Giornale dei Navigli n. 3 - 20 gennaio 2023
Giornale dei Navigli n. 3 - 20 gennaio 2023
Giornale dei Navigli n. 3 - 20 gennaio 2023
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Venerdì <strong>20</strong> Gennaio <strong>20</strong>23 L'ALTRA COPERTINA 3<br />
E D I TO R I A L E<br />
Quell’arresto così eclatante... dove la gioia però<br />
lascia presto spazio alla rabbia<br />
CORSICO (dad) Vi direte: “Ma che c’entra<br />
tutto ciò con il nostro territorio, in<br />
un giornale locale?” È un triste copione<br />
che si ripete, questo, a tutti i<br />
livelli di potere e a tutte le latitudini.<br />
Ed è proprio quando crediamo che<br />
noi “nulla abbiamo a che fare con<br />
tutto ciò”che decidiamo di voltare lo<br />
sguardo a quello che succede sotto<br />
casa nostra. E in un istante... siamo<br />
tutti coinvolti.<br />
Tutti (o quasi) hanno gioito alla<br />
notizia dell’arresto del latitante ricercato<br />
numero 1 in Italia, ovvero<br />
Mattia Messina Denaro. Chi non<br />
potrebbe essere felice di una notizia<br />
come questa, a parte i delinquenti<br />
ancora in circolazione?<br />
I politici, i vertici di ogni ramo<br />
delle Istituzioni... Tutti si sono sperticati<br />
in complimenti o vere e proprie<br />
ovazioni, manco l’avessero arrestato<br />
direttamente loro. Passata la<br />
boria iniziale, però, c’è molto su cui<br />
riflettere. Il noto latitante è rimasto<br />
tale per trent’anni. Facendosi beffe<br />
dello Stato e continuando a perpetrare<br />
i propri atti criminosi. Come<br />
è possibile? Perché così tanto tempo<br />
per l’arresto? Si nascondeva forse in<br />
un qualche bunker segreto in mezzo<br />
al Pacifico? No, era a “casa sua”, il<br />
posto più sicuro per un boss. Oggi si<br />
festeggia, la mafia è in prima pagina.<br />
Domani si tornerà a dimenticare, e<br />
le mafie d’Italia continueranno il<br />
loro lavoro, fatto di soldi, morti,<br />
dirette o non, corruzione, clientel<br />
i s m o.<br />
Racconta bene questo entusiasmo<br />
fine a se stesso, per non usare il<br />
termine esplicito di ipocrisia, il giornalista<br />
Antonio Roccuzzo; lui che<br />
iniziò a lavorare nel 1980 per il<br />
<strong>Giornale</strong> del Sud di Pippo Fava. Era<br />
in quegli anni uno <strong>dei</strong> ragazzi che<br />
furono lanciati dal quotidiano catanese,<br />
il primo contro la mafia. Di<br />
seguito il suo intervento su ilfatto<br />
quotidiano.<br />
AD<br />
Matteo Messina Denaro, la<br />
notizia della cattura dopo<br />
t re n t ’anni non è degna<br />
di uno Stato civile<br />
Certo, evviva. Lo Stato ha catturato<br />
Matteo Messina Denaro.<br />
Complimenti a chi lo ha catturato.<br />
Ma la buona notizia arriva tardi,<br />
alle orecchie di chi non si accontenta<br />
e non è una notizia degna di<br />
uno Stato civile. Non c’è uno Stato<br />
civile e avanzato che possa permettersi<br />
il lusso dell’inciviltà del suo<br />
nemico numero 1 latitante tra le sue<br />
mura di cinta per tre decenni. Parafrasando<br />
Bertold Brecht, “beato (e<br />
civile) il Paese che non ha bisogno di<br />
e ro i … e di latitanti”.<br />
Se l’Italia fosse un Paese pienamente<br />
civile, quel boss sarebbe<br />
stato arrestato e giudicato secondo<br />
le nostre regole civili da anni e forse<br />
ci sarebbero state molte stragi in<br />
meno. Falcone, Borsellino, il piccolo<br />
Di Matteo sciolto nell’acido. E mi<br />
fermo qui per evitare la utile retorica<br />
di un lunghissimo elenco.<br />
Dai, basta con la retorica, diciamocelo<br />
senza ipocrisie: parliamo<br />
di un uomo di 60 anni, la metà <strong>dei</strong><br />
quali passati a gabbare (per così<br />
dire) lo Stato e “g overnare” m e t ro<br />
per metro e senza controllo per 30<br />
anni il chilometro quadrato<br />
d e l l’area compresa tra Castelvetrano,<br />
Campobello di Mazara, Partanna.<br />
La sua terra, sua proprio nel<br />
senso letterale, sua di proprietà. Come<br />
un Re, appunto. Un altro piccolo<br />
ma vasto triangolo di territori nei<br />
quali le regole civili sono sospese. Il<br />
procuratore attuale di Palermo,<br />
Maurizio De Lucia, ha usato parole<br />
serie e asciutte per spiegare le ragioni<br />
e le contraddizioni di questa<br />
lunga storia di ordinaria anormalità<br />
democratica: il boss di Cosa nostra è<br />
stato protetto da una fetta di “b orghesia<br />
mafiosa”che ha aiutato la sua<br />
latitanza. Il magistrato, dopo aver<br />
detto che le indagini continuano, ha<br />
chiarito che a suo giudizio “la mafia<br />
non è stata sconfitta”.<br />
Una puntualizzazione non inutile, nel<br />
momento in cui la retorica politica ha<br />
continuato a gridare che “la mafia è<br />
stata sconfitta”e insomma, il problema<br />
è finito.<br />
Ma cosa è la “borghesia mafiosa”?<br />
Eccola lì, nelle indagini del giorno<br />
dopo e speriamo in quelle <strong>dei</strong> mesi<br />
futuri. Dentro quella rete c’è, dentro<br />
quel piccolo kmq di terra italiana, in<br />
ordine e senza fare nomi – che tanto<br />
non hanno importanza perché anche<br />
qui come nel caso degli omicidi<br />
sarebbe lungo: un medico (ex candidato<br />
non eletto alle Regionali nella<br />
liste di Totò Cuffaro) in pensione,<br />
che firmava le ricette per le cure del<br />
latitante; un geometra (nipote di un<br />
boss) proprietario della casa-covo<br />
abitato dal boss e che gli ha prestato<br />
l’identità esibita con documenti rilasciati<br />
dal Comune; un ufficiale<br />
d e l l’anagrafe che ha rilasciato quel<br />
documenti; un contadino e commerciante<br />
di olio (poi arrestato con<br />
lui) che gli faceva da autista. E la rete<br />
continuerà ad allungarsi man mano<br />
che le indagini andranno avanti.<br />
Il punto è che quella rete, nel caso<br />
di Matteo Messina Denaro, è lunga<br />
più di un quarto di secolo. Ed è<br />
difficile inghiottire e digerire, ad<br />
esempio, le parole del sindaco di<br />
Campobello di Mazara che si dice<br />
stupito della presenza del boss in<br />
quella casa del suo Comune, abitato<br />
da appena 11mila persone. E la<br />
verità è che questa lotta al potere<br />
concreto della mafia non la possiamo<br />
delegare solo a magistrati,<br />
carabinieri e poliziotti e non possiamo<br />
fidarci della politica che<br />
n e l l’isola è permeata da oscure, ma<br />
anche palesi, presenze. Perché dentro<br />
quella rete di “borghesia maf<br />
i o sa” ci sono anche vicini di casa,<br />
professionisti, funzionari e molti<br />
amici <strong>dei</strong> nostri amici. C’è un “si-<br />
ste ma” che per tre decenni ha permesso<br />
il trasferimento di funzionari<br />
di pubblica sicurezza e magistrati<br />
impegnati a cercare quel latitante o<br />
messi nelle condizioni di non nuocere.<br />
Qualcuno anche ucciso.<br />
La presenza ben radicata di una<br />
“borghesia mafiosa” ci dice che non<br />
è il tempo di festeggiare ma di<br />
smantellare quella rete e mettere a<br />
nudo le collusioni politiche e i silenzi<br />
istituzionali di decenni. L’arresto<br />
del boss è solo un primo passo.<br />
Ora spiegateci chi lo ha protetto,<br />
perché altrimenti non c’è nulla da<br />
festeggiare e questo non è un Paese<br />
c i v i l e.<br />
v