trascendente,
le minacciose nuvole hanno dato spazio all’uscita del sole i cui
raggi sono andati a illuminare soltanto il Grande Cretto, lasciandoci tutti
quanti più che allibiti.
Una volta raggiunta la possente opera un’altra suggestiva sorpresa ci
ripagava della stanchezza del lungo viaggio. Infatti le strade del cretto,
profonde circa 160 cm., rivelavano scene deliranti alla vista di alcune
persone che si spostavano nell’opera mostrando soltanto le proprie teste
in movimento, affioranti dalle fosse stradali.
Nel corso del viaggio di ritorno ogni partecipante ha fatto le sue
considerazioni, talune veramente opportune, come quell’amico che
ha declamato quasi per intero Il primo Canto dell’Inferno dantesco,
con enfasi su una terzina che sembrava richiamare l’emozione ricevuta
dal Grande Cretto: Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva
selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinnova la paura!
Alcune magiche foto scattate nell’occasione, purtroppo, sembrano essere
state inghiottite dall’archivio di Celle.
GRANDE FERRO CELLE – Fin dall’inizio degli anni Ottanta ho ritenuto
necessaria la realizzazione di un’opera che, oltre a rappresentare
il simbolo della collezione d’Arte Ambientale di Celle, divenisse anche
il punto di riferimento del luogo di accesso per i visitatori. All’epoca
la strada pubblica, in fronte al cancello della Fattoria di Celle, era un
ricettacolo di ogni genere di sporcizie, rifiuti gettati perlopiù nottetempo
da ignoti in una specie di grande voragine sul cui fondo scorreva un
piccolo corso d’acqua. La collocazione di un’opera di tale importanza
avrebbe quindi risolto anche il problema ecologico riqualificando il
luogo.
76 77

78 79

Nelle pagine precedenti,
Alberto Burri, Grande Ferro
Celle, [1986], ferro verniciato,
base triang. equil. m. h. 5,25;
l. 5,90 (x3)
Collezione Gori, Pistoia
Previous pages, Alberto
Burri, Celle Big Iron [1986],
painted iron, base equilat. m.
h 5.25 m; l 5.90 m (x 3). Gori
Collection, Pistoia
The sculpture has been donated to the city
of Pistoia, by its creator Burri and myself.
Apart from the sculptures at the Fondazione
Burri in Città di Castello, only two cities in
Italy possess one of his open-air sculptures:
Pistoia and Ravenna.
Alberto Burri was a regular visitor to
Santomato, coming to see his friend Amendola
at his home in the village or the Gori family;
sometimes we all got together. So frequent
were these occasions that we ended up regarding
him as a member of the family.
BURRI IN PISTOIA – Conscious of Alberto
Burri’s links with our city, the Fondazione
Caript has decided to pay tribute to him on
the occasion of the centenary of his birth, as
a number of other cities have done, includ-
Quale migliore altro artista dell’amico Burri
per un simile progetto, visto anche sul piano
del prestigio internazionale? Accettata
la proposta, dopo aver disegnato l’aiola su
cui poggia la scultura: Grande Ferro Celle, ha
progettato l’opera preoccupandosi di risolvere
una serie di importanti requisiti, primo
tra tutti quello della sicurezza stradale.
L’opera, installata nel 1986, si compone di
due triangoli sovrapposti dai quali partono
delle lame di acciaio che vanno a formare
tre grandi ogive, malgrado l’imponenza (h
m 5,25 e Ø m 34) è completamente trasparente
in modo da non ostacolare visivamente
chi transita nei due sensi di marcia la vicina
curva.
La scultura è stata donata modalmente alla
Città di Pistoia, da parte del maestro Burri
e del sottoscritto. Fatta eccezione delle
Qui e nella pagina a fianco la
fotografia (recto e verso) del
Grande Ferro Celle in cui Burri
ribadisce il titolo del’opera
This and facing page, photograph
(front and back) of the
Celle Big Iron in which Burri
confirms the title of the work
80 81

sculture presenti alla Fondazione Burri di Città di Castello, in Italia
soltanto altre due città detengono una sua scultura all’aperto: Pistoia e
Ravenna.
Alberto Burri era sovente presente a Santomato e sempre per incontrarsi
a casa dell’amico Amendola o con la famiglia Gori; talvolta con
tutti quanti insieme. Tante sono state queste occasioni, che abbiamo
finito col consideralo alla stregua di una persona di famiglia.
Il biglietto d’ingresso del Museum
of Modern Art di Kamakura,
uno dei musei giapponesi
che hanno ospitato la collezione
Gori nel 1999
The entrance ticket to the
Museum of Modern Art
in Kamakura, one of the
Japanese museums at which
the Gori Collection was
presented in 1999
ing Florence, Venice, Palermo, Milan, Naples
and New York, where a major retrospective
will open next October before moving on to
Düsseldorf.
The exhibition in Pistoia will present a selection
of photographs taken by Aurelio
Amendola since the seventies and several
works from private collections in Pistoia and
from the Burri and Caript foundations.
Marino Marini’s bronze sculpture The Cry [Il
Grido] will also be on display, as a mark of
Burri’s aforementioned expression of solidarity
in Florence with the man he rightly
considered to have been the greatest Italian
sculptor of the 20th century.
The event in Pistoia would not have
been possible without the support of the
Fondazione della Cassa of Risparmio of
Pistoia and Pescia.
BURRI A PISTOIA – La Fondazione Caript, consapevole dei rapporti
di Alberto Burri con la nostra Città, in occasione del suo centenario
della nascita ha ritenuto di rendergli omaggio, così come hanno aderito
anche altre città, tra cui Firenze, Venezia, Palermo, Milano, Napoli,
New York, dove nel prossimo mese di ottobre si aprirà una importante
retrospettiva che poi sarà trasferita a Dusseldorf.
L’avvenimento espositivo pistoiese si compone da una selezione di fotografie
realizzate a partire dagli anni Settanta da Aurelio Amendola e
da alcune opere provenienti sia da collezioni private pistoiesi, sia dalle
Fondazioni Burri e Caript.
Nella mostra sarà presente anche la scultura in bronzo Il Grido di Marino
Marini, la quale avvalorerà la già citata volontà solidale di Burri
nei confronti di quanto subito a Firenze da Marino, da lui giustamente
considerato il massimo esponente dell’arte scultorea italiana del
XX sec.
L’evento pistoiese non avrebbe potuto aver luogo senza l’intervento
della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.
82 83

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Nelle pagine precedenti,
Alberto Burri, Città di
Castello, 1980
Previous pages, Alberto Burri,
Città di Castello, 1980
86 95

BURRI AND THE PHOTOGRAPHER
aurelio amendola
BURRI E IL FOTOGRAFO
aurelio amendola
I met Burri in 1976 through the sculptor Pericle Fazzini, with whom
I was working in that period. It took a sort of “trick” to overcome his
initial mistrust, and this already says a great deal about his personality.
The fact of being able to legitimately present myself to everyone as
Marino Marini’s photographer was a wonderful passkey: it has opened
some very difficult doors for me, commencing with those of Andy
Warhol and Roy Lichtenstein, to mention just the first two names that
spring to mind. With Burri it didn’t work; notwithstanding the great admiration
he had for Marino, it was something that left him indifferent
and above all little inclined to get involved. So the initial contact was
needed and after it a whole set of other things, including of course my
professional skills, but not those alone. From that time until his death
our relationship grew ever closer, becoming in every respect a true and
deep friendship, one that went beyond the bounds of work. The fruits,
for me, have been immense, on the human as well as the professional
plane. It suffices to think of the photograph that has become the
emblem of Burri in the world, and that has contributed greatly to my
reputation, as much as have my photos of de Chirico in Venice or the
ones of Michelangelo’s works. But I think I can say without fear of contradiction
that it has at the same time done good service in promoting
his image and his art.
On the occasion of the tribute that my city is paying to this great artist,
however, I have no intention of going back over the various stages in
the twenty years of our association. I already did this three years ago,
at the time of an exhibition of mine in Nice devoted to the series of
Combustions. The exhibition was held at the gallery run by Antonio
Sapone, who had been Burri’s dealer in France, as well as that of fig-
Ho conosciuto Burri nel 1976 grazie allo scultore Pericle Fazzini, con il
quale stavo lavorando in quel periodo. Ci volle una specie di “tranello”
per vincere la diffidenza iniziale, e già questo la dice lunga sul personaggio.
Il fatto di potermi presentare legittimamente a chiunque come
il fotografo di Marino Marini era per me un passe-partout formidabile:
mi ha aperto, di tempo in tempo, le porte più difficili, a cominciare da
quelle di Andy Warhol e di Roy Lichtenstein, per limitarmi ai primi
due nomi che mi vengono in mente. Con Burri no; nonostante la grande
stima che aveva per Marino, era cosa che lo lasciava indifferente e
soprattutto poco propenso a farsi coinvolgere. Fu necessario l’aggancio
iniziale e poi un insieme di cose, a partire ovviamente dalle doti professionali,
ma non solo quelle. Da allora fino alla sua morte il rapporto
è sempre cresciuto, diventando a tutti gli effetti un’amicizia vera e profonda,
che prescindeva dai rapporti di lavoro. I frutti, per me, sono stati
immensi, tanto sul piano umano che su quello professionale. Basterebbe
pensare alla fotografia che è diventata il vero e proprio emblema
di Burri nel mondo, che ha dato a me una notorietà eccezionale, pari
a quella che ho avuto per la foto di de Chirico a Venezia o per quelle
di Michelangelo; ma credo di potere dire senza tema di smentita che
contemporaneamente ha reso un bel servizio alla diffusione della sua
immagine e della sua arte.
In occasione dell’omaggio a questo grande artista che si tiene nella mia
città, tuttavia, non ho intenzione di ripercorrere le diverse tappe che
hanno caratterizzato questi vent’anni di frequentazione. L’ho già fatto
tre anni fa, in occasione di una mia mostra a Nizza dedicata proprio alla
serie delle “Combustioni”. L’esposizione era organizzata dalla galleria
Sapone, che era per l’appunto il gallerista di Burri in Francia, ma lo
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Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1977
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1977
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Qui e nella pagina a fianco
alcune cartoline inviate da
Alberto Burri ad Aurelio
Amendola
This and facing page, some
postcards sent by Alberto
Burri to Aurelio Amendola
ures like Picasso, Giacometti and Hartung.
In the catalogue published at the time there
is an interview with me conducted by Chiara
Sarteanesi, in which I had the opportunity
to tell the story of our relationship in considerable
detail. I would only be repeating myself,
and now I feel it would be preferable to
single out one particularly intense episode
from those already recounted.
I am referring—as might be guessed—to
the great fortune which has been given to
me of acting as an intermediary (and postman)
between those two authentic masters
of 20th-century art, Burri and Marini.
Marino comes from the same city as me, but
when I began my activity he had already
spent a long time away from Pistoia. In fact it
could be said that, as often happens in these
cases, he no longer had any ties with the city
of his birth. I had met him the year before,
but his real return to Pistoia (which marked
the beginning of a progressive rapprochement)
came in 1968, thanks to Arrigo Valiani,
who organized an exhibition of his work in
the city. For that time on I became Marino’s
photographer, something that has done me
great honor and has also been extremely
useful in furthering my career. Above and
beyond the considerable boost to my image,
I could point out that it allowed me to meet
Henry Moore and Marc Chagall, or that it
has served as an introduction to some of the
most important collectors of art, including
the Agnelli family! With Marino too, deera
stato anche di personaggi come Picasso,
Giacometti o Hartung. Nel catalogo realizzato
allora c’è una mia intervista curata da
Chiara Sarteanesi, e lì ho già avuto modo di
raccontare molte delle vicende che hanno
contrassegnato questo rapporto. Non potrei
che ripetermi, e adesso mi pare preferibile
invece la breve intensità di un unico episodio
tra quelli già raccontati.
Mi riferisco – è quasi scontato – alla grande
fortuna che mi è toccata in sorte: quella
di fare da tramite (e da postino) tra due autentici
maestri del Novecento quali Burri e
Marini.
Marino è un mio concittadino, ma quando
ho cominciato la mia attività era già lontano
da tempo da Pistoia. Si potrebbe tranquillamente
aggiungere che, come spesso avviene
in questi casi, non aveva più rapporti con la
città natale. L’avevo conosciuto l’anno prima,
ma il vero ritorno a Pistoia (che segnò
l’avvio di un progressivo riavvicinamento)
avvenne grazie ad Arrigo Valiani nel 1968,
che gli organizzò una mostra. Dopo di allora
divenni, per l’appunto, il fotografo di
Marino, cosa che mi ha onorato tantissimo
e che mi è stata di grande utilità nel proseguimento
della mia carriera. Al di là del
considerevole ritorno d’immagine, potrei limitarmi
ad aggiungere che mi ha fatto conoscere
Henry Moore e Marc Chagall, oppure
che mi ha introdotto presso i più importanti
collezionisti d’arte, fino agli Agnelli! Anche
con Marino, nonostante una certa differenza
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Qui e nella pagina a fianco
alcune cartoline inviate da
Alberto Burri ad Aurelio
Amendola
This and facing page, some
postcards sent by Alberto
Burri to Aurelio Amendola
spite a certain difference in age, a friendly
and affectionate relationship developed that
we maintained until the end. My visits to
his villa at Forte dei Marmi were fairly frequent,
and it was on one of these that the
episode I am about to relate took place. This
was in 1979, the year prior to his death, and
the signs of his illness were already evident.
I had gone to see him at Forte dei Marmi
with our friend Lorenzo Papi, and we went
for a short stroll on the beach. During the
conversation Marino asked me about my
work, the projects that were under way: it
was natural for me to mention Burri, given
that I had already taken the photographs
of the combustion and that a few days later
I would be going to work with him again.
Although he was normally very reluctant to
speak of other artists, he reacted to Burri’s
name with a clear expression of his opinion,
declaring his admiration for someone he regarded
as being ten years ahead of everyone
else! He added that he would really like to
visit him at his studio to see his work and
that he intended to do so as soon as possible.
Of course that same evening, as soon as I
got home, I picked up the phone and gave
Burri the gist of our conversation. Burri was
deeply moved, as he held Marino’s work in
great esteem (something that is clear from
my friend Giuliano Gori’s story of the exhibition
at Orsanmichele in Florence). A few
days later, when I told him about the meeting
again, face to face this time, he felt the
d’età, si sviluppò una conoscenza amichevole
e affettuosa che mi portò a mantenere
i rapporti fino all’ultimo. Erano abbastanza
frequenti le mie visite di cortesia nella villa
di Forte dei Marmi, e fu in occasione di una
di queste visite che si verificò l’episodio che
sto per raccontare. Era il 1979, l’anno precedente
alla sua scomparsa, e i segni della malattia
erano già evidenti. Ero andato al Forte
a trovarlo assieme all’amico Lorenzo Papi, e
stavamo facendo una breve passeggiata sulla
spiaggia. Durante la conversazione Marino
mi chiese notizia del mio lavoro, dei miei
progetti: mi venne spontaneo riferirmi a
Burri, dato che avevo già alle spalle le fotografie
della combustione e che di lì a qualche
giorno sarei andato a trovarlo per lavoro.
Pur essendo molto ritroso nel parlare di altri
artisti, al nome di Burri si sbilanciò con un
giudizio nettissimo, dichiarando la propria
ammirazione perché lo trovava in anticipo
di dieci anni rispetto a tutti! Aggiunse che
gli sarebbe piaciuto molto andarlo a visitare
nello studio per vedere il suo lavoro e che si
riprometteva di farlo appena possibile.
Naturalmente la sera stessa, appena rientrato
a casa, presi il telefono e riferii a Burri
il succo di quella conversazione. Burri si
emozionò molto, anche perché aveva grande
stima per l’opera di Marino (lo testimonia
benissimo anche l’amico Giuliano Gori nel
rievocare le vicende della mostra fiorentina
in Orsanmichele). Pochi giorni dopo, quando
gli raccontai di nuovo, faccia a faccia, di
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Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1977
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1977
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need to write a thank-you note, in which he looked forward to the
promised visit (“It’ll be a great celebration,” he said), and asked me
to take it to Marino. Which I did straightway and it was very well received,
but unfortunately the progress of his illness meant the intention
was never fulfilled.
I’ve always considered my links with these two figures anything but
fortuitous, as they had many things in common, at least in so far as I
knew them. Their mutual esteem might seem of little account in itself,
but it is not so in this case, for neither of them was willing to talk about
his colleagues. But you got the distinct impression that, if they had,
their words would not have been very flattering. They shared another
fairly typical characteristic: self-awareness. Both were conscious of being
good at what they did, without this making them haughty or standoffish.
But it did lead them to be very strict with others and with regard
to the circumstances of their craft. Not to mention the relationship
with dealers and collectors: both kept them at arm’s length, preferring
to lose opportunities and earnings in order to keep intact a vision of art
that was rooted in profound convictions and an inner consistency.
To close the circle of this relationship that could have been and yet was
not, I will conclude with the memory of another project that never got
beyond the drawing board. One of Marino’s greatest admirers was certainly
his friend and fellow townsman, the director Mauro Bolognini.
Cultured, refined and a lover of art, he numbered among his friends
Ceroli, Tosi, Samaritani and many others. He held Burri’s work in high
esteem too, but—as far as I know—they had never met. Shortly after
Marino’s death, in 1980, plans were made to put on a show that would
pay tribute to his genius. Naturally Bolognini would have been its director,
but the scenery would have been entrusted to Alberto Burri.
Given their admiration for Marino, both had declared themselves delighted
to collaborate on this project, which then, like so many things,
faded into nothing. What has not faded, however, is the profound sense
of belonging and sharing that characterized their lives.
quell’incontro, sentì il bisogno di scrivere un biglietto di ringraziamento,
nel quale auspicava la visita promessa (diceva: “Sarà una gran festa”),
e mi chiese di portarlo a Marino. Cosa che feci subito e che fu
molto gradita, ma il progredire della malattia fece purtroppo rimanere
inevaso quel proponimento.
Ho sempre considerato tutt’altro che casuale l’accostamento di questi
due personaggi, perché avevano molte cose in comune, almeno per
come li ho conosciuti io. La stima reciproca potrebbe sembrare di per
sé poca cosa, ma non certo in questo caso, perché si tratta di due autori
che non parlavano volentieri dei colleghi, ma in entrambi si intuiva facilmente
che, se lo avessero fatto, sarebbero stati poco teneri. Li accomunava
inoltre un’altra caratteristica abbastanza tipica: la consapevolezza
di sé. Sapevano entrambi di essere bravi, senza per questo essere
alteri o scostanti: questo li portava però a essere molto rigorosi anche
con gli altri e con le circostanze del mestiere. Per non dire del rapporto
con mercanti e collezionisti: tutti e due tenevano le specie a debita
distanza, preferendo perdere occasioni e denaro pur di mantenere intatta
una visione dell’arte che si nutriva di profondi convincimenti e di
coerenza interiore.
Per chiudere il cerchio di questo rapporto che poteva essere e non è
stato, concludo con la memoria di un altro progetto rimasto sulla carta.
Tra gli estimatori più convinti di Marino c’era sicuramente un suo amico
e concittadino, il regista Mauro Bolognini. Colto, raffinato e amante
dell’arte, annoverava tra le sue amicizie anche quelle di Ceroli, di Tosi,
di Samaritani e molti altri. Anche lui stimava molto l’opera di Burri, ma
– che io sappia – non si erano mai conosciuti personalmente. Poco dopo
la morte dell’artista, avvenuta nel 1980, fu messo in piedi il progetto di
realizzare uno spettacolo che rendesse omaggio al suo genio. La regia
sarebbe stata naturalmente di Bolognini, ma le scenografie sarebbero
state affidate a Alberto Burri. Entrambi, per la stima che nutrivano per
Marino, si erano già dichiarati disponibili e lieti di collaborare a questo
progetto, che poi, come mille altre cose, svanì nel niente. Quello che
non svanisce, tuttavia, è proprio quel profondo senso di appartenenza e
di condivisione che ha caratterizzato i loro percorsi.
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Alberto Burri, Città
di Castello, 1976

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Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1976
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1976
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Alberto Burri, Città di
Castello, 1976
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Alberto Burri, Città
di Castello, 1976
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Alberto Burri, Città
di Castello, 1976
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Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1976
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Burri, Case Nove di Morra,
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Alberto Burri, Città
di Castello, 1976
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FRIENDSHIP BEFORE ALL ELSE
chiara sarteanesi interviews aurelio amendola
L’AMICIZIA PRIMA DI TUTTO
chiara sarteanesi intervista aurelio amendola
“Aurelio Amendola’s career as a photographer of art began in 1968 when the
art critic and expert on 14th-century sculpture Gian Lorenzo Mellini commissioned
him to photograph Giovanni Pisano’s pulpit in Pistoia. His work
caught the attention of Marino Marini, who asked Amendola to take the pictures
for his monograph of 1973. Other commissions followed.
“His association with the Fonderia Michelucci, the foundry owned by the
brother of the famous architect Giovanni Michelucci, was a very important
chapter in the photographer’s career. It was there at the end of the sixties that,
among the artists engaged in the creation of sculptures for Michelucci’s church of
San Giovanni Battista, he got to know Jorio Vivarelli, whose works he photographed,
and Pericle Fazzini, who invited him to Rome to document his Risen
Christ, sculpted for Nervi’s Audience Hall in the Vatican.”
Chiara Sarteanesi: You have photographed the sculptures of Pisano, Jacopo
della Quercia, Donatello and Michelangelo, medieval works of architecture and
examples of industrial archeology and you have also worked for living artists:
all notable and demanding undertakings, but with different implications.
Aurelio Amendola: In the case of Michelangelo or Pisano, I felt free to
do what I sensibility suggested: no one could approve or disapprove.
Among living artists, some gave me carte blanche while others, like
Burri, caused me quite a few difficulties. You know what a perfectionist
he was. On the other hand, it is very interesting to work with someone
who knows what he wants!
On the subject of Burri, as it is about him that we want to talk, I’ll tell
you a story that made a great impression on me. In 1978 I was at Forte
dei Marmi with Marini, who asked me what I was doing in that period.
“La carriera di fotografo d’arte di Aurelio Amendola ha inizio nel 1968
quando Gian Lorenzo Mellini, critico d’arte ed esperto di scultura del 1300,
lo chiama a fotografare il pulpito pistoiese di Giovanni Pisano. Il lavoro non
passò inosservato a Marino Marini che incaricò Amendola per le foto da inserire
nella sua monografia del 1973, altre ne seguiranno.
La frequentazione della fonderia Michelucci, il cui proprietario era fratello
dell’architetto, è stata un capitolo molto importante per la carriera del fotografo.
Qui alla fine degli anni Sessanta conosce, fra gli artisti impegnati nella
realizzazione di sculture per la chiesa di San Giovanni Battista di Michelucci,
Jorio Vivarelli di cui fotografa le opere e Pericle Fazzini che lo invita a Roma
per documentare il “Cristo Risorto”, destinato alla sala Nervi, in Vaticano”.
Chiara Sarteanesi: Hai fotografato le sculture di Pisano, Iacopo della Quercia,
Donatello, Michelangelo, architetture medievali, edifici di archeologia industriale
e hai anche lavorato per artisti viventi: tutti incarichi notevoli e
molto impegnativi, ma con implicazioni diverse.
Aurelio Amendola: Nel caso di Michelangelo o Pisano, mi sono sentito
libero di fare quello che la mia sensibilità suggeriva: nessuno poteva
approvare o disapprovare. Fra gli artisti viventi alcuni mi hanno dato
carta bianca, altri come Burri, mi hanno creato non poche difficoltà. Sai
quanto fosse amante della perfezione. D’altra parte è molto avvincente
avere un interlocutore che sa quello che vuole!
A proposito di Burri, perché è di lui che vogliamo parlare, ti racconterò
un episodio che mi ha colpito molto. Nel 1978 ero a Forte dei Marmi
con Marini che mi chiese di cosa mi occupassi in quel periodo. Risposi
che avevo conosciuto Burri e che lo avevo ritratto mentre faceva una
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Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1982

I answered that I had met Burri and had taken his portrait while he was
making one of his “combustions.” Marino said: “He is ten years ahead
of all the others!” I told this at once to Burri, who was very touched
by these words: they had been pronounced by Marini, one of the few
artists he admired!
CS: After Marino Marini, which other artists did you work with before getting
to know Burri?
AA: I went to America to photograph Andy Warhol and Roy Lichtenstein.
CS: Figures of great standing, it can’t have been easy dealing with them!
AA: In 1976 one of my friends in New York called Warhol and
Lichtenstein to tell them that Marino Marini’s photographer would
like to meet them in their studios, to take pictures. This was the key
that got me a gracious reception straightaway.
CS: They were two very different artists. How did your first meeting with each
of them go? I presume you speak English!
AA: No, I only speak Pistoiese! The fact that we didn’t speak the same
language certainly didn’t help us to reach an understanding. Warhol
was very aloof and detached, although polite and very punctual. He
gave me just an hour to photograph him: this had never happened to
me, I felt like a housemaid or a cleaning woman! The positive side was
that he left me carte blanche on the shots.
Lichtenstein was very friendly and above all placed no time limits on
my work. I met him later at the Venice Biennale and at the Fattoria di
Celle, at Giuliano Gori’s home. In both cases it was a real pleasure to
see him again.
CS: And how and when did you meet Burri?
AA: I had wanted to meet him for some time, but the general opinion
“combustione”. Marino disse: “Lui è in anticipo di dieci anni rispetto
a tutti gli altri!”. Lo raccontai subito a Burri che si emozionò molto per
questa frase: era stato Marini, uno dei pochi artisti che godeva della sua
stima, a pronunciarla!
CS: Dopo Marino Marini, con quali artisti hai collaborato prima di conoscere
Burri?
AA: Sono andato in America a fotografare Andy Warhol e Roy Lichtenstein.
CS: Personaggi di grande livello, non doveva essere facile avvicinarli!
AA: Nel 1976 uno dei miei amici di New York, telefonò a Warhol e
Lichtenstein dicendo loro che il fotografo di Marino Marini avrebbe
avuto piacere di incontrarli nei loro atelier, per scattare delle foto. Questo
fu il passe-partout per essere subito accolto benevolmente.
CS: Si tratta di due artisti molto diversi, com’è stata la prima volta con ognuno
di loro? Presuppongo che tu parli inglese!
AA: No, parlo solo il pistoiese! Sicuramente il fatto di non parlare la
stessa lingua, non facilitò l’instaurarsi di un rapporto umano. Warhol
fu molto freddo e distaccato, anche se cortese e molto puntuale. Mi
concesse solo un’ora per fotografarlo: questo non mi era mai capitato,
mi sentii alla stregua di un cameriere o di una donna delle pulizie! L’aspetto
positivo fu che mi lasciò carta bianca sulle inquadrature.
Lichtenstein fu cordialissimo e soprattutto non mise limiti orari al mio
lavoro. Lo incontrai in seguito alla Biennale di Venezia e a Fattoria di
Celle, a casa di Giuliano Gori, in entrambi i casi fu davvero molto piacevole
ritrovarsi.
CS: …e Burri quando e come l’hai incontrato?
AA: Da tempo avevo desiderio di incontrare il Maestro, ma era opinio-
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Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1976
This and facing page, Alberto
Burri, Case Nove di Morra,
1976
128 129

was that he was not at all easy to approach. Later I understood why:
the artist devoted his whole day to his creations, and didn’t like to be
distracted from them.
“In 1976 Amendola, just back from New York, went to see Fazzini, who lived
on Passeggiata di Ripetta in Rome, right next door to Burri; imagining that
the two knew each other, he asked the sculptor if it was really so difficult to get
an appointment with the Umbrian artist. Fazzini knew that his painter friend
was loth to grant appointments, but was aware of Amendola’s quality. Sure
that Burri too would be able to appreciate that quality, he invited him to meet a
good friend, omitting, deliberately, to say that he was a photographer, in order
not to put him off.”
CS: Did you know that it was Fazzini who noticed Burri’s talent right from his
first exhibition in Rome at the Margherita, in 1947, and who introduced him
into various circles, so that he would get the recognition he deserved?
AA: I was not aware of the special bond between them. A long time
afterward, Fazzini revealed to me that in 1952 he had intervened on
his behalf to get his work shown at the Biennale! I never told Burri
about this conversation. It was a surprise when, in the last years of our
association, he confided to me that it was something he had never said
before, but he felt he owed a debt to his sculptor friend.
Going back to that day, Burri accepted the invitation and joined us.
Fazzini introduced me to him as the young photographer who was
working for him and enthusiastically declared his appreciation of my
pictures. Burri’s expression was discouraging: he pulled a face that said
clearly: “Another pain in the neck!” In contrast to what had happened
with other artists, the fact that I was Marini’s photographer seemed not
to impress him in the slightest.
He told me he was leaving for engagements, first in Japan and then in
the United States, and that I would not be able to contact him again for
three months. It seemed to be a polite way of getting rid of me. But he
did give me, the telephone number of his home in Città di Castello and,
Alberto Burri, Città
di Castello, 1976
130 131

after three months, I called him: “Maestro, this is Amendola, I don’t
know if you remember me... we met in Rome, about three months
ago at Pericle Fazzini’s.” And Burri responded: “Certainly I remember
you, come and see me, but don’t bring your camera.” I thought: “well
that’s a good start!”
Without my Hasselblad, and convinced that it was not going to be
much more than a day out, I set off with my wife Lella for Città di
Castello. The artist was in the company of Nemo Sarteanesi, your father,
whom I later got to know and appreciate. From then on, in fact,
on every occasion I met Burri, he was there too. Later I found out they
had known each other as children and that they were bound together
by a deep esteem.
Although two of my artist friends from Pistoia, Barni and Ruffi, had
told me that Burri was the best of them all, a great and important artist,
I hadn’t really taken this fact on board. I approached him with a degree
of timidity, but not that much to tell the truth, and not with the reverent
awe that the occasion required. I had already photographed Pisano
and Marini’s work and felt fairly sure of myself.
CS: Knowing Burri well, I imagine that he subjected you to some sort of examination
to see if you were equal to the situation.
AA: Yes, of course, I was given a little test as you say! He wanted to
know, in great detail, what cameras I used, and whether I worked alone
or with assistants.
Sarteanesi, in the meantime, was looking with interest at the books on
Marini and Pisano that I had brought with me and I noted the looks of
approval that he exchanged with Burri: it was a team effort!
In the end the artist dictated his terms and invited me to come to
his studio at Case Nove and photograph him during the creation of a
“combustion.” With the camera, yes, but no assistant.
I wasn’t familiar with his work and didn’t know what he meant by
that word “combustion.” Up until then, I had dealt with sculptors
and painters who operated with the traditional means of these two
ne comune che non era affatto facile avvicinarlo. In seguito ho capito
perché: l’artista era dedito tutto il giorno alle sue creazioni, dalle quali
non amava essere distolto.
“Nel 1976 Amendola, appena tornato da New York, si reca da Fazzini che
abitava a Roma in Passeggiata di Ripetta, proprio accanto a Burri; immaginando
la conoscenza fra i due artisti, chiede allo scultore se davvero sia così
difficile ottenere un appuntamento con il Maestro umbro. Fazzini sa che il suo
amico pittore è restio a concedere appuntamenti, ma è consapevole delle qualità
di Amendola. Sicuro che anche Burri avrebbe potuto apprezzarle lo invita a
conoscere un carissimo amico, omettendo, a ragion veduta, che si tratta di un
fotografo, per non precludere l’incontro”.
CS: Sai che fu proprio Fazzini a notare il talento di Burri fin dalla prima
mostra romana alla Margherita, nel 1947, e a introdurlo in vari ambiti, in
modo che avesse il meritato riconoscimento?
AA: Non ero a conoscenza del legame particolare che li univa. Molto
tempo dopo, Fazzini mi rivelò che nel ’52 intervenne in suo favore
perché esponesse alla Biennale! Non riferii mai questa conversazione
al Maestro. Fu una sorpresa quando, negli ultimi anni della nostra frequentazione,
mi confidò di non averlo mai detto prima, ma si sentiva
debitore nei confronti dell’amico scultore.
Tornando a quel giorno, Burri accettò l’invito e ci raggiunse. Fazzini
mi presentò come il giovane fotografo che stava lavorando per lui e con
entusiasmo dichiarò l’apprezzamento per i miei scatti. L’espressione di
Burri fu scoraggiante: vidi nel suo volto una smorfia che chiaramente
sottintendeva: “Ecco un altro rompiscatole!”. Contrariamente a quanto
si era verificato con altri artisti, non sembrò far effetto su di lui che fossi
il fotografo di Marini.
Mi disse che stava partendo per impegni, prima in Giappone, poi negli
Stati Uniti e che avrei potuto ricontattarlo non prima di tre mesi.
Sembrò un modo elegante per liquidarmi. Mi lasciò, però, il numero di
telefono della sua casa di Città di Castello e, dopo tre mesi, lo chiamai:
132 133

“Maestro sono Amendola, non so se si ricorda di me… sa, ci siamo incontrati
a Roma, circa tre mesi fa con Pericle Fazzini”. E Burri: “Certo
che mi ricordo, venga pure a trovarmi, ma senza macchina fotografica”.
Pensai: “… e si comincia bene!”
Senza la mia Hasselblad, e con la convinzione di far poco più che una
gita, partii con mia moglie Lella, alla volta di Città di Castello. L’artista
era in compagnia di Nemo Sarteanesi, tuo padre, che in seguito ebbi
modo di conoscere e apprezzare. Da allora, infatti, in ogni occasione
d’incontro con Burri, trovavo sempre anche lui. Poi seppi che si frequentavano
da ragazzi e che li legava una stima profonda.
Anche se due miei amici artisti pistoiesi, Barni e Ruffi, mi avevano
detto che Burri era il più bravo di tutti, un grande e importante artista,
non ero pienamente consapevole di questa realtà. Mi avvicinai a lui con
un po’ di timidezza, neanche tanta a dire il vero, e non con il reverente
timore che l’occasione avrebbe richiesto. Avevo già fotografato Pisano
e Marini e mi sentivo abbastanza sicuro.
CS: Conoscendo bene Burri, immagino che ti abbia sottoposto a una sorta di
esame per capire se eri all’altezza della situazione.
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1977
AA: Certamente, fui sottoposto come dici tu, a un esamino! Voleva sapere,
nei minimi dettagli, quali apparecchi fotografici usassi; se lavorassi
da solo o con degli assistenti.
Sarteanesi, nel frattempo, guardava con interesse i libri su Marini e Pisano
che avevo portato e notai degli sguardi di approvazione che Burri
colse al volo: era un lavoro di squadra fra di loro!
Alla fine l’artista dettò le sue condizioni e m’invitò ad andare nel
suo studio di Case Nove, per fotografarlo durante la creazione di una
“Combustione”. Con la macchina fotografica sì, ma senza assistente.
Non conoscevo il suo lavoro e a cosa si riferisse con quella definizione:
“combustione”. Fino a quel momento, mi ero occupato di scultori
e pittori che operavano con mezzi tradizionalmente riferibili a queste
due discipline e non potevo immaginare cosa mi aspettasse.
A Case Nove mi fermai, su decisione dell’artista, cinque o sei giordisciplines
and had no idea what to expect.
I stayed at Case Nove, at the artist’s insistence,
for five or six days. I met some of
Burri’s other friends, people he had known
all his life: Beppe Volpi who was in charge
of the cooking, Roberto Mancini factotum
and Jack the Spark [Giacomo Di Sabbatino,
called “Jack scintilla” for his ability to find
brilliant solutions to all sorts of problems,
editor’s note].
134 135

A day to settle down and then the work started. I found myself in what
was to say the least a disconcerting situation: Mancini and Jack the
Spark hoisted an enormous sheet of cellophane, all of five meters by
five, up to the ceiling after anchoring it to the floor with weights.
Once the operation of mounting the large sheet of plastic was over,
Burri, with a blowtorch in his hand, said: “Now I start working with
this!” Bewildered and somewhat intimidated, I wondered what was
about to happen.
I was using traditional film, and still do, so I didn’t have more than
twelve exposures at my disposal. As Burri lit the torch I took all the
pictures that would make up the famous sequence! He asked me at
once what I’d been able to do; I replied that I wouldn’t know until after
the photos were developed. The day after he set to work again and so
on over the following days. And my bewilderment began to give way
to understanding.
In the meantime Burri had loosened up a bit: my free and easy way of
doing things had succeeded in overcoming his distrust. For the esteem
and friendship that I was eventually to win, more time was needed. We
used the formal mode of address and it was only in the last years that
we shifted to the informal one. In any case the “combustion” was not
finished, but my time was up.
You know that I love black and white, but I decided that color was
indispensable for this work. When I developed the film, excited
and thrilled by the results, I called Burri on the phone: “Maestro,
I have the pictures, I think they turned out well!” With his usual
sarcastic laugh he replied: “We’ll see, we’ll see!” I printed them
ni. Conobbi altri amici di Burri, compagni
all and took them to him: faced with the whole sequence he was
di vita: Beppe Volpi addetto alla cucina,
enthused, and so was I. From that moment on I became Burri’s
Roberto Mancini tuttofare, e Jack scintilla
photographer and friend until his death, although it is known that
[Giacomo Di Sabbatino, detto “Jack scintilla”
per la sua capacità di trovare soluzioni
artists never die!
In 1994, already very ill, he called me from Beaulieu. He wanted to see
geniali ai problemi più disparati n.d.r.].
me: I went there at once with Lella and it was really sad to find him
Un giorno per acclimatarsi e poi il lavoro cominciò.
Mi trovai di fronte a una situazione
in such a state. Not long afterward he was hospitalized and I couldn’t
find the courage to go and visit him. I came for the last farewell, here in
a dir poco sconcertante: Mancini con Jack Case Nove di Morra, 1977
136 137

Alberto Burri e Aurelio
Amendola, Beaulieu sur mer,
1994
Città di Castello: you remember, there were
around thirty of us, just his friends, the real
ones!
I miss him a lot, but it’s very good to feel
that he is still with us anyway! We talk about
him often, recalling the moments spent
with him. We appreciate every day what he
taught us.
CS: How right you are! And it is demonstrated
too by this exhibition of yours at the gallery run
by Antonio Sapone, a person Burri thought highly
of and treasured as a friend, as I do for that
scintilla, issavano al soffitto un enorme foglio di cellophane, ben cinque
metri per cinque, dopo averlo assicurato al pavimento con dei pesi.
Finita l’operazione di allestimento della grande plastica, Burri, con
una fiamma ossidrica in mano, disse: “Bene, io comincio a lavorare con
questa!”. Disorientato e un po’ intimorito, mi chiedevo cosa stesse per
accadere.
Utilizzavo, e lo faccio ancora, pellicole tradizionali, quindi non avevo
a disposizione più di dodici pose. Come Burri accese la fiamma sparai
tutti gli scatti che costituiscono poi la famosa sequenza! Chiese subito
cosa fossi riuscito a fare; replicai che l’avrei saputo solo dopo lo sviluppo
delle foto. Il giorno dopo riprese il lavoro e così nei giorni seguenti.
Intanto la consapevolezza, in me, subentrò al disorientamento.
Nel frattempo Burri si era sciolto un po’: il mio modo di fare scanzonato
era riuscito ad abbattere la sua diffidenza. Per la stima e l’amicizia, che
dovevo guadagnarmi, ci volle più tempo. Ci si dava del lei e solo negli
ultimi anni si passò al tu. Comunque la “Combustione” non era terminata,
ma la mia presenza lì, sì.
Tu sai che io amo il bianco e nero, ma decisi che per questo lavoro era
indispensabile il colore. Quando vidi gli sviluppi, emozionato e soddisfatto,
chiamai Burri al telefono: “Maestro ho gli scatti, mi sembra un
buon lavoro!”. Con la sua solita risata sarcastica rispose: “Vedremo, vedremo!”.
Stampai il tutto e lo raggiunsi: di fronte all’intera sequenza si
commosse, ed io con lui. Da allora diventai il fotografo di Burri e amico
fino alla sua morte, sebbene si sa che gli artisti non muoiono mai!
Nel 1994, già molto malato, mi telefonò da Beaulieu, desiderava vedermi:
partii subito con la Lella e fu un grande dispiacere trovarlo così
provato. Poco tempo dopo fu ricoverato e non trovai il coraggio di andare
per una visita. Venni per l’estremo saluto, qui a Città di Castello:
ti ricordi, eravamo una trentina di persone, solo gli amici, quelli veri!
La sua mancanza è grande, ma è bellissimo sentire che è comunque
ancora in mezzo a noi! Ne parliamo spesso, rievochiamo i momenti passati
con lui, apprezziamo di giorno in giorno quello che ci ha insegnato.
CS: Hai ragione! Lo dimostra anche questa tua esposizione alla Galleria di
138 139

Qui e nella pagina a fianco,
Aurelio Amendola, Alberto
Burri, Beaulieu sur mer, 1994
This and facing page, Aurelio
Amendola, Alberto Burri,
Beaulieu sur mer, 1994
matter! As for the teaching, Burri gave so much
to everyone who had the luck to spend time with
him and work for him, me included. I’ve always
considered it a great privilege and will be eternally
grateful for the trust he placed in me, but
I wish he were still here. I’d have so many more
things to ask him!
With respect to everything you did later with
Burri, what role do you assign to Combustion
in your development as a photographer?
AA: Out of all the things I have done, and
not just with him, it is absolutely the one I
like best! For me it has a symbolic value. It
was an initiation that allowed me to discover
and appreciate the great artist’s “work” in all
its complexity. That’s why I wanted to pres-
Antonio Sapone che Burri stimava e considerava
un amico prezioso, come me d’altronde! Quanto
agli insegnamenti, Burri ha dato tanto a tutti
quelli che hanno avuto la fortuna di frequentarlo
e di lavorare per lui, me compresa. L’ho sempre
ritenuto un grande privilegio e gli sarò eternamente
grata per la fiducia concessami, ma vorrei
che fosse ancora qui, avrei ancora tante cose da
chiedergli!
Rispetto a tutto quello che hai fatto in seguito con
Burri, quale ruolo attribuisci, alla “Combustione”,
nel tuo iter di fotografo?
AA: In assoluto, rispetto a tutti i lavori che
Nella pagina successiva,
Alberto Burri, Ex Seccatoi del
Tabacco, Città di Castello,
1980
Following page, Alberto Burri,
Ex Seccatoi del Tabacco,
Città di Castello, 1980
140 141

ho fatto, non solo con lui, è quello che amo di più! Per me ha un valore
simbolico, è stata un’iniziazione che mi ha permesso di scoprire e apprezzare,
l’intera “opera” del grande artista nella sua complessità. Per
ciò, l’ho voluta riproporre in questa mostra da Sapone.
Sono molto felice di essere stato l’unico a fotografare la “Combustione”!
CS: Devo correggerti: prima di te, negli anni Sessanta, Ugo Mulas aveva fotografato
Burri che lavorava ad un’altra combustione.
AA: È vero ma, senza nulla togliere a uno dei fotografi che ammiro di
più, devo dire che le sue foto in bianco e nero non rendono la potenza
della fiamma come i miei scatti a colori!
Durante tutto il lavoro provai emozioni intense, come in nessun’altra
occasione. Mi affascinava il suo modo, quasi sensuale, di agire con la
fiamma, nel toccare e plasmare la plastica.
Quando sono andato a Nizza per rendermi conto di come distribuire le
foto e quali prediligere, ho subito immaginato, già appese alle pareti
della parte superiore della galleria, le foto della “Combustione”. Ho
suggerito per l’allestimento, di tenere le luci basse, in modo che i visitatori,
entrando, possano percepire la fiamma che si accende! Sapone
ha subito aderito alla mia proposta. Per la parte sottostante della galleria,
ho previsto le foto dei “Cicli” e delle varie mostre.
CS: Nel 1977 dentro il “capannone studio” hai fotografato il montaggio del
“Grande Nero Cretto”, una scultura monumentale, alta cinque metri e lunga
quindici, destinata alla mostra di Napoli, dove Burri espose anche la “Combustione”.
AA: Sì, in quel capannone, dove si moriva di freddo! Quella volta gli
imposi la presenza dell’assistente che Burri accettò di buon grado. Per
rendere le dimensioni dell’opera pretese che questi si piazzasse vicino
al “Cretto”. Avrei preferito fotografare il Maestro accanto all’opera, ma
sappiamo entrambi quanto fosse contrario ad apparire! Poi lo seguii a
142 143

Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri nelle sale del
museo di Capodimonte
durante l’allestimento di una
sua mostra, Napoli, 1978
This and facing page,
Alberto Burri at the Museo
di Capodimonte during
the mounting of one of his
exhibitions. Naples, 1978
ent it again in this exhibition at Sapone’s.
I’m very happy to have been the only person
to photograph the Combustion!
CS: I have to correct you: before you, in the sixties,
Ugo Mulas had photographed Burri working
on another combustion.
AA: It’s true, but without wishing to detract
in any way from one of the photographers I
admire most, I have to say that his pictures
in black and white don’t convey the power
of the torch like my ones in color!
All the way though the work I felt intense
Capodimonte per documentare tutta l’esposizione,
naturalmente c’era anche Nemo e
fra gli artisti ricordo Melotti [Fausto] e Portoghesi
[Paolo].
CS: Burri si dilettava di fotografia ed era appassionato
di tutte le novità che uscivano in fatto
di apparecchi fotografici: mi regalò la prima
Nikomat elettronica, l’aveva acquistata negli
Stati Uniti, in Italia non era ancora in vendita.
144 145

Con quella macchina, che faceva quasi tutto da sola, presentai delle foto a un
concorso e mi aggiudicai il terzo posto, con grande soddisfazione del Maestro.
Immagino, quindi, che durante i vostri incontri l’argomento principe fosse la
fotografia?
AA: Quando ci incontravamo, si parlava di fotografia, ma anche di calcio
che lui amava moltissimo, come tu sai!
Alberto Burri a Villa Celle
con in mano la sua preziosa
macchina fotografica
Alberto Burri taking
photographs at Villa Celle
with his precious camera
emotions, more than on any other occasion.
I was fascinated by the almost sensual way
he used the torch to touch and mold the
plastic.
When I went to Nice to see how to arrange
the photos and which ones to choose, I
immediately imagined the pictures of the
Combustion already hanging on the walls of
the upper part of the gallery. I suggested
keeping the lighting dim so that visitors, on
entering, would perceive the torch being lit!
Sapone immediately agreed to my proposal.
I envisaged putting photos of the “Cycles”
and various exhibitions in the lower part of
the gallery.
CS: In 1977 you photographed the assembly
in his “shed-studio” of the Big Black Crack
CS: Quando il Perugia era in serie A e giocava ”in casa”, Alberto Bacchi ed
io, lo accompagnavamo da Tito Fortuni [specialista in pneumologia che ha
sempre curato il Maestro n.d.r.]. Il Maestro e il professore andavano allo
stadio, mentre noi ci intrattenevamo con i suoi due figli, Pinuccio e Giacomo.
L’amicizia fra Burri, Tito e mio padre risaliva ai tempi della gioventù ed è
continuata tra noi figli. In seguito il Maestro designò Pinuccio e mio fratello
Tiziano, suoi curatori testamentari.
Ma torniamo alle vostre conversazioni...
AA: Si parlava di politica e tu sai che era sempre molto accalorato
sull’argomento, anche se poi finiva sempre con la sua risata. Questo accadeva
durante i nostri primi incontri. Poi arrivarono anche tante belle
confidenze reciproche, che devono rimanere tali.
Da quando ci siamo conosciuti, ho sempre ricevuto una cartolina da
Los Angeles [dove Burri andava ogni anno nei mesi invernali, n.d.r.].
Le ho riunite tutte in un unico pannello che ho appeso in casa, mi fa
compagnia e tiene vivo il ricordo.
A proposito della nostra corrispondenza, quando gli scrivevo indicavo
solamente: Alberto Burri, Città di Castello. Una volta mi disse: “Ora
provo anch’io, voglio vedere se sei famoso, scriverò soltanto: Amendola,
Pistoia, vediamo se ti arrivano!”. Arrivavano!
CS: Burri ha invitato a Los Angeles tutti noi, Nemo e Tiziano nel 1982 in
occasione della Mostra a Palm Springs, Bacchi ed io nel 1985, due anni dopo
Tiziano con la moglie. Voleva condividere con gli amici le bellezze naturali
del Grand Canyon, di Zabriskie Point, della Valle della Morte, del Yosemite
146 147

Qui e nella pagina a fianco
una cartolina inviata da
Alberto Burri ad Aurelio
Amendola
This and facing page, a
postcard sent by Alberto Burri
to Aurelio Amendola
[Grande Nero Cretto], a monumental sculpture,
five meters in height and fifteen in length, intended
for the exhibition in Naples, where Burri
also showed the Combustion.
AA: Yes, in that shed, where we froze to
death! That time I demanded the help of an
assistant, which Burri agreed to readily. To
convey the scale of the work I asked him to
stand near the Crack. I’d have preferred to
photograph Burri alongside his work, but we
both know how loth he was to appear in pictures!
Then I followed him to Capodimonte
to document the whole exhibition. Of course
Nemo was there too and among the artists
I remember Melotti [Fausto] e Portoghesi
[Paolo] .
Valley, etc... Il suo sogno era di fare, tutti insieme,
il viaggio Coast to Coast che non fu possibile
realizzare per l’aggravarsi delle sue condizioni
di salute.
Tu sei andato a trovarlo negli Stati Uniti?
AA: Mi recai a Los Angeles solo per due o
tre giorni. Per lavoro ero andato a New York
e Washington e avevo portato tutta la mia
famiglia, così decisi di fare una tappa in più
per vedere Burri: gli feci una sorpresa e lui
ne fu felicissimo.
CS: Il 1978 per Burri è l’anno della grande retrospettiva
al Solomon Guggenheim Museum di
New York. Al rientro dall’avventura newyorkese
accompagnasti mio padre dall’aeroporto all’u-
148 149

CS: Burri dabbled in photography and was enthusiastic about all the new
pieces of photographic equipment that came out: he gave me the first electronic
Nikkormat, which he’d bought in the United States. It wasn’t on sale yet in
Italy. With that camera, which did almost everything by itself, I entered some
photos in a competition and came third, to Burri’s great satisfaction. So am I
right in imagining that the main thing you talked about during your meetings
was photography?
AA: We talked about photography when we met, but about soccer too,
which he was crazy about, as you know!
CS: When Perugia was in Serie A and playing “at home,” Alberto Bacchi and
I used to take him to the house of Tito Fortuni [a specialist in pulmonology
who had always treated Burri, editor’s note]. The artist and the professor
went to the stadium, while we stayed with his two sons, Pinuccio and Giacomo.
The friendship between Burri, Tito and my father went right back to their youth
and has continued between us children. Later Burri named Pinuccio and my
brother Tiziano as executors of his will.
But let’s get back to your conversations...
AA: We used to talk about politics, and you know that he was always
very heated on the subject, even if it all ended in laughter. This happened
during our first meetings. Then came a lot of things said in confidence,
which have to remain that way.
From the time we first met, I always received a postcard from Los
Angeles [where Burri went every year in the winter months, editor’s
note]. I’ve put them all together in a single panel that I’ve hung on the
wall at home. It keeps me company and the memory alive.
On the subject of our correspondence, when I wrote to him all I put as
the address was: Alberto Burri, Città di Castello. Once he said to me:
“Now I’m going to try, I want to see if you are famous. I’m going to
write just: Amendola, Pistoia. Let’s see if they arrive!” They did!
CS: Burri invited us all to Los Angeles. Nemo and Tiziano in 1982, on the
scita autostradale di Arezzo, dove io vi aspettavo:
fu la prima volta che ti incontrai!
AA: Furono dieci giorni meravigliosi. Burri
aveva organizzato un volo per portarsi tutti
gli amici più vicini: c’erano anche la “nipote”
prediletta Anita Bucchi [figlia di Annibale
Bucchi, cugino della madre di Burri,
n.d.r.] tuo padre, Jack scintilla con la moglie.
Eravamo in trentacinque, tutti ospiti suoi
e tutti nello stesso albergo. Il Maestro era
speciale, il meglio non solo artisticamente,
ma anche dal punto di vista umano. Ci lasciava
solo quando aveva impegni personali
che riguardavano specifici aspetti lavorativi
che viveva comunque sempre come una
scocciatura, anche perché doveva mettersi
la cravatta! Ci fece apprezzare la maggior
parte dei Musei di New York. Durante una
di queste visite, con tuo padre e Jack scintilla,
ci divertimmo molto. Io ero il più giovane
e tu sai che sono un casinista. Si cominciò
a guardare i quadri dicendo: “Bellissima
quest’opera, starebbe bene in casa mia!” Ci
avvicinammo, forse un po’ troppo, facendo
finta di prendere le misure. La vigilante della
sala fece intervenire la sicurezza e, mentre
noi tutti ci schiantavamo dalle risate, Burri
dovette spiegare chi fosse, che noi eravamo
suoi amici e non dei ladri potenziali, poi ci
disse: “Ecco, con il mio inglese-castellano
[dialetto di Città di Castello, n.d.r.] vi ho tolto
dai pasticci”.
Il giorno dell’inaugurazione della mostra fu
In alto, Nemo Sarteanesi e
Alberto Burri, New York,
1978; in basso, Alberto Burri
e Aurelio Amendola, New
York, 1978
Above, Nemo Sarteanesi and
Alberto Burri, New York,
1978; bottom, Alberto Burri
and Aurelio Amendola, New
York, 1978
150 151

Qui e nella pagina a fianco, la
mostra che Alberto Burri, tenne
al Solomon R. Guggenheim
Museum, New York, 1978
This and facing page, the
exhibition that Alberto Burri,
held at the Solomon R.
Guggenheim Museum, New
York, 1978
152 153

occasion of the exhibition at Palm Springs, Bacchi and me in 1985, two years
later Tiziano and his wife. He wanted to share with his friends the natural
beauties of the Grand Canyon, Zabriskie Point, Death Valley, the Yosemite
Valley, etc... His dream was for us to make, all together, the journey from coast
to coast but we were prevented from doing so by the deterioration in his health.
Did you go to see him in the United States?
AA: I went to Los Angeles for just two or three days. I’d been in New
York and Washington for work and had brought my whole family with
me, so I decided to make the trip to see Burri too: we sprang it on him
as a surprise and he was delighted.
CS: For Burri 1978 was the year of the major retrospective at the Solomon
Guggenheim Museum in New York. On his return from the adventure in the Big
Apple you accompanied my father from the airport to the expressway exit for
Arezzo, where I was waiting: it was the first time I met you!
AA: Those were ten wonderful days. Burri had organized a flight to
bring all his closest friends: among them were his favorite “niece”
Anita Bucchi [daughter of Annibale Bucchi, the cousin of Burri’s mother,
editor’s note], your father, Jack the Spark and his wife. There were
thirty-five of us, all his guests and staying at the same hotel. He was
special, the best not just from the artistic viewpoint, but from the human
one too. He left us by ourselves only when he had personal commitments
that concerned specific aspects of his work, which he always
regarded as a drag, partly because he had to put on a necktie! He took
us to see most of the museums in New York. On one of these visits,
with your father and Jack the Spark, we had great fun. I was the youngest
and you know how I like to raise hell. We started looking at the
pictures, saying: “Beautiful this work, it’d look great at home!” We
went up close, perhaps a bit too close, pretending to take measurements.
The guard in the room called security in and, while we were
all splitting our sides with laughter, Burri had to explain who he was,
and that we were his friends and not would-be thieves. Then he said:
bellissimo, il nostro gruppo arrivò un po’ prima. Il museo era ancora
deserto e io ne approfittai per fotografarvi il Maestro da solo, anche per
rendere la dimensione dello spazio.
CS: Il Guggenheim ha un’architettura molto complessa, soprattutto per le pareti
curvilinee, dove non è facile appendere quadri. Hai trovato difficoltà nel
rendere il rapporto spazio-opere, così importante per Burri?
AA: Fotografai anche le varie sezioni ma, in realtà, si trattò di un reportage:
il mio intento era quello di riprendere Burri, a sua insaputa, mentre
parlava con tutte le persone che lo assediavano, sai che non amava
mettersi in posa!
CS: Immagino che la mostra sia stata allestita secondo precise direttive di
Burri, che sapeva sempre ciò che voleva e non ammetteva interferenze.
AA: Devo dire che si confrontava sempre con Nemo, lo ascoltava molto:
d’altronde, c’era fra loro un’intesa formidabile che si percepiva nell’aria.
“Nel 1979, Erich Steingräber chiede a Burri una mostra per lo Staatsgalerie
Moderner Kunst di Monaco. Burri, dopo aver visionato lo spazio, crea il suo
primo ciclo, “Il Viaggio” nel “capannone studio.
Amendola fotografa l’artista mentre, arrampicato su un trabattello, sta lavorando
sulla parte alta delle opere e mentre fa la combustione. Le foto dall’alto
dell’intero capannone sono molto efficaci nel rendere evidente il rapporto spazio-opere.
Il Maestro, a sorpresa, decide di mostrare”Il Viaggio” in quel luogo, prima di
inviarlo a Monaco. Per l’occasione realizza un pieghevole con la presentazione
di Nemo. Questa esperienza lo convince che quello è lo spazio ideale per esporre
le sue opere di grandi dimensioni. Nel 1989 acquista l’intero complesso architettonico
che poi è diventato la seconda sede della Fondazione Burri”.
CS: A proposito della sua passione per il calcio, i giocatori del Perugia parteciparono
a quella “pre-inaugurazione”, c’eri anche tu?
154 155

157

“There you are, I’ve got you out of trouble
with my English-Castellano [dialect of Città
di Castello, editor’s note].”
The day of the exhibition’s opening was
great. Our group arrived a bit early. The museum
was still deserted and I took advantage
of it to photograph Burri by himself, partly to
get across the scale of the space.
In alto, nella pagina a fianco
e nelle pagine precedenti,
la mostra che Alberto Burri
tenne alla Staatsgalerie
Moderner Kunst, Monaco di
Baviera, 1980
Above, facing page and
previous pages, the exhibition
that Alberto Burri held at the
Staatsgalerie Moderner Kunst,
Munich, 1980
CS: The architecture of the Guggenheim is very
complex, especially because of its curved walls, on
which it is not easy to hang pictures. Did you find
it hard to convey the relationship between space
and works, so important for Burri?
AA: I did photograph the various sections
but, in reality, it was a reportage: my inten-
158 159

tion was to take pictures of Burri, without him realizing, while he was
talking with all the people who were besieging him. You know how he
hated posing!
CS: I imagine that the exhibition was mounted according to precise instructions
from Burri, who always knew what he wanted and wouldn’t let anyone
interfere.
AA: I must say that he often exchanged notes with Nemo. He listened
to him a lot: you could tell there was an extraordinary rapport between
them.
“In 1979, Erich Steingräber asked Burri to prepare an exhibition for the
Staatsgalerie Moderner Kunst in Munich. Burri, after inspecting the space,
created his first cycle, The Journey [Il Viaggio] in the ‘shed-studio.’
Amendola photographed the artist while, perched on scaffolding, he was working
on the upper part of the works and doing the combustion. The photos of
the whole shed taken from above are very effective in making the relationship
between space and works clear.
“Surprisingly, Burri decided to show The Journey in that place, before sending
it to Munich. For the occasion he prepared a brochure with a presentation
written by Nemo. This experience convinced him that it was the ideal space to
exhibit his large-scale works. In 1989 he bought the whole complex, which was
then turned into the second seat of the Fondazione Burri.”
CS: Speaking of his passion for soccer, the Perugia players attended that
“pre-opening.” Were you there too?
AA: Of course! I remember Della Martira and Paolo Rossi being there:
it was strange to see a whole soccer team there along with important art
historians, artists and architects.
Then I went with Burri to Munich too, together with Nemo, Brandi
[Cesare] e Rubiu [Vittorio]. My photos were published in the German
catalogue as well.
AA: Certamente! Ricordo Della Martira e Paolo Rossi: era inconsueto
vedere un’intera squadra di calcio tra importanti storici dell’arte, artisti
e architetti.
Poi andai con Burri anche a Monaco, insieme con Nemo, Brandi [Cesare]
e Rubiu [Vittorio]. Le mie foto furono pubblicate anche nel catalogo
tedesco.
“Nel 1979/80 Burri espone a Firenze. La sede proposta è il Forte Belvedere.
Burri rifiuta perché da poco, c’era stata un’esposizione delle opere di Moore: una
grande mancanza di rispetto, a suo avviso, nei confronti di Marino Marini
che avrebbe dovuto avere la precedenza su tutti. Dopo altre sedi, tutte bocciate
da Burri, poiché l’assessore di allora, voleva fare a tutti i costi questa mostra,
come mi ha riferito Giuliano Gori, presente alle trattative, insieme pensarono
di mostrargli i vecchi granai situati sopra la chiesa di Orsanmichele. Burri,
affascinato dalla straordinaria architettura, acconsente. Amendola fotografa
le opere per il catalogo, tutte le fasi di allestimento e dell’inaugurazione.”
CS: Ricordi qualche episodio particolare?
AA: Sì certo, Burri pretese, e ottenne, di tamponare le finestre del primo
piano dove allestì le grandi pitture! Al piano superiore, dove dalle
grandi bifore si ha la vista di Firenze a 360°, collocò solamente la
grande scultura che ha all’estremità superiore un elemento semisferico
ruotante.
CS: Il 12 dicembre del 1981, a Città di Castello, hai avuto l’onore di assistere
e fissare con l’obbiettivo, uno degli eventi più importanti della storia di Burri:
l’apertura della prima sede della Collezione Burri nel Palazzo Albizzini. Il
Maestro non è presente. Il giorno prima dell’inaugurazione, dopo aver completato
l’allestimento, quadro per quadro, parte per gli Stati Uniti. Solo anni
dopo, lavorando quotidianamente con lui, compresi quella sua scelta: non
avrebbe retto l’emozione di vedere realizzato il suo sogno!
AA: Fu un’esperienza indimenticabile: le foto parlano da sole.
160 161

“In 1979/80 Burri showed in Florence. The proposed venue was the Forte
Belvedere. Burri turned it down because shortly before that there had been an
exhibition of Moore’s works: a great lack of respect, in his view, toward Marino
Marini who should have taken precedence over everyone. After other venues
were all rejected by Burri, the councilman in charge of culture at that time,
who wanted to hold this exhibition at any cost, as I was told by Giuliano Gori,
who was present at the negotiations, came up with the idea of showing him the
old lofts situated above the church of Orsanmichele. Burri, fascinated by the
extraordinary architecture, agreed. Amendola photographed the works for the
catalogue, along with all the stages in its mounting and the opening.”
CS: Do you remember anything in particular?
AA: Yes I do. Burri insisted on having all the windows blocked up on
the second floor where the large paintings were displayed, and he got
his way! The only thing he put on the top floor, where there is a 360°
view of Florence from the big two-light windows, was the large sculpture
with a rotating hemispherical element at its upper extremity.
CS: On December 12, 1981, at Città di Castello, you had the honor of being
present at one of the most important events in Burri’s life and capturing it
for posterity: the opening of the first seat of the Burri Collection in Palazzo
Albizzini. The artist was not present. The day before the opening, after completing
the mounting, picture for picture, he left for the United States. Only years
later, working with him, did I understand that choice: he wouldn’t have been
able to handle the emotion of seeing his dream come true!
AA: It was an unforgettable experience: the photos speak for themselves.
“Amendola photographed the event from the top floor of the building opposite
Palazzo Albizzini in order to obtain a general view. The atmosphere of the pictures,
with the help of the darkness and the snow, is absorbing. The works can
“Amendola fotografa l’evento dall’ultimo piano dello stabile di fronte a Palazzo
Albizzini per dare una visione d’insieme. L’atmosfera degli scatti, complici
il buio e la neve, è coinvolgente. Dalle finestre illuminate si distinguono le
opere, davanti all’ingresso c’è una folla impaziente di entrare.
Nemo Sarteanesi e Mario Gambuli rispettivamente direttore e presidente della
Collezione, fanno gli onori di casa. Tanti illustri personaggi, provenienti da
tutte le parti del mondo, presenziano a questo avvenimento epocale. Eccezionale
la partecipazione di James J. Sweeney che, malgrado la veneranda età,
era venuto dagli Stati Uniti per riaffermare l’ammirazione verso l’artista.
Fu Sweeney che nel 1955, allora direttore del Guggenheim, curò la prima monografia
dell’opera di Burri. Il sodalizio fra i due, fondato su stima e fiducia
reciproche, non si è mai interrotto”.
CS: Nel 1983 hai documentato il ciclo “Sestante” destinato a Venezia, prima
nel “capannone studio”, poi negli ex Cantieri Navali della Giudecca. Tra tutte
le sedi prospettate, Burri preferisce un’architettura industriale abbandonata,
per la quale dipinge diciassette opere di grandi dimensioni e una scultura.
AA: Burri sceglieva spesso spazi non deputati a mostre, meglio se disastrati,
di cui percepiva il fascino, luoghi, dove a nessuno mai, sarebbe
venuto in mente di esporre ma, dopo, tutti lo seguivano.
“Come tutti i grandi artisti il Maestro non è solo pittore e scultore, ma anche
“architetto”. Possiede una sensibilità e un intuito particolari nel cogliere le
potenzialità di un’edificio. In Italia è stato il precursore del recupero per fini
espositivi di tante architetture di archeologia industriale, e non solamente”.
CS: Dal “capannone studio” di Città di Castello, dove ha iniziato a lavorare
nel 1978, agli ex Cantieri Navali della Giudecca, all’ex Stabilimento della
Birreria Peroni di Roma è stato tutto un susseguirsi d’interventi in tal senso,
fino agli Ex Seccatoi del Tabacco. Tutti fotografati da te!
L’84 è un anno molto intenso per Burri: in maggio inaugura a Milano Brera
2 con una retrospettiva. A giugno partecipa alla Biennale, su invito di Mau-
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In alto e nella pagina a fianco,
la mostra che Alberto Burri
tenne agli Ex Cantieri Navali
alla Giudecca, Venezia, 1983
Above and facing page, the
exhibition that Alberto Burri
held at the Ex Cantieri Navali
on Giudecca, Venice, 1983
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e glimpsed through the brightly lit windows, in front of the entrance a crowd is
waiting impatiently to be let in.
“Nemo Sarteanesi and Mario Gambuli, director and president of the collection
respectively, received the guests. Many distinguished figures, coming from all
over the world, attended this momentous event. One exceptional presence was
James J. Sweeney who, despite his venerable age, had come from the United
States to affirm his admiration for the artist.
“It was Sweeney, director of the Guggenheim in 1955, who curated the first
monograph exhibition of Burri’s work. The association between the two men,
founded on mutual esteem and trust, was never interrupted.”
CS: In 1983 you documented the Sextant [Sestante] series created for Venice,
first in the “shed-studio” and then in the Cantieri Navali, the former shipyards
on Giudecca. Of all the venues proposed, Burri chose an abandoned industrial
structure, for which he made seventeen paintings of a large size and a sculpture.
AA: Burri often picked spaces not normally used for exhibitions, and
preferably dilapidated ones, which fascinated him. Places in which it
would never have occurred to anyone else to show, but which they all
made use of after him.
“Like all great artists Burri was not just a painter and sculptor, but also an
‘architect.’ He had a special feeling and insight about the potentialities of a
building. In Italy he was a precursor of the use of works of architecture from the
industrial heritage, and other such structures, to stage exhibitions.”
CS: From the “shed-studio” in Città di Castello, where he began to work in 1978, to
the former shipyards on Giudecca and the former Peroni brewery in Rome there was
a whole series of interventions of this kind, culminating in the whole complex of the
Ex Seccatoi del Tabacco, the former tobacco drying sheds. All photographed by you!
The year 1984 was a very intense one for Burri: in May he inaugurated the
spaces of Brera 2 in Milan with a retrospective. In June he took part in the
Biennale, at the invitation of Maurizio Calvesi, erecting the Grand Theater
Sculpture at the entrance of the Giardini.
rizio Calvesi, con l’allestimento della “Grande Scultura Teatro” all’ingresso
dei Giardini.
AA: Quell’opera era impressionante con quegli archi alti nove metri!
Nessuno avrebbe potuto ignorarla, anche perché, per accedere ai vari
padiglioni, bisognava passarci sotto e, lì, ho ritratto Burri e Calvesi
mentre parlavano.
Anche in quell’occasione trascorsi delle belle giornate, oltre al piacere
di essere lì come fotografo.
Una sera eravamo seduti in piazza S. Marco con tanti artisti e a Burri
venne in mente di organizzare una partita di calcio per beneficenza,
proprio in quella piazza! E cominciò a prendere le misure per delimitare
il campo da calcio.
CS: E poi?
AA: Non se ne fece nulla, era troppo complicato! Ti racconterò un altro
episodio molto simpatico di quella volta. In Biennale tutti andavano
a mangiare al ristorante con degli assembramenti di gente impressionante;
Burri non voleva fare file. Così con Bacchi, andavamo a comprare
panini e birre, per consumarli con lui, in una delle panchine a
disposizione dentro il giardino della Biennale insieme a Burri. Divenne
un punto di ritrovo: passava Lichtenstein e si prendeva un panino per
stare con noi, Ceroli [Mario, n.d.r.] mangiava con noi, Pistoletto [Michelangelo,
n.d.r.], Gori, Sapone, Portoghesi e altri ancora, sicché, ogni
giorno bisognava aumentare gli approvvigionamenti per altri eventuali
passanti che si fermavano. Mi divertii molto a fotografare quei momenti
indimenticabili!
CS: Davanti all’ingresso della Fattoria di Celle, una delle collezioni di Arte
Ambientale più importanti al mondo, creata da Giuliano Gori, è collocata la
scultura: “Grande Ferro Celle” del 1986 che tu hai in più occasioni fotografato.
AA: Nel 1985 Gori aveva invitato Burri a realizzare una scultura per la
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Il Teatro scultura di Alberto
Burri, fotografato da Aurelio
Amendola, Venezia, 1984
Alberto Burri’s Theater
Sculpture, photographed by
Aurelio Amendola, Venice,
1984
Nelle pagine successive,
Alberto Burri, Grande Ferro
Celle, [1986], ferro verniciato,
base triang. equil. m. h. 5,25;
l. 5,90 (x3)
Collezione Gori, Pistoia
Following pages, Alberto
Burri, Celle Big Iron [1986],
painted iron, base equilat. m.
h 5.25 m; l 5.90 m (x 3). Gori
Collection, Pistoia
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AA: That was a striking work with its nine-meter-high arches! No one
could have ignored it, partly because you had to pass under it to get to
the various pavilions. I took a picture at it of Burri and Calvesi talking.
I had a great time in those days too, on top of the pleasure of being
there as a photographer.
One evening we were sitting in St. Mark’s Square with a bunch of artists
and Burri had the idea of organizing a soccer match for charity, right
there in the square! And he started to take measurements to mark out
the pitch.
CS: And then?
AA: Nothing happened, it was too complicated! I’ll tell you another
very amusing story about that time. At the Biennale everyone would
go to eat at the restaurant and the place was terribly crowded. Burri
didn’t want to stand in line. So we went with Bacchi to buy beer and
sandwiches to eat with him and Burri, on one of the benches in the gardens
of the Biennale. It became a meeting place: Lichtenstein came
by and got himself a sandwich so as to be with us, Ceroli [Mario, editor’s
note] ate with us, as did Pistoletto [Michelangelo, editor’s note], Gori,
Sapone, Portoghesi and others, so that every day we had to lay in more
provisions to feed any other passersby who joined in. I really enjoyed
photographing those unforgettable moments!
CS: In front of the entrance of the Fattoria di Celle, one of the most important
collections of environmental art in the world, created by Giuliano Gori, stands
the sculpture Celle Big Iron [Grande Ferro Celle] of 1986 which you have
photographed on several occasions.
AA: In 1985 Gori had invited Burri to make a sculpture for his collection,
but the places he suggested inside the garden were not to the
artist’s liking. The negotiations took a long time and, during their numerous
meetings, he would sometimes stop to have lunch with me.
Not long before I had bought, near Celle, the house that Burri called
sua Collezione, ma i luoghi suggeriti all’interno di questa non soddisfacevano
il Maestro. La trattativa fu lunga e, durante i numerosi incontri,
a volte si fermava a pranzo da me, da poco avevo acquistato, vicino a
Celle, la casa che Burri chiamava il Teatrino di Amendola. Alla fine
concordarono che la soluzione ideale fosse di installare l’opera dove si
trova ancora. Burri la donò alla Provincia e al Comune di Pistoia proprietari
del terreno.
“Come stabilito da Burri la scultura è parte integrante della Collezione. Giuliano
Gori si assunse tutti gli oneri di realizzazione e si occupa a tutt’oggi,
con grande dedizione e costanza, della manutenzione. Proprio quest’ultimo
aspetto mi ha portata la prima volta a Celle. L’occasione fu il consulto per il
restauro dell’opera, necessario dopo il passaggio di una tromba d’aria, che ne
aveva dissaldato alcuni elementi. Ebbi così il piacere e l’onore di conoscere
Gori, un altro regalo del Maestro”.
CS: Tu hai sempre preferito fotografare la scultura, ma per Burri, hai lavorato
volentieri anche ai quadri!
AA: Quando fotografavo i “Cellotex”, riuscivo a far risaltare le caratteristiche
della materia, ciò che Burri voleva. Hai ragione, ho sempre
preferito le sculture alle pitture. Non mi sono mai appassionato nel
fotografare quadri dipinti tradizionalmente, ma con Burri era diverso,
proprio perché, nelle sue opere anche se dipinte, la materia è preponderante.
CS: Ricordo che ti accompagnai agli ex Seccatoi per fotografare i “Neri”e
quante volte hai dovuto tornare perché Burri non era mai soddisfatto del risultato!
AA: Sì, fu una vicenda alquanto singolare, ma finita bene. Burri si metteva
ai lati del quadro e mi diceva: “Così deve venire!”. Era difficile
disporre i fari in modo da non penalizzare le variazioni del nero che lui
voleva ottenere. Oggi con il digitale sarebbe più facile, anche se io non
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the Teatrino di Amendola. In the end they agreed that the ideal solution
was to install the work in the place where it can still be seen today.
Burri donated it to the province and municipality of Pistoia, owners of
the land.
“On Burri’s insistence the sculpture is an integral part of the collection.
Giuliano Gori met all the expenses of its realization and still takes care of its
maintenance today, with great dedication and tenacity. It was this aspect that
took me to Celle for the first time. The occasion was the consultation about how
to restore the work, necessary after the passage of a tornado that had broken
off some parts. Thus I had the pleasure and the honor of meeting Gori, another
gift from Burri.”
CS: You have always preferred to photograph sculpture, but for Burri, you
were happy to work on his pictures too!
AA: When I photographed the “Cellotexes,” I was able to bring out
the characteristics of the material, which is what Burri wanted. You’re
right, I’ve always preferred sculptures to paintings. I’ve never been enthusiastic
about photographing pictures painted in the traditional way,
but with Burri it was different, because even in his painted works, the
material is preponderant.
CS: I remember accompanying you to the ex-Seccatoi, the former drying sheds,
for photograph his black works, the Neri, and how many times you had to go
back because Burri was never satisfied with the result!
AA: Yes, it was a very singular affair, but one that ended well. Burri stood
alongside the picture and told me: “This is how it has to come out!”
It was difficult to arrange the spotlights in a way that did not penalize
the variations in the shades of black that he wanted to obtain. Today it
would be easier with digital photography, although I have never given
up using film and plates. After various attempts Burri, convinced that it
wasn’t possible to do any better, told me he had understood how hard it
ho mai abbandonato pellicole e lastre. Dopo vari tentativi il Maestro,
convinto che meglio non si potesse fare, mi disse che aveva capito la
difficoltà e che si sarebbe accontentato. Non potevo accettarlo e alla
fine, con varie peripezie, consegnai il lavoro come doveva essere.
Fu davvero un’impresa! Non mi trovai in difficoltà, piuttosto divenne
una sfida fra noi, uno stimolo a fare di più e meglio.
CS: Qual è il bene più prezioso che hai ricevuto da questo rapporto?
AA: Quando nella vita incontri dei “grandi”, anche tu in qualche modo
lo diventi, non per la notorietà che è un aspetto importante anche se
secondario, ma per la crescita professionale: il Maestro mi ha insegnato
il rigore, soprattutto nelle scelte di lavoro. Quando mi prospettano un
incarico… come dire… commerciale, penso: “Burri lo avrebbe accettato?”
e rinuncio. Un altro artista dal quale ho imparato quest’aspetto,
fondamentale in una carriera se la si vuole definire dignitosa, è stato
Marino che la pensava allo stesso modo. Accettavano di fare esposizioni
solo se ritenevano che lo spazio fosse adeguato e di prestigio: fare
dieci mostre all’anno non era essenziale, meglio una sola ma ben bene.
Preferivano regalare le loro opere a collezionisti appassionati piuttosto
che venderle per realizzare cifre cospicue.
CS: Avvertivi la differenza di spessore di Burri e Marino rispetto ad altri
artisti con i quali hai lavorato?
AA: Certo, non posso negare che ambedue avessero una marcia in più
rispetto a tanti altri.
Al di là di questo, ho lavorato bene più o meno con tutti e con la maggior
parte ho stabilito anche rapporti amicali, anche se non paragonabili
a quello con Burri. Solo con Ceroli è avvenuto qualcosa di simile. Molti
contatti si sono verificati perché ero il fotografo di Burri. Tra questi
Kounellis [Jannis], grande ammiratore del Maestro che, poco dopo la
sua morte, mi disse: “Ci manca molto! Per noi era un faro”.
CS: So che sei di ritorno da Gibellina, dove sei stato per documentare il “Gran-
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Qui e nella pagina a fianco,
Alberto Burri, Città di
Castello, 1978
This and facing page, Alberto
Burri, Città di Castello, 1978
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was and would settle for what we had. I couldn’t accept this and in the
end, after various vicissitudes, I delivered the work as it was supposed
to be.
It was quite an undertaking! I didn’t find myself in difficulty, rather it
became a challenge between us, a stimulus to do more and better.
CS: What is the most precious gift you received from this relationship?
AA: When you meet “great” people in life you too become great in a
way, not because of the fame, which is an important although secondary
aspect, but through your professional development: Burri taught
me rigor, especially in choices with regard to work. When I’m offered
a job that is—how to put it?—commercial, I think “would Burri have
accepted this?” and turn it down. Another artist from whom I learned
this aspect, fundamental in a career if you want to consider it dignified,
was Marino, who thought the same way. They agreed to hold exhibitions
only if they felt the space was suitable and prestigious: staging
ten exhibitions a year was not essential, better just one but done well.
They preferred to give their works to enthusiastic collectors than sell
them for substantial sums.
CS: Did you feel there was a difference in depth between Burri and Marino
and other artists you’ve worked with?
AA: Yes, I can’t deny that both were a cut above the others.
Apart from that, I’ve worked with more or less all of them, and with
the majority I established friendly relations, although not comparable
with my relationship with Burri. Only with Ceroli did something similar
happen. Many of the contacts came because I was Burri’s photographer.
One of them was with Kounellis [Jannis, editor’s note], a great
admirer of Burri who, not long after his death, said to me: “We miss
him a lot! For us he was a beacon.”
CS: I know that you’ve just come back from Gibellina, where you went to doc-
Alberto Burri, Città
di Castello, 1978
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Il Grande cretto di Alberto
Burri, fotografato da
Aurelio Amendola,
Gibellina 2011
Alberto Burri’s Great
Crack [Grande Cretto],
photographed by Aurelio
Amendola, Gibellina, 2011
Nelle pagine successive,
tre vedute degli Ex
Seccatoi del Tabacco,
Città di Castello,
fotografate da Aurelio
Amendola tra il 1980 e il
1983
Following pages, three
views of the Ex Seccatoi
del Tabacco, Città di
Castello, photographed
by Aurelio Amendola
between 1980 and 1983

ument the Great Crack [Grande Cretto]. How come only now? Burri never
asked you to do it?
AA: Yes he did; this was a failing on my part. In that period I was busy
with Michelangelo, and then I always put it off because of other commitments.
It has been a source of great regret for me. Recently, though,
something wonderful happened: two young film directors from Palermo
contacted me and asked me to collaborate with them in making a video
on Burri. When they came to me to shoot the video, I confided to them
I had never photographed the Cretto at Gibellina. They suggested we
go there together: they would film me while I took pictures. I went,
but only to see the biggest work Burri ever created [one of the largest
examples of Land Art in the world, editor’s note].
I found the Cretto in a pitiful state and without mincing my words I told
them: “And how are we going to shoot with all these weeds that have
taken it over?”
The day after I was invited to go and see the president of the Fondazione
Orestiadi, the Hon. Corrao [Ludovico, editor’s note] and expressed my
desire to photograph Burri’s work, but not under those conditions. He
wanted to know who had given me the commission, and I replied that
it was a promise I had made to the artist himself. A short time later I
heard on the news of Corrao’s violent death. I was shocked!
It seemed that fate wanted in some way to prevent me from honoring
my debt. Later I was informed that the senator had already arranged
for the work to be cleaned and that everything was now in order.
I’m very satisfied with my pictures and with having kept the promise
I made to Burri!
Text previously published in Combustione, catalogue of the exhibit at the Galerie Sapone (Perugia:
3Arte editrice, 2012)
de Cretto”, come mai solo ora? Burri non ti ha mai chiesto di farlo?
AA: Certo che me lo chiese; questa è stata una mia mancanza. In quel
periodo ero impegnato su Michelangelo, poi ho sempre rimandato per
impegni improrogabili. Per questo ho provato un grande rimpianto. Di
recente però è successa una cosa meravigliosa: mi hanno contattato due
giovani registi palermitani e hanno chiesto la mia collaborazione per
realizzare un video su Burri. Quando son venuti da me a girare, ho confidato
loro di non aver mai fotografato il “Cretto” a Gibellina. Mi hanno
proposto di andare insieme: mi avrebbero ripreso mentre fotografavo.
Sono andato, ma solo per vedere l’opera più grande che Burri abbia mai
creato [una delle opere di Land Art più estese al mondo, n.d.r.].
Ho trovato il “Cretto” in condizioni penose e senza mezzi termini ho
detto loro: “E come si fa a fare riprese con tutte queste erbacce che
l’hanno invaso?”
Il giorno dopo sono stato invitato dal presidente della Fondazione Orestiadi,
On. Corrao [Ludovico] e gli espressi il desiderio di fotografare
l’opera di Burri, ma non in quelle condizioni. Voleva conoscere la committenza
del mio incarico, risposi che era un impegno preso con il Maestro.
Poco tempo dopo appresi dal telegiornale della morte violenta di
Corrao. La cosa mi sconvolse!
Sembrava che il destino volesse in qualche modo impedirmi di onorare
il mio debito. In seguito mi comunicarono che il senatore aveva già
predisposto perché l’opera venisse pulita e che ormai era tutto a posto.
Sono molto soddisfatto dei miei scatti e di aver tenuto fede alla promessa
fatta a Burri!
Testo già pubblicato in Combustion, catalogo della mostra alla Galerie Sapone, 3Arte editrice Perugia,
2012
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Finito di stampare nel mese di maggio 2015, da Bandecchi e Vivaldi, Pontedera,
per conto de Gli Ori, Pistoia