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William S. Burroughs
Mi Education
A Book of Dreams
(Viking Penguin/ Picador)
Alla veneranda età di ottantuno
anni Uncle Bill si è ormai stabilito
definitivamente a Lawrence, nel
Kansas, tra i suoi gatti, le sue armi
e i suoi quadri. Mi sembra di sentirlo,
mentre ci racconta i suoi sogni
con l'inconfondibile voce nasale.
Nella galassia esplosa della scrittura
burroughsiana la componente onirica
è sempre stata di fondamentale
importanza. La trasposizione scritta
delle sequenze oniriche è per lui
una parte cruciale dell'esperienza
letteraria. Scrive in The Retreat Diaries: "Buona parte
dei miei personaggi e delle mie situazioni viene dai
miei sogni, e se voi non scrivete un sogno, nella
maggior parte dei casi ve lo dimenticate. L'impronta
cervicale di un ricordo onirico è diversa da quella del
ricordo della veglia". Centinaia di sogni,
tutti accuratamente annotati su carta, e
spesso inframmezzati da riflessioni sulle finalità
estetiche della pittura (" La funzione del pittore è quella di
osservare e di rendere visibile sul dipinto ciò che non esisteva
fino al momento in cui lui ha osservato" - pag. 124). Nellf
pagine di questo libro sfila una galleria di personaggi·
noti e meno noti: dal povero Brion Gysin a Mick
Jagger, da lan Sommerville (1 'inventore della Dream
machine) al fratello di Burroughs, Mortimer; dall'amante
Kiki ai gatti prediletti, da Kat'ka e Alex Tracchi ad Allen
Ginsberg. Burroughs sogna di volare, di fare le valige, di
viaggiare su Venere, sogna la Terra dei Morti: "sono un
alieno? Alieno da cosa, esattamente? Forse la mia
patria è la città dei sogni, più reale della cosiddetta
vita cosciente, proprio perché non ha alcuna relazione
con la vita cosciente" (pag. 7). 11 tutto in
uno stile laconico e spesso beffardo, perfettamente
intonato alla personalità dell'autore. 11
nuovo libro di Burroughs, che quando leggerete
queste righe sarà già uscito in
America, si intitola Ghosts of Chance.
FABlOZUCCHELLA
JOSEPHINE HART
L'oblio
(Feltrinelli)
Cresciuta in Irlanda, ma ormai trasferitasi
a Londra fin dagli anni Sessanta, Josephine
Hart arriva qui al suo terzo romanzo dopo
Il peccato ( di due anni fa) e
Il danno (del '91), quest'ultimo
fortunatissimo best
seller specie dopo la trasposizione
cinematografica
fatta da Louis Malle.
L'oblio mette in mostra fin da
subito la scrittura ghiacciata e
distante dell'autrice, tanto
gelida che sembra metterci un
bel po' di tempo per entrare
nella storia.
Ho detto storia ma meglio
sarebbe dire argomento,
visto che
i pochi personaggi
del libro non
producono nessuna
trama e solo
qualche minimo
spostamento. Ma
in compenso argomentano
un casino
(dissertando sulla morte
e l'oblio, cioè la morte
fisica e la morte vera,
quella in cui avviene la
dimenticanza), lasciandosi andare
in monologhi da poseur, un po'
troppo teatrali. Infatti il
nucleo vero, centrale, del libro è
la messa in scena di una pièce per
teatro. Rivelando alla fine che forse
L'oblio più che un romanzo è un raccontino
tirato un po' troppo per le lunghe.
CLAUDlO GALUZZl
dodici