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Stephen Jones e Dave Carson
Corrore secondo Lovecraft
(Mondadori)
Curiosa e riuscita esperienza di identificazione dello scrittore con la propria opera:
la nullità che esprime il nulla. Più che l'orrore i racconti di Howard Phillips
Lovecraft propagano l'idea sconvolgente del vuoto nutrita dal sentimento del
patetico emanato dal loro stesso autore. Non si può certo ricordare Lovecraft per
l'abilità della sua prosa, scarna, sciatta, ripetitiva; Montague R. James, il raffinato
narratore di Cuori strappati, parlando del saggio di Lovecraft L'orrore soprannatu
• •
,on,
rale in letteratura in una lettera a un amico accusava lo stile dello scrittore di Providence di essere addirittura
offensivo nella sua ripetitività soprattutto della parola "cosmico".
D'altra parte bisogna riconoscere che è proprio facendo ricorso alla propria ingenuità che Lovecraft riesce ad
architettare le sue visioni e cosmogonie dell'orrore. La loro porta d'accesso dall'universo dell'immaginario onirico e
inconscio alla nostra realtà avviene attraverso una membrana priva di filtri, in cui la descrizione rincorre presenze (o
latenze) che solo un'abile manovra di suggestione saprebbe suggerire. Lovecraft è l'esatto opposto di Poe (prova ne è il suo tentativo, con
un seguito pacchiano e magniloquente, di svelare ciò che il Gordon Pym cela nella sua "fine"), e il suo avvitarsi nella carenza lessicale e sintattica,
confonde e stordisce fino a far credere veramente di essere preda di un qualche tipo di terrore sconfinato. Mancandogli una proprietà
di linguaggio che gli permetta di far sentire al suo lettore le cose, insegue descrittivamente con profusione di aggettivi esotici il tentativo
di fargliele vedere. L'epifania di questo fallimento diventa in Lovecraft sinonimo stesso dell'orrore la cui somma definizione è, per il
"solitario di Providence", sempre e comunque "indicibile". Il suo saggio su ciò che ha vanamente inseguito da anni risulta così una rassegna,
onesta, di ciò che ha visto intuitivamente negli altri (cogliendo tra l'altro con inattesa perspicacia i risvolti più gotici e meno ammessi dalla
critica dei primi decenni del Novecento di autori come Kipling e Conan Doyle) e un'ingenua ca rrellata di trame e citazioni. Un saggio piuttosto
scolastico, ma non per questo meno.utile, vista la sur;1 completezza, che ha ispirato con uguali criteri l'assemblaggio di questo volume
da parte di Stephen Jones e Dave Carson. I due curatori, dopo aver riprodotto all'inizio il saggio di Lovecraft, ne estrapolano dei brani per
introdurre di volta in volta i titoli più significativi citati nel testo. Ne risulta una carrellata storica comprendente ventuno autori (e racconti),
che un po' prosaicamente mette assieme con discontinuità qualitativa maestri come Bierce, Poe, Gautier, Maupassant e Stevenson insieme
a narratori ampiamente popolari come Clark Ashton Smith, Arthur Machen o William Hope Hodgson.
DANIELE BROLLI
Daniel Pennac
L'occhio del lupo
(Salani) •
Ecco una bella favola per adulti, cioè un modo
diverso di guardare alle cose del mondo. Di
entrarci dentro. Di esserne partecipi. Davanti alla
gabbia di uno zoo si incontrano un lupo dalla
;,
vita errabonda, fuggitiva, difficile (insomma: una
vita da lupo) e un ragazzo che poi si scoprirà
grande affabulàtore, proveniente dall'Africa
Verde. I due si squadrano, si scrutano, attraversò
il silenzio immobile delle loro vite. Si fissano fin dentro le pupille
nere, fin dentro l'anima. Per capirsi. Conoscersi. Ma il lupo, disperato
e solo dietro le sbarre, guarda ormai il mondo con un occhio
solo. L'altro è un occhio morto chiuso da una cicatrice. Sembra
dire: non vale la pena di guardare con due occhi, il lupo. Il ragazzo
lo capisce e un giorno "fa una cosa curiosa, che calma il lupo, lo
mette a suo agio. Il ragazzo chiude un occhio".
Da questo momento le loro storie possono raccontarsi senza più
nessun impedimento. "Occhio nell'occhio, nel giardino zoologico
deserto e silenzioso, con un tempo infinito davanti a loro" i due
passano dalla confidenza all'amicizia. Rieditato dalla Salani, questo
tenero libretto rivela un'altra vena dell'autore francese. Mentre
proprio in queste settimane l'ennesima avventura di Benjamin
Malaussène, professione capro espiatorio, affascina i lettori italiani.
Ma su questo sicuramente ritorneremo presto. SILVIA ROSCOLA
Aa.Vv.
Conversazioni di Fine
Secolo
(Tartaruga)
A cura di !aia Caputo e Laura Lepri escono queste12
interviste con 12 scrittrici contemporanee,
di grandissimo interesse sia per le figure scelte
che per i temi che ne scaturiscono.
Sono percorsi accidentali e niente affatto facili:
di sofferenze, di consapevolezze, di meriti e dure
soddisfazioni conquistate sul campo (sul campo
della vita, quello che conta).
Intelligentemente le due curatrici si dividono il lavoro, che
va così ad intrecciarsi in storie diverse sparse per i continenti,
in racconti parlati affascinanti per esperienza e cultura.
Più segnata dal desiderio e dal dolore la linea seguita
dalla Caputo, che incontra scrittrici come Luce d'Eramo (una
grande sul serio), .Clara Sereni, l'argentina Myriam Laurini, Pierre ·
Biermann, Sahar Khalifa, Gioconda Belli. Invece più ibrida ed inquietante,
che fa leva sull'ambiguità, il lavoro svolto dalla Lepri. Le sue sono figure
abituate a muoversi in un linguaggio più spurio, sporco, tra il racconto e
il saggio, tra la non-ficion e la fiction. Slavenka Drakulic, Fabrizia
Ramondino, Renate Siebert, l'indiana Anita Desai, Kaye Gibbons e Banana
Yoshimoto parlano di tutto questo, con convinta partecipazione.
Già, perché alla fine il qua'dro che ne es;e è profondo ed esaltante.
Abbiamo conosciuto dodici donne, dodici scrittrici, da un'angolazione
diversa, grazie alla complicità trasmessa dalle due curatrici.
CLAUDIO GALUZZI
quattordici