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LA<br />

Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della <strong>Passio</strong>ne a cura<br />

dei <strong>Passio</strong>nisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis della<br />

Pontificia Università Lateranense<br />

SAPIENZA<br />

della<br />

CROCE<br />

ANNO XXIV - NN. 1-2<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

EDITORIALE<br />

Continuità e rottura, radicamento e sradicamento,<br />

riscoperta e riappropriazione delle radici<br />

di ADOLFO LIPPI C.P.<br />

SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA<br />

Il movimento patripassiano: istanze positive<br />

per l’elaborazione del concetto cristiano di Dio<br />

di GIANNI SGREVA C.P.<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo in Kierkegaard.<br />

Note e ricerche (seconda parte)<br />

di MARIO CEMPANARI<br />

PASTORALE e SPIRITUALITÀ<br />

Il Cammino neocatecumenale<br />

alla luce del Concilio Vaticano II<br />

di MAURIZIO BUONI C.P.<br />

Evangelizzare partendo dalla “kenosi”<br />

di FERNANDO GUILLEN PRECKLER SCH.P.<br />

L’esperienza mistica di San Gabriele a Spoleto<br />

di ANTONIO ARTOLA C.P.<br />

SALVEZZA e CULTURE<br />

Il valore di una profezia<br />

di TITO AMODEI<br />

La Carrozza d’oro di Anna Magnani<br />

di ELISABETTA VALGIUSTI<br />

RIVISTA DELLA STAMPA<br />

Una demitizzazione ebraica<br />

della memoria dell’Olocausto<br />

di ADOLFO LIPPI C.P.<br />

RECENSIONI<br />

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE<br />

Direttore responsabile<br />

Adolfo Lippi c. p.<br />

Direttore amministrativo<br />

Vincenzo Fabri c. p.<br />

Cattedra Gloria Crucis<br />

Comitato scientifico<br />

Fernando Taccone c. p. - Piero Coda<br />

Antonio Livi - Denis Biju-Duval<br />

Adolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p.<br />

A. Maria Lupo c. p.<br />

Segretari di redazione<br />

Carlo Baldini c. p. - Gianni Sgreva c. p.<br />

A. Maria Lupo c. p. - Franco Nicolò<br />

Lucia Ulivi<br />

Collaboratori<br />

Tito Amodei - Max Anselmi - Carlo Baldini<br />

Vincenzo Battaglia - Luigi Borriello<br />

Maurizio Buioni - Giuseppe Comparelli<br />

Massimo Pasqualato - G. Marco Salvati<br />

Salvatore Spera - Flavio Toniolo<br />

Gianni Trumello - Tito Zecca<br />

Redazione:<br />

La Sapienza della Croce<br />

Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13<br />

00184 Roma<br />

Tel. (06)77.27.14.74<br />

Fax 700.80.12<br />

e-mail: sapienzadellacroce@ tiscali.it<br />

http./www.passionisti.it<br />

Abbonamento annuale<br />

Italia € 20,00, Estero $ 30<br />

Fuori Europa (via aerea) $ 38<br />

Singolo numero € 5,00<br />

C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma<br />

Finito di stampare giugno 2009<br />

Stampa:<br />

Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te)<br />

Progetto grafico: Filomena Di Camillo<br />

Impaginazione: Florideo D’Ignazio<br />

ISSN 1120-7825<br />

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 Sped. in abbon. post. Comma 20/c art 2<br />

Legge 662/96 - Filiale di Roma<br />

3-7<br />

9-39<br />

41-68<br />

69-122<br />

123-131<br />

133-154<br />

155-161<br />

163-168<br />

169-175<br />

177<br />

189


Avvertenza<br />

Il terremoto che ha colpito l’Abruzzo nei mesi scorsi ha<br />

danneggiato, purtroppo, anche la tipografia dell’Editoriale Eco, di<br />

San Gabriele-Colledara, nella quale si stampa la nostra rivista.<br />

Ci uniamo a tutti coloro che sono stati sensibili a questa grande<br />

sofferenza che ha colpito i fratelli abruzzesi, tanto cari a noi<br />

passionisti particolarmente per tutto ciò che San Gabriele significa<br />

per loro.<br />

Ci sono stati dei comprensibili ritardi prima che le strutture<br />

della tipografia fossero dichiarate agibili. Ce ne scusiamo con gli<br />

abbonati. In conseguenza di ciò, abbiamo creduto bene cominciare<br />

l’annata XXIV (2009) con un numero doppio, comprendente gli<br />

studi dei quali era prevista la pubblicazione nei due primi trimestri<br />

dell’anno.<br />

La Direzione


di ADOLFO LIPPI C.P.<br />

Forse non siamo mai stati in una condizione tanto<br />

buona quanto nel nostro<br />

tempo per riflettere sulla<br />

continuità e la rottura, il<br />

radicamento e lo sradicamento,<br />

la riscoperta e la<br />

riappropriazione delle<br />

radici. Fondamentalmente questa capacità<br />

ci viene dalla crisi delle ideologie che<br />

hanno devastato il secolo appena concluso.<br />

L’idea rompe perché è astratta, non matura<br />

con la vita, ma, semmai, si sovrappone dall’esterno<br />

alla vita sfruttando il risentimento.<br />

L’idea corrisponde alla definizione,<br />

che, appunto, intende chiudere dentro limi-<br />

ti e confini, in modo che anche le realtà della vita, come gli oggetti<br />

della matematica, risultino “chiare e distinte”, senza preoccuparsi<br />

del fatto che così siano anche taglienti.<br />

Si discute sulla continuità e la rottura in rapporto al Concilio<br />

Vaticano II. E’ esso da assumere come un taglio, un rinnovamento<br />

che deve rompere con tutto il passato, oppure come uno sviluppo,<br />

una crescita vitale, un’evoluzione che parte dalle radici e da esse<br />

riceve la sua forza? Probabilmente all’inizio prevalse l’idea della<br />

rottura. Era anche un’epoca portata, si può dire biologicamente, al<br />

rinnovamento. Accedeva alle università, quindi alla vita, la valanga<br />

dei giovani nati nel baby-boom succeduto alla seconda guerra mondiale.<br />

A differenza di quanto accade oggi nei paesi economicamente<br />

sviluppati, i giovani erano tanti, erano forti perché usufruivano<br />

della ripresa del dopoguerra, erano per la prima volta ben nutriti.<br />

Fenomeni quali la riforma liturgica, forse di importanza minore<br />

editoriale<br />

CONTINUITÀ<br />

E ROTTURA,<br />

RADICAMENTO<br />

E SRADICAMENTO,<br />

RISCOPERTA<br />

E RIAPPROPRIAZIONE<br />

DELLE RADICI<br />

Continuità e rottura,<br />

radicamento e sradicamento<br />

riscoperta e riappropriazione<br />

delle proprie radici<br />

pag. 3-7<br />

editoriale<br />

3


editoriale<br />

ADOLFO LIPPI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

editoriale<br />

4<br />

rispetto a problema quali la pace, la giustizia, l’attenzione all’ambiente<br />

vitale, ma dei quali era immediatamente percepibile a largo<br />

raggio la novità dirompente, furono visti come una novità assoluta.<br />

Oggi ci rendiamo conto che il Movimento liturgico, come quello<br />

biblico o ecumenico esistevano nella Chiesa da almeno un secolo,<br />

che importanti riforme della pratica liturgica erano state attuate da<br />

San Pio X con la rivalutazione della messa e della comunione e<br />

soprattutto da Pio XII con l’abolizione di quell’autentico tabù che<br />

era diventato nella coscienza di molti il digiuno eucaristico e più<br />

ancora con la restaurazione della veglia pasquale, centro e fonte di<br />

tutto l’anno liturgico. I cambiamenti introdotti da Pio XII, inoltre,<br />

facevano sorgere una domanda che aveva sempre terrorizzato i conservatori<br />

ad oltranza: se si sono attuate queste riforme, perché non<br />

farne altre assai urgenti come il rendere la Parola che si legge nella<br />

liturgia accessibile al popolo?<br />

Ho presentato la liturgia come meno importante rispetto a temi<br />

come la giustizia, la pace e l’integrità del creato. D’altra parte, però,<br />

il credente sa che questi valori non saranno promossi da un’etica<br />

antropologica autonoma, ma soltanto dal dono di Dio che si riceve<br />

appunto attraverso la comunione con Lui, la liturgia, la preghiera.<br />

La forza dello Spirito, della Ruach che aleggia sul nostro caos e lo<br />

fa evolvere verso una nuova creazione, viene a noi attraverso la preghiera<br />

comunitaria e personale.<br />

Nessuna riforma liturgica è stata uno sradicamento dalla liturgia<br />

precedente. Non lo è stata, in particolare, quella succeduta al<br />

Concilio Vaticano II. Fondamentalmente c’è stata una continuazione<br />

e, magari, la ripresa di forme precedenti, già abbandonate per<br />

qualche motivo contingente, ma che ora era possibile e utile ricuperare.<br />

Cambiamenti che impressionarono molto, come quello della<br />

lingua, sono, in fondo, chiaramente accidentali e nemmeno nuovi<br />

nella storia della Chiesa.<br />

Qui si vede come la vita della Comunità credente condizioni e<br />

conduca la vita dell’intera umanità. Si scrive, di solito, la storia della<br />

Chiesa alla stregua delle sensibilità e dei paradigmi in uso nella storiografia<br />

profana, introdotti in particolare dai grandi storiografi<br />

greci. Al più si aggiungono come corollari o appendici le note<br />

riguardanti la santità, la mistica, la liturgia, la teologia spirituale.<br />

Quando si scriverà una storia della Chiesa che parta dal discernimento<br />

di ciò che lo Spirito opera nella Chiesa? Giuseppe Flavio<br />

faceva osservare che tra gli ebrei toccava ai profeti scrivere la storia


del popolo di Dio 1 . Questo rilievo di Giusepe Flavio, assai dimenticato,<br />

è d’importanza fondamentale per la storia della Chiesa (come<br />

dell’odierno ebraismo), cioè del popolo di Dio del nostro tempo. La<br />

storia di Dio nel mondo chi la può scrive se non chi ha il discernimento<br />

dello Spirito di Dio e di ciò che Lui opera?<br />

I Concili sono la più grande profezia che risuona nella Chiesa.<br />

E’ chiaro che, se si crede a questo, ha poco senso mettere un<br />

Concilio contro l’altro, supporre ad esempio che il Vaticano II<br />

annulli il Tridentino. Ma poiché la Chiesa è una realtà vivente e<br />

continuamente nuova avrebbe poco senso anche voler riassorbire<br />

un Concilio nell’altro, il Vaticano II dentro le strutture mentali e i<br />

paradigmi del Tridentino. Il Concilio Tridentino ha indicato la via<br />

da percorrere alla Chiesa per i prossimi secoli. Questo non significa<br />

che esso sia stato attuato perfettamente fin dall’inizio. Le resistenze<br />

furono grandi. Oggi siamo in grado di vedere i condizionamenti<br />

delle resistenze e di riconoscere che il senso della storia non<br />

era in esse, ma nelle indicazioni del Concilio che intendeva purificare<br />

e liberare la Chiesa dalle incrostazioni dei secoli. Oggi si vede<br />

bene che le resistenze derivanti da vescovi e cardinali che pensavano<br />

se stessi alla stregua di principi del Rinascimento, nepotisti,<br />

mondani, erano resistenze allo Spirito non giustificabili con la<br />

scusa della difesa della Chiesa e dei suoi beni. Questa riflessione,<br />

però non vale solo per il passato. Ci possiamo domandare che cosa<br />

essa ci insegni a proposito delle resistenze al Vaticano II, delle<br />

nostalgie e dei ritorni. Ciò che è di Dio è dello Spirito, è della Verità<br />

e della Vita.<br />

Il Concilio Vaticano I, troppo facilmente dimenticato, da una<br />

parte raccolse l’eredità di una serie di pontefici che avevano veramente<br />

liberato l’immagine del papato dai condizionamenti mondani,<br />

sviluppandone gli aspetti più spirituali, specialmente l’eredità di<br />

papi martiri quali l’ultimo Pio VI e Pio VII. Dall’altra rilanciò il<br />

ministero petrino, arricchito dell’amore e della preghiera di innumerevoli<br />

santi, verso il futuro di un’umanità che si stava mettendo in<br />

balia di poteri che avevano perso ogni legame con la sacralità del<br />

governare e cadevano in preda di ideologie demagogiche.<br />

Queste esperienze di Chiesa ci insegnano a valutare criticamente<br />

anche il cammino dell’umanità e il suo progresso. Ci si può doman-<br />

1 Contro Apione, 1, 37.<br />

editoriale<br />

Continuità e rottura,<br />

radicamento e sradicamento<br />

riscoperta e riappropriazione<br />

delle proprie radici<br />

pag. 3-7<br />

editoriale<br />

5


editoriale<br />

ADOLFO LIPPI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

editoriale<br />

6<br />

dare se quelle rivoluzioni che hanno inteso sradicare popoli e culture<br />

da tutto ciò che c’era prima, siano state un fenomeno di crescita<br />

vitale, oppure un’operazione chirurgica fatta in modo sbagliato,<br />

oppure fatta su un organismo incapace di sostenerla. La Riforma<br />

luterana è stata la prima e l’esemplare di tali rivoluzioni. Ha prodotto<br />

uno strappo nella tunica inconsutile della Chiesa che, nonostante<br />

tutti gli sforzi che si fanno, nonostante il desiderio e la preghiera di<br />

tanti, non si riesce a ricucire. Certo, la Chiesa aveva bisogno di riforme,<br />

ma altri si adoperavano con tutte le forze senza distruggere<br />

l’unità. Si sono ispirate ad essa le rivoluzioni borghesi e proletarie,<br />

populiste e fasciste.<br />

E’ comune alle dittature, sia di destra che di sinistra, lo sradicamento<br />

e l’imposizione di un’ideologia che serva da struttura mentale<br />

in cui costringere le masse ad inserirsi. Oggi siamo in grado di<br />

misurare meglio ciò che si guadagna e ciò che si perde in tali sradicamenti.<br />

Si può pesare il cumulo di sofferenze, di infelicità, di stragi<br />

che una rivoluzione cruenta comporta. La Rivoluzione francese<br />

(Libertà, quanti delitti in tuo nome!), oltre agli orrendi delitti del<br />

Terrore, si adagiò dapprima nella forma della società napoleonica, a<br />

proposito della quale ci si può oggettivamente interrogare su quanto<br />

corrispondesse agli ideali rivoluzionari, e produsse poi una serie<br />

di reazioni e controreazioni che afflissero interi popoli. Si può dire,<br />

accettando almeno implicitamente il principio di Machiavelli<br />

secondo il quale: il fine giustifica i mezzi, che attraverso questo<br />

sommovimenti e queste tragedie un certo progresso si è prodotto.<br />

Ma oggi ci si domanda: era proprio necessario? L’umanità doveva<br />

proprio passare per lo sterminio della campagna di Russia di<br />

Napoleone e poi della campagna di Russia di Hitler? Ma più ancora<br />

ci domandiamo: col grado di consapevolezza che oggi si ha, è proprio<br />

necessario riprodurre fatalisticamente quei conflitti che, per<br />

giunta, a causa dello sviluppo degli armamenti, possono risultare<br />

oggi fatali per l’intera umanità e per l’ambiente vitale?<br />

Simultaneamente, poiché la vita è dinamica e fluida, non statica<br />

come le ideologie, ci si può domandare se l’eccessiva pressione a<br />

favore della continuità non costringa i gruppi umani a ricorrere agli<br />

sradicamenti. Il principio-responsabilità è tremendamente serio: non<br />

conosce scuse.<br />

Giovanni Paolo II ha osato gridare: mai più guerre. Sembra<br />

un’utopia, le guerre ci sono sempre state. Oggi abbiamo la responsabilità<br />

di tradurre in fatti questa utopia.


A questo punto si può valutare anche l’importanza del ritrovare<br />

le radici, del ricollegarsi con le radici. Negli istituti religiosi si<br />

è sentita fortemente la necessità, in questi ultimi anni, di riscoprire<br />

il carisma fondante e di ricollegarsi ad esso. Non è facile valutare<br />

l’importanza delle radici. Abbastanza superficialmente in un albero<br />

si è portati ad apprezzare il tronco, i rami, le foglie, i fiori e,<br />

soprattutto, i frutti. Ma tutto questo può durare senza le radici?<br />

Un’altra (non ultima) riflessione su questo argomento riguarda la<br />

conversione. In fondo le religioni favorivano le conversioni come<br />

uno sradicamento dal passato che, quanto più risultava radicale,<br />

tanto meglio era, proprio per evitare nostalgie e ritorni. Un romanzo<br />

di un grande convertito - Loss and Gain - del Newman, metteva in<br />

evidenza, già nell’Ottocento, quanto di traumatico c’era in questi<br />

passaggi 2 . Nel nostro secolo sono stati soprattutto illustri convertiti<br />

dall’ebraismo che hanno dichiarato di non essere soddisfatti con<br />

questa idea di conversione, sentendo di non aver voluto negare, passando<br />

al cristianesimo, la loro identità ebraica. Potremmo ricordare<br />

Edith Stein, il cardinal Lustiger, ma anche il rabbino Eugenio Zolli.<br />

Per accogliere una rivelazione che si riconosce come definitiva,<br />

bisogna proprio rinnegare quanto di valido c’era in un’esperienza<br />

precedente vissuta con convinzione e magari anche con devozione?<br />

Come si vede, il discorso sulla rottura o continuità non è un<br />

discorso che si può fare a cuor leggero, difendendo ognuno la posizione<br />

nella quale si sente più a proprio agio. Esso tocca problemi<br />

psicologici e sociali di primaria importanza, che non possono essere<br />

trascurati o dimenticati. Le posizioni di papa Ratzinger mi sembrano<br />

a questo proprio estremamente lucide ed equilibrate, dell’equilibrio<br />

della vita, non dei compromessi. Sono posizioni che,<br />

come è stato detto di pensatori quali Balthasar o Lévinas, non possono<br />

essere superficialmente collocate nelle categorie della cultura<br />

dominante: destra o sinistra, conservatorismo o progressismo.<br />

Debbono essere riconosciute, semmai, come frutto di un atteggiamento<br />

di ascolto della realtà, che evita ogni sovrapposizione.<br />

2 Traduzione italiana di B. Gallo, Jaca Book, MIlano, 1996. Cf. la mia<br />

recensione in Sap Cr, 12 (1997), pp. 181-182.<br />

editoriale<br />

Continuità e rottura,<br />

radicamento e sradicamento<br />

riscoperta e riappropriazione<br />

delle proprie radici<br />

pag. 3-7<br />

editoriale<br />

7


di GIANNI SGREVA C.P.<br />

Nella ricerca che la cattedra Gloria Crucis e questa rivista<br />

stanno portando avanti sulla Croce e la nuova immagine di<br />

Dio, giova molto risalire alle origini dell’inculturazione della<br />

fede nel pensiero. Questo studio di Gianni Sgreva, docente<br />

nello STJ di Gerusalemme e nella UCAC (Université Catholique<br />

Afrique Centrale), mette bene in<br />

evidenza la fatica fatta nel trovare<br />

delle categorie di pensiero che<br />

soddisfacessero la fede e la pre-<br />

ghiera. Al tempo stesso si evidenzia<br />

il peso che le strutture greche<br />

del pensiero hanno avuto sulla formulazione<br />

della fede, costringendo<br />

ad accantonare il problema del<br />

pathos divino, cui erano sensibili<br />

non soltanto i patripassiani, ma<br />

anche Origene e Gregorio il<br />

Taumaturgo.<br />

Ènecessario ricostruire la storia della dottrina della<br />

Trinità, scoprendo nelle tracce delle prime elaborazioni<br />

del concetto cristiano di Dio ciò che specifica<br />

in modo esclusivo l’aggancio della rivelazione<br />

di Dio, del Dio Trinità, con la croce. Dalla<br />

chiarificazione dell’identità del Dio cristiano<br />

discendono delle conseguenze rivoluzionarie sul<br />

piano, non solo teologico, ma anche antropologico ed etico 1 .<br />

1 Il prof. Basil Studer in una sua relazione tenuta nel 1982 alla facoltà teologica<br />

di Freiburg im Breisgau faceva sua la preoccupazione espressa nell’articolo<br />

di U. Ruh, “Das unterscheidend Christliche in der Gottesfrage”, secondo<br />

cui: “...ohne die Trinitätslehre keine vollgültige christliche Antwort auf die alle<br />

Menschen so brennende Gottesfrage geben können”: cf B. STUDER, Zur<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

IL MOVIMENTO<br />

PATRIPASSIANO:<br />

ISTANZE POSITIVE<br />

PER<br />

L’ELABORAZIONE<br />

DEL CONCETTO<br />

CRISTIANO DI DIO<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

9-39<br />

teologia<br />

9


sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

GIANNI SGREVA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

10<br />

Evidentemente questo rapporto Dio-croce richiama un fondamentale<br />

problema che emerge nella ricostruzione delle varie posizioni<br />

assunte nella storia del pensiero cristiano là dove esso ha dovuto<br />

esprimersi sul cosiddetto teopaschismo.<br />

Sia da parte di coloro che difendono l’impassibilità di Dio come<br />

di coloro che si interrogano sulla specificità del concetto di Dio cristiano,<br />

che in un modo o nell’altro, non può essere dissociato dalla<br />

rivelazione della croce, ci sono coloro che ritengono che i Padri, trovandosi<br />

di fronte alla scelta di essere fedeli alla Scrittura e di esprimere<br />

la Scrittura con il linguaggio mutuato dalla filosofia greca,<br />

sarebbero caduti sotto il dominio del concetto greco di Dio ritenuto<br />

impassibile.<br />

Inoltre lo studioso americano Thomas G. Weinandy 2 , che non<br />

ritiene che i Padri abbiano ceduto alla preminenza del linguaggio<br />

filosofico greco, ricorda che a proposito dell’impassibilità divina c’è<br />

differenza tra l’idea di impassibilità divina secondo la filosofia<br />

greca, per la quale Dio è “in-simpatico”, cioè incapace di con-soffrire,<br />

apatetico e statico, e il concetto giudeo-cristiano dell’impassibilità<br />

di Dio, il quale resta sempre vivo ed attivo.<br />

La controversia originata dal patripassianesimo si pone agli inizi<br />

di questo dibattito sulla passibilità o impassibilità di Dio e di riflesso<br />

sulla presa di posizione dei pensatori cristiani di inizio secolo III<br />

sul come coniugare la rivelazione giudeo-cristiana con gli strumenti<br />

ermeneutici-filosofici allora a disposizione.<br />

Ci sembra, infatti, che più che essere un dibattito di linguaggio<br />

strettamente trinitario, riguardante l’egualitarismo divino in rapporto<br />

Entwicklung der patristischen Trinitätslehre. Die äussere Faktoren in der<br />

Geschichte der frühkirchlichen Lehre von der Dreifaltigkeit, in „Theologie und<br />

Glaube“, 1984, 81.<br />

Studer si riferisce a U.RUH, Das unterscheidend Christliche in der<br />

Gottesfrage, in “Herder Korrespondenz“, 36/4, 1982, 187-192.<br />

2 Th.WEINANDY, Does God suffer?, Edinburgh-Notre Dame 2000, 83 n.2.<br />

L’autore cita due teologi, favorevoli all’idea della passibilità di Dio: F. SAROT,<br />

God, Passibility and Corporeality, 44-48 e id., Divine Suffering: Continuity and<br />

Discontinuity with Tradition, in “Anglican Theological Revew”, 78/2 (1996),<br />

226 e F.J. van Beeck (in This Weakness of God is stronger, 18 e un altro,<br />

G.HANRATTY, che insiste sull’impassibilità di Dio, i quali ritengono che sia<br />

superficiale affermare che la maggioranza dei padri abbia sposato la causa<br />

della filosofia greca (Divine Immutability and Impassibility revisited in At the<br />

Heart of the Real, ed. F.O’Rourke, Dublin 1992, 146-148).


alla considerazione del come individuare con linguaggio adeguato le<br />

tre soggettività divine di Padre e Figlio e Spirito Santo, la controversia<br />

monarchiana modalista sia stata, di fatto, un dibattito tra i fautori<br />

della impassibilità di Dio, che si fondavano evidentemente sull’idea<br />

ebraica di impassibilità divina suffragata dalla concezione statica<br />

delle varie teodicee elleniste e quanti sentivano che il Dio cristiano<br />

era irrevocabilmente compromesso con il Dio crocifisso delle<br />

Scritture del Nuovo Testamento.<br />

L’allarme da parte degli antimonarchiani, infatti, è scattato<br />

quando i monarchiani in modo disinvolto hanno applicato al Padre<br />

la passibilità del Figlio incarnato.<br />

Evidentemente è interessante individuare quale concezione di<br />

passibilità, più che di impassibilità, stava sotto al dibattito. Se per la<br />

filosofia greca l’idea della passibilità divina era tabù 3 , il Dio della<br />

teologia ebraica, invece, è un Dio attivo, in movimento, storico, che<br />

ama, che mostra sentimenti “umani”, come del tutto umani sono i<br />

linguaggi che le Scritture ebraiche gli assegnano. L’Antico<br />

Testamento, infatti, dal punto di vista del linguaggio teo-logico è la<br />

preistoria di un Dio destinato ad incarnarsi, e che, in vista di farsi<br />

uomo, parla e si comporta da uomo. Il Dio biblico non è mai presentato<br />

come un Dio apathès 4 .<br />

Quella che la storia della teologia ci segnala a proposito della<br />

controversia monarchiana di fine II e inizio III secolo (tra il 200 e il<br />

235 ca. 5 ), al di là dell’urto di posizioni opposte e, se vogliamo,<br />

deviate, e in ogni caso, sia da una parte sia dall’altra, ancora embrionali<br />

e primitive, è una fondamentale preoccupazione che mette in<br />

luce delle istanze positive in vista dell’elaborazione del concetto<br />

3 W.A. WOLFSON, La filosofia dei Padri della Chiesa, Paideia, Brescia<br />

1978. E M.SPANNEUT, L’«apatheia» chrétienne aux quatre premiers siècles, in<br />

«Proche-Orient Chrétien», 52/ 3-4 (2002), 165-302. In particolare a p. 168,<br />

dopo aver esaminato il concetto di apatheia nella cultura pagana, Spanneut<br />

può con sicurezza affermare: “L’apatheia divine, malgré les fantaisies de la<br />

mythologie, fait l’unanimité des penseurs”.<br />

4 Cf ancora M. SPANNEUT, L’ «apatheia» chrétienne aux quatre premiers<br />

siècles, in «Proche-Orient Chrétien», 52/3-4 (2002), 165-302. In particolare a<br />

p. 171. M.FIGURA, The suffering of God in patristic theology, in “Communio-<br />

International catholic Review”, 30 (2003), 366-369.<br />

5 M. SIMONETTI, Monarchia e Trinità. Alcune osservazioni su un libro<br />

recente, in “RSLR” 1997/3, 626.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

9-39<br />

teologia<br />

11


sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

GIANNI SGREVA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

12<br />

cristiano di Dio, secondo cui il Dio-Trinità non può essere pensato,<br />

cristianamente parlando, estraneo alla rivelazione della croce.<br />

La storia della formulazione teologica del concetto del Dio cristiano<br />

ha a che fare con il fatto che i cristiani hanno dovuto progressivamente<br />

prendere posizione rispetto alla teologia ebraica e al politeismo<br />

della cultura pagana e nello stesso tempo mantenere inalterato<br />

nella teo-logia cristiana il monoteismo ebraico e ricorrere alla cultura<br />

ellenista per l’adozione di un linguaggio che fosse capace di<br />

esprimere il novum cristiano, senza per altro che questo ne uscisse<br />

compromesso.<br />

L’impegno della comunità cristiana verso il mondo, è stato, infatti,<br />

quello di difendere l’unità divina contro il politeismo pagano;<br />

mentre, al suo interno, lo sforzo teoretico dei primi pensatori cristiani<br />

si è espresso nel tentativo di chiarire il rapporto tra il monoteismo<br />

ebraico-cristiano e la lex orandi che celebrava la fede in un Dio che<br />

è nello stesso tempo unità differenziata di Padre e Figlio e Spirito<br />

Santo. Sappiamo che la corrente ebionita, giudeo cristiana, che risolveva<br />

il problema dell’identità di Cristo salvando pienamente l’esclusivo<br />

monoteismo ebraico, negava la novità della lex orandi cristiana<br />

che pregava il Figlio collocandolo sullo stesso piano del Padre.<br />

Per gli adozionisti, il Figlio, Cristo, è puro uomo. Papa Vittore (189-<br />

199) condannò Teodoto di Bisanzio, detto il Cuoiaio, il cui pensiero<br />

è riferito dall’autore romano dell’Elenchos 6 , e con lui anche il discepolo<br />

Teodoto il Banchiere 7 .<br />

Tra l’altro una segnalazione tardiva di uno scritto romano della<br />

metà del secolo III, il De Trinitate di Novaziano, che polemizzò fortemente<br />

non solo contro i monarchiani modalisti, ma anche contro<br />

i monarchiani adozionisti, a proposito di questi ultimi ci informa che<br />

uno dei ragionamenti fatti dagli adozionisti per non accettare la divinità<br />

del Figlio, di Cristo, era proprio il fatto che il Cristo è morto per<br />

noi, come dicono le Scritture: se Cristo muore, allora non è Dio, a<br />

meno che le Scritture non insegnino che Dio è morto 8 . Ci saremmo<br />

6 Philos VII,35; X,23.<br />

7 Eusebio HE V,28,6.; Philos VII,36; X 24. Cf M. SIMONETTI, Il problema<br />

dell’unità di Dio a Roma da Clemente a Dionigi, in “RSLR” 20 (1986), 190-<br />

193.<br />

8 Novaziano, De Trinitate 25,141 (ed. A.LOI, Novaziano. La Trinità, SEI,<br />

Torino 1975, 156-157: “Ergo, inquiunt, si Christus non homo est tantum, sed et<br />

deus, Christum autem refert scriptura mortuum pro nobis et resuscitatum, iam


aspettati anche un accenno al modalismo in chiave patripassiana,<br />

invece Novaziano non menziona la problematica della passibilità<br />

divina a proposito di Noeto e di Sabellio.<br />

Come si vede, il patripassianesimo come espressione del monarchianismo<br />

modalista, ma non da identificarsi con esso 9 , si rafforza<br />

anche come polemica tra le due correnti teologiche che hanno di<br />

mira la salvaguardia del monoteismo ebraico. Il monarchianesimo<br />

adozionista fa della passibilità un motivo per negare la divinità di<br />

Cristo, mentre i monarchiani modalisti sostengono la passibilità<br />

divina proprio per salvare il monoteismo ebraico-cristiano, con l’inclusione<br />

di Cristo-Dio. Questo valga a dire come il modalismo patripassiano<br />

segni un capitolo assai interessante in questo percorso della<br />

chiarificazione teo-logica sulla natura di Dio, basata sul monoteismo<br />

ebraico-cristiano (unità di Dio), sul monoteismo cristiano per il<br />

quale l’unicità divina implica due e poi tre individualità (distinzione),<br />

e sulla “passibilità” divina o, come dirà Origene, sulla passibilità<br />

del Dio-amore 10 .<br />

docet nos scriptura credere deum mortum. Aut si deus non moritur, Christus<br />

autem mortuus est refertur, non erit Christus deus, quoniam deus non potest accipi<br />

mortuus”.<br />

Novaziano nel polemizzare con gli adozionismi a proposito della morte di<br />

Dio, tiene ovviamente presente solo la questione della morte fisica che, in quanto<br />

tale, non è applicabile alla dimensione divina (Trin 25,142-144). Anche la<br />

sua obiezione è ancora lontana dal tenere presente l’intuizione della cristologia<br />

efesina e calcedonese, che, cioè, a morire è la Persona del Logos, per cui<br />

per la communicatio idiomatum, è Dio che muore.<br />

9 M. SLUSSER, The scope of Patripassianism, in SP XVII,1, Oxford 1982,<br />

169-175: Slusser mette in guardia dal confondere patripassianesimo con<br />

monarchianesimo o sabellianesimo. Il patripassianesimo fondamentalmente corrisponde<br />

all’affermazione: “The Father suffered and died on the cross” (p.169).<br />

Nel suo articolo Slusser ricostruisce la presenza di questa affermazione nella<br />

teologia dei primi secoli, orientale ed occidentale, e dopo aver constatato che<br />

il patripassianesimo ha avuto una debole udienza presso i padri della chiesa e<br />

gli antichi scrittori cristiani, conclude affermando che si deve limitare il tempo<br />

degli enunciati patripassiani esclusivamente alla prima metà del secolo III.<br />

Continua: “Patripassianism was a rather crude but very moving attempt to<br />

evoke the greatness of the divine love which is revealed in Christ, an attempt<br />

which was in vogue among some elements of the Roman church between about<br />

200 and 220 A.D.”. Cf M. SIMONETTI, Patripassiani, in “DPAC” 2705.<br />

10 Origene, In Ez 6,6 (GCS VIII, 384-385; Sch 352, 229s): “…quae est<br />

ista, quam pro nobis passus est? Caritatis est passio. Pater quoque ipse et Deus<br />

universitatis, longanimis et multum misericors et miserator, nonne quodadmod-<br />

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scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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14<br />

Infatti, non c’era solo il problema del rapporto tra ciò che è singolare<br />

e ciò che è plurale in Dio, cioè la simultaneità dell’unità e<br />

della pluralità divina, ma anche il concetto stesso di Dio in sé, la sua<br />

identità metafisica, il suo volto. La teologia cristiana non metteva<br />

forse in crisi la teodicea ellenista? 11 . Il tema della passibilità divina,<br />

al di là dei termini imbarazzanti usati dal monarchianesimo, non tentava<br />

forse pur con terminologia inadeguata di descrivere la qualità<br />

del Dio cristiano?<br />

Ci sembra, infatti, che la controversia monarchiana sia stata vissuta<br />

da parte dei teologi del Logos solo in termini di “quantità” divina,<br />

essi cioè si sono semplicemente interrogati sulla questione<br />

numerica del Dio cristiano, se esso sia uno o due o tre, rimanendo<br />

uno. Anche oggi si rischia di analizzare la controversia monarchiana<br />

e patripassiana con gli stessi criteri quantitativi-numerici dei teologi<br />

del Logos. Ma “quale” Dio era il Dio cristiano? Una copia del<br />

concetto del dio greco-romano, o ellenista, o una mera riproduzione<br />

di un Dio ebraico? Qual è invece la qualità del Dio cristiano?<br />

C’è una geometria di Dio, uno in tre! Ma sotto la controversia che<br />

riscaldò il dibattito teologico negli ultimi anni del II secolo e i primi<br />

del III secolo c’erano i tentativi di una ricerca sulla identità qualitativa<br />

del Dio cristiano che, distanziandosi dalla fissità e immobilità<br />

del concetto di Dio delle filosofie elleniste che aborrivano la passibilità,<br />

aprivano il varco all’accoglienza e alla teorizzazione di un<br />

concetto di Dio che, ereditando la dimensione di mobilità storica<br />

delle radici della teologia ebraica, assumeva sempre più il suo specifico<br />

“cristiano” dal confronto inevitabile con la croce del Figlio.<br />

Passerà molta acqua per giungere ad affermare che “Unus de<br />

Trinitate passus est” 12 , uno, nel senso di uno che condivideva con il<br />

um patitur ?...Ipse Pater non est impassibilis ». H. CROUZEL, Origène et la<br />

connaissance mystique, Paris 1961, 261: Crouzel afferma che qui Origene<br />

esprime il misterioso paradosso per cui Dio è sia impassibile sia passibile.<br />

11 Cf J-P. BATUT, Does the Father suffer?, in “Communio-International catholic<br />

Review”, 30 (2003), 389-390: “What we are dealing with, then, is not a<br />

“Hellenization” of <strong>Christi</strong>anity, but the resolute acceptance of the <strong>Christi</strong>an paradox,<br />

the lectio difficilior of the <strong>Christi</strong>an faith”. M. FIGURA, The suffering of God in<br />

patristic theology, in “Communio- International Catholic Review”, 30 (2003), 369.<br />

12 Formula attribuita a Proclo di Costantinopoli, Ep.4 (Unus de Trinitate<br />

passus est in carne) in base anche all’espressione che si trova nel Tomus<br />

ad Armenios del medesimo autore, “Uno della Trinità si è incarnato”


Padre e il Figlio la natura divina. Quindi il Figlio, in quanto Cristo,<br />

ha rivelato il divino come “passibile”. Questa natura divina del<br />

Figlio, della persona del Figlio, è la stessa natura divina in comune<br />

con il Padre e con lo Spirito.<br />

Il monarchianismo patripassiano, se da una parte ha prodotto una<br />

violenta opposizione teologica per quanto riguardava l’esigenza<br />

insopprimibile di fare di Padre, Figlio e Spirito Santo tre soggetti<br />

distinti nell’unico substrato divino, (e questo è stato il motivo per<br />

cui è stato combattuto e penalizzato, così che adesso noi non siamo<br />

in possesso degli scritti originali), ha però il merito di aver acceso<br />

una spia nella storia del pensiero trinitario. Non basta che il concilio<br />

di Nicea abbia coronato gli sforzi, e anch’esso in termini rischiosi<br />

e problematici 13 , per affermare la divinità del Figlio in unità<br />

distinta con il Padre. Sarà, in seguito, il dibattito cristologico a proiettare<br />

la sua luce sul mistero trinitario. La cristologia obbligherà ad<br />

interrogarsi sul Dio che è stato rivelato da Gesù Cristo.<br />

La controversia monarchiana si colloca cronologicamente alla<br />

fine dell’elaborazione della teologia trinitaria di Ireneo e prima delle<br />

sintesi trinitarie di Origene, di Tertulliano e poi di Novaziano, e<br />

quindi essa si pone all’inizio del secolo III come occasione provocante<br />

la ricerca di linguaggi adeguati ad esprimere la complementarietà<br />

di unità e di distinzione nel Dio Uno-Trino cristiano (si pensi<br />

alla stessa introduzione, da parte dei vari teologi della Logos-theologie,<br />

del termine prosopon e persona nel linguaggio teologico per<br />

spiegare in polemica antimonarchiana la distinzione delle individualità<br />

divine) 14 . Tuttavia ci sembra che il cuore e la finalità della opposizione<br />

antimonarchiana sia stata, di fatto, la provocazione della<br />

possibilità di presentare il concetto di Dio in modo teopaschita.<br />

(PG 65,865D). Cf M. RICHARD, Procle de Constantinople et le Théopaschisme,<br />

in “Revue d’Histoire Ecclésiastique”, 38 (1942), 303-331 e W. ELERT, Die theopaschitische<br />

Formel, in “ThLZ” 75 (1950), 193-206.<br />

13 Di Nicea non dimentichiamo l’identificazione fatta dal secondo anatematismo<br />

tra ousia e ipostasis: cf Conciliorum Oecumenicorum Decreta, (curantibus<br />

J.Alberigo, J.A.Dossetti-P.J.C.Leonardi-P.Prodi, Bologna 1973, p.5 o DENZIN-<br />

GER-SCHÖNMETZER, Enchiridion Symbolorum-Definitionum-Declarationum de<br />

rebus fidei et morum, Herder, Barcinone. Friburgi Brisgoviae- Romae-Neo-<br />

Eboraci, MCMLXV, n.126.<br />

14 Cf B. STUDER, Der Person-Begriff in der frühen kirchenamtlichen<br />

Trinitätslehre, in „Theologie und Philosophie“ 57 (1982), 161s.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

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Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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16<br />

I teologi della monarchia divina, in effetti, non ebbero nessuno scrupolo<br />

di essere monarchiani-modalisti al fine, ci sembra di dover<br />

dire, di essere patripassiani 15 , ossia allo scopo di affermare la passibilità<br />

di Dio come dimensione essenzialmente cristiana del concetto<br />

di Dio: se Cristo che soffre è Dio, e il Padre è Dio, allora Dio Padre<br />

è coinvolto nella passibilità del Cristo-Figlio, e quindi Lui stesso<br />

soffre. Il nodo problematico in tutto questo passaggio dalla sofferenza<br />

del Figlio alla sofferenza del Padre è dato dall’identificazione del<br />

Figlio con il Padre. Quella che ne derivò fu una identificazione<br />

numerica di Padre e Figlio. Probabilmente, invece, l’intenzione era<br />

quella dell’identificazione di qualità di Padre e Figlio. Se Dio Figlio<br />

soffre, soffre anche a suo modo Dio Padre. Vedremo che Tertulliano,<br />

antimonarchiano, antiprassiano, indulgerà su questa riflessione nel<br />

suo Adversus Marcionem e non sfuggirà all’esigenza di trattare della<br />

passibilità di Dio. Così pure Origene, chiaramente antimonarchiano,<br />

si aprirà a questa lettura della “qualità” del concetto del Dio cristiano<br />

nella sua Omelia sesta su Ezechiele, invocando la “passione dell’amore”.<br />

L’ultima formulazione di tutta la vicenda monarchiana e patripassiana<br />

dei primi anni del secolo III, che l’autore dell’Elenchos, attribuisce<br />

a Callisto, e quindi alla Chiesa ufficiale, è di fatto una formula<br />

di compromesso tra la teologia monarchiana e la teologia del<br />

Logos, una formula incontestabile da parte di chi ritiene la passibilità<br />

divina elemento specificante della teologia cristiana: “kaã<br />

o·twj tÿn patûra sumpeponqûuai t¸ uܸ”? 16 .<br />

15 Simonetti nella sintesi della storia della teologia trinitaria che egli premette<br />

alla sua monumentale ricostruzione della controversia ariana, La controversia<br />

ariana, Istituto Patristico Augustinianum, Roma 1985, 7-8, ricorda che il<br />

monarchianismo era denominato nell’antichità patripassianesimo in Occidente<br />

e sabellianesimo in Oriente, mentre il termine modalismo è quello seguito dai<br />

moderni. M. SIMONETTI, Studi sulla cristologia del II e III secolo (Studia<br />

Ephemerides Augustinianum, 44), Roma 1993, 217.<br />

16 Philos IX, 12: M. MARCOVICH, Hippolytus. Refutatio omnium haeresium,<br />

(Patristische Texte und Studien 25), Berlin, W. de Gruyter, 1986, 354.<br />

Callisto invece esprimerà questa formula per trovare una via di mezzo tra<br />

le formulazioni monarchiane di Cleomene e di Sabellio e quelle provenienti<br />

dalla teologia del Logos espresse dall’autore dell’Elenchos. Per Callisto il Padre<br />

non ha patito in figura del Figlio ma ha patito insieme (sumpeponqûuai) con il<br />

Figlio: cf Philos IX,11-12.<br />

Questa formula assume un rilievo notevole, perché essendo una formula<br />

che prende le distanze sia dai teologi del Logos sia dai sabelliani, e per di più


Pare che la vicenda del patripassianesimo che nel III secolo è<br />

stata messa a tacere proprio per le sue conseguenze sul linguaggio<br />

trinitario non sia stata più riaperta e riaffrontata in altri termini, quelli<br />

appunto riguardanti il concetto stesso del Dio, che senza cessare<br />

di essere ebraico, è diventato soprattutto cristiano 17 . Ci sembra,<br />

infatti, che sia stato proprio per difendere la concezione specificatamente<br />

cristiana della passibilità di Dio che i monarchiani siano stati<br />

costretti a insistere sulla dimensione prioritaria dell’unità di Dio, a<br />

scapito del linguaggio della distinzione. D’altronde la sottolineatura<br />

prioritaria dell’unità di Dio che si sviluppò in Asia Minore e che<br />

costituirà un elemento fondamentale nella controversia ariana e<br />

nello stesso linguaggio niceno 18 , rimanendo come indirizzo e orientamento<br />

teologico a Roma e a Cartagine, e in genere in occidente<br />

fino al sinodo di Serdica 19 , sia indicatrice di una tendenza favorita<br />

dall’insistenza monarchiana 20 , a differenza della teologia della<br />

distinzione alessandrina e cappadoce.<br />

pronunciata da chi molto verosimilmente era diventato vescovo di Roma, acquista<br />

il valore di formula dottrinale, rappresentativa della fede della Chiesa di<br />

Roma. Cf M. SIMONETTI, Monarchia e Trinità. Alcune osservazioni su un libro<br />

recente, in “RSLR” 1997/3, 637-38. L’Uribarri (G. URIBARRI, Monarquia y<br />

Trinidad. El concepto teológico “Monarchia” en la controversia “monarquiana”,<br />

UPCO-Madrid 1996 (Publicaciones de la Universidad Pontificia Comillas,<br />

Madrid), XXV-588), cui fa riferimento Simonetti nella sua recensione, Monarchia<br />

e Trinità..., dà a questa formula di Callisto l’appellativo di “filiopaterismo”.<br />

17 Leggendo le varie monografie che recentemente riprendono il tema della<br />

passibilità di Dio notiamo con sorpresa che appare del tutto assente o marginale<br />

il capitolo o semplicemente l’allusione al monarchianesimo patripassiano:<br />

Cf J.M. HALLMAN, The descent of God: Divine Suffering in History and<br />

Theology, Minneapolis: Fortress, 1991. Th. WEINANDY, Does God suffer?,<br />

Edinburgh-Notre Dame 2000. E. MÜHLENBERG, Der leindende Gott in der<br />

altkirchlichen Theologie, in Der leidende Gott, ed. P. Koslowki e F. Hermanni,<br />

München 2001, 73-86.<br />

18 Lo stesso “consostanziale” di Nicea era considerato un termine passibile<br />

di significazione sabelliana, ma non di matrice sabelliana. Cf M. SIMONETTI,<br />

Studi sulla cristologia del II e III secolo (Studia Ephemerides Augustinianum, 44),<br />

Roma 1993, 218-219.222.223 e M. SIMONETTI, La controversia ariana,<br />

Istituto Patristico Augustinianum, Roma 1975, 100ss.<br />

19 M. SIMONETTI, Studi sulla cristologia del II e III secolo (Studia<br />

Ephemerides Augustinianum, 44), Roma 1993, 236-237.<br />

20 Cf R. M. HÜBNER, Der antivalentinianischen Charakter der Theologie des<br />

Noet von Smyrna, in Logos. Festschrift L. Abramowski, Berlin 1993, 57-86 e<br />

R.M. HÜBNER, Melito von Sardes und Noët von Smirna, in Oecumenica et<br />

patristica. Festschrift für Wilhelm Schneemelcher, Köln 1989, 219s.<br />

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Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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18<br />

Trattando del patripassianesimo sappiamo di inoltrarci in una<br />

vexata quaestio che nella storia dell’elaborazione della teologia trinitaria<br />

è stata in qualche modo confinata semplicemente nell’area<br />

dell’eresia, la cui causa per l’autore del Contra Noetum è anzitutto<br />

l’orgoglio 21 , o la filosofia e il diavolo per l’autore dell’Elenchos 22 .<br />

La causa del monarchianismo è il diavolo anche per il Tertulliano<br />

dell’Adversus Praxean 23 , il quale non ha risparmiato pure di identificare<br />

in Prassea un nemico del montanismo 24 , dato che il retore africano<br />

scrive la sua opera antimonarchiana nella fase montanista della<br />

sua vita.<br />

Se è vero che ogni airesis nasconde o fa intravedere qualcosa che<br />

è vero, se l’airesis significa soffermarsi sul particolare staccato dall’universale,<br />

riteniamo che il patripassianesimo vada considerato<br />

non solo come una delle eresie presentate dall’autore dell’Elenchos<br />

al IX libro o da Epifanio nel suo Panarion, ma anche come un movimento<br />

di ricerca che, oltre a perseguire la soluzione del problema<br />

della concettualizzazione del Dio cristiano, in modo da distinguerlo<br />

dalle radici ebraiche avvalendosi dell’impianto delle filosofie elleniste,<br />

platonismo e stoicismo, almeno indirettamente toccava le corde<br />

più profonde della radicale diversità della teologia cristiana a partire<br />

dallo stesso concetto di Dio, rispetto sia al giudaismo, sia all’ellenismo.<br />

Dall’analisi delle sue tesi e soprattutto delle sue motivazioni, il<br />

patripassianesimo si rivela come un movimento di ricerca dell’identità<br />

del Dio cristiano, la cui descrizione è stata determinata dalla<br />

croce di Cristo.<br />

Analizzeremo i testi esplicitamente passiologici che ci presentano<br />

le tesi patripassiane alla luce dei contesti polemici che ce li hanno<br />

21 Contra Noetum I,3: in P. NAUTIN, Hippolyte. Contre les heresies.<br />

Fragment, étude et édition critique, Paris 1949. Nautin, 234-235.<br />

22 Philos X : la filosofia è la causa e matrice delle eresie. Cf J. FRICKEL,<br />

Hippolyt von Rom, kirchliches Credo oder Glaubenserweis für Heiden (El X 30-<br />

34), in „ ZKTh“ 110 (1988), 129-138.<br />

23 Tertulliano, Adversus Praxean 1,1: CCL 2, 1160: “Unicum Dominum, vindicat<br />

(diabolus) omnipotentem mundi conditorem ut et de unico haeresin faciat.<br />

Ipsum dicit Patrem descendisse in virginem, ipsum ex ea natum, ipsum passum,<br />

denique ipsum esse Iesum Christum”.<br />

24 L’Adversus Praxean fu scritto da Tertulliano montanista, staccato dagli psichici-cattolici:<br />

Adversus Praxean 1,5: “Paracletum fugavit et Patrem crucifixit”.


tramandati. Purtroppo, come era una pratica invalsa nell’antichità<br />

cristiana, tutto ciò che non veniva trovato in linea con il linguaggio<br />

della Regula Fidei della Chiesa 25 , a causa delle ripetute condanne<br />

veniva distrutto, e comunque non ci risulta tramandato in modo originale.<br />

Il movimento patripassiano è ricostruibile, infatti, solo attraverso<br />

le citazioni e le argomentazioni addotte dai polemisti.<br />

Evidenzieremo le argomentazioni addotte contro le tesi patripassiane<br />

per far emergere i termini del dibattito e per rilevare alla fine<br />

il potenziale di teologia trinitaria passiologica che emerge nello<br />

scontro tra i due schieramenti opposti in vista della ricerca della formulazione<br />

specifica del Dio cristiano che, essendo Dio-Trinità, è<br />

determinato non solo cristologicamente, ma anche trinitariamente<br />

dalla Croce del Figlio 26 .<br />

Parte prima:<br />

I punti di riferimento<br />

del movimento patripassiano<br />

Si tratta di Noeto<br />

del Contra<br />

Noetum dell’Ippolito<br />

asiatico, e delle<br />

notizie che di Noeto<br />

danno l’autore romano<br />

dell’Elenchos. L’Elenchos ci parla anche di Epigono, di Zefirino, di<br />

Cleomene, di Sabellio e di Callisto. La nostra analisi vuole restare<br />

nei confini della letteratura antieretica degli inizi del secolo III.<br />

Tertulliano, invece, nel suo Adversus Praxean ci informa sul monarchianesimo-patripassianesimo<br />

sbarcato in Africa e passato sotto il<br />

nome di un forse fantomatico divulgatore di nome Prassea. Delle<br />

fonti successive a questa epoca iniziale della controversia terremo<br />

presente solo il Panarion di Epifanio. Essendo diversi i punti di<br />

vista, tratti dall’analisi degli elementi teologici che potrebbero<br />

in qualche modo indicarci come ricostruire la cronologia dei vari<br />

25 Sia l’Ippolito del Contra Noetum ci riporta la sua formula di fede “cattolica”<br />

(CN I, 18-22: Nautin 234237), sia Tertulliano nell’Adversus Praxean (AP<br />

II,1:CCL 2, 1160).<br />

26 Cf Presentazione del teopaschismo nei padri: J. GALOT, Le Dieu Trinitaire<br />

et la <strong>Passio</strong>n de Christ, in: “NRT” 114 (1982) 70-87. J. M. HALLMAN, The<br />

descent of God: Divine Suffering in History and Theology, Minneapolis:<br />

Fortress, 1991 e Th. WEINANDY, Does God suffer?, Edinburgh-Notre Dame<br />

2000.<br />

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Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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teologia<br />

20<br />

documenti antimonarchiani della prima metà del secolo III, preferiamo<br />

seguire uno schema geografico: Asia, Africa, Roma.<br />

Analizzeremo i testi esplicitamente passiologici che ci presentano<br />

le tesi patripassiane alla luce dei contesti polemici che ce li hanno<br />

tramandati.<br />

Una premessa a proposito di Ippolito<br />

Dopo la giornata di studio dedicata alla questione ippolitiana<br />

all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma il 23 ottobre 1976 27 , e<br />

le cui conclusioni erano a favore della tesi divisionista, sulla scia del<br />

primo studio condotto nel 1947 da P. Nautin 28 , rispettivamente per<br />

un Ippolito asiatico come autore del Contra Noetum e un Ippolito<br />

romano come autore delle Elenchos 29 , J. Frickel torna alla tesi dell’unico<br />

Ippolito del Contra Noetum e dell’Elenchos 30 . Simonetti,<br />

27 Gli atti del convegno sono stati pubblicati in AV, Ricerche su Ippolito<br />

(Studia Ephemeridis “Augustinianum” 13, Roma 1977.<br />

28 P. NAUTIN, Hippolyte et Josipe. Contribution à l’histoire de la littérature<br />

chrétienne du troisième siècle, Études et Textes pour l’Histoire du Dogme de la<br />

Trinité I, Paris, 1947.<br />

Nautin non attribuisce i Qilosofo„mena né ad Origene, né ad Ippolito, ma<br />

ad un certo Giosippo, ritenendoli anteriori al Contra Noetum. Cf anche<br />

Hippolyte, Contre les hérésies, ed. P. Nautin, Paris 1949, e ancora P. NAUTIN,<br />

La controverse sur l’auteur de l’Elenchos, in «(1952), 5-43. P. NAUTIN, Ippolito,<br />

in “DPAC” 1793-1795.<br />

Per la ricostruzione di tutta la problematica ippolitiana, autore ed opere,<br />

rimandiamo allo studio presentato nella giornata di studio del 23 ottobre 1976<br />

a Roma, all’Augustinianum, da A. LOI, La problematica storico-letteraria su<br />

Ippolito di Roma, in AV, Ricerche su Ippolito, (Studia Ephemeridis<br />

Augustinianum, 13), Roma 1977, 9-16.<br />

29 M. SIMONETTI, Due note su Ippolito, in AV, Ricerche su Ippolito, (Studia<br />

Ephemeridis Augustinianum, 13), Roma 1977, 121-136.<br />

30 J. FRICKEL, Das Dunkel um Hippolyt von Rom. Ein Lösungsversucht: Die<br />

Schriften Elenchos und Contra Noetum, in Grazer Theologische Studien 13,<br />

Graz 1988.<br />

J. FRICKEL, Ippolito di Roma, scrittore e martire, in AV, Nuove ricerche su<br />

Ippolito, (Studia Ephemeridis Augustinianum 30), Roma 1989, 23-41. Cf p.40:<br />

“La struttura teologica comune alle due opere cui abbiamo brevemente accennato<br />

è una novità teologica caratteristica di Ippolito, indizio sicuro, a mio parere,<br />

che l’El ed il Cn non solo rappresentino una medesima teologia del Logos<br />

ma che anche siano opere di un medesimo autore”.


dopo aver preso in considerazione la presa di posizione unionista di<br />

Frickel, ribadisce la sua posizione divisionista. La vexata quaestio<br />

parrebbe per ora chiusa 31 .<br />

Non è intenzione di questo studio proseguire, anche indirettamente,<br />

nel dibattito circa il problema dell’identità dell’autore del<br />

Contra Noetum e dell’Elenchos. Anzi, stiamo alle indicazioni di<br />

Simonetti il quale, oltre a ritenere che abbiamo a che fare con due<br />

autori diversi, un Ippolito asiatico per il Contra Noetum e un<br />

Ippolito romano per l’Elenchos, tenta anche di proporre una<br />

31 Scrive Simonetti (M. SIMONETTI, Aggiornamento su Ippolito, in AV,<br />

Nuove ricerche su Ippolito, (Studia Ephemeridis Augustinianum 30), Roma<br />

1989, 96): “Lo studio di Frickel rappresenta un tentativo veramente notevole di<br />

dimostrare la tesi tradizionale dell’unico Ippolito sulla base di un riesame fondamentale<br />

del rapporto CN/El, considerato il nodo della questione. In realtà<br />

nella questione ippolitiana i nodi sono tanti, e qualcuno ben più aggrovigliato<br />

di quello che pertiene al rapporto delle nostre due opere. Comunque, neanche<br />

in questo ristretto ambito l’ipotesi di soluzione proposta da Frickel ci è sembrata<br />

convincente”. In particolare Simonetti porta un’argomentazione teologica: la<br />

teologia romana dell’El è binitaria, mentre quella asiatica del CN è trinitaria,<br />

includente lo Spirito Santo: Cf l’analisi di Simonetti alle pp 95-96.<br />

Sennonché in un successivo intervento del 1993 lo stesso J. FRICKEL in<br />

Hippolyts Schrift Contra Noetum: ein Pseudo-Hyippolyt, in Logos. Festschrift für<br />

Luise Abramowski, Berlin-New York 1993, 87-123) passa ad accettare la tesi<br />

dei due autori rispettivamente del Contra Noetum e dell’Elenchos.<br />

Ricordiamo che M.-Y Perrin nell’Histoire du <strong>Christi</strong>anisme (dir. Mayeur-Pietri-<br />

Vauchez-Venard),I, “Le nouveau peuple“, 650, n.160, presenta il Contra<br />

Noetum e l’Elenchos come appartenenti a due autori diversi.<br />

Cf anche M. SIMONETTI, Ippolito. Contro Noeto, Roma 2000, cf introduzione<br />

17-146, specialmente la conclusione 127-139, in cui Simonetti, sintetizzando<br />

tutta la vexata quaestio ippolitiana opta definitivamente per i due autori<br />

distinti.<br />

Ai fini del nostro studio non interessa la discussa identificazione dell’autore<br />

romano dell’Elenchos con il presbitero scismatico riscattato dal suo martirio,<br />

secondo l’epigramma di papa Damaso, come invece ci viene proposto ultimamente,<br />

e con linguaggio che ha l’intento di chiudere la questione aperta da<br />

Nautin nel 1947, da Cl. PIERANTONI, El enigma de los dos Hipólitos, in<br />

“Teologia y Vida” 47 (2006), 55-75.<br />

Lo studioso cileno, infatti, ritiene che sia giunto il tempo di concludere la<br />

questione ippolitiana individuando definitivamente due autori distinti per il<br />

Contra Noetum e per l’Elenchos, un Ippolito asiatico, capo di una Chiesa<br />

d’oriente non identificata, come autore antimonarchiano del Contra Noetum,<br />

mentre l’autore dell’Elenchos sarebbe l’Ippolito romano, prete scismatico e poi<br />

riconciliato e identificato con l’omonimo martire che la tradizione romana fa<br />

morire con papa Ponziano in Sardegna sotto Massimino Trace nel 235.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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scrittura e<br />

teologia<br />

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GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

22<br />

cronologia di questi testi in relazione anche con l’Adversus Praxean<br />

di Tertulliano.<br />

Il Contra Noetum si situerebbe tra la fine del II e gli inizi del III<br />

secolo, dopo l’Adversus Haereses di Ireneo, in quanto Ippolito<br />

dimostra di conoscerlo, e prima del 213, cioè prima dell’Adversus<br />

Praxean di Tertulliano 32 . Ma anche l’Elenchos che Simonetti, invece,<br />

attribuisce ad un Ippolito romano verrebbe non solo dopo il<br />

Contra Noetum dell’Ippolito asiatico 33 , ma forse anche dopo<br />

l’Adversus Praxean di Tertulliano 34 .<br />

32 M. SIMONETTI, Due note su Ippolito, in AV, Ricerche su Ippolito, (Studia<br />

Ephemeridis Augustinianum, 13), Roma 1977, 126-129.136, in quanto<br />

“Tertulliano avrebbe conosciuto la dottrina monarchiana in uno stadio più evoluto<br />

di quello che Ippolito dimostra di aver conosciuto nel Contra Noetum”<br />

(p.129).<br />

33 Anche lo Scarpat ritiene l’Elenchos posteriore al Contra Noetum: G.<br />

SCARPAT , Tertulliano. Adversus Praxean, Introd., testo critico, trad. e comm.,<br />

Corona Patrum. Series Latina, Torino 1984, p.XXIV.<br />

34 Così M. SIMONETTI M, Tra Noeto, Ippolito e Melitone, in “RSLR” 31<br />

(1995/3), 393-414, in particolare p. 393 nota 1, in cui Simonetti sintetizza il<br />

suo pensiero: “ ...io considero il Contra Noeto e l’Elenchos composti da due<br />

autori diversi, CN da un Ippolito orientale, probabilmente asiatico, attivo tra la<br />

fine del II e l’inizio del III secolo, l’Elenchos da uno scrittore romano, forse<br />

anch’egli di nome Ippolito, attivo a Roma negli anni 20-30 del III secolo, che<br />

talvolta per comodità definisco Ps-Ippolito”.<br />

Ancora Simonetti in Monarchia e Trinità. Alcune osservazioni su un libro<br />

recente, in “RSLR” 1997/3, 625, ribadisce la sequenza cronologica: Contra<br />

Noetum, Adversus Praxean, Elenchos.<br />

Tuttavia lo stesso Simonetti, pensando all’affermazione riportata dall’autore<br />

dell’Elenchos, secondo cui Callisto avrebbe affermato che: “il Padre ha patito<br />

insieme con il Figlio”, e che Tertulliano attribuisce in modo anonimo ai monarchiani<br />

(Adversus Praxean XXIX, 5: Ergo nec compassus est Pater Filio. Scilicet<br />

directam blasphemiam in Patrem veriti, diminui eam hoc modo sperant, concedentes<br />

iam Patrem et Filium duos esse, si Filius quidem patitur, Pater vero compatitur,<br />

stulti et in hoc. Quid est enim compati quam cum alio pati?», qualora<br />

Tertulliano avesse conosciuto questa affermazione come di Callisto, riportata<br />

dall’Elenchos, allora si dovrebbe concludere che l’Adversus Praxean viene<br />

dopo l’Elenchos. Cf M. SIMONETTI, Studi sulla cristologia del II e III secolo<br />

(Studia Ephemeridis Augustinianum, 44), Roma 1993, 199. 201.<br />

Inoltre M. SIMONETTI , Una nuova proposta su Ippolito, in “Aug” 36/1<br />

(1996) , 13-46, specialmente 28-29. Nella conclusione di questo articolo,<br />

dopo aver criticato le posizioni A. Brent, Hippolytus and the Roman Church in<br />

the third century. Communities in tension before the emergence of a monarchbishop<br />

(Supplementum to Vigiliae <strong>Christi</strong>anae 319, Leiden, E.J. Brill, 1995),


I.1: In Asia, il Contra Noetum 35<br />

Presentiamo le formulazioni patripassiane di Noeto così come<br />

esse sono riferite e contestate dal Contra Noetum dell’Ippolito asiatico<br />

36 , non possedendo nulla della fonte diretta ma solo quanto è<br />

stato riportato e reso oggetto di esame da parte del polemista. Nel<br />

Contra Noetum l’Ippolito asiatico ci informa che Noeto di Smirne,<br />

convocato a Smirne dai beati presbiteri, in un primo momento ritrasse<br />

le sue idee e quindi non fu condannato.<br />

Noeto aveva affermato che se Cristo è Dio, come è preteso dalla<br />

fede cristiana, allora egli deve essere identificato con il Padre<br />

secondo cui il Contra Noetum dovrebbe essere posticipato all’Elenchos,<br />

Simonetti abbozza una nuova ulteriore ipotesi: “Ora, valorizzando l’osservazione<br />

di Brent e il concetto di comunità ippolitiana da lui proposto in piena<br />

luce, si prospetta la possibilità di una ulteriore ipotesi che tenga debito conto<br />

delle varie che sono state finora proposte: Ippolito, di formazione dottrinale esegetica<br />

e retorica asiatica, ancora in giovane età si trasferisce nella Roma di<br />

Zefirino e di Callisto: la composizione di CN si può collocare o ancora in Asia<br />

o appena lui giunto a Roma. Qui in presenza delle polemiche dottrinali che<br />

laceravano quella comunità, egli in quanto aderente alla dottrina del Logos,<br />

prende parte per l’autore di El, da cui è letto e apprezzato, e lo segue, in qualità<br />

di presbitero, quando quello si distacca dalla comunione della comunità<br />

diretta da Callisto e forma una comunità separata. Successivamente, usciti dalla<br />

scena prima Callisto e poi l’autore di El, egli prende le redini della sua comunità<br />

e la riappacifica con la comunità romana diretta da Ponziano, insieme col<br />

quale condivide l’esilio in Sardegna sotto Massimino (235)” (p.45).<br />

35 Si tratta di un ampio frammento dal titolo: “Omilàa Üppolàtou rciepisk’pou<br />

`R’mhj kaã mßrturoj eáj t¬n aâresin Noøtou tin’j” (dal cod. Vat.<br />

Graec 1431, saec. XI-XII). P.Nautin, Hippolyte. Contre les hérésies. Fragment,<br />

étude et édition critique, Paris 1949. Nautin ritiene Ippolito autore del Contra<br />

Noetum, come ultima parte del Syngtagma contro tutte le eresie, perduto, di<br />

Ippolito, di cui parlava Fozio in Bibliotheca 121 (PG 103,401D-404B). Cf<br />

NAUTIN P., Ippolito, in DPAC 1793-1795. Cf anche l’edizione: Hippolytus of<br />

Rome, Contra Noetum, by Robert Butterwoth, Heytrop Monographa, London<br />

1977. Hippolytus Werke, GCS I/2, 241s. M. SIMONETTI, Contro Noeto,<br />

Bologna 2000, 130ss, in cui Simonetti propende a considerare il Contra<br />

Noetum una omelia. (pp.27-33).<br />

36 L’autore del Contra Noetum sarebbe lo scrittore ricordato da Eusebio<br />

(Eusebio, Historia Ecclesiastica VI,20.2: si parla di un Ippolito capo di un’altra<br />

Chiesa, la cui sede resta sconosciuta e in EH VI,20, 2.22 si dà il nome di<br />

alcuni scritti attribuiti a Ippolito, tra i quali Eusebio non elenca il Contra Noetum<br />

e l’Elenchos: cf Sch 41,119-122 (G.Bardy)), e da Girolamo (Girolamo, De viris<br />

illustribus 61: per Girolamo Ippolito è vescovo), vescovo di una qualche sede<br />

asiatica.<br />

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e<br />

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Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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che è Dio. Diversamente non potrebbe essere Dio, per cui al Padre<br />

vengono attribuite le stesse manifestazioni del Figlio incarnato:<br />

nascita, passione e morte.<br />

“Egli disse: Cristo è lo stesso Padre e lo stesso Padre è stato generato<br />

e ha patito ed è morto” (†fh tÿn cristÿn a‹tÿn eênai<br />

tÿn patûra, kaã a‹tÿn tÿn patûra gegenn≈sqai kaã<br />

peponqûnai kaã poteqnhkûnai) 37 . Di fronte, poi, ai presbiteri<br />

che lo convocarono una seconda volta, Noeto insiste sull’unicità di<br />

Dio: “Che male faccio confessando (“un solo Dio 38 ”) il Cristo e “<br />

nessun altro al di fuori di lui 39 ”, che fu generato, che ha patito e<br />

che è morto?”. (Tã oÂn kakÿn poiÒ -üna qeÿndoxßzwn tÿn<br />

crist’n -kaã o‹k ©llon pl¬n a‹to„, gennhqûnpa<br />

paq’nta poqan’nta?) 40 .<br />

La risposta dei presbiteri si appellava alla tradizione (principio di<br />

autorità) senza pretendere una chiarificazione teoretica dell’unica<br />

natura divina (üna Qeÿn doxßzomen) e Cristo, figlio di Dio che<br />

ha sofferto, come ha sofferto, è morto come è morto...” 41 . La<br />

conclusione fu che Noeto fu cacciato dalla Chiesa di Smirne intorno<br />

al 200.<br />

L’autore del Contra Noetum ricorda i passi su cui Noeto faceva<br />

leva per sostenere la tesi dell’unicità divina e l’identificazione di<br />

Dio con il Cristo sofferente, in particolare Es 3,6; Es 20,3 e Is 44,6,<br />

per confessare: “… che se Cristo è Dio, allora egli stesso è il Padre,<br />

infatti Dio è uno solo (oppure, se infatti è Dio) 42 . Patì dunque il<br />

37 Contra Noetum I,4: P. Nautin, Hippolyte. Contre les hérésies. Fragment,<br />

étude et édition critique, Paris 1949, 234-235. Ed. M. Simonetti, Contro<br />

Noeto, Bologna 2000: CN 1,2.<br />

38 ¢na Qe’n, aggiunta fatta dall’editore Nautin e presa da Epifanio, Pan<br />

57,1: GCS 31, 343-344 (1922) (K.Holl-P.Wendland).<br />

39 Kaì o‹k©llon pl¬n a‹to„, aggiunta fatta dall’editore Nautin e presa<br />

anch’essa da Epifanio Pan 57,1: GCS 31, 343.<br />

40 Contra Noetum I,16-18: Nautin 234-235. Simonetti CN 1,6: preferisce<br />

solo il testo: Tã oÂn kakÿn poiÒ doxßzwn tÿn crist’n… senza altre<br />

aggiunte, pur comprensibili alla luce dell’amplificazione che sarà fatta da<br />

Epifanio.<br />

41 Contra Noetum I, 18-20: Nautin 234-235; Simonetti CN 1,6.<br />

42 Questa è la congettura di Nautin “eèj gr ùstãn ” qe’j”, mentre in<br />

V c’è eá. In questo caso, la frase non suona più “uno infatti è Dio”, bensì “se<br />

infatti è Dio”.


Cristo, essendo lo stesso Dio. Dunque patì il Padre, (il Padre) 43<br />

infatti è lo stesso” (Eá oÂn cristÿn ”mologÒ qe’n, a‹tÿj ©ra<br />

ùstãn ” patør, eèj (o eá) gr ùstãn ” qe’$. †paqen d°<br />

cristÿj a‹tÿj applen Qe’j . ÇAra oÂn †paqen patør, -patørgßr<br />

a‹tÿj «n) 44 .<br />

Dalla tesi noetiana emerge una necessaria communicatio idiomatum<br />

tra Padre e Figlio: se la divinità del Figlio è numericamente la<br />

stessa divinità del Padre, allora mentre il Figlio riceve e condivide<br />

la divinità del Padre, contemporaneamente Egli dà al Padre l’attribuzione<br />

della passibilità. Così il Padre assicura la divinità al Figlio,<br />

mentre il Figlio assicura al Padre la passibilità, sciogliendo l’identità<br />

del Padre da una lettura statica e fissista propria della filosofia<br />

ellenista. E mentre per i teologi del Logos le teofanie dell’Antico<br />

Testamento giocano a favore della distinzione, Noeto identifica<br />

nel soggetto delle teofanie divine l’unico Dio che si rende anche<br />

visibile, ad esempio secondo Bar 3,36-38: “Lo stesso è il Dio<br />

unico che poi apparve e dimorò tra gli uomini” (÷ti o‰toj ùstãn<br />

” Qeÿj ” m’noj Ìn kaã fisteron ‘fqeãj kaã toéj<br />

nqrÎpoij) 45 .<br />

Emerge il problema sollevato dai teologi del Logos: Padre e<br />

Figlio sono due o sono uno? In base a Is 45,14-15, Noeto risponde<br />

sostenendo che le Scritture annunciano che “uno è Dio e lo mostrano<br />

visibile”. (üna Qeÿn khr›ssousin aÜ grafaã, to›tou<br />

ùmfano„j deiknumûnou) 46 .<br />

Se pertanto Dio è incontestabilmente uno solo secondo la testimonianza<br />

delle Scritture ebraiche-cristiane, Noeto conclude:<br />

“Allora bisogna che io lo sottometta alla passione (únÿj<br />

-Qeo„- ”mologoumûnou, to„ton (=üna Qe’n) ¤pÿ pßqoj<br />

fûrein). Cristo, infatti, era Dio e ha patito per noi, essendo egli<br />

Padre, affinché potesse pure salvarci”, (cristÿj gr «n Qeÿj<br />

kaã †pascen di>Ωm≠j a‹tÿj applen patør, âna kaã sÒsai<br />

43 Patør, è un’aggiunta di Fabricius, annota l’editore Nautin.<br />

44 Contra Noetum II, 8-10: Nautin 236-237. Ed.Simonetti CN 2,3: Eá oÂn<br />

cristÿn ”mologÒ qe’n, a‹tÿj ©ra ùstãn ” patør, eèj gr ùstãn ” Qe’j.<br />

†paqen d° crist’j, a‹tÿj applen Qe’j .Ara oÂn †paqen patør, -patør- gr<br />

a‹tÿj «n.<br />

45 Contra Noetum II,17: Nautin 236-237.<br />

46 Contra Noetum II, 25-26: Nautin 236-237. Ed. Simonetti CN 2,6.<br />

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del concetto cristiano di Dio<br />

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Ωm≠j dunhq≈) 47 . Noeto adduce anche la motivazione soteriologica<br />

che esige la divinità del Figlio e di conseguenza la sua identificazione<br />

con il Padre, perché la sua sofferenza e la sua morte diversamente<br />

non potrebbero essere salvifiche. In questo Noeto implicitamente<br />

contesta una lettura moraleggiante della <strong>Passio</strong>ne e della<br />

Morte di Cristo che correvano il rischio di produrre i teologi del<br />

Logos. Il dossier scritturistico che Ippolito asiatico menziona di<br />

Noeto include anche alcuni testi del Nuovo Testamento per confermare<br />

l’unicità divina applicata a Cristo. Il primo è tratto da Paolo<br />

(Rom 9,5): “I padri dai quali (proviene) il Cristo secondo la carne,<br />

lui che è il Dio di tutte le cose, benedetto nei secoli”. (Ún oÜ<br />

patûre$, ùx Ún ” cristÿ$ tÿ kat sßrka, ” applen ùpã<br />

pßntwn Qeÿ$ e‹loghtÿ$ eá$ to‡$ aáÒna$) 48 . In questo<br />

modo le Scritture cristiane sono in sintonia con le Scritture ebraiche.<br />

Più avanti, nel corso della ricostituzione della dottrina trinitaria<br />

secondo i moduli della teologia del Logos, l’Ippolito del<br />

Contra Noetum menziona altri due passi del Nuovo Testamento<br />

piegati da Noeto a favore della sua tesi: Gv 10, 30 e Gv 1,1. Gv<br />

10,30 sarebbe stato utilizzato da Noeto con la seguente interpretazione:<br />

“Io e il Padre sono (eámà) uno (ün)”, invece di “siamo”<br />

(ùsmûn). È in questo medesimo contesto dell’esegesi di Gv 10,30<br />

che Ippolito asiatico detta la sua formulazione secondo l’economia<br />

49 della teologia del Logos: “`d›o pr’swpa †deixen,<br />

d›namin d° màan”, cioè a Noeto è contrapposta, e per la prima<br />

volta ricorrendo al termine “prosopon”, la formula per cui “Padre<br />

e Figlio sono due prosopa e una sola dynamis” 50 , a scanso di ogni<br />

loro identificazione.<br />

A proposito di Gv 1,1 Noeto per evitare la distinzione tra Dio e<br />

Logos avrebbe parlato semplicemente di una distinzione allegorica<br />

tra i due 51 .<br />

47 Contra Noetum II, 27-32: Nautin 236-237. Ed. Simonetti CN 2,7.<br />

48 Contra Noetum II, 30-32: Nautin 236-239. Ed. Simonetti CN 2,8.<br />

49 Economia è il termine che Ippolito contrappone a monarchia: Contra<br />

Noetum III, 8; IV, 12.23-25; VIII, 1-7.<br />

50 Contra Noetum VII, 1-4: Nautin 246-247.<br />

51 Contra Noetum XV, 2-3: Nautin 256-257: “ Giovanni parla infatti di<br />

Logos, ma egli non fa altro che allegorizzare”.


L’autore del Contra Noetum tira la conclusione delle tesi di<br />

Noeto per preparare poi la contestazione e l’esposizione della sua<br />

teologia trinitaria in vista di distinguere il Padre dal Figlio-Cristo<br />

grazie alla categoria del Logos e al ricorso al termine prosopon:<br />

“Lo stesso Cristo è il Padre, lo stesso è il Figlio, lo stesso fu generato,<br />

lo stesso patì e lo stesso risuscitò se stesso (A‹tÿ$ ùstã cristÿ$<br />

” patør, a‹tÿ$ uÜ’$, a‹tÿ$ ùgennøqe, a‹tÿ$ †paqen,<br />

a‹tÿ$ úautÿn ¡geiren)” 52 .<br />

Vedendo il Padre e il Figlio l’uno di fronte all’altro, Ippolito non<br />

intende cadere nel diteismo: “E così un altro si pone di fronte a sé,<br />

dicendo un altro non dico due dei, ma come la luce dalla luce o come<br />

l’acqua dalla fonte o come il raggio dal sole. Una sola è la d›namij,<br />

quella che viene dal tutto. Il tutto è il Padre, dal quale la d›namij,<br />

il Logos. Che è il no„j, che entrato nel cosmo si mostrò Figlio di<br />

Dio: tutto da lui, ma solo lui dal Padre…” 53 .<br />

Ippolito legge le Scritture a favore della distinzione dell’oákonomàa.<br />

A proposito di Gv 1, 1 egli sostiene: “Non dico due dei ma uno<br />

e due pr’swpa secondo l’economia; e come terza la grazia<br />

(cßrin) dello Spirito Santo. Il Padre, infatti, è uno, ma i pr’swpa<br />

sono due, perché c’è anche il Figlio e lo Spirito Santo. Il Padre<br />

comanda, il Figlio realizza, mentre il Figlio è mostrato e per mezzo<br />

del quale il Padre è creduto 54 .<br />

Senonché, sebbene questa formulazione fosse assai chiara per<br />

salvare l’unità divina e la distinzione, la teologia del Logos dal<br />

punto di vista della terminologia realmente non riusciva a salvare<br />

l’unità divina, come i monarchiani patripassiani non riuscivano a<br />

teorizzare la distinzione.<br />

Ippolito, infatti, inserisce una rottura cronologica e subordinazionista<br />

nella generazione del Logos dal Padre: “Quando volle, come<br />

volle generò il suo Logos-Sapienza in vista della creazione” 55 .<br />

Ci sono, cioè, dei punti fortemente deboli da entrambe le parti,<br />

come da entrambe le parti sono evidenziati degli apporti positivi.<br />

I monarchiani puntano forte sull’unità divina e, in quanto patripas-<br />

52 Contra Noetum III, 8-9: Nautin 238-239. Ed. Simonetti CN 3,2.<br />

53 Contra Noetum XI, 1-5: Nautin 252-253. Ed. Simonetti CN 11,1.<br />

54 Contra Noetum XIV, 1ss: Nautin 254-257. Ed. Simonetti CN 14,1-4.<br />

55 Contra Noetum X, 3ss: Nautin 250-253. Ed. Simonetti CN 10,3-4.<br />

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Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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scrittura e<br />

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siani, non dissociano il Padre dalla sofferenza del Figlio, a scapito<br />

della distinzione dei due. L’Ippolito asiatico, tra i teologi del<br />

Logos, evidenzia la distinzione, ma sottoponendo l’esistenza del<br />

Figlio-Logos alla volontà cronologica del Padre. E quindi, ultimamente,<br />

il Logos rischia, per lo meno terminologicamente, di non<br />

essere più Dio.<br />

Ippolito, volendo comunque parare l’obiezione che poteva essere<br />

fatta alla sua affermazione secondo cui il Padre generò il Logos<br />

quando volle e come volle, recupera la convinzione che “Il Logos di<br />

Dio era fin dall’inizio e che è stato inviato adesso” 56 per l’incarnazione.<br />

Per sostenere la sua tesi egli ricorre ad Apoc 19,11-13, dove<br />

si mostra che il Logos di Dio è dall’inizio e ora fu inviato e discese:<br />

il mantello di sangue è simbolo della carne del Logos, per mezzo<br />

della quale l’impassibile Logos di Dio venne nella <strong>Passio</strong>ne (di> >∆j<br />

kaã ¤pÿ pßqoj «lqen ” paq¬j to„ Qeo„ l’goj) 57 . Ippolito<br />

conferma Apoc 19,11-13 con Mi 2,7-8 per asserire che il Logos sofferse<br />

nella carne (to„t> £stin tÿ sarkã paqeén a‹t’n).<br />

Ai monarchiani, che quanto all’incarnazione erano doceti, perché<br />

per loro Gesù resta uomo rivestito d’una potenza divina, Ippolito<br />

ribatte che si tratta invece di vera incarnazione del Logos in vista<br />

della <strong>Passio</strong>ne e che il soggetto dell’incarnazione è il Logos.<br />

Tuttavia, nello stesso tempo esprime la sua preoccupazione contro la<br />

passibilità divina: il Logos impassibile divenne passibile nel “mantello<br />

di sangue”, simbolo della sua carne. In base a Gv 16,27 è confermata<br />

l’incarnazione del Logos: “La d›namij paterna, cioè il<br />

Logos, scese dal cielo e non lo stesso Padre…e solo il Logos è uscito<br />

dal Padre” 58 . E ancora si chiede in termini di chiara cristologia<br />

pneumatica, secondo l’identificazione stoica: “Chi fu il generato da<br />

lui, se non lo spirito, cioè il Logos?” 59 . La conclusione del trattatello<br />

di Ippolito è una sintesi della economia divina, dove è ribadita la<br />

56 Contra Noetum XV, 4: Nautin 256-257. Ed. Simonetti CN 15,6-7.<br />

57 Contra Noetum XV, 3ss: Nautin 256-259. Ed. Simonetti CN 15,3.<br />

58 Contra Noetum XVI, 1-5: Nautin 258-259. Gv 16,27: “Io uscii dal Padre<br />

e vengo”. Ed. Simonetti CN 16,1.<br />

59 Contra Noetum XVI, 6-7:Nautin 258-259; Ed. Simonetti CN 16,2-3. Si<br />

tratta dell’uso di “spirito” non solo per indicare genericamente la natura divina,<br />

ma come altro modo di indicare il Logos: cf M. SIMONETTI, Note di cristologia<br />

pneumatica, in “Aug” 12 (1972), 203s.


distinzione del Padre e del Logos, unito al Padre e inviato da lui per<br />

l’incarnazione e la salvezza grazie alla <strong>Passio</strong>ne e Resurrezione,<br />

descritte in termini marcatamente antidoceti 60 .<br />

La notizia di Epifanio su Noeto<br />

Epifanio in Pan 57 61 a proposito di Noeto riprende e sintetizza,<br />

confermando sostanzialmente le notizie già incontrate nel Contra<br />

Noetum.<br />

Di propria autorità ed orgoglio 62 ha osato dire che il Padre ha sofferto<br />

(tÿn patûra peponqûnai). Convocato dai beati presbiteri,<br />

fu interrogato su tutte queste cose e sulla bestemmia relativa al<br />

Padre. La prima volta davanti al presbiterio negò...Ma dopo aver<br />

infettato altri...cominciò a insegnare apertamente...Allora gli stessi<br />

presbiteri lo convocarono di nuovo. Questa volta lui con i suoi adepti<br />

apertamente entrò in urto: “Che male ho fatto perché confesso<br />

un solo Dio? Io conosco un solo Dio e nessun altro accanto a lui,<br />

ed egli è nato, ha sofferto ed è morto (tã gr kakÿn pepoàhka<br />

÷ti üna Qeÿn doxßzw; üna Qeÿn ùpàstamai kaã o‹k<br />

©llov pl¬n uto„ gennhqûnta peponq’ta poqan’nta).<br />

60 Contra Noetum XVII: Nautin 262-265; Ed. Simonetti CN 17,3s: “…Uno<br />

è il Padre, presso il quale sta il Logos, per mezzo del quale fece tutte le cose,<br />

e che negli ultimi tempi, come abbiamo detto sopra, il Padre inviò per la salvezza<br />

degli uomini. Questi fu annunciato dalla Legge e dai Profeti come veniente<br />

nel mondo. Nel modo in cui fu annunciato apparve e manifestò se stesso.<br />

Diventato uomo nuovo dalla Vergine e dallo Spirito Santo, avendo ciò che è<br />

celeste dal Padre come Logos, mentre quello che è terrestre dal vecchio Adamo<br />

incarnandosi nella Vergine. Il medesimo entrando nel mondo apparve Dio<br />

incorporato (ùnsÎmatoj), entrando come uomo perfetto, non per fantasia o per<br />

modo di dire, ma veramente fattosi uomo. Così dunque non rifiuta di presentare<br />

le sue qualità umane essendo Dio…”.<br />

61 Epifanio Pan 57,1,1-8: GCS 31, 343-344 (1922) (K. Holl-P. Wendland).<br />

Di suo Epifanio afferma che Noeto, asiatico, è di Efeso. Preso da un altro spirito<br />

che non è quello dei profeti e degli apostoli ha proclamato quello che non<br />

è mai stato l’insegnamento della Chiesa.<br />

62 Epifanio (Pan 57,1,1) aggiunge anche la notizia, conforme al Contra<br />

Noetum, dell’autoidentificazione di Noeto con Mosè ed Aronne: CN 1,11:<br />

Nautin 234-235.<br />

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istanze positive<br />

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Allora espulsero dalla Chiesa lui e gli uomini che aveva istruito<br />

nella sua dottrina...”.<br />

I. 2: In Africa, l’Adversus Praxean 63 di Tertulliano<br />

Prassea è un fantomatico personaggio conosciuto solo da<br />

Tertulliano 64 . Il diavolo trapiantò questa aberrazione dall’Asia a<br />

Roma 65 , dove Prassea diffuse la sua eresia al tempo in cui il vescovo<br />

di Roma stava riconoscendo Montano, prophetiam expulit et<br />

haeresin intulit, Paracletum fugavit et Patrem crucifixit” 66 .<br />

Riportiamo quello che Tertulliano ha colto del patripassianesimo<br />

di Prassea.<br />

Anzitutto Prassea trae un’eresia dalla verità dell’unicità di Dio, in<br />

quanto il Padre stesso è il soggetto dell’incarnazione e della passione,<br />

in forza della pretesa identità di Padre e Gesù Cristo:<br />

“Unicum Dominum, vindicat (diabolus) omnipotentem mundi<br />

conditorem ut et de unico haeresin faciat. Ipsum dicit Patrem<br />

descendisse in virginem, ipsum ex ea natum, ipsum passum, denique<br />

62 Epifanio (Pan 57,1,1) aggiunge anche la notizia, conforme al Contra<br />

Noetum, dell’autoidentificazione di Noeto con Mosè ed Aronne: CN 1,11:<br />

Nautin 234-235.<br />

63 E. EVANS, Tertullian’s Treatise against Praxean, London 1948.: CCL 2,<br />

1157-1205.<br />

G. SCARPAT, Tertulliano. Adversus Praxean, Introd., testo critico, trad. e<br />

comm., Corona Patrum. Series Latina, Torino 1984.<br />

64 L’unica notizia e citazione di Prassea sta solo nell’Adversus Praxean di<br />

Tertulliano. Se fosse reale questo personaggio, come fu possibile che non fosse<br />

citato da nessun contemporaneo? Pare che si tratti semplicemente di un nomignolo.<br />

Prassea deriva da prßssw, colui che si dà da fare, intrigante. M.<br />

SIMONETTI, comunque, alla voce Prassea in DPAC II, 2286 ricorda che “Oggi<br />

si tende a considerare Prassea come il vero nome di un eretico non altrimenti<br />

noto e distinto rispetto agli altri conosciuti da altra fonte”. Cf anche R. CANTA-<br />

LAMESSA, Prassea e l’eresia monarchiana, in “SC” 90 (1962), 28-50.<br />

L’Adversus Praxean fu scritto da Tertulliano montanista, dopo che si era staccato<br />

dagli psichici-cattolici. Siamo dopo il 213. Così pensa E. EVANS,<br />

Tertullian’s Treatise against Praxean, London 1948, 18; M. SIMONETTI, Due<br />

note su Ippolito, in AV, Ricerche su Ippolito, (Studia Ephemeridis<br />

Augustinianum, 13), Roma 1977, 126.<br />

65 Tertulliano, Adversus Praxean I , 4: CCL 2, 1159.<br />

66 Tertulliano, Adversus Praxean I, 5: CCL 2, 1159-1160.


ipsum esse Iesum Christum” 67 . E anche: “Itaque post tempus Pater<br />

natus et Pater passus, ipse Deus dominus omnipotens Iesus Christus<br />

praedicatur” 68 . Per cui il Tertulliano montanista rimprovera Prassea<br />

d’aver messo in fuga il Paraclito e di avere crocifisso il Padre:<br />

“Paracletum fugavit et Patrem crucifixit” 69 .<br />

Tertulliano ritiene Prassea un innovatore di ieri 70 che pretende<br />

difendere l’unità divina contro il diteismo 71 o il triteismo, che include<br />

lo Spirito 72 .<br />

Tertulliano, inoltre, rivendica la praescriptio della Regula fidei<br />

cristiana sopra l’eresia che è recente. Poi, affinché non sembri che<br />

non si sia esaminata l’eresia, per non essere condannata senza essere<br />

stata giudicata ed esaminata 73 , passa ad esporre la sua teologia trinitaria.<br />

Dichiara anzitutto di adottare il termine “monarchia”, che<br />

esprime l’unico comando divino 74 . Ora poiché i monarchiani sostengono<br />

che i due soggetti divini, Padre e Figlio, sono lo stesso (Sed<br />

quia duos unum volunt esse ut idem Pater et Filius habeatur 75 ),<br />

Tertulliano intende esaminare la loro tesi alla luce delle Scritture e<br />

alla luce delle interpretazioni date alle Scritture.<br />

Tertulliano contesta la solitudine divina rivendicata dai monarchiani,<br />

in quanto il Deus rationalis ha sempre avuto con sé la sua<br />

“ratio”, il sermo o il Logos greco 76 .<br />

67 Tertulliano, Adversus Praxean I, 1: CCL 2, 1159.<br />

68 Tertulliano, Adversus Praxean II, 1: CCL 2, 1160.<br />

69 Tertulliano, Adversus Praxean I, 5: CCL 2, 1160.<br />

70 Tertulliano, Adversus Praxean II, 2: CCL 2, 1160.<br />

71 Tertulliano, Adversus Praxean XIII, 2: CCL 2, 1174 e XIII, 6: CCL 2,<br />

1175.<br />

72 Tertulliano, Adversus Praxean XIII, 5: CCL 2, 1175.<br />

73 Tertulliano, Adversus Praxean II, 2: CCL 2, 1160.<br />

74 Tertulliano, Adversus Praxean III, 2: CCL 2, 1161:“Monarchiam, inquit,<br />

tenemus...monarchiam nihil aliud significare scio quam singulare et unicum<br />

imperium”.<br />

75 Tertulliano Adversus Praxean V, 1: CCL 2, 1163: “Sed quia duos unum<br />

volunt esse ut idem Pater et Filius habeatur, oportet et totum de Filio examinari,<br />

an sit et qui sit et quomodo sit et ita res ipsa formam suam scripturis et interpretationibus<br />

earum patrocinantibus indicabit”.<br />

76 Tertulliano Adversus Praxean V, 2-3: CCL 2, 1163: “Ceterum ne tunc quidem<br />

solus; habebat enim secum quam habebat in semetipso, rationem suam scilicet.<br />

Rationalis enim Deus et ratio in(tra) ipsum prius et ita ab ipso omnia. Quae<br />

ratio sensus ipsius est. Hanc Graeci l’gon dicunt...” e che Tertulliano traduce<br />

in latino con il termine sermo.<br />

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per l’elaborazione<br />

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Tertulliano menziona anche la convinzione dei monarchiani<br />

secondo cui il Padre s’è fatto Figlio di se stesso…Ipse se - inquiunt,<br />

filium se fecit 77 . Per i monarchiani, infatti, riferendosi a Lc 18,27; Mt<br />

19,26.35 e 1 Cor 1,27 non fu difficile per Dio fare da Padre e da<br />

Figlio nello stesso tempo, contrariamente alla consuetudine delle<br />

cose umane. Infatti, non fu difficile per Dio che anche una sterile e<br />

una vergine partorissero contro natura 78 .<br />

Tertulliano obietta che non è possibile la coincidenza di Padre e<br />

di Figlio, perché è il padre che fa il figlio e il figlio fa essere padre<br />

il padre 79 . E se i monarchiani insistono nell’affermare la possibilità<br />

della coincidenza di Padre e Figlio, perché nulla è impossibile a Dio,<br />

allora, si può pure affermare in modo ironico che era opportuno che<br />

il Padre fosse crocifisso: “oportebat et Patrem crucifigi” 80 . Contro<br />

la tesi monarchiana “ne, ut vestra perversitas infert, Pater ipse<br />

credatur natus et passus”, dell’identità Padre-Figlio Tertulliano<br />

porta i passi di Ps 44,2; Ps 109,3; Pr 8,22; Is 42,1; Is 61,1 per<br />

sostenere che Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre 81 , mentre Padre<br />

e Figlio non sono due dei 82 .<br />

Rimprovera ai monarchiani di scartare tutto l’ordinamento della<br />

disposizione divina che fin dall’inizio includeva il Figlio, per<br />

affermare che ogni forma di visibilità, incarnazione e sofferenza di<br />

Dio era da attribuirsi al Padre: “ipsum credunt Patrem et visum et<br />

77 Tertulliano Adversus Praxean X, 1: CCL 2, 1169. Cf anche Adversus<br />

Praxean XI,1 : CCL 2, 1170 « Porro qui eundem Patrem dicis et Filium, eundem<br />

et protulisse ex semetipso facis et prodisse ».<br />

78 Tertulliano Adversus Praxean X, 7: CCL 2, 1170: “Ergo-inquiunt- difficile<br />

non fuit Deo ipsum se et patrem et filium facere adversus traditam formam humanis<br />

rebus. Nam et sterilem parere contra naturam difficile Deo non fuit, sicut nec<br />

virginem”.<br />

79 Tertulliano, Adversus Praxean X, 2-6: CCL 2, 1169: “At quin pater filium<br />

facit et patrem filius et qui ex alterutro fiunt a semetipsis sibi fieri nullo modo<br />

possunt, ut pater se sibi filium faciat et filius se sibi patrem praestet”.<br />

80 Tertulliano, Adversus Praxean X, 8 : CCL 2, 1170.<br />

81 Tertulliano Adversus Praxean XIII, 5: CCL 2, 1175: “Absit. Nos enim qui<br />

et tempora et causas scripturarum per Dei gratiam inspicimus, maxime<br />

Paracleti, non hominum discipuli, duos quidem definimus, Patrem et Filium et<br />

iam tres cum Spiritu sancto secundum rationem oikonomiae, quae facit<br />

numerum, ne, ut vestra perversitas infert, Pater ipse credatur natus et passus,<br />

quod non licet credi quoniam non iota traditum est”.<br />

82 Tertulliano Adversus Praxean XIII, 6-10: CCL 2, 1175-1176.


congressum et operatum et sitim et esuriem passum” 83 . Per<br />

Tertulliano, invece, secondo Is 40, 28 Dio non ha fame né sete 84 .<br />

Se Gv 10, 15.17.24 parla di tradimento di Gesù, in effetti i<br />

monarchiani parlano di tradimento del Padre 85 .<br />

A questo punto, Tertulliano ricorda che anche i monarchiani<br />

affermerebbero la distinzione di Padre e Figlio, ma nel senso che<br />

nella medesima persona distinguono la componente divina, cioè il<br />

Padre, lo spirito, cioè Dio, cioè Cristo, mentre la componente umana<br />

è data dal Figlio, che è la carne, l’uomo, Gesù: “In una persona<br />

utrumque distinguant, Patrem et Filium, dicentes Filium carnem<br />

esse, id est hominem, id est Iesum, Patrem autem Spiritum, id est<br />

Deum, id est Christum” 86 .<br />

Tertulliano pensa che i monarchiani abbiano attinto questo linguaggio<br />

dagli gnostici valentiniani, i quali fanno due di Gesù e di<br />

Cristo, del Figlio e del Padre 87 . Tertulliano, in base a Lc 1,35, e<br />

seguendo pure lui l’impostazione della cristologia pneumatica ritiene<br />

invece che si deve distinguere nel Figlio il Sermo o lo spirito e la<br />

carne di cui lo spirito si è rivestito nell’incarnazione (Sermo et<br />

Spiritus qui cum sermone de Patre voluntate natus est. Igitur sermo<br />

in carne…” 88 ), e non si deve confondere la carne con lo spirito<br />

facendo di essi le due componenti, umana e divina, dell’unica persona,<br />

bensì le componenti divina e umana del Figlio (Neque caro<br />

Spiritus fit neque Spiritus caro. In uno plane esse possunt. Ex his<br />

Iesus constitit, ex carne homo, ex Spiritu Deus” 89 ).<br />

La tesi, poi, che fa di Cristo il Padre (Itaque Christum facis<br />

Patrem...) è respinta da Tertulliano in forza del significato stesso del<br />

83 Tertulliano Adversus Praxean XVI, 7: CCL 2, 1182: “Hinc igitur apparet<br />

error illorum. Ignorantes enim a primordio omnem ordinem divinae dispositionis<br />

per Filium decurrisse, ipsum credunt Patrem et visum et congressum et operatum<br />

et sitim et esuriem passum”.<br />

84 Tertulliano Adversus Praxean XVI, 7: CCL 2, 1182.<br />

85 Tertulliano Adversus Praxean XXIII, 11: CCL 2, 1193: “Sed Praxeas ipsum<br />

vult Patrem de semetipso exisse et ad semetipsum abisse ut diabolus in cor<br />

Iudae non Filii traditionem sed Patris ipsius inmiserit. Nec diabolo bene nec haeretico,<br />

quia nec in Filio bono suo diabolus operatus est traditionem”.<br />

86 Tertulliano Adversus Praxean XXVII, 1-2: CCL 2, 1198.<br />

87 Tertulliano, Adversus Praxean XXVII, 2: : CCL 2, 1198.<br />

88 Tertulliano Adversus Praxean XXVII, 6: CCL 2, 1199.<br />

89 Tertulliano Adversus Praxean XXVII, 14: CCL 2, 1200.<br />

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termine Cristo, cioè “unto”. Se il Padre fosse l’“unto”, da chi sarebbe<br />

unto 90 ?<br />

I monarchiani di Prassea, secondo Tertulliano, affermano che se<br />

nel Cristo incarnato la componente divina rappresenta il Padre e la<br />

componente umana il Figlio, a patire sulla croce fu la componente<br />

umana del Figlio e non il Padre: “Ergo, inquis et nos eadem ratione<br />

(Patrem mortuum 91 ) dicentes qua vos Filium, non blasphemamus in<br />

Dominum Deum, non enim ex divina sed ex humana substantia<br />

mortuum dicimus. Atquin blasphematis, non tantum quia mortuum<br />

dicitis Patrem, sed et quia crucifixum” 92 . Quindi Tertulliano,<br />

appellandosi a Gal 3,13, contesta che il Padre possa essere stato<br />

appeso alla maledizione del legno, a causa del suo scambio con<br />

Cristo: “Maledictio enim crucifixi ex lege in Filium competit, quia<br />

Christus pro nobis maledictio factus est (Gal 3,13), non Pater.<br />

Christum in Patrem convertentes, in Patrem blasphematis” 93 .<br />

Quindi Tertulliano ricorda come i monarchiani avessero in qualche<br />

modo corretto il tiro, per cui invece di parlare di passibilità<br />

diretta del Padre Prassea avrebbe ripiegato sulla compassibilità del<br />

Padre con il Figlio: “Ergo nec compassus est Pater Filio 94 . Scilicet<br />

directam blasphemiam in Patrem veriti, diminui eam hoc modo<br />

sperant, concedentes iam Patrem et Filium duos esse, si Filius<br />

quidem patitur, Pater vero compatitur, stulti et in hoc. Quid est enim<br />

90 Tertulliano, Adversus Praxean XXVIII, 1: CCL 2, 1200.<br />

91 Evans in CCL 2 non fa questa aggiunta “patrem mortuum”, ma si attiene<br />

al testo trovato.<br />

92 Tertulliano, Adversus Praxean XXIX,3: CCL 2, 1206.<br />

93 Tertulliano, Adversus Praxean XXIX, 3: CCL 2, 1206. Tertulliano afferma<br />

invece che in base a Gal 3,13 “Nos autem dicentes Christum crucifixum, non<br />

maledicimus illum, sed maledictum legis referimus, quia nec apostolus hoc<br />

dicens blasphemavit..”. (Adversus Praxean XXIX, 4: CCL 2, 1202).<br />

94 Callisto invece esprimerà questa formula per trovare una via di mezzo tra<br />

le formulazioni monarchiane di Cleomene e di Sabellio e quelle provenienti<br />

dalla teologia del Logos espresse dall’autore dell’Elenchos. Per Callisto il Padre<br />

non ha patito in figura del Figlio ma ha patito insieme (Û ÌappleÂappleÔÓıÂ,Ó·È)<br />

con il Figlio: cf Philos IX,11-12.<br />

Questa formula assume un rilievo notevole, perché essendo una formula che<br />

prende le distanze sia dai teologi del Logos sia dai sabelliani, e per di più<br />

pronunciata da chi molto verosimilmente era diventato vescovo di Roma,<br />

acquista il valore di formula dottrinale, rappresentativa della fede della Chiesa<br />

di Roma. Cf SIMONETTI M., Monarchia e Trinità. Alcune osservazioni su un<br />

libro recente, in “RSLR”, 1997/3, 637.


compati quam cum alio pati? Porro si impassibilis Pater, utique et<br />

incompassibilis; aut si compassibilis, utique passibilis...» 95 .<br />

Tertulliano solleva a Prassea l’obiezione secondo cui per il timore<br />

di parlare di passibilità sostituisce il termine passibile con quello<br />

di compassibile. Ora il Padre è incompassibile nella stessa maniera<br />

che anche il Figlio è impassibile qua Deus. Se invece il Figlio ha<br />

patito come può non aver compatito anche il Padre con lui? 96 , insiste<br />

Tertulliano.<br />

A questo punto Tertulliano, per distinguere il Padre dal Figlio, e<br />

affermare che se quest’ultimo ha sofferto non significa che anche il<br />

Padre abbia sofferto, usa l’immagine della fonte e del fiume, per dire<br />

che se il fiume si inquina, pur appartenendo alla sorgente, questa non<br />

viene inquinata per il fatto che il fiume è inquinato. Così sul piano<br />

divino, se il Figlio soffre, questo non significa che soffra il Padre 97 .<br />

Segue una obiezione che nel testo di Tertulliano che ci è pervenuto<br />

presenta una notevole difficoltà di interpretazione. Se lo Spirito<br />

di Dio, inteso come natura divina alla maniera stoica, ma anche<br />

secondo Rom 1, 4, potesse patire nel Figlio e non nel Padre, non<br />

dovrebbe patire anche il Padre? È sufficiente affermare che la natura<br />

divina (lo Spirito) non patì in se stessa, perché se il Padre patì<br />

qualcosa, patì nel Figlio, col Figlio, cioè nella carne.<br />

Anche nel credente accade qualcosa di analogo. Non si può patire<br />

per Dio se non abita in noi lo Spirito di Dio. Non è lo Spirito che<br />

patisce, ma lo Spirito dà la possibilità di patire 98 .<br />

95 Tertulliano Adversus Praxean XXIX, 5 : CCL 2, 1203.<br />

96 Tertulliano Adversus Praxean XXIX, 6: CCL 2, 1203: “Times dicere passibilem<br />

quem dicis compassibilem. Tam autem (in)compassibilis Pater est quam<br />

impassibilis etiam Filius ex ea condicione qua Deus est. Sed quomodo Filius<br />

passus est, si non compassus est et Pater? Separatur a Filio, non a Deo”.<br />

Tertulliano è colui che introduce nel latino cristiano il termine impassibilis<br />

opposto a passibilis: Cf BRAUN R., ‘Deus <strong>Christi</strong>anorum’. Recherches sur le<br />

vocabulaire doctrinal de Tertullien, Paris 1962, 63-65. E il termine impassibilis<br />

tornerà solo con Girolamo ed Agostino.<br />

97 Tertulliano Adversus Praxean XXIX, 6: CCL 2, 1203: “Nam et fluvius si aliqua<br />

turbulentia contaminatur, quamquam una substantia de fonte decurrat nec<br />

secernatur a fonte, tamen fluvii iniuria non pertinebit ad fontem; et licet aqua<br />

fontis sit quae patiatur in fluvio, dum non in fonte patitur sed in fluvio, non fons<br />

patitur, sed fluvius qui ex fonte est”.<br />

98 Tertulliano Adversus Praxean XXIX, 7: CCL 2, 1203: “Ita et Spiritus Dei<br />

qui pati possit in Filio. Quia non in Patre pateretur sed in Filio, Pater passus non<br />

vide(re)tur? Sed sufficit nihil Spiritum Dei passum suo nomine, quia, si quid passus<br />

est, in Filio quidem erat ut Pater cum Filio pateretur in carne. Quia hoc<br />

retractatum, nec quisquam negabit, quando nec nos pati pro Deo possumus nisi<br />

Spiritus Dei sit in nobis qui et loquitur de nobis quae sunt confessionis, non ipse<br />

tamen patiens sed pati posse praestans”.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

9-39<br />

teologia<br />

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sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

GIANNI SGREVA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

36<br />

Quindi, fondandosi su Mt 27,46: “Deus meus, Deus meus, ut quid<br />

me dereliquisti”, Tertulliano obietta a Prassea che si possono dare<br />

due possibilità, o è il Figlio ad essere abbandonato o, se era il Padre<br />

a soffrire, verso quale Dio egli si rivolgeva? La conclusione è che la<br />

voce che grida sulla croce è la voce dell’umanità del Figlio, della<br />

sua carne e della sua anima, non quella del “Sermo” o dello Spirito,<br />

cioè non poteva essere la voce di Dio, e la voce fu emessa per<br />

mostrare che Dio è invece impassibile 99 . L’obiezione di Tertulliano<br />

a Prassea si fonda anche su Rm 8,32 : “Se il Padre non risparmiò il<br />

Figlio” e Is 53,6 : “E il Signore lo consegnò per i nostri delitti”. Il<br />

Padre non abbandonò il Figlio nelle cui mani aveva posto il suo spirito.<br />

La morte avvenne quando il Figlio depose lo spirito, perché finché<br />

lo spirito resta nella carne non si può morire. La morte del Figlio<br />

avvenne quando fu lasciato dal Padre. È il Figlio dunque che muore<br />

ed è risuscitato dal Padre 100 .<br />

Tertulliano conclude sottolineando l’allineamento al monoteismo<br />

ebraico del monarchianesimo di Prassea, il quale, identificando<br />

numericamente Padre, Figlio e Spirito Santo, esclude ogni differenza<br />

tra ebrei e cristiani e vanifica la necessità del Vangelo, sostanza<br />

del Nuovo Testamento che conserva la legge e i profeti fino a<br />

Giovanni, qualora non fosse accolta nell’unicità divina la compresenza<br />

di tre soggetti, Padre e Figlio e Spirito Santo 101 .<br />

Nel Nuovo Testamento Dio volle rinnovare la presentazione della<br />

dottrina: Dio, infatti, è creduto uno attraverso il Figlio e lo Spirito,<br />

in modo tale che ora si ha la conoscenza di Dio, dei suoi attributi e<br />

99 Tertulliano Adversus Praxean XXX, 1-2: CCL 2, 1203: “Ergo aut Filius<br />

dereliquit; aut si Pater erat qui patiebatur, ad quem deum exclamabat ? Sed<br />

haec vox carnis et animae, id est hominis, non Sermonis nec Spiritus, id est non<br />

Dei, propterea emissa est ut impassibilem deum ostenderet in mortem».<br />

100 Tertulliano Adversus Praxean XXX, 3 : CCL 2, 1203 : “Ceterum non reliquit<br />

Pater Filium in cuius manibus Filium spiritum suum posuit. Denique posuit et<br />

statim obiit, spiritu enim manente in carne caro omnino mori non potest. Ita<br />

relinqui a Patre mori fuit Filio. Filius igitur et moritur et resuscitatur a Patre secundum<br />

Scripturas…».<br />

101 Adversus Praxean XXXI, 1: CCL 2,1203: «Ceterum iudaicae fidei ista<br />

res, sic unum Deum credere, ut Filium adnumerare ei nolis et post Filium<br />

Spiritum. Quid enim inter nos et illos nisi differentia ista? Quod opus evangelii,<br />

quae est substantia novi testamenti statuens legem et prophetas usque ad<br />

Iohannem, si non exinde Pater et Filius et Spiritus, tres crediti, unum Deum<br />

sistunt?».


delle sue persone, mentre nel passato quando egli parlava attraverso<br />

il Figlio e lo Spirito non lo si capiva 102 .<br />

Ai monarchiani, considerati degli anticristi, il teologo di<br />

Cartagine rimprovera pertanto di negare sia il Padre sia il Figlio.<br />

Negano, infatti, il Padre quando affermano il Figlio e negano il<br />

Figlio mentre credono nel Padre, attribuendo loro quello che non<br />

spetta loro o togliendo loro quello che spetta alla loro identità 103 .<br />

Tertulliano si appella a 1 Gv 4,15, (Qui vero confessus fuerit<br />

Christum Filium Dei) e a 1 Gv 5,10.12 (Qui Filium non habet nec<br />

vitam habet), per ribadire contro i monarchiani e i patripassiani che<br />

Cristo è il Figlio di Dio, non il Padre, cosicché non possiede il Figlio<br />

chi lo crede diverso da quello che il Figlio è 104 .<br />

(continua)<br />

ENG<br />

THE PATRIPASSIAN MOVEMENT:<br />

POSITIVE EXAMPLES FOR ILLUSTRATING THE<br />

CHRISTIAN CONCEPT OF GOD<br />

By Gianni Sgreva, C.P.<br />

In the course of the research which this journal is undertaking on<br />

the Cross and the new image of God, it helps to go back to origins<br />

of the enculturation of faith in thought. This study by Gianni Sgreva,<br />

who teaches at the Franciscan Theological Institute in Jerusalem,<br />

illustrates the difficulty in trying to come across thought categories<br />

which square-up with faith and prayer. At the same time it shows the<br />

extent to which Greek thought structure has influenced the formulation<br />

of faith, forcing the issue of divine pathos to be set on one side,<br />

something which not only the Patripassians, but also Origen and<br />

Gregory the Thaumaturge were sensitive to.<br />

102 Tertulliano Adversus Praxean XXXI, 2: CCL 2, 1204 : «Sic Deus voluit<br />

novare sacramentum, ut nove unus crederetur per Filium et Spiritum, ut coram<br />

iam Deus in suis propriis nominibus et personis cognosceretur qui et retro per<br />

Filium et Spiritum praedicatus non intellegebatur».<br />

103 Tertulliano Adversus Praxean XXXI, 3: CCL 2, 204: «Viderint igitur antichristi<br />

qui negant Patrem et Filium. Negant enim Patrem dum eundem Patrem<br />

credunt, dando illis quae non sunt, auferendo quae sunt.<br />

104 Tertulliano Adversus Praxean XXXI, 3: CCL 2,: «Non habet autem Filium<br />

qui eum alium quam Filium credit».<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

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sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

GIANNI SGREVA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

38<br />

LE MOUVEMENT PATRIPASSIEN:<br />

INSTANCES POSITIVES POUR L’ÉLABORATION<br />

DU CONCEPT CHRÉTIEN DE DIEU<br />

Par Gianni Sgreva c.p.<br />

Dans la recherche que la chaire « Gloria Crucis » et notre revue<br />

poursuivent sur la Croix et la nouvelle image de Dieu, il nous est<br />

agréable de revenir aux origines de l’inculturation de la foi dans la<br />

pensée. Cette étude de Gianni Sgreva, professeur au Centre d’études<br />

théologiques franciscaines de Jérusalem, met bien en évidence<br />

la difficulté inhérente à la recherche des catégories de pensée qui<br />

pourraient satisfaire la foi et la prière. Du même coup apparaît<br />

clairement l’influence que les structures grecques de la pensée ont<br />

eue sur la formulation de la foi, contraignant à approcher le<br />

problème du pathos divin, auquel étaient sensibles, non seulement<br />

les patripassiens, mais aussi Origène et Grégoire le thaumaturge.<br />

EL MOVIMIENTO PATRIPASIANO:<br />

ELEMENTOS POSITIVOS PARA LA ELOBORACIÓN<br />

DEL CONCEPTO CRISTIANO DE DIOS<br />

Por Gianni Sgreva, c.p.<br />

FRA<br />

ESP<br />

Dentro del trabajo que la cátedra Gloria Crucis y esta revista están<br />

desarrollando acerca de la Cruz y de la nueva imagen de Dios,<br />

ayuda mucho el remontarse a los orígenes de la inculturación de la<br />

fe en el ámbito del pensamiento. Este trabajo de Gianni Sgrava,<br />

profesor en el Centro Teológico Franciscano de Jerusalén, ilumina<br />

el esfuerzo que hay que hacer para encontrar categorías de<br />

pensamiento que satisfagan a la fe y a la oración. Y al mismo<br />

tiempo destaca el peso que las estructuras del pensaniento griego<br />

han tenido en la formulación de la fe, obligando a aislar el<br />

problema del “pathos” divino, al que eran muy sensibles no sólo los<br />

llamados “patripasianos”, sino también Orígenes y Gregorio el<br />

Traumaturgo.


GER<br />

DIE MONARCHIANISMUS-BEWEGUNG:<br />

BRAUCHBARE SCHRITTE AUF DEM WEG ZU<br />

EINEM CHRISTLICHEN GOTTESBEGRIFF.<br />

Von Gianni Sgreva CP<br />

Für die wissenschaftliche Studie: Kreuz und neues Gottesbild, die<br />

der Lehrstuhl „Gloria Crucis” zusammen mit dieser Zeitschrift<br />

durchführt, ist es notwendig, bis zu den Anfängen der Inkulturation<br />

christlichen Glaubens in menschliches Denken zurückzugehen. Die<br />

vorliegende Untersuchung von Gianni Sgreva, Dozent am Studium<br />

Biblicum Franciscanum in Jerusalem, macht deutlich, welche Mühe<br />

es bereitet hat, passende Denkkategorien für Glauben und Gebet zu<br />

finden. Zugleich wird darin auch die Problematik betont, die griechische<br />

Denkstrukturen für das Formulieren des Glaubens mit sich<br />

brachten. Wie diese nötigten, das Problem des göttlichen<br />

Pathosbeiseite zu lassen. Dessen waren sich nicht nur die<br />

Monarchianisten, sondern auch Origines und Gregorius der<br />

Taumaturg bewusst.<br />

POL<br />

RUCH PATRYPASJAŃSKI:<br />

ELEMENTY POZYTYWNE DO WYPRACOWANIA<br />

CHRZEŚCIJAŃSKIEGO POJĘCIA BOGA<br />

Gianni Sgreva CP<br />

W badaniach nad krzyżem i nad nowym obrazem Boga, które<br />

prowadzà katedra Gloria Crucis oraz to czasopismo (Sapienza della<br />

Croce) jest bardzo pożyteczne si´gnàç do poczàtku inkulturacji<br />

wiary w kategoriach filozoficznych. Ten artykuł o. Gianni Sgreva,<br />

wykładowcy teologicznego studium franciszkaƒskiego w<br />

Jerozolimie, pokazuje wyraênie wysiłek włożony w poszukiwanie<br />

pojęç, które byłyby odpowiednie do wyrażenia treści wiary i do<br />

modlitwy. Jednocześnie podkreśla się wpływ greckich struktur<br />

myślenia na sformułowania wiary, zmuszajàc do zmarginalizowania<br />

problemu Boskiego pathos, na który wrażliwośç zachowali nie tylko<br />

patrypasjanie, ale także Orygenes i Grzegorz Cudotwórca.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

Il movimento patripassiano:<br />

istanze positive<br />

per l’elaborazione<br />

del concetto cristiano di Dio<br />

9-39<br />

teologia<br />

39


di MARIO CEMPANARI C.P.<br />

Seconda parte dell’articolo pubblicato in Sap Cr XXIII-2008,<br />

pp. 429-454.<br />

Già nel lontano 1954, il<br />

compianto e caro<br />

amico Stanislas<br />

Breton C. P., all’epoca<br />

professore alla<br />

Pontificia Università<br />

di Propaganda Fide in<br />

Roma, pubblicava l’originale e sostanzioso<br />

saggio La <strong>Passio</strong>n du Christ et les<br />

Philosophies 1 , in cui, da vero maître à penser,<br />

gettava il primo seme di una serie di<br />

saggi, studi, articoli di analogo argomento<br />

fioriti sulla <strong>Passio</strong>ne di Cristo in varie pub-<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

LA PASSIONE<br />

DI CRISTO<br />

IN<br />

KIERKEGAARD<br />

Note e ricerche<br />

Seconda parte<br />

blicazioni. In quel volume, da autentico pensatore e profondo studioso<br />

della filosofia, rilevava il forte “choc” (Anstoss) esercitato nei<br />

filosofi contemporanei dal fatto che “mieux qu’une vérité abstraite,<br />

la <strong>Passio</strong>n du Christ a fait penser les philosophes”. L’analisi bretoniana<br />

sul mistero della <strong>Passio</strong>ne e della Croce di Cristo, come vista<br />

dai filosofi contemporanei, si limita principalmente ai due grandi<br />

esponenti del pensiero moderno che all’epoca andavano per la maggiore:<br />

Hegel e Nietzsche. Il primo vedeva nella morte di Cristo “il<br />

Venerdì santo speculativo” (“spekulative Karfreitag”) o “la morte<br />

della ragione” e “la rosa nella croce”; il secondo vedeva nella<br />

morte di Cristo “la morte di Dio” e la croce come “l’albero male- La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

1 BRETON, La <strong>Passio</strong>n du Christ et les philosophies, Edizioni “Eco”, Teramo<br />

1954.<br />

41-68<br />

teologia<br />

41


sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

MARIO CEMPANARI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

42<br />

detto” al quale è appeso il “Dio morto”, e dunque, se Dio è morto, è<br />

nato l’uomo, il “superuomo” con la sua “volontà di potenza”.<br />

Sfortunatamente, nel suo studio, il Breton non offre le sue originali<br />

e profonde analisi sul pensiero di Kierkegaard. La penna del Breton<br />

ci avrebbe lasciato certamente interessantissime pagine sul mistero<br />

della <strong>Passio</strong>ne come vista e vissuta dal danese.<br />

Senza alcuna pretesa e ben lontano da tali acute analisi bretoniane,<br />

queste mie semplici note vogliono evidenziare i sentimenti e la<br />

profonda differenza tra i due pensatori tedeschi, che hanno svuotato<br />

il mistero della <strong>Passio</strong>ne e della croce del loro valore trascendente e<br />

salvifico per ridurlo ad un puro simbolo laico della razionalità<br />

umana, mentre per il danese esso resta l’unica salvezza data all’uomo<br />

dall’infinito amore di Dio. Le note che presento non sono una<br />

sistematica esposizione del pensiero di Kierkegaard sulla <strong>Passio</strong>ne<br />

di Cristo, ma la lettura di testi e passaggi dalle opere del filosofo<br />

danese, specialmente del voluminoso Diario: si vuole semplicemente<br />

leggere “Kierkegaard con Kierkegaard”.<br />

Ho già rilevato nel numero precedente di questa rivista 2 la qualità<br />

di scrittore e pensatore religioso propria di Kierkegaard, il posto<br />

che Dio occupa nel complesso del suo pensiero 3 e ciò che egli essenzialmente<br />

crede e pensa di Cristo, Uomo-Dio. Il Cristo di<br />

Kierkegaard non si dissolve immanentisticamente in una dottrina<br />

che tenta di armonizzarsi con la pura ragione umana (sul tipo di<br />

Spinoza e di Kant); né la persona dell’Uomo-Dio svanisce nel tipo<br />

ideale dell’unità del divino e dell’umano in eterno divenire (come è<br />

per Fichte, Schelling ed Hegel). Kierkegaard non umanizza Cristo<br />

disancorandolo dal Verbo (sulla scia di Feuerbach o di Nietzsche);<br />

ma si tiene fermo ai principi e ai concetti della teologia dell’incarnazione<br />

e della redenzione 4 .<br />

2 Vedi Sap Cr XXIII, 2009, 4, pp. 429-454.<br />

3 A. MORANT, The place of God in the philosophy of Kierkegaard, in<br />

“Giornale di Metafisica”, VIII (1953), n. 2, pp. 207-221; J. COLLINS, The Mind<br />

of Kierkegaard, Chicago 1953, pp.145 ss.<br />

4 Cf. C, FABRO, Studi kierkegaardiani, Brescia 1953, p. 151 ss. Tutta la<br />

problematica teologica di Kierkegaard sulla figura storica di Cristo e della<br />

nostra “contemporaneità” a Lui, converge in tre momenti distinti, secondo le tre<br />

diverse possibilità di scandalo o paradosso che Cristo presenta al credente<br />

secondo la Sua parola: “Beato chi non si scandalizzerà di me” (Lc 7, 23), culminando<br />

nel paradosso dell-Uomo-Dio della croce.


Ci resta ora da delineare più in particolare la posizione del danese<br />

di fronte al grande mistero della consumazione di tutta l’opera<br />

dell’Uomo-Dio: la sua <strong>Passio</strong>ne e morte. E, di riflesso, il significato<br />

che questo mistero assume per noi. Mi pare che, toccando questo<br />

punto, arriviamo al fondo del pensiero e dell’opera di Kierkegaard.<br />

Dalla prospettiva della croce e della redenzione di Cristo dovrebbe<br />

essere veduta e dimensionata tutta la discussa figura del pensatore<br />

danese 5 . Vedremmo allora che la concezione hegeliana della<br />

“rosa nella croce” 6 e del “Venerdì santo speculativo” 7 , sono ben<br />

diversi dalla concezione di Kierkegaard, che considera “la croce<br />

elemento della stella” 8 ed il vero Venerdì santo del cristiano quello<br />

della “imitazione di Cristo” e il seguirlo “nella via stretta” 9 .<br />

I tre momenti sono:<br />

A. Cristo, uomo comune, nella propria situazione: vissuto cioè in quel determinato<br />

tempo, tra quelle persone e morto in quel determinato modo (Scandalo<br />

negativo del disinteressamento).<br />

B. Cristo, Uomo-Dio, nella situazione dell’elevazione: momento universale<br />

della figura del Cristo, il quale, pur essendo uomo singolo, parla ed opera<br />

come fosse Dio e rivendica per sé la divinità (Scandalo negativo passivo).<br />

C. Cristo, Uomo-Dio, nella situazione dell’abbassamento: altro momento<br />

universale del Cristo, che si presenta come Dio, Unigenito del Padre, ma pure<br />

è uomo umile, povero, sofferente, impotente di fronte alla Sua passione e muore<br />

nella ignominia e nell’abbandono come un criminale (Scandalo positivo della<br />

negazione). Quest’ultima, cristianamente, è la figura e il momento più alto di<br />

Cristo, perché fruttò a Cristo la risurrezione e l’ascensione e il trionfo finale sul<br />

peccato ed a noi la redenzione e l’incorporazione a Lui, sofferente e insieme<br />

glorioso.<br />

5 Si legga il passaggio del “Diario”, vol. I, p. 266, VII A 130; S. SPERA,<br />

Introduzione a Kierkegaard, ed. Laterza, Roma-Bari 1983; 2a ed. Milano<br />

2007; S. SPERA, L’edificante: la speranza della salvezza in Kierkegaard, in<br />

Sap Cr., XXII, 3-4 (2007), pp. 355-362.<br />

6 Cf. HEGEL, Grundlinien der Philosophie des Rechts, ed. Lasson, Leipzig<br />

1920, tr. it. Messineo,1954, p. 17. Per un esame del pensiero di Nietzsche,<br />

cf. S. BRETON, op. cit., p. 21 ss. Per un approfondimento del pensiero di<br />

Hegel sulla croce e passione di Cristo, cf. K. LOEWITH, Von Hegel bis<br />

Nietzsche, tr. it. Einaudi, 1949, pp. 36 ss. Per conoscere il pensiero teologico,<br />

rimando a HEGEL, Scritti teologici giovanili, a cura di E. MIRRI,<br />

Guida Editori, Napoli 1972.<br />

7 Cf. K. LOEWITH, Da Hegel a Nietzsche, ed. Einaudi 1949, p. 42 s.<br />

8 KIERKEGAARD, Diario 1837, II A 82<br />

9 KIERKEKAARD, Per l’esame di se stessi, 1851, S. W., XII, 394 ss.; Diario<br />

I A 28.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

41-68<br />

teologia<br />

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sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

MARIO CEMPANARI<br />

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GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

44<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

nell’infanzia<br />

di Kierkegaard<br />

Kierkegaard era<br />

certo un filosofo<br />

ed un intellettuale,<br />

ma viveva<br />

anche gli episodi della<br />

sua umana esistenza,<br />

come straordinariamente sapeva ritenere vive in sé, a lungo, le<br />

meno appariscenti, ma non per questo meno intime e più forti<br />

impressioni del suo animo. La <strong>Passio</strong>ne di Cristo è stata appunto una<br />

di quelle intime e profonde impressioni, anche se la meno appariscente,<br />

che sin dalla prima infanzia, lo colpirono e poi lo accompagnarono<br />

per tutta la vita. Egli stesso ce lo fa comprendere, giacché<br />

ci dice che fu educato in una visione tragica della vita e della religione<br />

cristiana 10 ; Cristo non gli fu presentato, a lui fanciullo, nella<br />

poetica e graziosa figura di tenero bambino nel presepio, tra pastori,<br />

agnellini ed angeli osannanti, ma nell’aspetto tremendo del Dio<br />

che gli uomini avevano portato sulla croce.<br />

E’ significativo a questo riguardo il seguente passaggio:<br />

“Vi era una volta un uomo. Egli era stato educato da bambino<br />

severamente nella religione cristiana. Non aveva udito molto di ciò<br />

che i bambini ascoltano di solito, del piccolo bambino Gesù, di<br />

angeli e di altre siffatte cose. Per contro gli era stata rappresentata<br />

di tanto più frequentemente la immagine del Crocifisso, così che<br />

questa immagine era l’unica immagine e la sola impressione che<br />

egli avesse del Salvatore; per quanto egli fosse un bambino, era già<br />

un vecchio come un uomo giunto alla fine della vita. Questa immagine<br />

lo seguì dunque attraverso tutta la sua vita; egli non riconquistò<br />

più la sua giovinezza, “er wurde niemals junger”, e non riuscì<br />

a liberarsi da questa immagine. Come si racconta di un pittore che<br />

nell’angoscia della sua coscienza non potesse tralasciare di riguardare<br />

verso la immagine dell’ucciso, che lo perseguitava: così egli<br />

nel suo amore non riusciva a liberarsi un solo istante da quella<br />

immagine, che insieme lo attraeva a sé. Ciò che egli aveva creduto<br />

pienamente da fanciullo, che i peccati del mondo esigessero questo<br />

sacrificio; ciò che egli aveva da fanciullo inteso in semplicità, che<br />

10 KIERKEGAARD, Der Gesichtspunkt fur meine Wirksamkeit als<br />

Schriftsteller, hsg. von Hirsch, Düsseldorf/Koeln, 1951, bd. 33, p. 75 ss;<br />

Diario 1849, XI A 8, 78; VIII A 499...


la incredulità degli ebrei fosse nelle mani della provvidenza la condizione<br />

perché l’errore e il timore di quella prima esperienza religiosa<br />

potesse venire inculcato: questo egli credeva e intendeva in<br />

modo immutato” 11 .<br />

A questo impersonale racconto autobiografico, Kierkegaard<br />

aggiunge più chiaramente nel Diario:<br />

“Fin da tenero bambino, mi fu raccontato nel modo più solenne<br />

che la folla sputava su Cristo (Mt 27, 30), ed Egli era la Verità (...),<br />

sputò addosso a Lui e bestemmiava contro di Lui. Questa impressione<br />

l’ho conservata profondamente nel mio cuore, perché anche se vi<br />

sono stati momenti, periodi interi, in cui l’abbia quasi dimenticata,<br />

ci sono poi ritornato sempre come al primo pensiero. Per meglio<br />

nasconderlo, l’ho anche celato sotto l’aspetto esteriormente più<br />

opposto; l’ho celato nel più profondo dell’anima mia, perché temevo<br />

mi scivolasse via troppo presto, che me lo togliessero con frode e<br />

diventasse come un colpo a salve. Questo pensiero (...) è la mia vita.<br />

(...) Sputacchiarono Cristo che era le Verità; e anche se tutto dimenticassi,<br />

non dimenticherò mai (come non ho mai dimenticato) quel<br />

che mi dissero quand’ero bambino, nè l’impressione che faceva sul<br />

bambino. Succede alle volte che un infante si è fidanzato fin dalla<br />

culla a chi un giorno sarà sua sposa o suo marito. In senso religioso<br />

io ero fidanzato fin da bambino (...). Fidanzato a quell’Amore che<br />

da principio e fino a questo momento, malgrado i miei molti traviamenti<br />

e peccati ha abbracciato me” 12 .<br />

Kierkegaard sentì dunque di essere sin dalla nascita segnato dalla<br />

croce e ad essa consacrato; e in dedizione di amore l’accettò, non<br />

come inevitabile, ma come la più alta espressione del cristianesimo,<br />

anzi dello stesso sublime Dio che è Amore. In un passo significativo<br />

del Diario dell’11 maggio 1848, Kierkegaard ci fa conoscere la<br />

sua metamorfosi spirituale, che cominciò sin dall’infanzia, e che lo<br />

portò a comprendere il mistero della croce e della sofferenza:<br />

“...Le anime più profonde o quelle che Iddio ha conformate<br />

meglio per le cose eterne, comprendono subito che dovranno soffrire<br />

durante la vita; non osano domandare a Dio un aiuto talmente<br />

straordinario e paradossale. Ma Dio, nonostante tutto, è l’Amore.<br />

11 KIERKEGAARD, Zwo kleine ethisch-religioese Abhandlungen, S. W. ,<br />

1909-22, vol. X, p. 105 tr. it. da F. LOMBARDI, Kierkegaard, cit. p. 64.<br />

12 KIERKEGAARD, Diario 1849, XI A 272, tr. it. vol. II, p. 155 ss.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

41-68<br />

teologia<br />

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sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

MARIO CEMPANARI<br />

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teologia<br />

46<br />

Niente di più certo. Quindi si rassegnano. E poichè l’Eterno sta loro<br />

accanto, trovano pace, sempre nella felice certezza che Dio è<br />

amore...<br />

...La maggiore parte degli uomini non arriva affatto alla fede...;<br />

gli individui eccezionali cominciano in un modo tutto opposto: da<br />

bambini dialetticamente, cioè senza immediatezza: cominciano<br />

subito con la riflessione, e vivono così per anni (...); e poi, in età più<br />

matura, intravedono la possibilità della fede. Perché la fede è l’immediatezza<br />

che viene dopo la riflessione.<br />

Le nature eccezionali hanno naturalmente un’infanzia ed una<br />

giovinezza molto infelice, perché dall’essere essenzialmente riflessivi<br />

in quell’età (...) nasce la malinconia più profonda (...). Ma l’infanzia<br />

e la giovinezza infelice delle nature eccezionali si trasfigurano<br />

in spirito” 13 .<br />

Questo passaggio, di chiaro tono autobiografico, si allinea a tanti<br />

altri che ci rivelano un Kierkegaard pensoso sin dalla fanciullezza al<br />

problema del Dio crocifisso, Dio d’amore. Il filosofo ricorda poi<br />

ancora da adulto e con esattezza l’impressione penosa che gli faceva<br />

il Crocifisso, quando, da bambino, uscendo a passeggio col vecchio<br />

padre per le vie della città, lo trovava sempre esposto in una<br />

vetrina di un negozio, messo con gli altri soldatini o pupazzetti di<br />

carta pesta di Norimberga: gli sembrava una profanazione e nello<br />

stesso tempo gli rivelava quanto l’altissimo mistero del Cristo crocifisso<br />

fosse stato imborghesito e camuffato dal cristianesimo superficiale,<br />

“che onora Cristo con il seppellirlo, e sapere con certezza<br />

ch’Egli dunque è morto” e non ci infastidisce con questa morte 14 .<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo produsse tale forte impressione in<br />

Kierkegaard, che egli pensò più volte di scriverne un libro ex professo<br />

15 ; tuttavia si può dire che egli ce ne ha dato, qua e là nelle sue<br />

opere, un ampio approfondimento ed una personale meditazione. Il<br />

cristianesimo di Kierkegaard, infatti, ci sarebbe incomprensibile e si<br />

potrebbe fraintendere come una specie di pessimismo della vita;<br />

mentre invece egli muove dalla croce ed attraverso la via della<br />

croce va al Dio che è amore 16 .<br />

13 IDEM, Diario 1848, VIII A 649, tr. it. vol. I, p. 418 s:<br />

14 IDEM, Ibid. 1852, X 4 A 507, II, p. 568.<br />

15 IDEM, Ibid., VIII A 271, 469; XI A 323...<br />

16 IDEM, Ibid., 4 A 624, vol. II, p. 596.


Kierkegaard non si propone di speculare e di “vivere del fatto che<br />

Cristo è stato crocifisso”, non intende la <strong>Passio</strong>ne e la morte del<br />

Redentore come molti gaudenti pastori del suo tempo 17 , ma anela<br />

solo patire per Cristo, imitandolo, perché egli conosce e ricorda la<br />

frase dell’Imitazione di Cristo: “Tota vita <strong>Christi</strong>, crux et martyrium<br />

fuit” 18 . Ed egli, per tutta la sua vita, meditando fra sé il mistero della<br />

croce, voleva svelare a se stesso i recessi di quel cuore divino che ci<br />

redense. Se dobbiamo credere ad un principio di Kierkegaard: “La<br />

saggezza dell’uomo consiste proprio nel giudicare rettamente della<br />

propria infanzia e giovinezza, e nel fatto che la vita esprima veramente<br />

il proprio pensiero” 19 , allora dovremmo concludere che tutta<br />

la saggezza di Kierkegaard viene dall’aver pensato e vissuto la<br />

<strong>Passio</strong>ne di Cristo sin dalla sua infanzia e giovinezza.<br />

Peccato<br />

e redenzione<br />

Il “point de départ”<br />

della soteriologia<br />

kierkegaardiana (e<br />

di tutta la più scottante<br />

problematica del dane-<br />

se) muove dal concetto teologico (e non semplicemente ed ambiguamente<br />

filosofico) del peccato, che trova l’unica soluzione possibile<br />

nella redenzione di Cristo. “Chi, nel rapporto con la colpa, viene<br />

educato dall’angoscia, troverà quiete soltanto nella Redenzione” 20 .<br />

Con questa categorica affermazione di principio termina la profonda<br />

analisi che Kierkegaard fa dell’angoscia, la quale genera la caduta<br />

dell’uomo nel peccato e assieme ne deriva. Il peccato, l’essere nel<br />

peccato, è un elemento essenziale per stabilire un rapporto di opposizione<br />

e di superamento all’elemento cristiano della fede 21 , i quali<br />

due elementi trovano la loro più alta soluzione e valorizzazione<br />

nella redenzione dell’Uomo-Dio.<br />

Il contrasto cristiano peccato-fede porta necessariamente alla<br />

realtà dell’Uomo-Dio redentore. E’ la “coscienza angustiata” dal<br />

17 IDEM, Ibid. 1854, XII A 262, vol. III, p. 147.<br />

18 IDEM, Ibid. 1851, X 4 A 354, vol. II, p. 536...<br />

19 IDEM, Ibid. 1849, X 297, vol. II, p. 254.<br />

20 IDEM, Il concetto dell’angoscia, tr. it. Firenze 1953, p. 202.<br />

21 IDEM, La malattia mortale, tr. it, Milano, p. 366.<br />

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scrittura<br />

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teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

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MARIO CEMPANARI<br />

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peccato che comprende il valore del cristianesimo. Non si tratta però<br />

solo di una comprensione speculativa:<br />

“...Mi dirai: La Redenzione io non la posso capire”. Qui dovrei<br />

domandarti: In quale senso tu la vuoi capire? Nel senso della<br />

coscienza angustiata o in quello della speculazione indifferente e<br />

oggettiva? Se uno vuol starsene tranquillo e oggettivo al tavolino<br />

a speculare: come potrà capire la necessità della Redenzione?<br />

Una redenzione è necessaria solo per una coscienza angustiata.<br />

Se fosse in potere dell’uomo il vivere senza necessità di mangiare,<br />

come potrebbe comprendere quel bisogno di mangiare che<br />

l’affamato capisce così facilmente? Altrettanto dicasi nel campo<br />

dello spirito” 22 .<br />

Ma non si creda che Kierkegaard voglia naturalizzare e razionalizzare<br />

la redenzione alla stregua della “Versöhnung” hegeliana; ciò<br />

lo possiamo desumere dalla posizione generale di Kierkegaard di<br />

fronte al cristianesimo hegeliano, come pure in particolare dalla<br />

diversa valutazione teologica che il danese fa del mistero dell’incarnazione<br />

e della redenzione: diversità che fa leva, lo ripetiamo, sull’interpretazione<br />

strettamente storico-teologica della vita di Cristo.<br />

Per Hegel Cristo non è assolutamente e semplicemente l’Uomo-Dio:<br />

la Sua vita, <strong>Passio</strong>ne e morte non hanno più il senso della cristologia<br />

di Atanasio d’Alessandria e del concilio di Nicea; il suo Cristo è<br />

assorbito nel generale “divenire” della storia umana, la quale è<br />

insieme “riconciliazione”, “redenzione” (Versöhnung) 23 e giudizio<br />

del mondo (Weltgeschichte als Weltgericht, il giudizio della storia<br />

del mondo come giudizio universale del mondo). Perciò Cristo è al<br />

più un simbolo, non una realtà; un mito, non una persona.<br />

Kierkegaard non può accettare questo panmediazionismo, vuoto di<br />

realtà teologica, e reagisce non solo partendo da principi più generali<br />

24 , ma si determina in particolari posizioni ed atteggiamenti, visibilissimi<br />

ad ogni più elementare raffronto.<br />

Cos’è il peccato per Kierkegaard? Esso non è qualcosa come<br />

l’ignoranza socratica, ma, teologicamente, è qualcosa di più: è<br />

22 IDEM, Diario 1847, VII A 192, tr. it. vol. I, p. 300.<br />

23 HEGEL, Philosophie des Geschichte, ed. Lasson, I, Leipzig 1930, p. 106;<br />

S. BRETON, La <strong>Passio</strong>n du Christ et les philosophies, cit., p. 31 ss.<br />

24 KIERKEGAARD, Diario, III A 1, 391; IX A 112, 16o; X 12 A 203, 436;<br />

Briciole di filosofia. Postilla conclusiva.


colpa 25 ; e non è neppure la soggettività astratta, l’arbitrio, il predominio<br />

del singolo sull’universale hegeliano 26 , ché sarebbe allora<br />

pura negatività; ma il peccato per Kierkegaard è qualcosa che si<br />

afferra ed afferma al di dentro della libertà: è “atto” di libertà, che<br />

si muove verso la propria perdizione, che non riesce a superare lo<br />

“scandalo” che trova nell’Uomo-Dio e nel suo insegnamento, e<br />

quindi viene a perdersi nella finitezza delle cose mondane. Questo<br />

concetto di peccato non è diverso da quello che con altre parole era<br />

stato definito come “aversio a Deo et conversio ad creaturas”.<br />

La redenzione poi è una realtà oggettiva, in stretto rapporto di<br />

fede al peccato originale, “caratterizzato dal fatto che vi è un<br />

Redentore, il quale ha dato soddisfazione per tutto il genere<br />

umano” 27 . Di fronte all’infinita distanza tra Dio e l’uomo, che si<br />

manifesta specialmente con il peccato 28 , non poteva bastare una<br />

redenzione filosofica, la quale non va più là di una redenzione relativa,<br />

“cioè di una redenzione che redima se stessa” 29 , ma è necessaria<br />

una redenzione quale solo Dio poteva concepire; da questo e dai<br />

tormenti che Cristo ha sofferti per redimerci dobbiamo imparare<br />

quale orrore sia il peccato. “Il fatto che Cristo è morto per i miei<br />

peccati, esprime quant’è grande la Grazia; ma nello stesso tempo<br />

anche quanto grandi sono i miei peccati, quanto io sono infinitamente<br />

lontano da Dio. La Redenzione in...senso più profondo<br />

l’“uomo” non potrebbe inventarla, perché nessun uomo potrebbe<br />

da sé concepire una così sublime sublimità di Dio. Solo Iddio sa<br />

quanto infinitamente Egli è” 30 .<br />

...“Il Cristianesimo è l’idea che Dio ha del peccato e della giustizia.<br />

Se mi trascino a casaccio nella mia idea puramente umana<br />

sulla natura del peccato e della divina giustizia, come potrebbe<br />

venirmi in mente che il peccato sia una cosa così tremenda che ci<br />

volle la <strong>Passio</strong>ne e la Morte di Cristo per redimerlo? Questo è il tormento<br />

infinitamente profondo dell’incomprensione della <strong>Passio</strong>ne<br />

25 IDEM, Diario, XII A 371.<br />

26 HEGEL, Enciclopedia filosofica, cit., § 511 s.; tr. it., p. 459: KIERKE-<br />

GAARD, Diario X 2 A.<br />

27 KIERKEGAARD, Diario 1850, X2 A 483, tr. it., vol. II, p. 343.<br />

28 IDEM, Ibid., V A 16.<br />

29 IDEM, Ibid., I A 94, tr. it., vol. I, p. 29 s.<br />

30 IDEM, Ibid. 1849, X2 A 189, tr. it., vol. II, p. 276 s.<br />

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di Cristo. Noi uomini viviamo nelle nostre idee; ci sembra che tutto<br />

vada abbastanza bene e che il peccato non sia poi una cosa così<br />

tremenda. Allora ecco che viene Cristo e vuole salvarci. Egli fa tutto<br />

per amore; è vero; ma pone sempre l’idea divina di quel che è il<br />

peccato” 31 .<br />

La redenzione dunque presuppone il peccato e salva da esso,<br />

svuotandolo della sua virulenza e facendocelo aborrire; ma nè l’una<br />

nè l’altro vengono intesi da Kierkegaard come semplici categorie<br />

della ragione umana, bensì come realtà storiche cristiane che ci possono<br />

venire solo dalla fede 32 .“Il lato storico della Redenzione deve<br />

star saldo ed essere certo come un qualsiasi avvenimento storico,<br />

ma non di più: perché allora le sfere si confondono (...). Il presupposto<br />

storico della Redenzione deve essere mantenuto soltanto come<br />

ogni realtà storica; ma deve sempre la passione della fede decidere<br />

del tutto, come per la Provvidenza. La fede della Redenzione nella<br />

remissione dei peccati toglie al contrito quella determinazione<br />

intermedia della angoscia di pensare che tutto il suo rapporto a Dio<br />

debba andare attraverso la determinazione intermedia della<br />

pena” 33 .<br />

La fede nella redenzione dal peccato supera l’irretimento in esso<br />

e ci porta vicino a Dio 34 , in modo che la nostra libertà, restaurata dal<br />

di dentro viene salvata dalla disperazione: la redenzione “ferma” il<br />

moto della libertà verso “il tutto è perduto!” della disperazione 35 . La<br />

redenzione poi, come fatto dogmatico, si concentra nella morte di<br />

Cristo, la quale è realtà storico-dogmatica: qui Cristo è veramente<br />

Salvatore e non soltanto Modello. E con questi concetti Kierkegaard<br />

vuol precisare anche il senso e la portata della “contemporaneità”<br />

con Cristo, la quale forse, in fondo, non vuol essere altro che una<br />

personale e nuova interpretazione del dogma del “corpo mistico” di<br />

Cristo.<br />

“Se si vuol prendere la contemporaneità con Cristo come criterio<br />

dell’essere cristiani, bisogna però fare una osservazione. Ciò che in<br />

diversi scritti ho svolto sulla “contemporaneità”, che cioè essa<br />

31 IDEM, Ibid. 1851, X4 A 251, tr. it., vol. II, p. 520.<br />

32 IDEM, Ibid., VII A 139, 192...<br />

33 IDEM, Ibid., 1846, VII A 130, tr. it., vol. I, p. 266 s.<br />

34 IDEM, Ibid., 1847, VIII A 284, tr. it., vol. I, p. 366.<br />

35 IDEM, ibid., 1847, VIII A 97, tr. it., vol. I, p. 395.


costituisce il criterio di misura, è assolutamente vero sotto l’aspetto<br />

poetico, storico ed etico, e conserva quindi il suo valore; e in un<br />

certo senso vale anche rispetto a Cristo come persona storica. Ma<br />

Cristo è nello stesso tempo la realtà dogmatica. Qui sta la differenza.<br />

La Sua morte è la Redenzione. Con questo la categoria cambia<br />

qualitativamente. Dalla morte di un testimonio della verità io devo<br />

imparare a morire per la verità, a imitarlo. La morte di Cristo invece<br />

non è compito d’imitazione, ma è la Redenzione. Io non posso<br />

considerare e concepire Cristo come una persona puramente storica.<br />

Considerando la Sua vita e la Sua morte, io considero o devo<br />

considerare d’essere un peccatore” 36 .<br />

La realtà dogmatica di Cristo, il suo atto redentivo, in quanto tale,<br />

è inimitabile: Egli è semplicemente la stessa redenzione 37 , la stessa<br />

vittima personificata. Ecco che è necessaria allora la fede per vedere<br />

ciò nella sua persona storica, e ciò mi porterà a rapportarmi a Lui<br />

come “peccatore”, come “indigenza” di redenzione, e per questo<br />

ad inserirmi necessariamente in Cristo, che è “redenzione dei nostri<br />

peccati”. Da ciò mi pare che anche in Kierkegaard si debba arrivare<br />

ad una concezione del “corpo mistico”, che il danese preferisce<br />

chiamare la “conteporaneità” con Cristo.<br />

Un più puntuale ed approfondito esame della redenzione secondo<br />

il pensiero di Kierkegaard ci porterebbe a considerare dei punti<br />

nevralgici di tutto il suo schieramento filosofico-teologico antihegeliano<br />

e la consistenza stessa di tutto il suo cristianesimo: a considerare<br />

cioè, per esempio, il rapporto esistente tra le nozioni di “trascendenza”<br />

= “esteriorità”, e di “immanenza” = “interiorità”; e<br />

come Kierkegaard possa concepire e conciliare la sua “interiorità”<br />

di fede con la “trascendenza”, che non è “esteriorità” della redenzione<br />

38 . Ma queste analisi esulano dall’intento di queste note e non<br />

trovano la propria sede in queste pagine 39 .<br />

36 IDEM, Ibid., 1849, X1 A 132, tr. it., vol. II, p. 132.<br />

37 IDEM, Ibid., 185o, X2 A 253, tr. it., vol. II, p. 256 s.<br />

38 Il Fabro giustamente lamenta che il valore metafisico e teologico della<br />

Redenzione - “senza dubbio il più importante dal punto di vista polemico come<br />

da quello dottrinale nel pensiero di Kierkegaard - sia raramente appena accennato<br />

e quasi sempre taciuto o ignorato”. Cf. C. FABRO, Storia della filosofia,<br />

Roma 1954, p. 784.<br />

39 Per questi punti accennati, rimando alle più ampie esposizioni già citate,<br />

come per es. P. MESNARD, Le vrai visage de Kierkegaard, cit., p. 341 ss.<br />

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Non ritengo però fuori luogo far notare, di sfuggita, il raffronto<br />

che spesso Kierkegaard fa tra Cristo e Socrate e che culmina appunto<br />

nell’atto redentivo del Cristo. Per Kierkegaard, Socrate rappresenta<br />

il vertice e la figura più espressiva dell’etica greca e semplicemente<br />

umana: egli è il padre dell’interiorità e dell’uomo interiore; il<br />

suo valore si esaurisce però nell’affermazione radicale dell’assoluta<br />

negatività della ragione; la morte di Socrate rivela soltanto che l’anima<br />

ha assunto finalmente il significato di personalità etica. Socrate,<br />

in fondo, è tutto qui.<br />

Ma Cristo è qualche cosa di infinitamente superiore e non soltanto<br />

per quel tanto, e nella linea, di interiorità e di eticità che Socrate<br />

aveva già detto; né solo nella linea di formulazione teoretica del<br />

“regno dei cieli” e della “purità di cuore”, per cui lo stesso Hegel<br />

poté asserire che tra i due v’è “una distanza infinita di profondità”<br />

40 . Cristo ha portato al mondo la redenzione dal peccato, di cui<br />

Socrate neppure aveva l’idea, e questa redenzione si è compiuta con<br />

un atto sublime di amore, con un’opera di amore divino: opera che<br />

solo Dio poteva concepire, non l’uomo:<br />

“Socrate non aveva il vero ideale, non aveva l’idea del peccato,<br />

neppure sapeva che per la salvezza dell’uomo si esigeva un Dio<br />

Crocifisso. La parola d’ordine della sua vita perciò non poteva mai<br />

essere: “Il mondo è per me crocifisso, ed io al mondo” (Gal 6, 14).<br />

Egli mantenne perciò l’ironia, la quale esprime solo la sua superiorità<br />

sopra la nequizia del mondo. Ma per un cristiano l’ironia è<br />

troppo poco; essa non può mai corrispondere all’orrore che per salvare<br />

l’uomo si è voluto un Dio Crocifisso, anche se l’ironia sia un<br />

po’ permessa nella cristianità come risveglio” 41 .<br />

Davanti al mistero della redenzione e della <strong>Passio</strong>ne la mente<br />

umana si sente impotente non solo a comprenderle ma pure ad<br />

immaginarle, e tuttavia Cristo è talmente Dio che riesce a rendere<br />

“il divino del tutto commensurabile con l’uomo comune”, Egli “non<br />

si mette fuori, come oggetto di un pigro e sterile contemplare”, ma<br />

è “l’ideale e lo stimolo eternamente sferzante per spingere gli uomi-<br />

40 Cf. HEGEL, Geschichte der Philosophe, ed. Hoffmeister, I, p. 174.: “Das<br />

Himmelreich und die Reinigkeit des Herzens enthaelt doch eine unendldich<br />

groessere Tiefe als die Innerlicheit des Sokrates”.<br />

41 KIERKEGAARD, Diario 1850, X3 A 254, tr. it., vol. II, p. 413; Briciole di<br />

filosofia, tr. fr., cit., p. 45-66.


ni fuori, allo sbaraglio” 42 , cioè al vivere davvero da cristiani.<br />

Kierkegaard, in un testo già riportato, ha un magnifico raffronto tra<br />

la Provvidenza e la Redenzione: “La Provvidenza, egli dice, non è<br />

più comprensibile della Redenzione, ambedue si possono soltanto<br />

credere”... poi dal raffronto trae una chiara definizione: “La<br />

Redenzione è la Provvidenza continuata” 43 . Ciò significa che per<br />

ogni singolo, in ogni singola circostanza della vita umana, è sempre<br />

la Redenzione che viene a salvare dalla disperazione, cioè dal peccato<br />

e da tutte le sue forme.<br />

Cristo si presenta così, davanti all’uomo peccatore, non come il<br />

Maestro davanti allo scolaro, che qualche volta e in certo qual senso<br />

può fare da maestro, ma solo e semplicemente come il “Salvatore”<br />

e il “Redentore”, nella sua personale irreversibile posizione di unica<br />

salvezza e liberazione dalle catene del peccato e dello stesso egoismo<br />

umano 44 .<br />

Le componenti<br />

nella storia della <strong>Passio</strong>ne<br />

Per Kierkegaard<br />

nella storia della<br />

<strong>Passio</strong>ne concorrono<br />

due componenti<br />

principali e determinan-<br />

ti: il mistero dell’Incarnazione, mistero dell’Uomo-Dio che accetta la<br />

volontà del Padre in un sublime atto di amore; e il mistero dell’iniquità<br />

umana, del peccato, che tenta di schiacciare il Figlio di Dio:<br />

“Si può dire che essa (la storia della <strong>Passio</strong>ne di Cristo) è la<br />

cosa più commovente (quando la si considera in Cristo) e la cosa<br />

più rivoltante (da parte dell’ambiente) che sia mai successa e si<br />

possa immaginare” 45 .<br />

Ma dal punto di vista religioso, la <strong>Passio</strong>ne ci mostra ancora una<br />

duplice componente interna, cioè che “la più grande impotenza è la<br />

massima potenza” ed è proprio di Dio il mostrarsi sovranamente<br />

potente, onnipotente, proprio nelle cose che sembrano le più impotenti<br />

e disprezzabili: questo poi, in fondo, è lo stesso cristianesimo,<br />

che è capace di esaltare gli umili ed abbassare i grandi.<br />

42 IDEM, Diario 1848, IV A 101, vol. II, p. 22<br />

43 IDEM, Ibid. 1846, VII A 130, tr. it., vol. p. 266.<br />

44 IDEM, Briciole di filosofia, cit. p. 56-59.<br />

45 IDEM, Diario 1851, X4 A 208, tr. it., vol. II, p. 512.<br />

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...“Cristo non tiene in mano uno scettro, ma soltanto una canna,<br />

il segno dell’impotenza. Comandare a tutto il mondo con uno<br />

scettro è, quanto a potenza, un nulla in confronto del comandare<br />

ad esso con una canna, cioè con la propria impotenza, cioè religiosamente”<br />

46 .<br />

Da questi fattori si può facilmente rilevare che la morte di Cristo<br />

non fu una cosa fortuita o semplicemente l’episodio storico di un<br />

solo popolo fanatico e capriccioso. No, essa rappresenta “il peso<br />

specifico” che pone per sempre ogni uomo di fronte al suo Dio, al<br />

suo peccato, al suo destino eterno.<br />

“Raramente si cerca di capire con esattezza perché Cristo (la cui<br />

vita in un certo senso non poteva venire in conflitto con alcuno (Egli<br />

non aveva alcuno scopo terreno) finì con l’essere crocifisso (...).La<br />

morte di Cristo è il prodotto di due fattori: la colpa dei Giudei e la<br />

cattiveria del mondo. Poiché Cristo era l’Uomo-Dio, il fatto che<br />

Egli è stato crocifisso non significa che i Giudei per caso quella<br />

volta erano corrotti, o che Egli venne al mondo, per così dire, in un<br />

momento sfortunato. No, la sorte di Cristo è un qualcosa di eterno<br />

e indica il peso specifico dell’umanità: così succederà a Cristo<br />

in ogni tempo. Cristo non può mai esprimere qualcosa di accidentale”<br />

47 .<br />

Il processo storico della redenzione e della passione non si limita<br />

però al solo fatto personale e storico di Cristo: si può dire che esso<br />

si verifica sempre come un perenne processo nella storia della lotta<br />

fra il bene e il male, fra il giusto e il peccatore, nella sostituzione del<br />

male al bene e del bene che soffre come se fosse il male stesso 48 .<br />

Così è stato di Gesù, che essendo il bene e il giusto, soffrì come<br />

se Egli fosse tutto il male e il solo ingiusto; così dovrà essere per<br />

ogni suo vero discepolo, per ogni cristiano, che deve volere il “martirio”<br />

di tutto il suo essere, fisico e morale 49 . Solo così l’uomo, attraverso<br />

la <strong>Passio</strong>ne di Cristo e nella <strong>Passio</strong>ne di Cristo, viene elevato<br />

all’affinità con Dio: è liberato da ogni animalità e reso veramente<br />

spirito 50 .<br />

46 IDEM Ibid., 1851, X4 A 209, tr. it., vol. II, p. 513.<br />

47 IDEM, Ibid., 1847, VIII A 145, tr. it., vol. I, p. 346.<br />

48 IDEM, Ibid., 1848, IX A 141, tr. it., vol. II, p. 28.<br />

49 IDEM, Ibid., X4 A 10; XII A 193.<br />

50 IDEM, Ibid., 1854, XII A 236, tr. it., vol. III, p. 159.


La passione, oggetto di fede,<br />

è dono di grazia<br />

Come l’incarnazione<br />

e la<br />

redenzione, lo<br />

abbiamo già rilevato 51 ,<br />

così anche la <strong>Passio</strong>ne<br />

di Cristo non è qualcosa di puramente umano e storico: essa è oggetto<br />

di fede, in quanto anche in essa si verifica l’unione del divino e<br />

dell’umano che può e deve essere creduta: la <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

naturalmente non può essere compresa, perché l’unione del divino e<br />

dell’umano in Lui deve “essere creduta”: è oggetto solo di fede. C’è<br />

da riflettere ancora sulla sconcertante “possibilità” che aveva<br />

Cristo, come Dio, di poter liberarsi dalla sofferenza della <strong>Passio</strong>ne<br />

mentre tuttavia Egli “volle” sopportarla: questo ci mette davanti<br />

all’impossibilità di capire tutto il mistero colla ragione, poiché solo<br />

con la fede vediamo Dio nella umiliazione.<br />

In quanto oggetto, e per merito della fede, la passione di Cristo è<br />

divinamente “dono” e “grazia” per la salvezza del mondo. La<br />

<strong>Passio</strong>ne di Cristo è “dono e grazia”, perché mentre Cristo nella sua<br />

vita è il “modello”, è il “contemporaneo” con cui dobbiamo convivere<br />

ed a cui dobbiamo rassomigliare, nella sua passione e morte.<br />

Egli è solo il redentore, il salvatore, colui che si dà, che dà tutto: che<br />

è, in una parola il “dono”, la “grazia” totale di sé nel perdono e nell’amore.<br />

Qui sta tutta la forza di Cristo che ci spinge, ci attira a<br />

“divenire cristiani”: nella duplice tensione di “modello-grazia”,<br />

insita nella “vita-<strong>Passio</strong>ne” di Cristo. Ma la <strong>Passio</strong>ne e morte di<br />

Cristo sono ancora un “dono”, una “grazia” per gli uomini, in<br />

quanto Cristo vuole che il suo atto redentivo non sia di rimprovero<br />

e di colpa per quelli stessi che lo uccidono, secondo la sua stessa<br />

parola: “Non sanno quello che fanno”: tutto deve essere “grazia”,<br />

“dono” totale:<br />

“Come mai avvenne che Cristo poté essere crocifisso ?...Ebbe<br />

Egli colpa se fu condannato a morte ?...In generale si parla soltanto<br />

della purezza e dell’innocenza di Cristo; ma qui vi è un altro problema<br />

che di solito si trascura, perché si può predicare il bene e il<br />

vero, in modo da sforzare gli uomini a perseguitarvi. Prima un<br />

uomo lotta con la persuasione che il mondo sia il più forte; ma<br />

quando ha sentito bene la sua forza, allora sente compassione degli<br />

51 Vedi nel numero precedente della rivista SapCr, pp....<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

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uomini che gli fanno torto. Allora deve pensare (non per sé, ma per<br />

loro) se egli tuttavia non alza troppo il prezzo. Si può avere una tale<br />

conoscenza del mondo e degli uomini, che proprio facendo il bene e<br />

il vero si può predire con precisione: io sarò perseguitato. Non è<br />

questa una crudeltà verso gli uomini? A questo modo si potrebbe<br />

quasi addossare alla loro coscienza un omicidio. Non sarebbe una<br />

durezza eccessiva da parte sua verso gli uomini?...<br />

Cristo quindi deve aver avuto in ogni momento la volontà di evitare<br />

la persecuzione (non per Sé, perché era pronto ed era venuto<br />

“per” soffrire), ma per causa degli uomini, onde non fosse Lui a dar<br />

loro occasione di rendersi “colpevoli”... Adesso si spiega la Sua<br />

condotta e verso i potenti (la cricca) e verso gli umili. Con quanta<br />

imprudenza Egli deve aver vissuto! Vi è mai un uomo a cui sia permesso<br />

di sostenere la verità a tal punto da poter prevedere che la<br />

sua uccisone sarà il crimine dei contemporanei? Perché Cristo era<br />

la Verità, perciò non poteva altrimenti; e inoltre la Sua morte porta<br />

la riparazione, poiché è morte redentrice” 52 .<br />

La passione<br />

morale di Cristo<br />

Dove Kierkegaard<br />

più volentieri<br />

si attarda<br />

nelle sue considerazioni<br />

sui dolori del<br />

Cristo, è sulla Sua angosciosa <strong>Passio</strong>ne interiore: quella dell’anima<br />

divina di Cristo, della Sua volontà d’immolazione. Quale mistero<br />

insondabile l’anima di Cristo durante la Sua <strong>Passio</strong>ne! Chi potrà<br />

mai svelare i profondi abissi di dolori, di umiliazioni, di spirituali e<br />

sovrumane ambasce? Chi ne comprenderà e penetrerà mai gli infiniti<br />

recessi di tristezza e di pianto? E Kierkegaard era sempre attento<br />

nelle parole di Cristo a questa <strong>Passio</strong>ne interiore ed alle esplosioni<br />

che volta a volta si sprigionano dalle labbra di Cristo.<br />

“La morte, Cristo l’aveva sempre davanti agli occhi; era venuto<br />

al mondo solo per morire e tutto gli parla sempre di essa. Egli lo sa<br />

e comprende ogni segno esteriore contrariamente alla sua apparenza:<br />

nel piano della sua vita anche l’ingresso in Gerusalemme non fa<br />

che precipitare la catastrofe...; gli altri, vedendo il suo ingresso<br />

52 KIERKEGAARD, Diario 1847, VIII A 271, tr. it., vol.I, p. 364.


trionfale, pensavano: “Ecco il trionfo!” e Lui invece sapeva:“Ecco<br />

la mia fine!”. Questo isolamento appartiene essenzialmente alla<br />

sofferenza di Cristo, come sofferenza dell’anima: questa solitaria<br />

consapevolezza di comprendere tutti i segni contrariamente all’apparenza!<br />

Egli ne parla e lo ribadisce ai discepoli: non serve a<br />

nulla... Soltanto Cristo sente nel giubilo l’inizio della fine” 53 .<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo si fa trasparente e culminante nei due<br />

momenti dell’agonia dell’Orto e dell’agonia della croce, quando<br />

esplode in quelle ineffabili angosciate parole: “L’anima mia è triste<br />

fino alla morte!” (Mt 26, 38) e nell’altro grido misterioso e di smisurato<br />

dolore: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”<br />

(Mt 27, 46). In questi due momenti della <strong>Passio</strong>ne morale ed interiore<br />

di Cristo, Kierkegaard persiste ed insiste nelle sue profonde considerazioni<br />

54 . Di questa misteriosa <strong>Passio</strong>ne morale, che è il segreto<br />

della sofferenza di Cristo, Kierkegaard vede i precedenti e le nascoste<br />

fonti nella impossibilità per Cristo di mostrarsi pienamente,<br />

direttamente ed immediatamente agli uomini per quello che Egli è,<br />

il Dio d’Amore:<br />

Dio, il Trascendente, l’Incomprensibile, l’Infinito. In una parola,<br />

ritorna qui, anche nelle sofferenze interiori di Cristo, il sublime nodo<br />

del mistero dell’Incarnazione: il Dio che assume la carne umana e la<br />

agita col suo amore infinito, la Luce che viene ad illuminare la tenebra<br />

e questa non la può contenere né comprendere.<br />

“Specialmente nelle epoche precedenti si è parlato molto e spesso<br />

delle sofferenze di Cristo, degli oltraggi da Lui subiti, della Sua<br />

flagellazione, della Sua crocifissione. Abbandonandosi a queste<br />

considerazioni sembra che si dimentichi un genere tutto diverso di<br />

sofferenze, il tormento interiore, la passione dell’anima, cioè quel<br />

che dovremmo chiamare il segreto delle sofferenze, inseparabile<br />

dalla vita dell’incognito, dal momento che Egli apparve tale sino<br />

alla fine. E’ sempre doloroso essere obbligati a celare la propria<br />

intima natura e ad apparire diversi da quel che si è, anche nella<br />

semplice vita umana. E’ la più gravosa delle nostre sofferenze e chi<br />

la subisce, ahimé! soffre spesso in un sol giorno molto più di tutti i<br />

tormenti fisici riuniti... Il conflitto consiste nell’essere obbligati a<br />

53 IDEM, Ibid., 1849, X2 A 257, tr. it., vol. II, p. 288.<br />

54 IDEM, Ibid., III A 228, VIII A 304; X3 A 76; IX A 11; X3 A 765...;<br />

VIII A 580; IX A103; XII A 115, 202, 285, 374, ; X12 A 434.<br />

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nascondere il proprio intimo mostrandosi diversi da quel che si è,<br />

per amore verso un altro.<br />

I tormenti sono di ordine esclusivamente spirituale, e quanto mai<br />

complessi... Prima sofferenza è il proprio dolore; perché se è dolce<br />

appartenere a un altro essere in un’amicizia o in un amore corrisposto,<br />

è doloroso essere obbligati a tenere per sé questo intimo sentimento.<br />

Seconda sofferenza è quella patita per conto altrui; perché<br />

la sollecitudine dell’amore, il desiderio di fare tutto per l’essere<br />

amato, di sacrificare per esso la propria vita, tutto si esprime in una<br />

sofferenza che assomiglia terribilmente alla più viva crudeltà,<br />

ahimé, eppure è amore. Ultima sofferenza è il tormento della<br />

responsabilità. In breve: si tratta, per amore, di annientare nel<br />

senso immediato il proprio amore pur conservandolo; per amore,<br />

essere crudele verso l’oggetto amato; per amore addossarsi questa<br />

immensa responsabilità.<br />

E allora, l’Uomo-Dio! Il Dio vero non può farsi conoscere direttamente,<br />

ma la conoscibilità diretta è quanto i semplici uomini, per<br />

i quali veniva, chiedevano supplici come indicibile conforto . Ed<br />

Egli diventa uomo per amore! Egli è amore; eppure, ad ogni istante<br />

della vita deve per così dire crocifiggere ogni compassione e sollecitudine<br />

umana, poiché può soltanto divenire oggetto di fede...<br />

Eppure Egli agisce per amore, per salvarci. Nello sgomento di questa<br />

decisione (della fede), Egli deve tener gli uomini lontani da sé,<br />

affinché questi, salvati dalla fede, gli appartengano, ed Egli è<br />

l’amore.<br />

Per amore, Egli vuol fare tutto per gli uomini, anche sacrificare<br />

la sua vita per loro; Egli subisce per loro una morte ignominiosa,<br />

soffre per amor loro quella vita in cui è obbligato a mostrarsi, a<br />

nostro giudizio, così duro nella sua compassione, nella sua misericordia<br />

e nel suo amore divini al confronto dei quali tutta la compassione<br />

umana è nulla. Tutta la sua vita è sofferenza interiore. E quando<br />

l’ultima parte di questa vita incomincia col tradimento nella<br />

notte, Egli prova i dolori fisici e i maltrattamenti; soffre di essere<br />

tradito da un amico; d’essere solo, schernito, insultato, coperto di<br />

sputi, coronato di spine, vestito di porpora, solo con la sua causa<br />

perduta agli occhi degli uomini (“Ecco l’uomo!”). Solo fra i suoi<br />

nemici furiosi (crudele compagnia), abbandonato da tutti gli amici<br />

(tremenda solitudine). Un uomo può tuttavia soffrire così, subire gli<br />

stessi maltrattamenti, l’abbandono del suo migliore amico, ma<br />

senza andare più lontano; per l’uomo, superato quest’ultimo passo,


il calice della sofferenza è vuotato. Ma qui il calice si riempie di<br />

nuovo della più amara bevanda: Cristo soffre affinché la sua sofferenza<br />

possa divenire e divenga occasione di scandalo per i pochi<br />

credenti. Senza dubbio Egli soffre una volta sola; ma non se la cava,<br />

come un uomo qualsiasi, con la prima fase del dolore, Egli prova<br />

invece la pena più grave nella seconda fase, nell’ansia piena di<br />

tristezza, per cui la sua sofferenza è un’occasione di scandalo.<br />

Nessuno può concepire questa sofferenza, ed è temerario pretenderlo”<br />

55 .<br />

Ma più determinatamente la <strong>Passio</strong>ne interiore di Cristo deriva<br />

tutto il suo essere e valore dalla libera scelta che Cristo fece dei suoi<br />

propri dolori: ci fu quindi prima di tutto e soprattutto sofferenza<br />

inaudita nella scelta libera, cosciente, eletta! Di qui l’essenza dei<br />

“dolori mentali” o “sofferenze dell’anima” di Cristo: “Cristo sapeva<br />

fin da principio che doveva patire e morire. Sta in questo la sofferenza<br />

più dura, diversamente da quando simili sofferenze toccano<br />

mentre tuttavia fra poco si spera di evitarle e di lì a poco si freme di<br />

orrore. Questo significa che la sofferenza di Cristo consisteva nella<br />

scelta 56 . La morte (di Cristo) è una morte di redenzione, un sacrificio<br />

che Egli vuol portare 57 .<br />

La <strong>Passio</strong>ne è sofferenza volontaria anche in altro senso che valica<br />

ogni dire umano perché Cristo “prega per i propri nemici..., invece<br />

di pregarli a usare grazia”: Egli prega per loro perché non Lo<br />

risparmino:<br />

“Pertanto la preghiera di Cristo per i suoi nemici fa parte del<br />

Suo sacrificio in ben altro senso: Egli cioè fin da principio ha avuto<br />

i suoi nemici in Suo potere: essi credono di disporre di se stessi,<br />

mentre sono a servizio della Sua volontà. Perciò Egli prega per<br />

essi” 58 .<br />

Giustamente, allora, dice Kierkegaard che “la passione di Cristo<br />

è propriamente sofferenza di anima” 59 e “Cristo non ha parlato a noi<br />

soltanto con la Sua vita, ma ha anche parlato per noi con la Sua<br />

55 IDEM, Scuola di cristianesimo, tr. it., cit., pp. 160-162.<br />

56 IDEM, Diario 1847, VIII A 344, tr. it.,vol. I, p. 373.<br />

57 IDEM, Ibid., VIII A 271, tr.it., vol.I, p. 364.<br />

58 IDEM, Ibid. 1848, IX A 336, tr. it., vol. p. 66.<br />

59 IDEM, Ibid. 1847, VIII A 275, tr. it., vol. I, p. 365; X2 A 257.<br />

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morte” 60 . Egli, nella trasparenza dell’esistenza più vera, che esige di<br />

essere ciò che si insegna, ha mostrato nella Sua acerba passione “di<br />

essere letteralmente un nulla” 61 .<br />

Tuttavia, fra tanta infinita umiliazione e annichilimento interiore<br />

ed esteriore, Cristo in croce rivela anche la sua eccelsa grandezza,<br />

quando, abbandonato persino dal Padre, promette con tono solenne<br />

di autorità al ladrone supplicante l’ingresso immediato in paradiso 62 ,<br />

e quando, alla Sua morte, si oscura il sole, si aprono i sepolcri e si<br />

squarcia il velo del tempio 63 . In Cristo crocifisso e nella Sua passione<br />

si incontra allora l’idealità: Cristo è l’idealità cristiana che coincide<br />

con la storia. E questa “pura idealità” cristiana “spezza tutta<br />

l’esistenza”, in quanto essa trova la sua consistenza cristiana dove<br />

non vige alcuna consistenza terrena: dove è la morte essa trova la<br />

vita.<br />

Questo ci dà motivo di passare a vedere l’ascesi cristiana di fronte<br />

alla passione di Cristo, come l’ha concepita Kierkegaard.<br />

Ascesi cristiana<br />

e passione di Cristo<br />

Riassumo brevemente<br />

alcuni<br />

punti principali<br />

e riporto qualcuno dei<br />

numerosi e densi pas-<br />

saggi di Kierkegaard sull’argomento. Troppo lungo sarebbe esaminare<br />

dettagliatamente il pensiero ed i testi del danese su questo particolare<br />

settore dell’ascesi cristiana 64 . Kierkegaard, il filosofo della<br />

verità esistenziale compresa come soggettività e interiorizzazione a<br />

cui ci si rapporta solo con la sofferenza 65 , il teologo del cristianesi-<br />

60 IDEM, Ibid. 1850, X3 A 354, tr. it., vol.II, p. 426.<br />

61 IDEM, Ibid. 1852, X3 A 542, tr: it., vol II, p. 446.<br />

62 IDEM, Ibid., X5 A 130-131.<br />

63 IDEM, Ibid. 1851, X4 A 208, tr. it., vol. II, p. 512.<br />

64 Per una trattazione più particolare, specialmente del valore ascetico della<br />

sofferenza in Kierkegaard, cf. S. HANSEN, Die Bedeutung des Leidens fur das<br />

Christusbild Soeren Kierkegaards, in “Kerigma und Dogma”, Jhg. “, Heft 1<br />

(Januar 1956), pp. 1-28; W. LINDSTROM, La Théologie de l’Imitation de Jesus-<br />

Christ chez Soeren Kierkegaard,in Revue d’Histoire et de Philos.”, A. 35<br />

(1955), n. 4, Paris, pp. 379 ss.<br />

65 KIERKEGAARD, Diario, X1 A 345; X11 A 359.


mo “in movimento”, concepito come religione della lotta e della<br />

remissione del peccato, della verità che soffre e del Cristo modelloredentore<br />

66 , non poteva considerare la <strong>Passio</strong>ne con un distacco<br />

“oggettivo” indifferente e disinteressato; ma la sofferenza di Cristo<br />

doveva necessariamente essere “il peso specifico” della sofferenza<br />

umana, la norma di tutta la vita morale dell’uomo, il modello e la<br />

vita di cui costantemente alimentarsi.<br />

L’ascesi cristiana in Kierkegaard, perciò, è una necessaria conclusione<br />

della sua originaria posizione di fronte al mistero di Cristo<br />

redentore.<br />

Due principi, che neutralizzano ogni accusa di patente o larvato<br />

fideismo protestante fatta a Kierkegaard, sono alla base di questa<br />

ascetica: quello cioè che “il principio degli atti è più semplice del<br />

principio della fede” 67 , e l’altro principio che “senza ascetica il cristianesimo<br />

è impossibile” 68 , e l’ascetica deve “inculcare il bisogno<br />

della grazia”. Più specificatamente ascetiche sono le altre due<br />

“massime del cristianesimo”, che riguardano la sofferenza e le<br />

prove cui Dio ci sottopone:<br />

“a. Perché sei sofferente, per questo Dio ti ama…<br />

b. Perché Dio ti ama, per questo ti tocca soffrire”.<br />

E Kierkegaard suffraga questo secondo principio (b) con la ragione<br />

che “Dio è spirito; Egli non può esprimere il Suo amore in altro<br />

modo - se tu non vuoi soffrire, è segno che vuoi essere dispensato<br />

dall’amore di Dio”, ed anche con l’altra ragione, contro il peccato,<br />

che: “C’è un Redentore - non è questo di consolazione abbastanza?<br />

non dà Egli soddisfazione per il tuo peccato? Certo, se proprio Lui,<br />

il Redentore, non esigesse l’imitazione” 69 .<br />

Tuttavia, sensatamente, Kierkegaard modera questa alta mira<br />

ascetica del saper soffrire, tenendo conto dell’umana debolezza, perciò<br />

stabilisce:<br />

“1. Non si deve mai domandare la sofferenza, usando prudenza<br />

in questo campo.<br />

66 IDEM, Ibid., IX A 101; X4 A 579; IX A 414; IX A 16, 20... X5 A 45...<br />

67 IDEM, Ibid. 1853, X12 A 301, tr. it., vol. III, p. 368.<br />

68 IDEM, Ibid. 1853, X5 A 89, 99...<br />

69 IDEM, Ibid. 1852, X4 A 593, tr. it., vol. II, p. 590.<br />

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in Kierkegaard<br />

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2. La sofferenza non è da sfuggire, ma neppure fare della sofferenza<br />

il supremo ed unico fine (telos), ma soffrire per la causa cristiana,<br />

per Cristo” 70 .<br />

La stessa esistenza cristiana è necessariamente sofferenza, è<br />

“crocifissione” 71 ; non si deve però soffrire costretti dalla necessità,<br />

non è questa la vera sofferenza cristiana. Anche in questa sofferenza<br />

allora si deve prendere per “modello” Cristo, del quale “tutta la<br />

vita è sofferenza volontaria” 72 . Ecco quindi la necessità di rivestirsi<br />

di Cristo “modello-redentore” e trasformare ogni sacrificio, ogni<br />

dolore in sacrificio e dolore volontari 73 .<br />

...”Rivestirsi di Cristo è allora in parte per rispetto alla redenzione,<br />

appropriarsi il suo merito (...); ; in parte nel cercare di rassomigliare<br />

(a Cristo) perché Egli è il Modello e l’esempio. Questa è<br />

una espressione sostanziale dell’interiorizzazione. Come l’espressione<br />

che Egli usa per la sua dottrina, che essa è cibo (Gv 6, 35), è<br />

la più forte per indicare l’appropriazione; così rivestirsi di Cristo è<br />

l’espressione più forte per indicare la rassomiglianza, che deve<br />

essere secondo la più grande misura possibile. Non si dice di Cristo:<br />

Tu devi aspirare a rassomigliarGli (se si dice così, si ammette indirettamente<br />

che i due sono sostanzialmente dissimili); no, tu devi<br />

rivestirti di Lui - come quando uno va in abiti imprestati (questa è<br />

la satisfactio vicaria); rivestirsi di Lui - come quando uno completamente<br />

travestito assomiglia a un altro, non solo aspira a imitarlo,<br />

ma lo rappresenta. Cristo dà a te la sua veste (satisfactio), ed esige<br />

ora che tu rappresenti Lui” 74 .<br />

Quale più diretto rapporto c’è tra Cristo e la sofferenza umana?<br />

“Cristo è l’impeto esistenziale dell’eterno che venne per soffrire e<br />

morire” 75 ; in base a ciò Egli “è venuto al mondo per trasformare<br />

l’uomo” e il suo dolore, “insegnandogli il timore del peccato e la<br />

speranza di una futura felicità”, che fa stimare fanciullaggini tutti i<br />

dolori di questa misera terra 76 .<br />

70 IDEM, Ibid. 1852, X4 A 630, tr. it., vol. II, p. 598.<br />

71 IDEM, Ibid. 1849, X1 A 301, tr.it., vol. II, p. 301.<br />

72 IDEM, Ibid. 185o, X3 A 43, tr. it., vol. II, p. 382; X5 A 45; X11 A 23;<br />

X11 A 327.<br />

73 IDEM, Ibid., X1 A 645; X3 A 43; VIII A 344...<br />

74 IDEM, Ibid. 1849, X2 A 255, tr. it., vol. II, p. 287.<br />

75 IDEM, Ibid. 1851, X4 A 147, tr. it., vol. II, p. 500.<br />

76 IDEM, Ibid. 1848, IX A 147, tr. it., vol. II, p. 30.


Essendo Cristo “tangente del divino e dell’umano”, la sua sofferenza<br />

si inserisce nella nostra, o meglio la nostra nella Sua divina<br />

sofferenza, che poi si espleta in una graduatoria: sofferenza di apostoli,<br />

di martiri, di santi... 77 . Ciò che più urge però, secondo<br />

Kierkegaard, nel campo ascetico è l’“imitazione di Cristo”: essa<br />

costituisce la vera “contemporaneità” con Cristo, in quanto:<br />

a) è confronto fra la mia vita e quella del Cristo-modello 78 ;<br />

b) è necessità di ricorrere a Cristo-grazia per avere aiuto e misericordia<br />

79 .<br />

Più praticamente ed immediatamente questa “imitazione” e questa<br />

“contemporaneità” consistono nel vedere Cristo nei malati, nei<br />

poveri, nelle vittime dell’ingiustizia, nei sofferenti d’ogni genere 80 .<br />

Ed eccoci al vertice dell’ascetica cristiana: solo mediante la sofferenza<br />

l’uomo raggiunge l’affinità con Dio, diventa cioè “spirito”, che<br />

significa vero autentico cristiano 81 . Cos’è dunque amare davvero<br />

Cristo ? Che senso ha il tendere a Lui come a scopo supremo di tutta<br />

la nostra ascesa spirituale? “Cos’è amare ? E’ voler somigliare<br />

all’amato, ovvero uscire dalle proprie cose per entrare in quelle dell’amato<br />

(...). Cristo soffrì e morì per me. Allora, contento che Egli mi<br />

ha riscattato dai miei peccati e guadagnato la vita eterna, io posso<br />

ben godermi la vita, e nello stesso tempo non mi stancherò di ringraziare<br />

Lui! Piano, piano! Ti sembra questo un amare Cristo? No, al<br />

contrario è il più tremendo egoismo. Forse che non so in che modo<br />

Cristo vuole che io esprima la mia gratitudine, cioè con l’imitazione?<br />

Dunque se l’amo, glielo devo esprimere nella Sua lingua e non<br />

scodellarGli delle chiacchiere nella mia propria lingua, pretendendo<br />

che questo significhi il mio grande amore per Lui” 82 .<br />

...“La vita dei veri amanti di Dio esprime che essi dovettero soffrire,<br />

che furon pronti a soffrire, perché capivano ch’era questa la<br />

volontà di Dio. Egli ce l’ha fatto dire, con voce abbastanza solenne<br />

(quella di Cristo); noi dunque lo sappiamo, ma c’induriamo e ci<br />

conformiamo in compagnia degli altri uomini” 83 .<br />

77 IDEM, Ibid., XI A 49, tr. it., vol. II, p. 116; X4 A 108...<br />

78 IDEM, Ibid. 1848, IX A 314.<br />

79 IDEM, Ibid., IX A 153; X1 A 132.<br />

80 IDEM, Ibid. 1850, X2 A 247.<br />

81 IDEM, Ibid. 1851, X4 A 471.<br />

82 IDEM, Ibid. 1852, X4 A 589, tr. it., vol. II, p. 589.<br />

83 IDEM, Ibid. 1852, X5 A 50, tr. it., vol III, p. 19.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

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teologia<br />

64<br />

Leggiamo un ultimo significativo passaggio che riassume tutta la<br />

posizione di Kierkegaard di fronte alla <strong>Passio</strong>ne di Cristo sin qui<br />

esposta:<br />

“Cristo è la via: lo ha detto Lui stesso...E questa via è “stretta”:<br />

lo ha detto Lui stesso... E questa via che è Cristo, questa via stretta,<br />

è stretta fin dal suo inizio. Egli nasce in povertà e miseria: quasi si<br />

è tentati di pensare che non sia neppure un uomo chi nasce così.<br />

Nasce in una stalla, è avvolto in pannicelli, deposto in una mangiatoia...<br />

Il tenero bambino è oggetto delle persecuzioni dei potenti...<br />

Egli vive in povertà e abbassamento e non ha dove posare il capo.<br />

Dovrebbe bastare questo, mi sembra, perchè si possa, umanamente<br />

parlando, dire che “la via è stretta”; eppure questo non è che il lato<br />

più facile della “via stretta”. La via è stretta in tutt’altro modo, e fin<br />

da principio. Perché la Sua vita è fin da principio una storia di<br />

tentazioni... la Sua vita (che è anche storia di <strong>Passio</strong>ne) è storia di<br />

tentazione. Egli è tentato in ogni istante della sua vita: cioè Egli ha<br />

in Suo potere questa possibilità che è la libertà di prendere la Sua<br />

missione, il suo compito, invano. Nel deserto è Satana a far da<br />

tentatore, ovvero l’Altro; presto sarà il popolo, presto saranno i<br />

discepoli; forse qualche volta...anche i potenti che hanno cercato<br />

di tentarlo a mondanizzare la sua missione...<br />

La via è stretta fin da principio, perché fin da principio Egli conosce<br />

la sua sorte: che colluvie di sofferenze fin da principio! Cristo<br />

conosceva la Sua sorte fin da principio; la sapeva inevitabile: lo<br />

sapeva, e tuttavia le andò incontro senza battere ciglio. Terribile consapevolezza,<br />

quella di sapere la propria fine fin da principio. Quando<br />

il popolo al principio Lo acclamava, Egli in quel momento sapeva che<br />

era il medesimo popolo che un giorno avrebbe gridato: “Crocifiggilo,<br />

crocifiggilo!”...Si, la via è stretta fin da principio: perché Egli conosce<br />

fin da principio che il suo lavoro lavora contro di Sé. E stretta<br />

sarà certamente la via, anche se ti sarà permesso di usare tutte le<br />

forze per aprirti il passo, per eliminare l’opposizione fuori di te. Ma<br />

quando devi usare le tue forze per combattere te stesso, è ancor poco<br />

il dire che la via è stretta: essa è piuttosto impervia, sbarrata, impossibile,<br />

pazza... Eppure essa è la via di cui nel Vangelo si dice che<br />

“Cristo è la via”: è proprio così che essa è stretta... E questa via che<br />

è Cristo, questa via stretta, diviene nel suo avanzare sempre più stretta<br />

fino alla fine, fino alla morte... Ecco che Egli si è seduto a mensa<br />

con i Suoi discepoli per l’ultima volta, per la Pasqua che tanto ardentemente<br />

aveva bramato di mangiare con loro prima di morire...


Indi si alza da tavaola e s’avvia all’Orto di Getsemani; si sente<br />

venire meno... Oh, magari succedesse presto! Cade affranto in<br />

un’agonia mortale: certo, era Egli più morente in croce che nel<br />

Getsemani? Oh, se la sofferenza della croce era l’agonia della<br />

morte, questa lotta della preghiera era anch’essa l’agonia della vita<br />

e non senza spargimento di sangue perché “Egli sudò come gocce<br />

di sangue che cadevano in terra! Poi si alzò da terra con energia<br />

rinnovata:“Padre celeste, sia fatta la Tua volontà e non la mia!”.<br />

Quindi Giuda lo bacia: hai tu mai sentito qualcosa di simile? E così<br />

Egli è afferrato, accusato, condannato!... Pilato era un uomo colto<br />

e come tale non trascurò la cosa... più importante cioè di “lavarsi<br />

le mani”! Così Gesù fu condannato. Povera giustizia umana!... O<br />

cultura umana, in cosa ti distingui in fondo da ciò che dovresti aborrire<br />

di più, dalla crudeltà e dalla volgarità della folla? Sta il fatto<br />

che ti comporti allo stesso modo, con la sola precauzione di “salvare<br />

la forma”, di non farlo “senza lavarti le mani...”! Povera cultura<br />

umana!<br />

Infine fu confitto alla croce: un sospiro ancora, e la morte.<br />

Ancora un sospiro, il più profondo, il più terrificante: “Mio Dio,<br />

mio Dio, perché mi hai abbandonato?”: Questa umiliazione è il<br />

colmo della sofferenza. Fra coloro che furono Suoi seguaci nel<br />

senso più rigoroso, i martiri, troverai appena qualche debole<br />

accenno di tale tormento... O eccesso di sofferenza sovrumana!<br />

Qualsiasi cuore di uomo si sarebbe spezzato prima: solo l’Uomo-<br />

Dio poté bere il calice della sofferenza fino all’ultima stilla. Così<br />

Egli muore.<br />

Mio ascoltatore: ricorda quel che abbiamo detto al principio:<br />

questa via è stretta. Non lo è forse? Tuttavia proseguiamo: Cristo è<br />

la via... Egli sale sul monte, una nube Lo toglie allo sguardo dei<br />

discepoli... Egli ascende al cielo ed è la via !<br />

Forse dirai: sì, ed era proprio questo l’argomento di cui oggi<br />

dovevi parlarmi e mi hai fatto una predica da Venerdì santo... Oh,<br />

amico mio: sei forse tu di quelli che regolano i propri atteggiamenti<br />

o sentimenti a suon di campana e secondo le indicazioni del calendario?<br />

O non pensi piuttosto d’accordo col cristianesimo, che noi<br />

dobbiamo tener insieme raccolti i diversi aspetti del cristianesimo?<br />

Proprio nel giorno dell’Ascensione si deve allora ricordare che la<br />

via è stretta, altrimenti noi prenderemmo l’Ascensione invano.<br />

Rammenta: la via fu stretta fino alla fine; fino alla morte - che fa da<br />

momento intermedio - poi segue l’Ascensione. Non era mezzanotte<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

41-68<br />

teologia<br />

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sacra<br />

scrittura e<br />

teologia<br />

MARIO CEMPANARI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

66<br />

quando Egli salì al cielo; ma non fu neppure al termine della “via”,<br />

perché la via terminò sulla croce e nel sepolcro...<br />

Cristo ascende al cielo: nessuno ha mai vinto così! “Una nube<br />

Lo tolse ai loro occhi”: nessun trionfatore è stato sollevato da terra<br />

così. “Essi non lo videro più”. Nessun trionfo ebbe mai un simile<br />

epilogo. “Egli siede alla destra della potenza del Padre!”. Quindi il<br />

trionfo non finisce con l’Ascensione? No, con essa comincia: nessuno<br />

ha mai avuto un simile trionfo. “Egli farà ritorno con le schiere<br />

degli angeli”. Quindi il trionfo non finisce col sedersi alla destra<br />

dell’Onnipotenza del Padre? No, ciò era soltanto la fine del principio.<br />

Eterno vincitore !<br />

Che via segui tu nella tua vita, caro ascoltatore? Ricordati, come<br />

mi ricordo io, che non si uò dire di ogni via angusta che Cristo è<br />

quella via, né che ogni via stretta conduce al cielo. Un uomo pio ha<br />

detto che ci sono altrettante, se non più, difficoltà, per andare all’inferno<br />

che per arrivare in paradiso. Anche la via della perdizione è<br />

dunque stretta; ma Cristo non è questa via che non conduce al cielo.<br />

Vi si trova abbastanza inquietudine,, angoscia e tormento; è in tal<br />

modo veramente stretta questa via della perdizione... Quel che<br />

distingue la via angusta del cristianesimo da una via stretta qualunque<br />

dell’umanità, è il carattere volontario. Cristo non fu un uomo<br />

che desiderò i beni di questo mondo e che dovette accontentarsi<br />

della povertà: no, la scelse. Non fu un uomo che desiderò gli onori,<br />

la fama e che dovette accontentarsi della mediocrità o rassegnarsi<br />

ad essere misconosciuto e calunniato: no, scelse l’avvilimento. Tale<br />

nel suo rigore è la via angusta...<br />

La prova della verità cristiana risiede nell’”imitazione”... Ma<br />

quelli la vita dei quali porta l’impronta dell’“imitazione” non<br />

hanno dubitato dell’Ascensione... Tali furono coloro la cui vita ha il<br />

marchio dell’imitazione: essi ebbero la sicurezza che il loro padrone<br />

e signore è salito in cielo. E quel che li spinge a ciò, fu ancora<br />

l’imitazione...” 84 .<br />

Un esame più approfondito del pensiero di Kierkegaard di fronte<br />

al mistero della passione di Cristo ci porterebbe ad ambientare il<br />

tutto in una più ampia prospettiva dell’insieme di tutto il pensiero<br />

84 KIERKEGAARD, Per l’esame di se stessi, proposto ai contemporanei,<br />

Copenaghen 1851, Discorso II. Ora in “Sam. Vaerker”, 2 ed. Copenaghen<br />

1920, t. XII, pp. 391 ss.; tr. it. in “Lo specchio della parola” a cura di<br />

Valenziani e Fabro, Ed. Fussi, pp. 97-115.


filosofico-teologico del danese e del periodo storico in cui visse,<br />

oltre che dei rapporti che ebbe con le personalità più eminenti del<br />

suo tempo. Allora avremmo un panorama più esatto e completo del<br />

suo pensiero. Quanto detto, però, basti per una ricerca che non ha<br />

uno scopo puramente teoretico e sistematico. Nel qual caso, come<br />

del resto in queste semplici note, avremmo certo riscontrato dei<br />

valori sommamente apprezzabili e positivi, ma avremmo anche<br />

dovuto lamentare la mancanza (o almeno delle gravi lacune) di ciò<br />

che sono i frutti migliori della dottrina, della vita, <strong>Passio</strong>ne e morte<br />

di Cristo: la Sua risurrezione da morte come fatto dogmatico in sé<br />

fondamentale e di valore teologico-ascetico per noi: la Chiesa come<br />

opera del Risuscitato, continuatrice del suo atto redentivo e Suo<br />

corpo mistico, strumento unico di salvezza. Queste gravi lacune<br />

accostano talvolta Kierkegaard alla luterana “Theologia Crucis”.<br />

Per formulare un giudizio complessivo e finale sulla posizione<br />

confessionale di Kierkegaard, possiamo immaginarlo come una<br />

cometa luminosa, solitaria e vagante nel firmamento del cristianesimo<br />

e che si trova fra due sistemi stellari: il cattolicesimo e il protestantesimo:<br />

talvolta si avvicina all’uno, talaltra all’altro. E’ certo,<br />

però, che molte delle sue istanze, anche contro lo stesso cattolicesimo<br />

da lui poco conosciuto, partono da punti di vista cattolici. Per<br />

questo si può asserire che Kierkegaard rientra più spesso nell’orbita<br />

del sistema cattolico che del protestante e la sua anima, sitibonda di<br />

verità e di Cristo, appartiene sicuramente all’anima della Chiesa.<br />

Tutti gli uomini di buona volontà, che hanno il grande dono della<br />

fede, come l’aveva Kierkegaard, potranno pregare con lui:<br />

“Signore Cristo Gesù, Tu che hai conosciuto in precedenza il Tuo<br />

destino, e tuttavia non Ti sei ritirato: Tu che ti sei rassegnato a<br />

nascere nella povertà e nell’abbassamento, anzi in povertà e abbassamento<br />

hai portato il peccato del mondo, come un sofferente, fino<br />

a che odiato, abbandonato, oltraggiato, schernito, sputacchiato e<br />

infine abbandonato da Dio stesso, reclinasti il Tuo capo in ignominiosa<br />

morte, oh, ergilo ancora, Tu eterno vincitore: è vero che non<br />

vincesti in questa vita, ma in morte Tu hai trionfato della morte.<br />

Solleva il Tuo capo, vincitore eterno,Tu che sei asceso al cielo !<br />

Deh, che noi Ti possiamo seguire” 85 .<br />

85 KIERKEGAARD, Per l’esame di se stessi, 1851, in “Preghiere” a cura di<br />

C. FABRO, Morcelliana, Brescia 1950, p. 67.<br />

sacra<br />

scrittura<br />

e<br />

teologia<br />

La <strong>Passio</strong>ne di Cristo<br />

in Kierkegaard<br />

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teologia<br />

MARIO CEMPANARI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

teologia<br />

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Dopo la sua breve e sofferta esistenza terrena, a suggello di tutti<br />

i suoi desideri e preghiere, il grande filosofo danese con gioiosa<br />

certezza può lasciare scritto per sempre nel suo epitaffio sopra la<br />

pietra sepolcrale in Copenhagen:<br />

...“Halleluja !... In un giardino di rose, potrò riposare a colloquio<br />

con il mio Gesù” 86 .<br />

THE PASSION OF CHRIST IN KIERKEGAARD<br />

Notes and Research – 2nd ENG<br />

part<br />

By Mario Cempanari<br />

This is the second part of the article printed in Sap Cr XXIII-2008,<br />

pp 429-454.<br />

LA PASSION DE CHRISTE CHEZ KIERKEGAARD FRA<br />

Notes et Recherches – Deuxième partie<br />

Par Mario Cempanari<br />

Deuxième partie de l’article pubbblié dans la Sap Cr XXIII-2008,<br />

pp 429-454.<br />

LA PASIÓN DE CRISTO EN KIERKEGAARD.<br />

ESP<br />

Notas e investigaciones, Segunda Parte,<br />

Por Mario Cempanari<br />

Segunda parte del artículo aparecido en Sap Cr XXIII-2008,<br />

pp. 429-454.<br />

DIE PASSION CHRISTI IN KIERKEGAARD<br />

GER<br />

Anmerkungen und Untersuchungen – Teil 2<br />

Von Mario Cempanari<br />

Der zweite Teil des Artikels wurde publiziert in: Sap Cr. XXIII-2008,<br />

S. 429-454.<br />

MĘKA CHRYSTUSA U KIERKEGAARDA.<br />

POL<br />

Notatki i poszukiwania. Cz. II<br />

Mario Cempanari<br />

Druga częśç artykułu opublikowanego w Sap Cr XXIII-2008,<br />

ss. 429-454.<br />

86 Da H. A. BRORSON, Breve, I, 20, Den danske Salme Bog.


PREMESSA<br />

di MAURIZIO BUIONI C.P.<br />

In occasione dell’approvazione degli Statuti del Cammino<br />

Neocatecumenale da parte della Santa Sede, l’Autore ci<br />

offre una presentazione chiara e stimolante di questa realtà<br />

ecclesiale. Essa mostra come, fin dal principio, il Cammino<br />

fu compreso e accompagnato dalle autorità della Chiesa<br />

come un frutto dello Spirito Santo,<br />

che attuava così, come accaduto<br />

in vari movimenti spirituali sorti<br />

intorno al Concilio Tridentino,<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

IL CAMMINO<br />

NEOCATECUMENALE<br />

ALLA LUCE<br />

DEL CONCILIO<br />

VATICANO<br />

quanto annunciato e promosso<br />

dal Concilio Vaticano II. Come già<br />

è stato evidenziato in un precedente<br />

articolo pubblicato in questa<br />

rivista, la Croce gloriosa è al centro<br />

del Cammino catecumenale, la<br />

Croce che comprende in sé la<br />

risurrezione. Nella morte e nella<br />

risurrezione di Gesù siamo stati<br />

immersi, cioè battezzati (Rom 6, 1-<br />

11). Questo articolo illumina<br />

anche altre prerogative del<br />

Cammino: la sua ecclesialità, in<br />

quanto si attua nella Chiesa locale<br />

e nella parrocchia, l’esperienza<br />

della Chiesa come comunità, l’importanza della liturgia in<br />

quanto strumento di grazia per la Chiesa, la trasmissione<br />

della fede, l’evangelizzazione (seconda parte), l’importanza<br />

dei segni e della loro comprensione.<br />

Il 13 giugno 2008, in una celebrazione di carattere familiare, la<br />

Santa Sede ha consegnato gli Statuti definitivi del Cammino<br />

Neocatecumenale, una delle realtà ecclesiali di maggiore crescita,<br />

nata dopo il Concilio Vaticano II. L’approvazione degli Statuti ha<br />

luogo dopo 5 anni dall’inizio di un periodo ad experimentum.<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

69-122<br />

spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

MAURIZIO BUIONI<br />

SapCr XXIV<br />

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spiritualità<br />

70<br />

Al termine della cerimonia, che ha avuto luogo nella sede<br />

dell?organismo vaticano preposto al Laicato, il Cardinale Stanisław<br />

Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, alla presenza<br />

degli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello, Carmen Hernández e<br />

Don Mario Pezzi, ha spiegato l’importanza di questo gesto:<br />

Significa la conferma da parte della Chiesa dell’autenticità, della<br />

genuinità del carisma che sta alla loro origine nella vita e nella missione<br />

della Chiesa.<br />

In modo particolare, questo riguarda il Cammino che ha ormai<br />

lunga storia nella Chiesa, più di 40 anni, e porta nella vita della<br />

Chiesa tanti frutti, tante vite cambiate in profondità, tante famiglie<br />

ricostruite, tante vocazioni religiose, sacerdotali e tanto impegno a<br />

favore della nuova evangelizzazione.<br />

Quindi – ha aggiunto –, un momento di grande gioia per la Chiesa,<br />

un momento di grande gioia per la realtà ecclesiale che riceve questo<br />

riconoscimento.<br />

Nel pomeriggio dello stesso giorno, gli iniziatori del Cammino<br />

hanno offerto nel Centro Neocatecumenale di Roma la loro prima<br />

conferenza stampa per manifestare gratitudine al Santo Padre,<br />

annunciando, poi, come la Santa Sede stia studiando i testi delle<br />

catechesi perché possano essere rese pubbliche e distribuite nelle<br />

Diocesi del mondo.<br />

Criterio fondamentale della Chiesa e nella Chiesa per determinare<br />

l’autenticità di un gruppo o di un movimento è costituito non solo dal<br />

discernimento, da parte dell’autorità, della sua validità o ortodossia, ma<br />

anche dal legame reale con la tradizione, perché si possano cogliere la<br />

continuità e lo sviluppo storico di un fondamento apostolico. Anche<br />

per il Cammino neocatecumenale vale lo stesso criterio. Di fronte ad<br />

una società che determina le proprie scelte di vita, la propria economia,<br />

i propri criteri di relazione, il Cammino si propone come uno strumento<br />

e una sintesi originale di elementi collaudati storicamente, maturata<br />

negli anni del Concilio Vaticano II, quando la Chiesa post-conciliare<br />

registrava, nelle aree tradizionalmente cattoliche, la presenza di grandi<br />

masse sacramentalizzate, ma scarsamente evangelizzate.<br />

Come condurre ad una fede adulta, matura e consapevole coloro,<br />

che pur avendo ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, non<br />

mostrano uno stile di vita cristiano? Come far rivivere i germi di vita<br />

eterna conferiti col battesimo, ma ancora bisognosi di essere formati<br />

e rivitalizzati?


Esso si pone come uno strumento che rende chiaro e intelligibile<br />

l’uomo e la sua storia, il quale comincia a scoprire, pian piano, la<br />

propria vita personale e comunitaria ravvivata dall’esperienza del<br />

testo sacro per riconoscere la presenza di Dio e favorire il servizio,<br />

la conversione personale e comunitaria. Si rende così visibile un<br />

nuovo modo di vivere il Vangelo, rimanendo all’interno delle parrocchie<br />

e tenendo presenti le esigenze degli uomini contemporanei.<br />

Attualmente il Cammino Neocatecumenale è diffuso in 107 Paesi<br />

del mondo. Opera in 20.000 comunità, presenti in 5700 parrocchie.<br />

Oltre 600 famiglie sono partite per evangelizzare le zone più scristianizzate<br />

della terra, andando a vivere soprattutto fra i poveri.<br />

Inoltre, da questa realtà ecclesiale sono sorti 72 seminari diocesani<br />

missionari Redemptoris Mater, che hanno già dato alle varie Diocesi<br />

oltre 1200 presbiteri.<br />

Nel solco<br />

del Concilio Vaticano II<br />

ne definitiva degli Statuti così lo descrive:<br />

Il Cammino Neocatecumenale<br />

è nato<br />

negli anni del Concilio<br />

Vaticano II. Il<br />

Decreto di approvazio-<br />

Il Cammino Neocatecumenale ebbe inizio nel 1964 fra i baraccati<br />

di Palomeras Altas, a Madrid, per opera del Signor Francisco José<br />

(Kiko) Gomez Argüello e della Signorina Carmen Hernández.<br />

Questo nuovo itinerario di iniziazione cristiana, nato nel solco del<br />

rinnovamento suscitato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, incontrò<br />

il vivo interesse dell’allora arcivescovo di Madrid, Sua<br />

Eccellenza Monsignor Casimiro Morcillo (1904-1971), che incoraggiò<br />

gli iniziatori del Cammino a portarlo nelle parrocchie che lo<br />

richiedessero. Esso si diffuse così gradualmente nell’arcidiocesi di<br />

Madrid e in altre diocesi spagnole. Nel 1968 gli Iniziatori del<br />

Cammino Neocatecumenale giunsero a Roma e si stabilirono nel<br />

Borghetto Latino. Con il consenso di Sua Eminenza il cardinale<br />

Angelo Dell’Acqua (1903-1972), all’epoca Vicario Generale di Sua<br />

Santità per la Città di Roma e Distretto, si cominciò la prima catechesi<br />

nella parrocchia di Nostra Signora del Santissimo Sacramento<br />

e Santi Martiri Canadesi. A partire da quella data il Cammino si è<br />

andato via via diffondendo in diocesi di tutto il mondo 1 .<br />

1 Decreto di approvazione, Dato in Vaticano l’11 Maggio 2008, Solennità<br />

di Pentecoste.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

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spiritualità<br />

MAURIZIO BUIONI<br />

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spiritualità<br />

72<br />

Fin dai primi tempi Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno più volte<br />

collegato il Cammino Neocatecumenale al rinnovamento del<br />

Concilio Vaticano II. Nella prima udienza ad un gruppo di circa 500<br />

partecipanti tra presbiteri e membri delle comunità, l’8 Maggio<br />

1974, Paolo VI li salutò dicendo:<br />

Salutiamo il gruppo di sacerdoti e di laici che rappresentano il<br />

movimento delle Comunità Neocatecumenali. Ecco i primi frutti del<br />

Concilio Vaticano II. Quanta gioia e quanta speranza ci date con la<br />

vostra presenza e con la vostra attività! Sappiamo che nelle vostre<br />

comunità voi vi adoperate insieme a comprendere e a sviluppare le<br />

ricchezze del vostro Battesimo e le conseguenze della vostra appartenenza<br />

a Cristo. Vivere e promuovere questo risveglio è quanto voi<br />

chiamate una forma di “dopo Battesimo” che potrà rinnovare nelle<br />

odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento,<br />

che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di<br />

preparazione al Battesimo. Voi lo portate dopo: il prima o dopo,<br />

direi, è secondario 2 .<br />

Ricordiamo, inoltre, come a metà del XX secolo, la Chiesa cattolica<br />

registrò un aumento delle conversioni di adulti. Il Concilio<br />

Vaticano II esortò dunque al ripristino di tutti i riti del Catecumenato<br />

che erano stati adottati dalla Chiesa primitiva affinché i cristiani<br />

adulti potessero essere istruiti e costantemente nutriti 3 . Nacque così<br />

il Rito per l’Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA). Esso si compone<br />

di tre periodi di preparazione ai Sacramenti dell’Iniziazione: il<br />

periodo di Evangelizzazione e Precatecumenato; il periodo di<br />

Catecumenato e il periodo di Purificazione e Illuminazione. Infine,<br />

esiste un periodo di Catechesi postbattesimale o Mistagogia. Ecco<br />

gli scopi e i riti principali di questi 4 periodi.<br />

Il primo periodo, di evangelizzazione e di precatecumenato, è<br />

molto importante e non dovrebbe essere omesso. È un tempo di<br />

evangelizzazione: con l’aiuto e la grazia di Dio avviene una prima<br />

conversione, attraverso la quale una persona si sente allontanare dal<br />

peccato e portata verso il mistero dell’amore di Dio. Tutto il periodo<br />

del precatecumenato è finalizzato a questa evangelizzazione<br />

2 PAOLO VI, Udienza agli Iniziatori del Cammino neocatecumenale,<br />

08/05/1974.<br />

3 Cf. Sacrosanctum concilium, nn. 64-70.


affinché possa maturare la volontà autentica di seguire Cristo e di<br />

ricercare il Battesimo 4 .<br />

Il secondo periodo, il Catecumenato, è lungo e inizia con “l’entrata<br />

nell’ordine dei catecumeni”. In questo periodo i candidati ricevono<br />

una formazione pastorale e una disciplina adatta. In tal modo,<br />

maturano le inclinazioni manifestate al momento dell’entrata nel<br />

Catecumenato 5 .<br />

Il terzo periodo, Purificazione e Illuminazione, comincia con<br />

“l’elezione” o “l’arruolamento dei nomi”, che si celebra la prima<br />

domenica di Quaresima. Inizia così un periodo di più intensa preparazione<br />

spirituale che implica più una riflessione interiore che la<br />

catechesi e intende purificare la mente e il cuore dell’eletto per illuminarli<br />

con una conoscenza più profonda di Cristo, il Salvatore.<br />

Questo periodo coincide abitualmente con la Quaresima. Sia per<br />

l’eletto sia per la comunità cristiana locale si tratta di un periodo di<br />

raccoglimento spirituale in vista della celebrazione del mistero<br />

pasquale. In questo periodo, vengono celebrati solennemente tre<br />

scrutini la domenica 6 . I sacramenti del Battesimo, della<br />

Confermazione e dell’Eucaristia, integrati nella Veglia Pasquale,<br />

rappresentano il momento culminante del RICA, ma è errato pensare<br />

che siano anche la sua conclusione.<br />

Il quarto periodo, la catechesi postbattesimale o mistagogia, è il<br />

tempo, in genere pasquale, che segue la celebrazione dell’iniziazione,<br />

durante il quale gli iniziati sperimentano la propria appartenenza<br />

alla comunità cristiana per mezzo di una adeguata catechesi e in<br />

particolare partecipano con tutti i fedeli alla celebrazione eucaristica<br />

domenicale. Il termine mistagogia suggerisce che i neofiti arrivino<br />

ad una comprensione più piena ed efficace dei misteri attraverso<br />

il Vangelo che hanno appreso e soprattutto attraverso l’esperienza<br />

dei Sacramenti che hanno ricevuto. Ne deriva per loro un nuovo<br />

senso della fede, della Chiesa e del mondo 7 .<br />

4 RICA, 1972, nn. 9-10.<br />

5 Ibidem, nn. 14, 19.<br />

6 Ibidem, nn. 22, 25.<br />

7 Ibidem, n. 38. Alcune caratteristiche del RICA sono degne di nota: 1) Si<br />

tratta di una crescita della fede sia per i convertiti adulti sia per chi è già membro<br />

della comunità cristiana; partecipando al rito, tutti i membri della Chiesa<br />

ricevono nutrimento e l’opportunità di crescere. Per questo, il RICA non è qualcosa<br />

che accade davanti ai banchi della chiesa, ma che li include. 2) Il RICA<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

69-122<br />

spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

MAURIZIO BUIONI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

74<br />

La Congregazione del Culto, dopo vari incontri con gli Iniziatori<br />

ed un attento esame del Cammino nella Diocesi di Roma, assieme al<br />

saluto di Paolo VI, pubblicò sulla Rivista ufficiale “Notitiae” la<br />

seguente Nota, sempre facendo riferimento al Concilio:<br />

Tutte le riforme, nella Chiesa, hanno apportato nuovi principi e promosso<br />

nuove norme, che hanno tradotto in pratica gli intenti della<br />

riforma stessa. Così accadde dopo il Concilio di Trento; né poteva<br />

essere diversamente ai giorni nostri. Il rinnovamento liturgico incide<br />

profondamente sulla vita della Chiesa. C’è necessità che la spiritualità<br />

liturgica germini nuovi fiori di santità e di grazia, nonché di<br />

apostolato cristiano più intenso e di azione spirituale. Un modello<br />

eccellente di questo rinnovamento si trova nelle «Comunità neocatecumenali»<br />

che sorsero a Madrid, nel 1964, per iniziativa di<br />

alcuni giovani laici, con il permesso, l’incoraggiamento e la benedizione<br />

dell’eccellentissimo Pastore madrileno, Casimiro Morcillo.<br />

Le comunità hanno lo scopo di rendere visibile nelle parrocchie il<br />

segno della Chiesa Missionaria, e si sforzano di aprire la strada<br />

all’evangelizzazione di coloro che hanno quasi abbandonato la vita<br />

cristiana 8 .<br />

Nella sua pecurialità<br />

e struttura<br />

Con meraviglia<br />

fummo testimoni di<br />

una parola che,<br />

facendosi carne in gente<br />

così povera che l’accoglieva<br />

con gioia, dava luogo<br />

alla nascita di una comunità di preghiera, a una liturgia sorprendente<br />

come era la risposta di tanti fratelli che, pieni di peccati, benedicevano<br />

il Signore che si era ricordato di loro. Così in un periodo di<br />

tre anni, vedemmo apparire davanti ai nostri occhi un vero<br />

Cammino di gestazione alla fede, una specie di catecumenato che<br />

andava creando, a poco a poco, una Chiesa, realizzava una comu-<br />

e i suoi riti liturgici dovrebbero essere in sintonia con lo spirito e il ritmo dell’anno<br />

liturgico della Chiesa; 3) I convertiti adulti affrontano un processo di purificazione<br />

con l’aiuto di riti sacri durante il loro Catecumenato. Per questo, è<br />

necessario prestare cura e attenzione a riti e liturgie ben delineate.<br />

Nell’elaborare l’iniziazione cristiana degli adulti la Chiesa ha ripristinato e preparato<br />

per noi un meraviglioso sistema di Catecumenato, in sintonia con il ritmo<br />

e la struttura dell’anno liturgico della Chiesa.<br />

8 SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, «Notitiae», organo di detta<br />

Congregazione, n. 95-96 Julio-Augusto 1974, p. 229.


nione fraterna, dava luogo all’amore in una dimensione che stupiva<br />

tutti, perché era quella della morte per il nemico, la dimensione<br />

della Croce 9 .<br />

In queste parole, richiamate dall’iniziatore del Cammino anche<br />

davanti all’assemblea plenaria della Congregazione per<br />

l’Evangelizzazione dei popoli, si possono notare chiaramente un<br />

fatto molto importante, i due passaggi in cui si compie e intuirne un<br />

terzo.<br />

Il fatto è molto semplice ed evidente: al termine del Cammino<br />

Neocatecumenale c’è la nascita, la formazione di una Chiesa; un<br />

evento che Kiko ricorda due volte, la prima usando il termine di<br />

«comunità di preghiera», la seconda parlando di «comunione<br />

fraterna» e di «Chiesa». Si tratta dello scopo del Cammino che,<br />

espresso in diversi modi, resterà sempre, diventandone come<br />

l’orientamento di fondo, chiamandosi ora «ricostruzione» della<br />

Chiesa, ora «rianimazione»; una Chiesa al cui centro c’è la «comunione<br />

fraterna», 1’«amore», 1’«Amore nella dimensione della<br />

Croce» e la «preghiera» 10 .<br />

Più articolato il discorso sull’evoluzione del Cammino, sui passaggi<br />

che esso ha attraversato nei primi tre anni, dopo i quali ha<br />

lasciato Madrid per approdare a Roma. Si tratta di passaggi al cui<br />

interno si possono intravedere delle mediazioni culturali, ma al cui<br />

centro resta l’intensa e semplice esperienza spirituale di chi ha iniziato<br />

il Cammino e delle stesse prime comunità: Dio che ama gratuitamente<br />

ogni uomo e il Crocifisso come sua icona, la Chiesa<br />

come frutto e sacramento di questo amore e la necessità di un itinerario<br />

per scoprirne la presenza nelle acque del proprio battesimo.<br />

Il primo passaggio è quello fondante; avviene a Madrid nel 1964<br />

tra i baraccati di Palomeras Altas, fra povera gente tra cui non mancavano<br />

ladri e assassini. Ebbene, la parola di Dio trasformava quelle<br />

persone riunendole in una fratellanza, in una «comunione», in una<br />

9 Cf. F. ARGÜELLO, Le comunità neocatecumenali, in Rivista di vita spirituale,<br />

2 (1975), pp. 185-197. Analoghe espressioni, con più abbondanza di termini<br />

utili per approfondirne il pensiero, si possono trovare nell’Intervento di K.<br />

Argüello alla plenaria della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli<br />

nell’aprile del 1983, in II Cammino neocatecumenale nei discorsi di Paolo VI e<br />

di Giovanni Paolo II, pro ms., presso il Centro neocatecumenale di Roma,<br />

1991.<br />

10 II Cammino neocatecumenale, pp. 86-87.<br />

pastorale<br />

e<br />

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Il cammino<br />

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«koinonia», in una parola, in una Chiesa. Kiko ricorda l’avvenimento<br />

usando espressioni come «meraviglia», «stupore», «sorpresa».<br />

Sulla scorta di altre fonti non mancano elementi di obiettiva mediazione:<br />

Kiko stesso ricorda l’esperienza di Charles de Foucauld, alcune<br />

espressioni di papa Giovanni XXIII sulla Chiesa dei poveri e<br />

descrive anche lo stile con il quale era andato a vivere nelle baracche,<br />

soltanto con una Bibbia e una chitarra. non per insegnare a leggere<br />

o a scrivere, né per fare assistenza sociale e neppure per predicare<br />

il vangelo, ma per «porsi accanto a Gesù Cristo»; il suo ideale<br />

era la vita nascosta che Gesù aveva vissuto per trent’anni a Nazaret,<br />

senza dire nulla 11 .<br />

Ma dopo quello che era successo, il centro - lo stile - erano ben<br />

altri; nulla era stato preconcepito o preparato, ma tutto era frutto di<br />

un’esperienza vissuta: il fatto che quella gente era come crollata<br />

davanti all’annuncio del servo di Adonaj, di uno che si era caricato<br />

di ogni loro peccato, che era morto al posto loro e per loro e che per<br />

questo Dio aveva risuscitato; per cui «pieni di peccati benedicevano<br />

il Signore». Perché era crollata? perché «erano tanto poveri che non<br />

potevano difendersi davanti alla parola di Dio, perché non avevano<br />

nulla da difendere; erano così poveri - racconta Kiko - che credevano<br />

a tutto ciò che dicevamo, che credevano al vangelo alla lettera,<br />

perché non erano vaccinati; e poiché credevano al vangelo, lo<br />

Spirito operava in loro» 12 .<br />

Un momento, indubbiamente, «fondante», perché in germe c’è<br />

l’inizio e la fine di quello che sarà poi il Cammino: la potenza del<br />

kerygma, che di «relitti di umanità» fa delle creature nuove, e la sua<br />

dinamica: la formazione, la ricostruzione della Chiesa che resterà lo<br />

scopo ultimo del Cammino. Dei poveri e dei peccatori - «gente che<br />

all’apparenza neppure sembravano esseri umani» - in pochissimo<br />

tempo facevano un Cammino enorme, di cui non potevano vantarsi,<br />

perché da attribuire solo all’intervento liberante di Dio: facevano la<br />

Chiesa. È il momento del miracolo, davanti al quale Carmen<br />

Hernàndez, che sopraggiunge durante quelle primissime esperienze,<br />

per poi restare sempre con Kiko, rimaneva più che stupita, essendo<br />

abituata a pensare la comunità in termini ben diversi: di persone per<br />

11 Orientamenti alle équipes dei catechisti per la fase di conversione, pro<br />

ms., presso il Centro neocatecumenale di Roma, pp. 7-8.<br />

12 Orientamenti alle équipes dei catechisti, pp. 10-11.


ene, perfette, che possono stare insieme grazie alle loro qualità e a<br />

un forte sforzo ascetico.<br />

Il secondo passaggio si compie nel giro di tre anni, anche se ciò<br />

che lo caratterizza dovrebbe essere avvenuto poco tempo dopo<br />

l’esperienza nelle baracche, in un lasso di tempo che resta difficile<br />

da precisare. Due fatti ne aprono la strada: il fallimento della predicazione<br />

di Kiko nelle parrocchie di Arguelles dove era stato chiamato<br />

dai rispettivi parroci e invitato dallo stesso vescovo di Madrid,<br />

monsignor Casimiro Morcillo, impressionato da quanto era avvenuto<br />

nelle baracche e, soprattutto, l’intuizione della necessità di un<br />

«Cammino di gestazione alla fede, una specie di catecumenato»,<br />

perché non si poteva trasportare nelle parrocchie il «metodo delle<br />

baracche»; per uomini «vaccinati» - annota Kiko -, abituati a<br />

nascondersi dietro il perbenismo senza neppure accorgersene e a<br />

vivere in «maschera», era necessario un Cammino di conversione<br />

nel quale poter scoprire di essere peccatori, del tutto incapaci di<br />

riconciliarsi con la propria vita e tanto meno di amare il proprio<br />

prossimo 13 .<br />

Per la successiva elaborazione del Cammino questo periodo è<br />

molto importante, anche perché il contatto con la realtà parrocchiale<br />

e il fallimento della predicazione quasi naturalmente portano un<br />

po’ alla volta a galla quelle che si possono considerare le mediazioni<br />

culturali del Cammino, nelle quali si confondono le esperienze<br />

precedenti di Kiko (i Cursillos e la sua conversione) con la preparazione<br />

culturale e la vocazione missionaria di Carmen Hernàndez.<br />

Carmen aveva frequentato la facoltà teologica di Valencia, tramite<br />

Farnes era stata in contatto con l’Istituto di Pastorale Liturgica di<br />

Parigi, in particolare con dom Botte e con L. Bouyer, e, prima di<br />

incontrarsi con Kiko, si era iscritta all’École Biblique di<br />

Gerusalemme, apprendendo, in particolare, lo stile tipicamente<br />

ebraico di vivere liturgicamente la fede 14 .<br />

È in questo passaggio, dunque, che assume particolare importanza,<br />

agli effetti dell’esito finale del Cammino, il contributo di<br />

Carmen; in modo specifico: l’aggancio con la Chiesa istituzionale<br />

che le veniva dalla formazione di Valencia, la centralità del mistero<br />

13 Ivi, pp. 8-9.<br />

14 Cf. Convivenza d’inizio corso 1994-95. Catechesi su «Sono rotti i miei<br />

legami».<br />

pastorale<br />

e<br />

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pasquale per la vita cristiana, propria del movimento liturgico, lo<br />

stile liturgico di matrice ebraica nel vivere tutto il Cammino di conversione<br />

e, soprattutto, l’apertura universale proveniente dalla sua<br />

vocazione missionaria la quale non poteva attuarsi se non passando<br />

attraverso Roma, dove Kiko e Carmen fisseranno la loro sede a partire<br />

dal 1968.<br />

Ma quello che sorprende è che tutte queste precedenti preparazioni<br />

culturali o esperienziali, nel momento in cui nasceva il Cammino,<br />

non erano presenti e non si agiva in base ad esse: erano state come<br />

lasciate da parte. Carmen può dire che il Cammino non è stato preconcepito;<br />

perché tutto emergeva all’interno di una nuova esperienza<br />

spirituale: la potenza della parola, il fallimento della predicazione,<br />

l’obbedienza al vescovo di Barcellona che proibiva la celebrazione<br />

eucaristica così come andava elaborandosi nel Cammino.<br />

Dal punto di vista culturale si faceva esperienza che Dio ridona<br />

ciò che l’uomo lascia per suo amore, cento volte tanto. Soltanto<br />

guardando retrospettivamente si possono notare queste lontane preparazioni:<br />

la «cristologia» di Kiko formatasi, sulla scia di Charles de<br />

Foucauld, nel privilegiare i poveri come luogo della manifestazione<br />

di Dio e sperimentando, nella propria conversione, la presenza di<br />

Cristo come servo di Adonaj che prende su di sé i peccati degli<br />

uomini, morendo al posto loro e per loro e rinnovandoli profondamente;<br />

1’ecclesiologia liturgica di Carmen culturalmente ancorata<br />

agli studi di Valencia, ma animatasi nel rinnovamento liturgico<br />

impresso alla Chiesa dal Vaticano II e resa ancor più sensibile dall’esperienza<br />

ebraica che le permetteva di percepire la novità dell’eucaristia<br />

cristiana senza dimenticare le sue radici ebraiche; un’ecclesiologia<br />

che diventava poi «cattolica» per il respiro missionario che<br />

Carmen custodiva in sé fin da ragazza e che si era maturato in una<br />

profonda kenosi, senza dimenticare la solidità «tridentina» della teologia<br />

insegnata a Valencia 15 .<br />

Quando Kiko e Carmen lasciarono Madrid, la struttura del<br />

Cammino si era sostanzialmente formata, articolandosi in precatecumenato,<br />

catecumenato ed elezione; tre tappe nelle quali le persone<br />

avrebbero lentamente imparato a riconoscersi peccatori, scendendo<br />

negli inferi del proprio essere per scoprirsi incapaci di amare e<br />

scoprendo, contestualmente, che proprio là Cristo le stava aspettan-<br />

15 Cf. Catechesi su «Sono rotti i miei legami» (1994).


do, per trasformarle in creature nuove in grado di riconciliarsi con la<br />

propria storia e di amare il nemico, per diventare Chiesa, sacramento<br />

dell’amore di Dio per gli uomini. E tutto questo reso possibile<br />

in piccole comunità, nell’ascolto della parola di Dio e nutrendosi<br />

dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia celebrata ogni<br />

sabato notte, nuova Pasqua del Signore che introduce al riposo<br />

escatologico.<br />

Un vero Cammino di conversione, scandito da precise tappe; da<br />

due scrutini in particolare; il primo nel passaggio dal precatecumenato<br />

al catecumenato, il secondo nel passaggio dal catecumenato<br />

all’elezione, prima che il Cammino si sciolga nella vita comune<br />

della chiesa. Due passaggi salienti nei quali, in modo diverso, si fa<br />

esperienza del rinascere e crescere del battesimo già ricevuto.<br />

Nel primo scrutinio si comincia a vedere la potenza della parola<br />

di Dio che libera dagli idoli e porta i fratelli a mettere Dio al primo<br />

posto e a percepirne la presenza nella Croce, luogo privilegiato dell’incontro<br />

con lui; è un’esperienza decisiva che si continua e si<br />

accresce nella successiva iniziazione alla preghiera, nell’essere poi<br />

inviati nelle case della parrocchia per dare testimonianza di quanto<br />

Dio sta operando nella vita dei fratelli e che si conclude nella consegna<br />

del «Padre nostro». Segue poi il tempo che introduce al secondo<br />

scrutinio, quello dell’elezione, nel quale si comincia a gridare<br />

«Abbà, Padre», per rifiutare il maligno continuamente annidantesi<br />

nell’uomo per essere lui padre nella vita. L’elezione è il tempo della<br />

confidenza in Dio, dell’abbandono alla sua volontà, in cui si offre il<br />

proprio corpo al Padre perché in esso Cristo continui la sua missione<br />

di perdere la vita per gli uomini, amando con esso e come lui i<br />

nemici; un amore - quest’ultimo - che resta il luogo ermeneutico<br />

della più profonda identità cristiana.<br />

Nella prima parte degli anni Settanta, dopo la pubblicazione del<br />

Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, già precedentemente<br />

menzionato, plausibilmente avveniva come una conferma del<br />

Cammino intrapreso e insieme la sua definitiva articolazione, nell’idea<br />

che le tappe del Cammino corrispondevano ai diversi momenti<br />

della celebrazione del battesimo; un sacramento già ricevuto e<br />

ricevuto nel giro di pochi minuti e che nel Cammino riviveva gradualmente,<br />

portando con sé la luce e la grazia di ogni momento; una<br />

luce e una grazia proporzionata alla situazione in cui si trovava chi<br />

ne rinnovava i momenti attraverso una serie di parole e di gesti che<br />

allora venivano fissati per accogliere quelli ricevuti nel primo<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

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battesimo. La rinnovazione delle promesse battesimali, al termine<br />

del Cammino nella veglia di Pasqua, operativamente segnava la<br />

fine della sua articolazione che assumeva così una connotazione<br />

liturgica ancor più evidente. Si trattava del terzo e definitivo passaggio,<br />

compiuto in coincidenza dell’apertura del Cammino a tutte le<br />

nazioni.<br />

Le dinamiche<br />

del cammino<br />

Si ripete spesso<br />

che nel Cammino<br />

nulla è stato preconcepito,<br />

in quanto<br />

tutto viene da un’espe-<br />

rienza o, meglio, da una serie di esperienze nelle quali coloro che<br />

sono all’inizio del Cammino, Kiko e Carmen in particolare, hanno<br />

visto e vedono un intervento di Dio che ancora una volta libera un<br />

popolo, portandolo dalla schiavitù dei propri idoli (denaro, potere,<br />

sesso, ecc) alla libertà dei figli di Dio, alla capacità di morire per il<br />

nemico. Un fatto o una serie di fatti che si vedono nella storia concreta<br />

di ogni giorno, là dove è dato abitualmente l’incontro vivificante<br />

con il Dio di Gesù Cristo. Parola di Dio, sacramenti, Chiesa<br />

non sono realtà a sé stanti, dei riti magici o dei precetti, ma sono luce<br />

e forza per aiutare a vedere Dio presente nella propria storia, in quella<br />

dei fratelli e nelle vicende del mondo, sapendo cogliere anche in<br />

quelle che il mondo chiama «disgrazie» la presenza di Dio che ama.<br />

O la parola di Dio e i sacramenti producono questo o si è fatto della<br />

chiesa non una missione per il mondo, ma un rifugio nel quale tutti<br />

possono incontrarsi con Dio a un livello religioso-naturale, nel quale<br />

si finisce per giudicare chi non va a messa o chi si comporta «male».<br />

In tale contesto il Cammino non è una tecnica, né una teologia,<br />

né una morale, ma una piccola comunità in cui si può gradualmente<br />

cominciare a sperimentare l’efficacia della Parola in un clima liturgico,<br />

senza per questo essere confermati in grazia. Quattro ci sembrano,<br />

così, le principali dinamiche del Cammino: la comunità, la<br />

gradualità, la liturgia, la conversione.<br />

a) La comunità. - Il caso è serio. Si tratta di fare un salto, di rieducare<br />

al senso della Chiesa, di farne scoprire il mistero, la ricchezza<br />

profonda, spesso nascosta, dal momento che la Chiesa, purtroppo,<br />

viene sempre più identificata come una organizzazione di servi-


zi religiosi e non come una comunità di fratelli. L’esperienza in una<br />

piccola comunità porterà a far crescere un po’ alla volta nel cuore di<br />

ogni fratello la Chiesa come madre, sorella e figlia. Questa è la<br />

meta.<br />

Entra in comunità colui che accoglie nella sua vita il kerygma e<br />

desidera fare un Cammino di conversione. Non vi sono altre condizioni.<br />

Uomini e donne, anziani e giovani, sposati o meno, colti e<br />

analfabeti, ricchi e poveri, preti e suore possono far parte della<br />

comunità. Nessuno è privilegiato. Non si tratta di un gruppo specializzato<br />

del quale si fa parte perché si appartiene allo stesso ambiente<br />

di vita o di lavoro.<br />

La comunità, dal punto di vista sociologico, è uno specchio del<br />

mondo e uno spaccato di Chiesa. Niente è più lontano dal Cammino<br />

che la volontà di concentrarsi su tecniche psicologiche e sociologiche<br />

nella formazione della comunità. La dinamica di gruppo, la strategia<br />

di integrazione personale, la promozione di relazioni credibili,<br />

non sono ricercate direttamente come tali, ma sono frutto di un’altra<br />

cosa; di un mezzo che nessuno sceglierebbe, che anzi tutti vorrebbero<br />

eliminare per creare le condizioni più idonee al crescere di una<br />

comunità: i limiti, i difetti, i peccati dei fratelli, la vita concreta in<br />

tutta la sua realtà bella e brutta. Sono proprio i peccati e i difetti delle<br />

singole persone ad essere un aiuto importante ai fratelli, perché li<br />

costringono quasi a scoprire la propria impotenza ad accogliere l’altro<br />

così come è; l’impossibilità ad assumere dell’altro quello che<br />

distrugge; per cui amare comincia ad apparire come la distruzione<br />

del proprio io, di quanto cioè costituisce la sicurezza di ognuno 16 .<br />

La tragedia dell’uomo è il non volere morire, scoprendo però che<br />

amare diventa sempre più un morire; per cui si è ad una svolta: o si<br />

continua ad amare «fino ad un certo punto», ma allora continua la<br />

vita di prima, oppure, fidandosi della Parola, si rischia di amare<br />

«oltre» e allora si scopre che nella comunità comincia a nascere un<br />

rapporto diverso, frutto dell’azione dello Spirito. Così un po’ alla<br />

volta cominciano a cadere i progetti di comunità che ognuno porta<br />

con sé per lasciare posto alla comunità che va costruendo lo Spirito<br />

di Cristo, rendendoci capaci, al termine del Cammino, di accogliere<br />

il comandamento «Amatevi come io vi ho amato». Così ogni<br />

16 Cf. R. BLASQUEZ, Le comunità neocatecumenali. Discernimento teologico,<br />

Paoline, Milano 1987, pp. 36-51.<br />

pastorale<br />

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82<br />

membro della comunità inizia a sperimentare che il cristiano non è<br />

chiamato a farsi amare ma ad amare; impara a dare i primi segni<br />

della fede adulta, a ritenere gli altri superiori a sé, ad essere sottomesso,<br />

a portare i peccati dei fratelli senza giudicarli o mormorare,<br />

ad amare perdendo la vita, ad essere Chiesa. Così l’ecclesialità<br />

costitutiva della vita cristiana passa attraverso la comunità che cresce<br />

in ambito parrocchiale e che un po’ alla volta si scopre parte di<br />

un tutto, dentro una comunità più ampia, sperimentando con forza<br />

che non esiste possibilità di essere cristiani senza la Chiesa, incontrata<br />

concretamente nella vita dei fratelli più vicini.<br />

b) Gradualità. - Anche qui la meta è alta: si tratta di ricucire un<br />

po’ alla volta la frattura tra fede e vita, il fatto cioè che, abitualmente,<br />

la fede non c’entri con la vita; che se anche Dio ci fosse, nulla<br />

avrebbe a che fare con la vita.<br />

Dall’esterno questo è l’aspetto che più colpisce e che rischia di<br />

essere confuso con la lunghezza del Cammino, mentre si tratta di un<br />

vero percorso a tappe, la cui meta è l’ingresso nella Chiesa, attraverso<br />

l’esperienza graduale di ciò che significa essere cristiani sul<br />

piano della dottrina ma soprattutto su quello esistenziale. Non si va<br />

in comunità per imparare qualcosa, ma per vedere che le parole ricevute<br />

di volta in volta, nelle diverse tappe, cominciano a compiersi<br />

nella propria vita, cominciano a trasformare la vita di ognuno, a rendere<br />

più semplici i rapporti con se stessi, con i fratelli e con Dio; un<br />

intreccio di rapporti che si realizzano in diversi momenti, in diversi<br />

modi, in diverse profondità, ma il cui esito è sempre il graduale formarsi<br />

di una comunità di fratelli che prendono sempre più coscienza<br />

di essere peccatori. Pensavano di essere buoni, si accorgono di<br />

essere schiavi di tanti idoli; è il tempo del precatecumenato. Un<br />

tempo in cui alle persone si chiede solo di apprendere il linguaggio<br />

biblico (si imparano le parole: acqua, fuoco, agnello, ecc.) e il modo<br />

di pensare di Dio (attraverso i temi e le figure: alleanza, sacrificio,<br />

Abramo, Mosè, ecc.) lasciandosi giudicare dalla parola di Dio per<br />

scoprirsi peccatori perdonati.<br />

Qualcosa di diverso si prospetta nel secondo tempo: il catecumenato.<br />

Tempo della semplificazione dei rapporti con se stessi, con i<br />

fratelli e con Dio: quindi il tempo della rinuncia agli idoli, a ciò che<br />

impedisce di essere liberi; al denaro, in modo particolare, con dei<br />

gesti eloquenti; tempo per riconciliarsi con la propria storia incominciando<br />

a vedere Dio presente nelle proprie croci; è il tempo della


iniziazione alla preghiera, all’«ufficio» del cristiano; una iniziazione<br />

che si concluderà con la consegna del «Padre nostro», quando<br />

ogni fratello imparerà a vedere chi è l’effettivo padre nella sua vita,<br />

se il maligno o Dio; tempo del primo ingresso nella vita della<br />

Chiesa, nella storia della sua fede attraverso lo studio del «credo»,<br />

con i primi servizi in parrocchia e, soprattutto, attraverso la missione,<br />

due a due, nelle case della parrocchia, per testimoniare al mondo<br />

che Dio è signore di ogni morte e per vedere le sofferenze della<br />

gente, cominciando a portarne i peccati senza giudicare. Il catecumenato<br />

è un tempo di lotta con le tre armi della preghiera, dell’elemosina<br />

e del digiuno: armi che si devono usare insieme, altrimenti<br />

sono inefficaci. Ormai non è più in gioco solo la lotta contro le proprie<br />

passioni, ma anche contro il maligno che vuol impedire la formazione<br />

di una Chiesa e quindi la possibilità dell’evangelizzazione.<br />

Al tempo del catecumenato segue quello della elezione: l’ultima<br />

tappa che termina con un grande scrutinio, per vedere se, come diceva<br />

Giovanni Crisostomo, «la virtù si compie ormai spontaneamente,<br />

senza sforzo», segno di «elezione divina». È un tempo nel quale,<br />

come i tre fanciulli nella fornace, il cristiano non muore là dove gli<br />

altri muoiono, non perché lui sia più bravo, ma perché con lui c’è un<br />

angelo, perché il cristiano è chiamato a «salare» gli altri, ad entrare<br />

nel mondo per dare i segni della fede - quelli che attendono i nuovi<br />

pagani, ormai scettici di fronte ad altre presenze della Chiesa e scandalizzati<br />

di fronte al dolore -, che sono una solidarietà, un amore<br />

spinto fino a dare la vita; come Cristo che non è un eroe morto per<br />

un grande ideale, ma un uomo morto per della povera gente che<br />

nulla meritava. Si tratta di un processo in cui si entra solo se chiamati<br />

da Dio; non quindi reggendosi sulle proprie forze ma sulla<br />

potenza di Dio e quindi capaci di scorgerne l’opera nella propria<br />

vita, in quella dei fratelli e nel mondo.<br />

c) La liturgia. - Anche qui la posta in gioco è grande; compiere la<br />

parola: «in ogni tempo benedite il Signore»; fare della propria vita<br />

una lode a Dio. Si tratta del primo lavoro della Chiesa e del cristiano;<br />

del loro «ufficio», a somiglianza di Cristo che alla destra del<br />

Padre vive in preghiera; una preghiera che ricade sulla Chiesa per<br />

tenerla sveglia in attesa dello sposo e per tenere in piedi il mondo.<br />

La comunità diventa luogo della benedizione ascendente.<br />

Strutturalmente tutto nel Cammino avviene in un clima liturgico:<br />

nella celebrazione dell’eucaristia al sabato; nella celebrazione della<br />

pastorale<br />

e<br />

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spiritualità<br />

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parola il mercoledì sera; nelle preparazioni domestiche; alla domenica<br />

nella celebrazione familiare delle lodi. In particolare nelle piccole<br />

e grandi convivenze o in qualsiasi riunione dove una o più<br />

comunità vengono riunite: tutto è sempre preceduto dall’invocazione<br />

allo Spirito, cui seguono il canto delle lodi o del vespro, la catechesi,<br />

le notizie, gli avvisi, le preghiere spontanee, l’abbraccio di<br />

pace e la benedizione finale del presbitero. Nulla si fa al di fuori di<br />

una celebrazione liturgica: in essa si discutono i problemi, si fa la<br />

catechesi, si sentono le esperienze dei fratelli, si danno direttive, si<br />

raccolgono aiuti per le diverse necessità.<br />

Liturgia, carità e catechesi, i pilastri su cui si regge la Chiesa, si<br />

fondono così insieme, corrispondendo al tripode del Cammino:<br />

parola, eucaristia e vita di comunità. Catechesi e carità trovano la<br />

loro espressione in un contesto liturgico perché solo lo Spirito apre<br />

le orecchie e solo lo Spirito comunica la forza del perdono reciproco<br />

e solo lui permette di aiutare chi si trova nel bisogno senza condizionarsi<br />

reciprocamente. La carità non si fa mai direttamente da<br />

fratello a fratello, ma passa tramite la comunità perché vi sia libertà<br />

e onore per tutti, davanti al Signore; come nei primi tempi della<br />

chiesa, quando i cristiani si aiutavano per mezzo delle mani del<br />

vescovo, davanti al quale al termine della liturgia i più facoltosi<br />

deponevano i loro beni. La celebrazione liturgica si caratterizza in<br />

modo particolare in occasione delle tappe in preparazione della rinnovazione<br />

delle promesse battesimali: in ognuna di esse attraverso<br />

l’Invocazione dello Spirito, l’imposizione delle mani e gli esorcismi,<br />

il fratello rivive la grazia del battesimo già ricevuta; un’acqua<br />

la cui rivivificazione totale si compirà nella veglia pasquale di fine<br />

Cammino, rinnovando le promesse battesimali. Si può comprendere,<br />

quindi, come la veglia pasquale sia al centro del Cammino, perché<br />

ne conclude il percorso e insieme ne visibilizza lo scopo: la<br />

comunità offerta come corpo alla Chiesa, per continuare nel mondo<br />

la redenzione di Cristo.<br />

d) Conversione. - Anche qui la sfida è molto importante; mai dare<br />

per scontata la propria conversione; per nessuno. Anche se a una<br />

certa tappa del Cammino alcuni peccati sono difficilmente concepibili,<br />

si può sempre contristare lo Spirito. Ogni giorno si è invitati alla<br />

conversione, ricordando che dentro al nostro corpo rimangono come<br />

sette bocche che, se non ci possono uccidere, ci possono mordere,<br />

lasciando delle ferite che solo la grazia di Dio, la connessione


sacramentale può curare. Anche la precarietà spirituale non finisce<br />

mai. Dice Kiko: «Mai nessun miracolo che Dio fa con noi ci condiziona,<br />

ci aliena, ci impedisce di essere liberi. È tutto il contrario.<br />

Ogni volta siamo più liberi: questa è una educazione alla libertà, alla<br />

totale libertà. Ogni amore umano condiziona; non così l’amore di<br />

Dio; ogni giorno siamo più liberi, ogni giorno ci si può giocare tutta<br />

la fede per un nulla». Da qui l’appello alla vigilanza quotidiana: alla<br />

lettura (scrutatio) delle Scritture, per incontrarsi quotidianamente<br />

con Cristo e ricevere il suo Spirito; all’uso delle tre armi: preghiera,<br />

digiuno ed elemosina.<br />

Dopo questa prima analisi addentriamoci nel testo degli Statuti<br />

definitivamente approvati.<br />

Una data storica:<br />

13 giugno 2008<br />

La natura del<br />

Cammino neocatecumenale<br />

è<br />

descritta nell’articolo 1<br />

dello Statuto approvato:<br />

§ 1. La natura del Cammino Neocatecumenale viene definita da S.S.<br />

Giovanni Paolo II quando scrive: «Riconosco il Cammino<br />

Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida<br />

per la società e per i tempi odierni».<br />

§ 2. Il Cammino Neocatecumenale è al servizio del Vescovo come<br />

una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana<br />

e dell’educazione permanente nella fede.<br />

§ 3. Il Cammino Neocatecumenale, dotato di personalità giuridica<br />

pubblica 17 , consta di un insieme di beni spirituali 18 :<br />

I. il “Neocatecumenato”, o catecumenato post-battesimale, secondo<br />

la modalità di cui al Titolo II;<br />

II. l’educazione permanente della fede, secondo la modalità di cui<br />

al Titolo III;<br />

III.il catecumenato, secondo la modalità di cui al Titolo IV;<br />

IV. il servizio della catechesi, di cui al Titolo V, svolto secondo le<br />

modalità e dalle persone ivi indicate.<br />

Con questo primo articolo dello Statuto, la Chiesa conferma<br />

definitivamente il Cammino neocatecumenale come un itinerario di<br />

17 Statuto del Cammino Neocatecumenale, Roma 11 maggio 2008.<br />

18 Cf. Can. 115 § 3: fondazione autonoma di beni spirituali.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

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formazione cattolica valido per la società e per i tempi odierni.<br />

È quanto Giovanni Paolo II aveva già scritto nel 1990:<br />

Ogni qualvolta lo Spirito Santo fa germinare nella Chiesa impulsi di<br />

una maggiore fedeltà al Vangelo, fioriscono nuovi carismi che<br />

manifestano tali realtà e nuove istituzioni che le mettono in pratica.<br />

È stato così dopo il Concilio di Trento e dopo il Concilio Vaticano<br />

II. Tra le realtà generate dallo Spirito ai nostri giorni figurano le<br />

Comunità Neocatecumenali, iniziate dal Signor K. Argüello e dalla<br />

Signora C. Hernández (Madrid, Spagna), la cui efficacia per il rinnovamento<br />

della vita cristiana veniva salutata dal mio predecessore<br />

Paolo VI come frutto del Concilio 19 .<br />

Oltre al riconoscimento dell’origine divina del Cammino<br />

Neocatecumenale per i nostri tempi, nello Statuto definitivo la<br />

Chiesa riconosce una novità rispetto allo Statuto ad experimentum<br />

del 29 Giugno 2002: Il Cammino Neocatecumenale è dotato di personalità<br />

giuridica pubblica, che getta luce nuova sull’insieme di beni<br />

spirituali, propri del Cammino. Secondo il Codice di Diritto<br />

Canonico:<br />

Can. 116 - § 1. Le persone giuridiche pubbliche sono insiemi di persone<br />

o di cose, che vengono costituite dalla competente autorità<br />

ecclesiastica perché, entro i fini ad esse prestabiliti, a nome della<br />

Chiesa compiano, a norma delle disposizioni del diritto, il proprio<br />

compito, loro affidato in vista del bene pubblico; tutte le altre persone<br />

giuridiche sono private.<br />

§ 2. Le persone giuridiche pubbliche vengono dotate di tale personalità<br />

sia per il diritto stesso sia per speciale decreto dell’autorità<br />

competente che la concede espressamente.<br />

Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i<br />

Testi Legislativi, in alcune Annotazioni canoniche riguardo al<br />

Cammino dotato di personalità giuridica pubblica, commenta:<br />

A differenza del testo del 2002, gli Statuti ora approvati affermano<br />

la personalità giuridica pubblica del Cammino Neocatecumenale<br />

(art 1 § 3), erezione che avvenne per iniziativa del Pontificio<br />

Consiglio per i Laici, con Decreto del 28 ottobre del 2004. Il punto<br />

19 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Ogniqualvolta, a Mons. P. J. Cordes, incaricato<br />

ad personam per l’apostolato delle Comunità Neocatecumenali.


è di particolare rilevanza perché ci porta alla vera novità che, qua e<br />

là, emerge dai nuovi Statuti. Quale rilevanza pratica può avere adesso<br />

l’erezione della personalità giuridica pubblica? A mio modo di<br />

vedere, la maggiore conseguenza di questa personalità pubblica,<br />

applicata all’itinerario di formazione neocatecumenale, riguarda la<br />

particolare autorevolezza ecclesiale con la quale, sotto la direzione<br />

dei Vescovi diocesani, s’impartisce finora il Cammino, e nel particolare<br />

impegno che, di conseguenza, si assume perché esso sia proposto<br />

– come risultava prima, ma adesso con rinnovato impegno<br />

giuridico – per mezzo di persone particolarmente selezionate e<br />

appositamente formate.<br />

Riguardo al Cammino che consta di beni spirituali, osserva:<br />

Ciò che in questo caso riceve personalità giuridica pubblica nella<br />

Chiesa è propriamente l’itinerario di formazione cattolica, cioè<br />

il metodo di catecumenato post-battesimale che gli Statuti descrivono…<br />

Si può definire il Cammino come una fondazione di beni<br />

spirituali 20 .<br />

I beni spirituali di cui consta il Cammino Neocatecumenale,<br />

come abbiamo visto sopra, sono: I. il “Neocatecumenato”, o catecumenato<br />

post-battesimale. II. l’educazione permanente della fede. III.<br />

il catecumenato (per pagani) IV. il servizio della catechesi.<br />

Annuncio e nascita<br />

della comunità nelle<br />

Diocesi e nelle parrocchie<br />

L’attuazione del<br />

Cammino,<br />

secondo l’Art. 2,<br />

si attua nelle Diocesi:<br />

sotto la giurisdizione, la direzione del Vescovo diocesano e con l’assistenza,<br />

la guida dell’Équipe Responsabile internazionale del<br />

Cammino, o dell’Équipe responsabile delegata, di cui all’art. 3, 7º;<br />

secondo «le linee proposte dagli iniziatori», contenute nel presente<br />

Statuto e negli Orientamenti alle Équipes di Catechisti.<br />

20 Codice di Diritto Canonico, Can. 115§ 3. L’insieme di cose, ossia la fondazione<br />

autonoma, consta di beni o di cose, sia spirituali sia materiali, e lo dirigono,<br />

a norma del diritto e degli statuti, sia una o più persone fisiche sia un collegio.<br />

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e<br />

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Il cammino<br />

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Nella nota a fondo pagina si specifica: «Con le parole direzione<br />

e guida si indicano due funzioni distinte: con il termine direzione si<br />

intende la giurisdizione propria dei ministri ordinati; con il termine<br />

guida si intende la conoscenza tecnica del Cammino secondo le<br />

linee proposte dagli iniziatori» 21 .<br />

Abbiamo qui le due componenti essenziali perché il Cammino<br />

neocatecumenale possa nascere e crescere in una Diocesi: il<br />

Vescovo, che direttamente e attraverso il Parroco accoglie il<br />

Cammino Neocatecumenale e ne garantisce l’ecclesialità e l’autenticità,<br />

e gli Iniziatori, o i catechisti da loro delegati, che garantiscono<br />

che il Cammino si svolga secondo le linee degli iniziatori.<br />

All’interno della Diocesi il Neocatecumenato si attua di norma<br />

nella Parrocchia.<br />

Art. 6 § 1. Il Neocatecumenato, in quanto itinerario di riscoperta<br />

dell’iniziazione cristiana, è attuato di norma nella parrocchia,<br />

«ambito ordinario dove si nasce e si cresce nella fede», luogo privilegiato<br />

in cui la Chiesa, madre e maestra, genera nel fonte battesimale<br />

i figli di Dio e li “gesta” alla vita nuova.<br />

§ 2. Poiché la pastorale di iniziazione cristiana è vitale per la parrocchia,<br />

la realizzazione del Cammino Neocatecumenale va coordinata<br />

con la funzione propria che ha il Parroco in ciascuna comunità<br />

parrocchiale (cfr. can. 519 CIC), esercitando, anche con la collaborazione<br />

di altri presbiteri, la cura pastorale di coloro che lo percorrono.<br />

§ 3. Il Cammino Neocatecumenale mirerà a promuovere nei suoi<br />

destinatari un maturo senso di appartenenza alla parrocchia e a<br />

suscitare rapporti di profonda comunione e collaborazione con tutti<br />

i fedeli e con le altre componenti della comunità parrocchiale.<br />

Tra i frutti dell’itinerario neocatecumenale, descrivendo<br />

l’Educazione permanente della fede come una via di rinnovamento<br />

nella parrocchia al Titolo III, lo Statuto dice:<br />

Art. 23 § 1. In questo modo il Cammino Neocatecumenale contribuisce<br />

al rinnovamento parrocchiale auspicato dal Magistero della<br />

Chiesa di promuovere «nuovi metodi e nuove strutture», che evitino<br />

l’anonimato e la massificazione, e di considerare «la parrocchia<br />

21 Dal testo dello Statuto alla nota n. 8.


come comunità di comunità», che «decentrano e articolano la<br />

comunità parrocchiale».<br />

All’interno della parrocchia il Neocatecumenato è vissuto in piccola<br />

comunità:<br />

Art. 7§ 1. All’interno della parrocchia, il Neocatecumenato è vissuto<br />

in piccola comunità – denominata comunità neocatecumenale –,<br />

dato che la forma completa o comune dell’iniziazione cristiana<br />

degli adulti è quella comunitaria.<br />

§ 2. Modello della comunità neocatecumenale è la Sacra Famiglia<br />

di Nazaret, luogo storico dove il Verbo di Dio, fatto Uomo, si fa<br />

adulto crescendo «in sapienza, età e grazia», stando sottomesso a<br />

Giuseppe e Maria. Nella comunità i neocatecumeni divengono adulti<br />

nella fede, crescendo in umiltà, semplicità e lode, sottomessi alla<br />

Chiesa.<br />

Nella nota a piè di pagina dello Statuto riguardo alla piccola<br />

comunità si specifica: «È importante constatare come Giovanni<br />

Paolo II, in <strong>Christi</strong>fideles laici, n. 61, pone la convenienza delle piccole<br />

comunità ecclesiali nel contesto delle parrocchie e non come un<br />

movimento parallelo che assorbe i suoi membri migliori:<br />

“All’interno poi di talune parrocchie… le piccole comunità ecclesiali<br />

presenti possono essere di notevole aiuto nella formazione dei cristiani,<br />

potendo rendere più capillari e incisive la coscienza e l’esperienza<br />

della comunione e della missione ecclesiale».<br />

Le catechesi del Cammino hanno una loro peculiarità soprattutto<br />

nel taglio esistenziale che con evidenza manifestano; se il loro contenuto<br />

è biblico e teologico, la natura e il metodo privilegiano quello<br />

vitale, senza per questo sminuire il dato dottrinale. Siamo alla presenza<br />

non di un corso biblico né di un insegnamento astratto, ma di<br />

un’iniziazione mistagogica al Dio della storia della salvezza del<br />

quale si va scoprendo ogni giorno la tenerezza e l’amore nella vicenda<br />

stessa dell’esistenza. A tal riguardo lo Statuto ricorda:<br />

Art. 9. Il Neocatecumenato comincia nella parrocchia, su invito del<br />

Parroco, con delle catechesi kerigmatiche, chiamate catechesi iniziali,<br />

contenute negli Orientamenti alle Èquipes di Catechisti. Al<br />

fine di sperimentare il Tripode: Parola, Liturgia, Comunità, su cui si<br />

basa la vita cristiana, le catechesi iniziali sono articolate in tre parti:<br />

1. L’annuncio del kerigma… chiama alla conversione e alla fede,<br />

invita a riconoscersi peccatori, ad accogliere il perdono e l’amore<br />

pastorale<br />

e<br />

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gratuito di Dio e a mettersi in Cammino verso la propria trasformazione<br />

in Cristo, per la potenza dello Spirito. La conversione è sigillata<br />

dalla celebrazione della Penitenza. Questo sacramento, celebrato<br />

periodicamente, sosterrà il Cammino di conversione dei singoli e<br />

della comunità.<br />

2. Il kerigma preparato da Dio attraverso la storia della salvezza<br />

(Abramo, Esodo, ecc.): si danno le chiavi ermeneutiche necessarie<br />

per l’ascolto e la comprensione della Sacra Scrittura: vedere in<br />

Gesù Cristo il compimento delle Scritture e mettere i fatti della propria<br />

storia sotto la luce della Parola.<br />

Quest’iniziazione alla Scrittura viene sigillata in una celebrazione<br />

della Parola, in cui i partecipanti ricevono la Bibbia dalle mani del<br />

Vescovo, garante della sua autentica interpretazione, come segno<br />

che la madre Chiesa d’ora innanzi lungo il Cammino li nutrirà settimanalmente<br />

a questa mensa, fonte viva della catechesi.<br />

3. Il kerigma nei sacramenti e nella koinonia: le catechesi culminano<br />

nella convivenza con la celebrazione dell’Eucaristia. Detta celebrazione,<br />

preparata da opportune catechesi, aiuta a riscoprire lo<br />

splendore pasquale messo in risalto dal Concilio Vaticano II e a sperimentare<br />

la comunione tra i fratelli. Infatti «non è possibile che si<br />

formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come<br />

cardine la celebrazione della sacra Eucaristia, dalla quale deve quindi<br />

prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito<br />

di comunità». La celebrazione dell’Eucaristia accompagnerà la<br />

comunità durante tutto l’itinerario.<br />

Elementi<br />

Fondamentali<br />

Art. 8 § 2. Le catechesi<br />

iniziali e<br />

l’itinerario neocatecumenale<br />

si basano sui<br />

tre elementi fondamentali<br />

(“tripode”) della vita cri-<br />

stiana, messi in rilievo dal Concilio Vaticano II: Parola di Dio,<br />

Liturgia e Comunità.<br />

Questo tripode della vita cristiana, messo in rilievo dal Concilio<br />

Vaticano II, corrisponde alle tre Costituzioni del Concilio: “Dei<br />

Verbum”: Parola di Dio, “Sacrosanctum Concilium”: Liturgia,<br />

“Lumen Gentium”: Comunità.<br />

Per quanto riguarda la Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”<br />

il suo contenuto dottrinale è sotteso ed esplicitato fin dalle Catechesi<br />

iniziali in tutto l’itinerario come pure nella formazione permanente,<br />

soprattutto per quanto riguarda l’antropologia: persona, famiglia,


lavoro e attività umana, società: sempre avendo come riferimento<br />

primo ed ultimo la persona di Gesù Cristo.<br />

L’aspetto più originale<br />

del Cammino<br />

è di essere<br />

un itinerario celebrativo<br />

della Parola di Dio, il<br />

suo primo e fondamentale criterio ermeneutico della Parola di Dio è<br />

la dinamica pasquale che esso privilegia, sia nella celebrazione settimanale<br />

della Parola di Dio, che in quella dell’Eucaristia domenicale,<br />

che nel giorno di “convivenza” mensile. La Parola di Dio non è interpretata<br />

in base ad una spiritualità particolare, ma piuttosto - come<br />

avvenne con il popolo d’Israele e, in seguito, con le prime comunità<br />

cristiane - si tratta di imparare a mettere i passi della propria vita nelle<br />

orme di Cristo: “Lampada ai miei passi è la tua Parola, luce sul mio<br />

cammino” (Sal 119,105), per portare a compimento in noi il mistero<br />

pasquale22 La Parola di Dio<br />

.<br />

Art. 11 § 1. Ciascuna comunità neocatecumenale settimanalmente<br />

ha una celebrazione della Parola di Dio, di norma con quattro letture,<br />

secondo i temi indicati dagli Orientamenti alle Équipes di<br />

Catechisti per ogni tappa.<br />

§ 2. Nella celebrazione della Parola di Dio, prima dell’omelia, il<br />

presbitero invita chi lo desidera tra i presenti ad esprimere brevemente<br />

ciò che la Parola proclamata ha detto alla sua vita.<br />

Nell’omelia, che ha un posto privilegiato nell’istruzione del<br />

Neocatecumenato, il presbitero prolunga la proclamazione della<br />

Parola, interpretandola secondo il Magistero e attualizzandola nell’oggi<br />

del Cammino di fede dei neocatecumeni.<br />

§ 4. Per approfondire la Scrittura «con l’intelligenza ed il cuore della<br />

Chiesa», i neocatecumeni si avvalgono soprattutto della lettura degli<br />

scritti dei Padri, dei documenti del Magistero, in particolare del<br />

Catechismo della Chiesa Cattolica, e di opere di autori spirituali.<br />

La gradualità, propria dell’iniziazione cristiana, diviene così una<br />

vera e propria iniziazione alla Scrittura. Il Cammino, nelle sue varie<br />

tappe verso la rinnovazione delle promesse battesimali, introduce<br />

22 Cf. E. PASOTTI, L’itinerario del Cammino neocatecumenale. La Parola di<br />

Dio celebrata, in Rivista Liturgica, 6 (1997) 853-866.<br />

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progressivamente ed esistenzialmente al linguaggio e ai diversi<br />

sensi della Scrittura. E in questo modo si giunge a quella affinità<br />

vissuta con ciò di cui parla il testo, condizione esigita dalla<br />

Pontificia Commissione Biblica per ogni conoscenza e attualizzazione<br />

propria del testo biblico. Sempre in un clima celebrativo.<br />

Sempre in un itinerario ermeneutico che parte dai cosiddetti libri<br />

storici dell’AT, per passare attraverso i profeti, gli Atti degli<br />

Apostoli, le Lettere, l’Apocalisse e i Vangeli. Con un ritmo di 4 letture,<br />

secondo lo schema già in uso presso la Chiesa siriaca 23 .<br />

Nella prima fase dell’iniziazione neocatecumenale: riscoperta del<br />

precatecumenato.<br />

Art. 19 § 1. Nella prima tappa, che va dalle catechesi iniziali fino al<br />

primo scrutinio, e che dura circa due anni, i neocatecumeni imparano<br />

il linguaggio biblico, celebrando settimanalmente la Parola di<br />

Dio, con temi semplici che percorrono tutta la Scrittura, come:<br />

acqua, roccia, agnello, ecc.<br />

§ 2. Nella seconda tappa, di analoga durata, i neocatecumeni celebrano<br />

le grandi tappe della storia della salvezza: Abramo, Esodo,<br />

Deserto, Terra promessa, ecc., e viene dato loro un tempo perché<br />

provino a se stessi la sincerità dell’intenzione di seguire Gesù<br />

Cristo, alla luce della sua Parola: «Non potete servire a Dio e al<br />

denaro» (Mt 6,24).<br />

Nella celebrazione conclusiva del secondo scrutinio, rinnovano<br />

davanti alla Chiesa la rinuncia al demonio e manifestano la volontà<br />

di servire solo Dio. In seguito studiano e celebrano le principali<br />

figure bibliche: Adamo, Eva, Caino, Abele, Noè, ecc., alla luce di<br />

Cristo.<br />

Nella seconda fase dell’iniziazione neocatecumenale: riscoperta<br />

del catecumenato.<br />

Art. 20. I neocatecumeni, scrutando i salmi in piccoli gruppi, sono iniziati<br />

alla pratica assidua della “lectio divina” o “scrutatio scripturæ”,<br />

«nella quale la Parola di Dio è letta e meditata per trasformarsi in preghiera».<br />

Infatti, l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo 24 .<br />

23 Ibidem.<br />

24 Cf. S. GIROLAMO, Comm. in Is., Prol; cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II,<br />

Cost. dogm. Dei Verbum, 25; Catechismo della Chiesa Cattolica, 133.


Nella terza fase: riscoperta dell’elezione.<br />

I Neocatecumeni studiano e celebrano i singoli brani del<br />

Sermone della Montagna. Questa tappa è particolarmente intensa<br />

per catechesi profonde e impegnative per una coerenza di vita, dove<br />

le celebrazioni della Parola e le scrutatio illuminano e guidano i<br />

passi personali e comunitari durante la formazione permanente alla<br />

fede. I membri della comunità sono invitati ad esprimere il loro<br />

sacerdozio comune con un culto spirituale, a vivere una spiritualità<br />

del ringraziamento.<br />

Come sappiamo<br />

Carmen venne a<br />

contatto con il<br />

rinnovamento del<br />

Concilio, sia per lo studio<br />

della teologia a Valencia, sia più tardi a Barcellona per il contatto<br />

con Padre Farnes25 La Liturgia<br />

, discepolo di Dom Botte, uno dei padri del rinnovamento<br />

liturgico. Così fin dall’inizio il Cammino poté mettere al<br />

centro il Triduo e la Veglia Pasquale e la riscoperta dell’Eucaristia<br />

con la ricchezza dei segni promossa dalla riforma liturgica. Infatti:<br />

La liturgia è il vero luogo della Parola di Dio, dove la storia dell’uomo<br />

entra nel progetto di Dio, si fa storia della salvezza. Ogni liturgia<br />

celebra la Pasqua del Signore, questo passaggio che libera e<br />

salva. Ogni liturgia celebra la “trasfigurazione” dell’uomo, la sua<br />

“cristificazione”: Cristo, “typos”, “icona” del figlio, è questa forma<br />

vuota (cf Fil 2,6-8) dove ogni uomo - sciolto come cera dall’esperienza<br />

della propria debolezza - può essere versato perché si riproduca<br />

in lui l’immagine del figlio, perché possa essere “secondo<br />

25 Padre Farnes Sherer, non solamente ha trasmesso a Carmen, e attraverso<br />

di lei a Kiko, e quindi al Cammino, il rinnovamento liturgico del Concilio,<br />

ma ha accompagnato di persona lo sviluppo del Cammino offrendo la sua specifica<br />

consulenza soprattutto nel dialogo con la santa Sede. Da anni, nonostante<br />

le difficoltà della età, si sposta in vari seminari Redemptoris Mater per trasmettere<br />

ai seminaristi e ai presbiteri il senso vivo dello spirito della liturgia nella<br />

Tradizione della Chiesa e nel rinnovamento del concilio vaticano II.<br />

Recentemente ha compendiato lo spirito del rinnovamento liturgico del Concilio<br />

Vaticano II, nel libro: P. FARNES SHERER, Vivir la eucaristia que nos mandò celebrar<br />

el Señor, Ed. STJ, Barcelona 2007.<br />

pastorale<br />

e<br />

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Il cammino<br />

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alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

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l’icona”, Cristo. La Parola annuncia quest’opera che la liturgia porta<br />

gradualmente a compimento nella vita del cristiano. È da quest’opera<br />

che nasce l’uomo nuovo, il cristiano, l’uomo della comunione,<br />

l’uomo creato da Dio in Cristo Gesù, come dice S. Paolo, per le<br />

opere buone che Dio ha predisposto perché in esse camminasse (cf<br />

Ef 2,10, il testo greco) 26 .<br />

L’efficacia della Liturgia dipende anche dalla fede. Mentre il<br />

Concilio di Trento aveva messo in luce, nella controversia con i<br />

protestanti l’ex opere operato, il Vaticano II ha messo in luce l’ex<br />

opere operantis. Questo tradotto concretamente vuol dire che i<br />

Sacramenti, pur essendo in sé efficaci per trasmetterci lo Spirito<br />

Santo, la vita stessa di Cristo, non possono però comunicarcela se<br />

non trovano in noi la corrispondenza della fede, che lo stesso<br />

Spirito suscita in noi ma che non si può dare senza il nostro libero<br />

assenso:<br />

Ora qual è la chiave d’ingresso nel catecumenato? È la famosa<br />

domanda, con cui ancora oggi incomincia il grande e consueto rito<br />

battesimale: «Che cosa vuoi tu, che vieni alla soglia della Chiesa di<br />

Dio?» chiede il ministro del battesimo al neo-battezzando.<br />

Risposta: «Chiedo la fede». E il ministro: «Che cosa ti può dare la<br />

fede?»; risposta: «La vita eterna». Nulla di più semplice, e nulla di<br />

più importante di questo fondamentale dialogo: la fede è la chiave<br />

d’ingresso; è la condizione iniziale, indispensabile, per accedere<br />

alla salvezza cristiana. Essere battezzati cioè essere cristiani, esige<br />

la fede, sia soggettiva, risposta personale piena e gioiosa all’Amore<br />

divino, rivelatosi salvifico in Cristo, sorgente di tutta la nostra vita<br />

nuova; sia oggettiva, adesione a una rivelata Parola di Dio, enucleata<br />

in determinate verità, che il carisma docente della Chiesa propone<br />

da credere, senza riserve e senza equivoche interpretazioni 27 .<br />

Capita nella Chiesa quanto accadeva nel ministero pubblico di<br />

Gesù: la potenza che da lui emanava agiva nella misura della fede di<br />

chi lo avvicinava. Ora la stessa potenza che risanava, liberava dai<br />

demoni, risuscitava i morti, è presente nella Chiesa e agisce soprattutto<br />

nei Sacramenti in forza della Parola e dei segni sacramentali,<br />

ma può attuarsi in noi solo nella misura della nostra fede.<br />

26 E. PASOTTI, Op. cit.<br />

27 PAOLO VI, Udienza del Mercoledì, 24 Aprile 1974.


Grazie alla fede che nasce o che si sviluppa poi attraverso un percorso<br />

progressivo e graduale, i Sacramenti vanno comunicando la<br />

forza della vita di Gesù Cristo che poco a poco va liberando dalle<br />

schiavitù, donando discernimento e comunicando la vita stessa di<br />

Cristo: lo Spirito Santo. Possiamo dire che più la fede cresce e più<br />

la partecipazione alla liturgia è viva e attiva.<br />

Ecco perché dall’inizio il Cammino ha vissuto con forza e potenza<br />

la celebrazione del Mistero della morte e risurrezione nel triduo<br />

Pasquale, soprattutto nella Veglia celebrata con tutta la ricchezza dei<br />

segni voluta dal Concilio: rito della luce, proclamazione della Parola<br />

nel quadro della Storia della Salvezza, battesimo dei bambini e rinnovo<br />

delle promesse battesimali, e canto della Eucaristia con la<br />

comunione al corpo e al sangue di Cristo. In questo modo la Liturgia<br />

ha cominciato ad essere la fonte della nostra vita cristiana.<br />

Art. 12 § 1 Cardine e fonte della vita cristiana è il mistero pasquale,<br />

vissuto e celebrato in modo eminente nel Santo Triduo, il cui fulgore<br />

irradia di luce l’intero anno liturgico. Esso costituisce pertanto<br />

il fulcro del Neocatecumenato, in quanto riscoperta dell’iniziazione<br />

cristiana.<br />

§ 2. «La veglia pasquale, centro della liturgia cristiana, e la sua spiritualità<br />

battesimale, sono ispirazione per tutta la catechesi». È per<br />

questo motivo che, durante l’itinerario, i neocatecumeni sono iniziati<br />

gradualmente ad una più perfetta partecipazione a tutto ciò che<br />

la santa notte significa, celebra e realizza.<br />

§ 3. In questo modo il Neocatecumenato stimolerà la parrocchia ad<br />

una celebrazione più ricca della veglia pasquale.<br />

Il Cammino Neocatecumenale fin dagli inizi nelle baracche di<br />

Palomeras (Madrid), grazie a Carmen, che attraverso Padre Farnes<br />

ha comunicato il rinnovamento del Concilio, e grazie a Kiko, che<br />

ha saputo plasmare l’assemblea e mettere in risalto i segni sacramentali,<br />

ha dato grande risalto alla celebrazione del Triduo<br />

Pasquale e al recupero della Veglia Pasquale con tutta la ricchezza<br />

di segni e di Parola durante tutta la notte. È senz’altro merito del<br />

Cammino aver contribuito al recupero della Veglia Pasquale in<br />

molte Parrocchie.<br />

Nella nota a questo Articolo si legge: «Anche oggi, tanti neocatecumeni<br />

provengono dal mondo e da esperienze fuori della Chiesa ed<br />

hanno bisogno di una graduale introduzione ai sacramenti: una propedeutica<br />

sacramentale che Giovanni Paolo II ha definito «laborato-<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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spiritualità<br />

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rio sacramentale», nel quale i battezzati, ma non iniziati 28 , possono<br />

gradualmente scoprire il fulgore del mistero pasquale.<br />

Per questo affinché il Neocatecumenato possa continuare a servire<br />

da stimolo nelle Parrocchie per una celebrazione più ricca della<br />

veglia pasquale si chiede ai pastori che, specialmente durante i primi<br />

anni del Neocatecumenato, permettano alle comunità più giovani di<br />

poter vivere e sperimentare in tutta la sua pienezza la veglia:<br />

Art. 12 § 1. Cardine e fonte della vita cristiana è il mistero pasquale,<br />

vissuto e celebrato in modo eminente nel Santo Triduo, il cui fulgore<br />

irradia di luce l’intero anno liturgico. Esso costituisce pertanto<br />

il fulcro del Neocatecumenato, in quanto riscoperta dell’iniziazione<br />

cristiana.<br />

§ 2. «La veglia pasquale, centro della liturgia cristiana, e la sua spiritualità<br />

battesimale, sono ispirazione per tutta la catechesi».44 È<br />

per questo motivo che, durante l’itinerario, i neocatecumeni sono<br />

iniziati gradualmente ad una più perfetta partecipazione a tutto ciò<br />

che la santa notte significa, celebra e realizza.<br />

§ 3. In questo modo il Neocatecumenato stimolerà la parrocchia ad<br />

una celebrazione più ricca della veglia pasquale.<br />

Assaporando man mano la Parola, calata nella concreta realtà e<br />

gustando l’Eucaristia, memoriale della passione, morte e risurrezione<br />

del Signore, i neocatecumeni scoprono come l’amore di Dio ha<br />

perdonato i loro peccati, li ha resi figli per l’eternità, dando loro una<br />

nuova natura, lo stesso spirito di Gesù costituto per l’umanità Buon<br />

Pastore, capace di dare la vita a chi è morto nel peccato:<br />

Art. 13 § 1. L’Eucaristia è essenziale al Neocatecumenato, in quanto<br />

catecumenato post-battesimale, vissuto in piccola comunità.<br />

L’Eucaristia infatti completa l’iniziazione cristiana.<br />

§ 2. I neocatecumeni celebrano l’Eucaristia domenicale nella piccola<br />

comunità, dopo i primi vespri della Domenica. Tale celebrazione<br />

ha luogo secondo le disposizioni del Vescovo diocesano. Le celebrazioni<br />

dell’Eucaristia delle comunità neocatecumenali al sabato<br />

sera fanno parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia<br />

e sono aperte anche ad altri fedeli.<br />

28 Cf. KAROL WOJTYLA, Affinché Cristo si serva di noi. Catecumenato del XX<br />

secolo: Znak, Cracovia, n. 34, 1952, pp. 402-413.


§ 3. Nella celebrazione dell’Eucaristia nelle piccole comunità si<br />

seguono i libri liturgici approvati del Rito Romano, fatta eccezione<br />

per le concessioni esplicite della Santa Sede. Per quanto concerne la<br />

distribuzione della Santa Comunione sotto le due specie, i neocatecumeni<br />

la ricevono in piedi, restando al proprio posto.<br />

Benedetto XVI nella Udienza alle Comunità Neocatecumenali<br />

del 12 gennaio 2006 ha confermato l’importanza della Eucaristia<br />

come via privilegiata e indispensabile per costruire comunità cristiane<br />

vive e perseveranti:<br />

L’importanza della liturgia e, in particolare, della Santa Messa nell’evangelizzazione<br />

è stata a più riprese posta in evidenza dai miei<br />

Predecessori, e la vostra lunga esperienza può bene confermare<br />

come la centralità del mistero di Cristo celebrato nei riti liturgici<br />

costituisce una via privilegiata e indispensabile per costruire comunità<br />

cristiane vive e perseveranti 29 .<br />

Lo Statuto, come scritto sopra, riconosce ufficialmente che questa<br />

celebrazione eucaristica fa parte della pastorale liturgica della<br />

Parrocchia assumendo che il Cammino che nasce in seno alla<br />

Parrocchia è in funzione del bene della parrocchia stessa. Si tratta<br />

dunque di una Messa parrocchiale a pieno titolo, il cui scopo è quello<br />

di sostenere e rafforzare un itinerario di iniziazione cristiana,<br />

attento soprattutto ai lontani che tornano alla Chiesa.<br />

Art. 17 § 1. «La<br />

catechesi rende il<br />

Comunità e Missione<br />

cristiano idoneo a<br />

vivere in comunità e a partecipare<br />

attivamente alla<br />

vita e alla missione della<br />

Chiesa». I neocatecumeni sono iniziati a «essere presenti da cristiani<br />

nella società» e «a prestare la loro cooperazione nei differenti servizi<br />

ecclesiali, secondo la vocazione di ciascuno».<br />

§ 2. I neocatecumeni collaborano «attivamente all’evangelizzazione<br />

e all’edificazione della Chiesa» innanzitutto essendo ciò che<br />

sono: il loro proposito di vivere in modo autentico la vocazione cri-<br />

29<br />

BENEDETTO XVI, Udienze alle Comunità Neocatecumenali, 12 gennaio<br />

2006.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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stiana si traduce in una testimonianza efficace per gli altri, in uno<br />

stimolo alla riscoperta di valori cristiani che potrebbero altrimenti<br />

restare quasi nascosti.<br />

Dalla crescita nella fede nell’itinerario neocatecumenale molte le<br />

manifestazioni dello zelo missionario che ha contribuito a dare<br />

forma alla nuova evangelizzazione proclamata da Giovanni Paolo<br />

II: ricordiamo brevemente gli itineranti (coppie, giovani, ragazze,<br />

presbiteri e religiosi), le famiglie e sorelle in missione, i Seminari<br />

missionari diocesani Redemptoris Mater, e ultimamente le “missio<br />

ad gentes”, per non parlare delle missioni popolari, l’annuncio due<br />

a due per le strade, la partecipazione numerosa dei giovani alle<br />

Giornate mondiali della gioventù col Papa. Questo evidenzia come<br />

c’è bisogno di una fede accolta in profondo e ridonata ad altri, perché<br />

la Chiesa è per sua natura e vocazione itinerante verso l’uomo e<br />

non può mai cessare di intraprendere iniziative creative per edificare<br />

la civiltà dell’amore. Per questo la formazione in ordine alla fede<br />

è fondamentale, gli anni di cammino sono indispensabili, l’esperienza<br />

e la riscoperta dell’altro, che non è altro da te, ma con te nella<br />

stessa via verso il Signore, sono necessarie. Ecco la grazia della<br />

riscoperta battesimale quale inserimento vitale in Cristo morto e<br />

risorto in vista di una continua metanoia, che porta a donare la vita<br />

a Cristo.<br />

Dall’ascolto della Parola e dalla Celebrazione Eucaristica (e del<br />

sacramento della Riconciliazione) nasce e cresce la comunione con<br />

i fratelli e progressivamente verso tutti i fedeli e tutti gli uomini:<br />

Art. 15 § 3. La comunità aiuta i neocatecumeni a scoprire il loro<br />

bisogno di conversione e di maturazione nella fede: la diversità, i<br />

difetti, le debolezze mettono in evidenza l’incapacità di amare l’altro<br />

così com’è, distruggono i falsi ideali di comunità e fanno sperimentare<br />

che la comunione (koinonia) è opera dello Spirito Santo.<br />

Art. 16 § 1. Nella misura in cui i neocatecumeni crescono nella<br />

fede, cominciano a manifestarsi i segni della koinonia: il non giudicare,<br />

la non resistenza al malvagio, il perdono e l’amore al nemico.<br />

La koinonia si visibilizza anche nel soccorso ai bisognosi, nella sollecitudine<br />

per i malati, per i sofferenti e per gli anziani e nel sostegno,<br />

per quanto possibile, di coloro che sono in missione, secondo<br />

quanto indicato negli Orientamenti alle Équipes di Catechisti. I neocatecumeni<br />

vengono gradualmente formati a un sempre più profondo<br />

spirito di comunione e di aiuto reciproco”.<br />

§ 2. Il Neocatecumenato forma così progressivamente nella parroc-


chia un insieme di comunità che rendono visibili i segni dell’amore<br />

nella dimensione della croce e della perfetta unità, e in tal modo<br />

chiamano alla fede i lontani e preparano i non cristiani a ricevere<br />

l’annuncio del Vangelo.<br />

§ 3. Il Cammino Neocatecumenale è offerto quindi come strumento<br />

atto ad aiutare la parrocchia a compiere sempre più la missione<br />

ecclesiale di essere sale, luce e lievito del mondo, e a risplendere<br />

davanti agli uomini come Corpo visibile di Gesù Cristo risorto,<br />

sacramento universale di salvezza.<br />

L’itinerario neocatecumenale<br />

come educazione permanente<br />

alla fede<br />

Il segreto del<br />

Cammino è stata la<br />

riscoperta della iniziazione<br />

cristiana. Con<br />

sguardo retrospettivo<br />

dopo quaranta anni<br />

possiamo dire che il segreto del Cammino è stata la riscoperta della<br />

iniziazione cristiana come disse Giovanni Paolo II:<br />

Il Cammino del Battesimo riscoperto… Cammino dell’uomo<br />

nuovo. Fede radicale; “Questo Cammino, Cammino della fede,<br />

Cammino del Battesimo riscoperto, deve essere un Cammino dell’uomo<br />

nuovo. Noi, carissimi, viviamo in un periodo in cui si sente,<br />

si fa l’esperienza di un confronto radicale- e io lo dico, perché questa<br />

è anche la mia esperienza di tanti anni -, di un confronto radicale<br />

che si impone dappertutto. Non ve n’è un’unica edizione, ve ne<br />

sono diverse nel mondo; fede e antifede, Vangelo e antivangelo,<br />

Chiesa e anti-Chiesa, Dio e antidio. Ecco, noi viviamo questa esperienza<br />

storica, e più che nelle epoche precedenti. In questa nostra<br />

epoca abbiamo bisogno di riscoprire una fede radicale, radicalmente<br />

compresa, radicalmente vissuta e radicalmente realizzata. Noi<br />

abbiamo bisogno di una tale fede. lo spero che la vostra esperienza<br />

sia nata in tale prospettiva e possa guidare verso una sana radicalizzazione<br />

del nostro cristianesimo, della nostra fede, verso un autentico<br />

radicalismo evangelico 30 .<br />

30 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle comunità Neocatecumenali della<br />

Parrocchia dei Martiri Canadesi, Roma 2 Novembre 1980.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

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100<br />

Sempre Giovanni Paolo II sottolineando la forza del catecumenato<br />

nella Chiesa primitiva ebbe a dire:<br />

II Battesimo è il sacramento degli inizi e del fondamento e sappiamo<br />

bene che un edificio cresce su quello che è il suo fondamento.<br />

Io vedo così la genesi del neocatecumenato, del suo<br />

Cammino: uno - non so se Kiko o altri - si è interrogato: da dove<br />

veniva la forza della Chiesa primitiva? e da dove viene la debolezza<br />

della Chiesa, molto più numerosa, di oggi? E io credo che<br />

abbia trovato la risposta nel catecumenato, in questo Cammino.<br />

Ecco è questo quanto io sento vivendo con voi alcuni momenti.<br />

Io vi auguro tutti questi frutti in questa parrocchia, che mi sembra<br />

basata sull’esperienza Neocatecumenale 31 .<br />

Questa riscoperta ci dà la misura della freschezza e della vitalità<br />

che c’è nella res (Parola) che divine Sacramento, meglio ancora,<br />

nella Parola che porta a celebrare e gustare il sacramento nella sua<br />

verità essenziale. Siamo alla presenza del segno fontale da cui non<br />

si può non partire per rigenerare il tessuto cristiano, che mette il luce<br />

la dynamis battesimale:<br />

Io mi domando dove sta il nucleo di questo processo che attraverso<br />

il Cammino neocatecumenale, attraverso diverse persone,<br />

attraverso diverse circostanze, produce, suscita, ispira vocazioni<br />

sacerdotali, alla vita consacrata, religiosa. Sono convinto che il<br />

punctum saliens, il punto di partenza di tutto questo è la scoperta<br />

della ricchezza, della profondità divina, sacramentale del<br />

Battesimo. Qui si capisce il senso della denominazione:<br />

Cammino neocatecumenale. C’era il catecumenato tradizionale<br />

nei primi secoli della Chiesa e c’è ancora nei Paesi di missione e<br />

fa tanto bene alla Chiesa. Voi siete stati battezzati nella vostra<br />

infanzia, forse nei primi giorni della vostra vita. II catecumenato<br />

deve venire dopo per la scoperta delle ricchezze del santo<br />

Battesimo, di queste ricchezze divine e anche umane, che sono<br />

tante. Sono ricchezze divine e umane insieme. Una di queste ricchezze<br />

è appunto che il Battesimo non è statico. Si potrebbe<br />

andare una volta e basta. Si va in un momento della vita, e poi<br />

basta. Si registra nei libri parrocchiali, e basta. Invece no, non è<br />

31 Ibidem, Discorso alle comunità Neocatecumenali della parrocchia di<br />

Santa Maria Goretti, 31 Gennaio 1988.


statico, è dinamico: provoca, appunto, un Cammino della vita<br />

cristiana 32 .<br />

Paolo VI dedicò al Cammino Neocatecumenale l’allocuzione<br />

dell’Udienza del mercoledì, 12 Gennaio 1977:<br />

II sacramento della rigenerazione cristiana deve ritornare ad<br />

essere ciò che era nella coscienza e nel costume delle prime<br />

generazioni del cristianesimo. Il Catecumenato: preparazione al<br />

Battesimo. Il Neocatecumenato “dopo il Battesimo”. Questo il<br />

segreto della vostra formula… un metodo di evangelizzazione<br />

graduale e intensivo che ricorda e rinnova in certo modo il catecumenato<br />

d’altri tempi. Chi è stato battezzato ha bisogno di capire,<br />

di ripensare, di apprezzare, di assecondare l’inestimabile fortuna<br />

del Sacramento ricevuto. per mezzo di una evangelizzazione<br />

graduale e intensiva. E noi siamo lieti di vedere che questo<br />

bisogno oggi è compreso dalle strutture ecclesiastiche istituzionali,<br />

le parrocchie, le Diocesi specialmente, e poi tutte le altre<br />

famiglie religiose; e sono fondamentali in questo campo strutturale,<br />

come ho detto, le parrocchie. Tanta gente si polarizza verso<br />

queste comunità neocatecumenali perché vede che lì c’è una sincerità,<br />

c’è una verità, c’è qualche cosa di vivo e di autentico: c’è<br />

Cristo che vive nel mondo. E questo avvenga con la Nostra apostolica<br />

benedizione.<br />

M. Dujarier, uno dei più grandi studiosi del Catecumenato nella<br />

Chiesa primitiva, afferma:<br />

Prima di educare la fede, bisogna farla innanzitutto nascere. È la<br />

finalità del primo periodo della iniziazione che è chiamato precatecumenato.<br />

Questo periodo è particolarmente importante e<br />

non dovrebbe essere omesso, perché è quello che, con l’aiuto<br />

dello Spirito, permette alla fede iniziale di germogliare in un<br />

principio di conversione... Solamente quando la fede è nata si<br />

può educare ed alimentare 33 .<br />

32 Ibidem, Discorso ai giovani del Cammino Neocatecumenale in preparazione<br />

alla Giornata Mondiale della Gioventù a Denver, Roma 28 Marzo 1993.<br />

33 M. DUJARIER, Iniciaciòn Cristiana de Adultos, Desclèe de Brower 1986<br />

(Ottimo testo di commento storico e pastorale dell’Ordo Initiationis <strong>Christi</strong>anae<br />

Adultorum). Del medesimo autore da segnalare: Breve storia del catecumenato,<br />

Elle Di Ci, Torino-Leumann 1984.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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Concilio Vaticano<br />

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L’immagine della gestazione è la più diffusa perché si fonda sulla<br />

nozione tradizionale della Chiesa Sposa e Madre. La nascita di un<br />

bambino non è questione di un solo giorno. L’applicazione di questa<br />

immagine vitale all’iniziazione catecumenale può comprendersi<br />

molto facilmente, dato che il battesimo è presentato da Gesù come<br />

una nuova nascita. L’entrata nel catecumenato corrisponde al concepimento,<br />

quando la Parola di Dio è seminata nel cuore del convertito<br />

ed accolta da lui, è il principio della vita: la Chiesa concepisce un<br />

nuovo cristiano nel suo seno. Durante il tempo del catecumenato lo<br />

nutre coi suoi insegnamenti e con le sue azioni liturgiche, come un<br />

embrione che cresce, il catecumeno si prepara a poco a poco a venire<br />

al mondo. Il battesimo è la nascita del fedele che nasce alla vita<br />

di Dio.<br />

L’interesse di questa immagine consiste nel mostrare che l’iniziazione<br />

cristiana non è un’educazione di tipo scolare (dottrinale,<br />

nozionistica), ma una crescita vitale e che si realizza in seno a una<br />

comunità cristiana che deve svolgere il ruolo di ambiente vitale per<br />

la crescita 34 .<br />

Il Neocatecumenato è come l’apprendistato della vita della fede<br />

(catecumenato), una volta terminato con la solenne rinnovazione<br />

delle Promesse Battesimali viene l’esercizio della vita cristiana,<br />

esercizio quotidiano che termina solo con la morte, il “dies natalis”<br />

al Cielo. Come abbiamo ascoltato più volte nelle catechesi, la nostra<br />

fede deve essere purificata, come l’oro al crogiolo, attraverso tre<br />

passaggi che ci attendono: la malattia, la vecchiaia e la morte.<br />

Sarebbe assurdo aver intrapreso un Cammino per giungere a dare<br />

i segni dell’Amore e della Unità, come viene esposto nelle catechesi<br />

iniziali, e poi quando si è giunti dopo tanti anni ad una certa maturità<br />

di fede in cui si comincia a dare una vera e profonda comunione<br />

tra i fratelli, e a dare i segni dell’amore e della unità che attirano<br />

i pagani, queste comunità si dovessero sciogliere.<br />

È chiaro che in una società secolarizzata e pagana come la nostra<br />

vivere e perseverare nella fede di fronte ad un mondo ostile necessita<br />

del supporto costante della comunità per essere costantemente<br />

alimentati dalla Parola di Dio, dalla Eucaristia crescendo nell’amore<br />

a Dio e nella comunione reciproca.<br />

34 Cf. Ibidem, Iniciación cristiana..., pag 76-77.


Art. 22 § 1. La comunità Neocatecumenale, dopo aver compiuto<br />

l’itinerario di riscoperta dell’iniziazione cristiana, entra nel processo<br />

di educazione permanente della fede: perseverando nella<br />

celebrazione settimanale della Parola e dell’Eucaristia domenicale<br />

e nella comunione fraterna, attivamente inseriti nella pastorale<br />

della comunità parrocchiale, per dare i segni dell’amore e<br />

dell’unità, che chiamano l’uomo contemporaneo alla fede.<br />

§ 2. Il Cammino Neocatecumenale è così uno strumento al servizio<br />

dei Vescovi per attuare il processo di educazione permanente<br />

della fede richiesto dalla Chiesa: l’iniziazione cristiana,<br />

come ribadisce il Direttorio generale per la Catechesi, «non è il<br />

punto finale nel processo permanente di conversione. La professione<br />

di fede battesimale si pone a fondamento di un edificio<br />

spirituale destinato a crescere»; «l’adesione a Gesù Cristo,<br />

infatti, avvia un processo di conversione permanente, che dura<br />

tutta la vita».<br />

Si realizza così quanto detto da Kiko nel suo intervento il 28<br />

Giugno 2002, giorno della prima approvazione degli Statuti:<br />

Non possiamo che ringraziare la Santa Vergine Maria che ha<br />

ispirato questo Cammino, facendoci fare comunità come la<br />

Santa Famiglia di Nazareth, che vivano in umiltà, semplicità e<br />

lode, dove l’altro è Cristo. Ecco il passaggio dalla pastorale della<br />

cristianità, possiamo dire, del tempio, alla pastorale della comunità,<br />

come corpo di Cristo risorto.<br />

Modalità del servizio della catechesi<br />

Si parla di “modalità” del servizio della catechesi. Perché si parla<br />

di modalità e non delle persone che portano avanti il Cammino<br />

Neocatecumenale?<br />

Se si fosse parlato delle persone, automaticamente il Cammino<br />

Neocatecumenale sarebbe stato riconosciuto come una associazione<br />

o un movimento, portato avanti da persone strutturate con un tipo<br />

di gerarchia, e conseguentemente legati da vincoli come diritti e<br />

doveri.<br />

Ma essendo il Cammino Neocatecumenale riconosciuto come<br />

una modalità di iniziazione cristiana, sia le persone implicate nel<br />

condurlo che le persone che ne usufruiscono sono fondamentalmente<br />

dei cristiani, sia Presbiteri che laici, e come tali con la configura-<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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Concilio Vaticano<br />

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spiritualità<br />

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spiritualità<br />

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zione giuridica propria dei fedeli definita nel Codice di Diritto<br />

Canonico.<br />

Nel Titolo V degli Statuti perciò non si parla direttamente delle<br />

persone, ma dei ruoli dei vari soggetti da cui dipende la modalità<br />

di attuazione del Cammino Neocatecumenale nella Diocesi e nella<br />

parrocchia.<br />

Giovanni Paolo<br />

II e Benedetto<br />

Il Vescovo<br />

XVI invitano i<br />

Vescovi ad appoggiare<br />

le nuove realtà sorte<br />

attorno al Concilio. Citiamo qui un passaggio della Lettera<br />

Ogniqualvolta di Giovanni Paolo II e un passo dell’ultimo discorso<br />

di Benedetto XVI ai vescovi sui carismi sorti dopo il Concilio, animandoli<br />

a non temerli, ma ad accoglierli e appoggiarli.<br />

Auspico, pertanto, che i Fratelli nell’Episcopato valorizzino e<br />

aiutino - insieme con i loro presbiteri - quest’opera per la nuova<br />

evangelizzazione, perché essa si realizzi secondo le linee proposte<br />

dagli iniziatori, nello spirito di servizio all’Ordinario del<br />

luogo e di comunione con lui e nel contesto dell’ unità della<br />

Chiesa particolare con la Chiesa universale 35 .<br />

Ho molto apprezzato che sia stata scelta, come traccia del<br />

Seminario, l’esortazione da me rivolta a un gruppo di Vescovi tedeschi<br />

in visita ad limina, che oggi senz’altro ripropongo a tutti voi,<br />

Pastori di tante chiese particolari: ‘Vi chiedo di andare incontro<br />

ai movimenti con molto amore (18 novembre 2006). Potrei quasi<br />

dire di non aver altro da aggiungere! La carità è il segno distintivo<br />

del Buon Pastore: essa rende autorevole ed efficace l’esercizio<br />

del ministero che ci è stato affidato. Andare incontro con<br />

molto amore ai movimenti e alle nuove comunità ci spinge a<br />

conoscere adeguatamente la loro realtà, senza impressioni superficiali<br />

o giudizi riduttivi. Ci aiuta anche a comprendere che i<br />

movimenti ecclesiali e le nuove comunità non sono un problema<br />

o un rischio in più, che si assomma alle nostre già gravose<br />

incombenze. No! Sono un dono del Signore, una risorsa prezio-<br />

35<br />

GIOVANNI PAOLO II, Lettera Ogniqualvolta, a Monsignor Paul Josef<br />

Cordess, Roma 1990.


sa per arricchire con i loro carismi tutta la comunità cristiana.<br />

Perciò non deve mancare una fiduciosa accoglienza che dia loro<br />

spazi e valorizzi i loro contributi nella vita delle Chiese locali.<br />

Difficoltà o incomprensioni su questioni particolari non autorizzano<br />

alla chiusura. Il “molto amore” ispiri prudenza e pazienza 36 .<br />

Dagli Statuti risulta chiaro, come affermano tutti i documenti<br />

della Chiesa, che il Vescovo è il responsabile del catecumenato e<br />

della evangelizzazione nella sua Diocesi, e che in questa missione<br />

fondamentale è coadiuvato dal suo Presbiterio: Parroci e Presbiteri.<br />

Anche se la missione e la responsabilità di evangelizzare e di cooperare<br />

al Catecumenato riguarda tutti i fedeli, la comunità cristiana.<br />

Fondamentale dunque e sempre da cercare e perseguire con umiltà<br />

e amore la comunione dei Catechisti con il Vescovo Ordinario.<br />

La cura pastorale<br />

dei Parroci e Presbiteri<br />

La Santa Sede si è<br />

anche preoccupata<br />

di precisare<br />

negli Statuti il peso da<br />

dare alla figura del par-<br />

roco, nonché di valorizzare la presenza, nella Comunità neocatecumenale,<br />

del presbitero e del suo compito di governo, di insegnamento<br />

e di santificazione; così come di porre l’accento sul rispetto dovuto<br />

alla vocazione dei chierici e alla disciplina dei religiosi che percorrono<br />

il Cammino 37 .<br />

Del resto perché possa nascere una comunità neocatecumenale e<br />

poi possa seguire l’iter stabilito fino al rinnovamento solenne delle<br />

promesse battesimali, e inaugurare una pastorale di continua evangelizzazione<br />

nella parrocchia, è essenziale almeno l’assenso ma preferibilmente<br />

l’approvazione e l’accoglienza del Cammino non solo<br />

da parte del Vescovo, ma anche del parroco o del presbitero da questi<br />

delegato.<br />

Lo sviluppo del Cammino, cioè l’accoglienza di molti lontani che<br />

sono richiamati in seno alla Chiesa e che possono essere ricostruiti<br />

36<br />

BENEDETTO XVI, Ai Vescovi partecipanti al Seminario di studi promosso dal<br />

Pontificio Consiglio per i Laici, 17 maggio 2008.<br />

37 J. F. CARD. STAFFORD, Discorso agli Iniziatori del Cammino e agli Itineranti,<br />

Porto San Giorgio 30 giugno 2002.<br />

pastorale<br />

e<br />

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Neocatecumenale<br />

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e salvati, dipende fondamentalmente dalla accoglienza del<br />

Cammino da parte del Vescovo e del parroco. Infatti, è a Pietro, e<br />

quindi agli appostoli, che Gesù ha dato il potere di aprire le porte<br />

attraverso le quali possano ritornare i lontani all’ovile di Cristo<br />

Buon Pastore, o di chiuderle impedendo l’accesso alle più bisognose<br />

e disperse.<br />

Va qui sottolineato che, data la centralità della Parola come elemento<br />

formativo per la nascita e la crescita nella fede: ”Essendo<br />

stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè<br />

dalla parola di Dio viva ed eterna” (1 Pt. 1, 23), la missione del presbitero<br />

che presiede le celebrazioni è fondamentale.<br />

Infatti dopo il periodo delle prime catechesi, i catechisti lasciano<br />

la comunità, per ritornare una volta all’anno per delle visite o convivenze<br />

o per i passaggi delle diverse tappe del neocatecumenato,<br />

ma durante tutto il resto del tempo dell’iniziazione cristiana e più<br />

ancora nel tempo poi della formazione permanente, il parroco o presbitero,<br />

come Pastore, oltre a confermare e integrare la predicazione<br />

dei catechisti, spiega la Parola di Dio ai fratelli due volte alla settimana.<br />

In questo senso i membri del Cammino sono realmente affidati<br />

alla cura pastorale del parroco o del presbitero da lui delegato,<br />

sono questi che con la Parola e i Sacramenti alimentano la vita spirituale<br />

della comunità.<br />

In tal modo il parroco e i presbiteri esercitano realmente ed efficacemente<br />

il “munus docendi, sanctificandi et gubernandi” conferito<br />

loro dal Sacramento dell’Ordine, in stretta collaborazione con il<br />

Vescovo.<br />

Ovviamente qui parliamo del parroco e del presbitero in rapporto<br />

alle comunità del Cammino neocatecumenale, supponendo che<br />

ogni parroco e presbitero eserciti il suo ministero in funzione del<br />

bene di tutti i fedeli loro affidati, non solo delle Comunità neocatecumenali.<br />

Attraverso la spiegazione della Parola di Dio, normalmente dopo<br />

aver ascoltato alcune risonanze in cui dei fratelli esprimono cosa<br />

dice concretamente alla loro vita la Parola proclamata in quella celebrazione,<br />

nella omelia è il presbitero che illumina, con forza profetica,<br />

il Cammino di fede dei fratelli, indicando e manifestando<br />

costantemente il messaggio di salvezza che ogni Parola di Dio racchiude,<br />

illuminando, incoraggiando e sostenendo il Cammino dei<br />

singoli fratelli e della comunità. Da qui la necessità di presbiteri<br />

immersi nella Parola di Dio, pieni della sapienza che deriva dalla


conoscenza delle Scritture, della Tradizione e dei Padri, della vita<br />

dei Santi, del Magistero della Chiesa.<br />

Il ministero del presbitero all’interno delle Comunità neocatecumenali<br />

è essenziale e di fondamentale importanza, da lui dipende<br />

molto spesso che dei fratelli in crisi siano aiutati a perseverare o che<br />

altri invece se ne vadano dalla Comunità e talora dalla Chiesa.<br />

È chiaro che il presbitero si senta anzitutto fratello tra i fratelli,<br />

unito a tutti nel Cammino di conversione quotidiana, ma come<br />

Pastore senta amore e interessamento vero al bene di ogni singolo<br />

fratello.<br />

È il parroco o presbitero che ai fratelli che progredendo nel<br />

Cammino e alla luce della Parola e della forza della Predicazione<br />

scoprono sempre più a fondo i propri peccati, dona loro il perdono<br />

sia nelle Celebrazioni Penitenziali, sia comunitarie (con confessioni<br />

individuali) che in quelle individuali.<br />

È il parroco o il presbitero che settimanalmente presiede la<br />

Celebrazione Eucaristica, quando possibile in piccola comunità, o<br />

con più comunità, facendo presente nel Giorno del Signore il mistero<br />

della Pasqua del Signore, coinvolgendo sempre più i fratelli, l’assemblea,<br />

nella partecipazione alla Pasqua del Signore.<br />

Nel Cammino<br />

neocatecume-<br />

I catechisti<br />

nale appare<br />

una figura nuova<br />

rispetto al contesto<br />

ecclesiale di oggi, almeno per i paesi di vecchia tradizione cristiana:<br />

la figura dell’équipe di catechisti.<br />

L’équipe dei catechisti nel Cammino neocatecumenale è fondamentale:<br />

perché è dalla loro testimonianza di vita, e dalla loro predicazione<br />

che nelle Parrocchie nascono e crescono le comunità neocatecumenali.<br />

Sono i catechisti che con la costituzione di una comunità in una<br />

parrocchia si assumono l’impegno, sempre in comunione con il<br />

parroco, a seguire e condurre avanti in questo itinerario graduale e<br />

progressivo i fratelli di quella comunità, fino ad una maturazione<br />

della fede che permetta loro di poter rinnovare solennemente<br />

le Promesse battesimali davanti al Vescovo o all’Ordinario della<br />

diocesi.<br />

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Tale autorità dei catechisti, sempre sottomessa all’approvazione e<br />

al mandato del Vescovo e del parroco, è fondamentale perché senza<br />

obbedienza non esiste Cammino di fede. Essi trasmettono gratuitamente<br />

quello che a loro volta gratuitamente hanno ricevuto e sono<br />

testimoni della potenza della Parola di Dio e della forza dei sacramenti<br />

che nel Cammino di fede loro stessi hanno sperimentato nella<br />

propria vita.<br />

È chiaro che i catechisti pur nella loro povertà sono chiamati a<br />

vivere essi stessi il Cammino di conversione giorno per giorno, per<br />

poter essere testimoni credibili dell’Annuncio di salvezza che portano.<br />

Per questo gli statuti stabiliscono che possano essere catechisti<br />

solo coloro che la comunità nomina, riconoscendo in loro il dono<br />

della predicazione e della testimonianza, in accordo con il parroco e<br />

i catechisti della loro comunità, solo dopo il secondo scrutinio,<br />

quando cioè hanno già cominciato ad esperimentare la potenza di<br />

Gesù Cristo nel salvare la propria vita.<br />

La loro formazione è poi completata negli incontri al Centro<br />

Neocatecumenale, nel partecipare prima a catechesi o agli scrutini<br />

portati avanti dai loro Catechisti per apprendere da loro la tradizione<br />

orale, e poi andando ad evangelizzare confidando nella potenza<br />

del Signore che sempre li precede.<br />

In alcune Diocesi si è creato il costume che i catechisti all’inizio<br />

dell’anno pastorale, sono inviati alla loro missione dal Vescovo, il<br />

quale poi al termine li accoglie per ascoltare le loro testimonianze<br />

sulla evangelizzazione.<br />

La cura dei catechisti, specie da parte delle équipes delle nazioni<br />

e dei Centri Neocatecumenali, deve essere particolare, per correggere<br />

deviazioni rispetto alla prassi del Cammino, soprattutto per gli<br />

scrutini, per aiutare le équipes che hanno meno esperienza.<br />

Quando si parla di catechisti negli Statuti (Artt. 28-31), si fa sempre<br />

riferimento all’équipe della quale normalmente fa parte un presbitero<br />

o il parroco stesso: questo è molto importante, perché la conduzione<br />

del Cammino è fatta da tutta l’équipe e in forma comunitaria:<br />

queste due caratteristiche sono da salvaguardare come fondamentali.<br />

Essendo il Cammino neocatecumenale un itinerario di formazione<br />

cattolica, valida per la società e per i tempi odierni, ha una sua<br />

pedagogia ben precisa nel condurre il Cammino di fede in forma<br />

graduale e progressiva mediante gli strumenti di cui abbiamo parlato<br />

prima: Celebrazione della Parola, Liturgia e Comunità attraverso


le varie tappe dell’itinerario neocatecumenale, marcate dai Passaggi<br />

e Scrutini.<br />

Per questo motivo i fratelli che si sentono chiamati a percorrere<br />

l’itinerario del Neocatecumenato sono invitati ad attenersi alle preparazioni,<br />

alle Celebrazioni e ai diversi passaggi, fiduciosi che in<br />

questo modo, in seno alla Chiesa, vengono poco a poco gestati, evidentemente<br />

con la corrispondenza della propria libertà, ad una fede<br />

adulta.<br />

Per questo si è creata fin dall’inizio, sull’esempio degli iniziatori,<br />

la prassi di visitare le comunità solo in occasione di convivenze<br />

annuali per fare risuonare costantemente il kerigma, o per i diversi<br />

passaggi, evitando altri tipi di contatto, come colloqui privati, sia<br />

con i singoli che con le comunità. Questa pedagogia che è confermata<br />

dalla tradizione antica della Chiesa, aiuta ciascun fratello a<br />

mettersi poco a poco personalmente davanti a Dio, a lasciarsi interpellare<br />

dalla sua Parola, a ricorrere a lui nella preghiera nei momenti<br />

di bisogno o di crisi, in questo modo impara a crescere e a maturare.<br />

Concludendo<br />

agli Itineranti del Cammino nel 1997:<br />

Aconclusione<br />

faccio presenti<br />

queste parole<br />

che disse Giovanni<br />

Paolo II rivolgendosi<br />

So che venite direttamente dal raduno che avete avuto al Monte<br />

Sinai e sulle sponde del Mar Rosso. Avete voluto in questo<br />

modo commemorare i trent’anni di vita del Cammino. Quanta<br />

strada avete fatto con l’aiuto del Signore! Il Cammino ha visto<br />

in questi anni uno sviluppo e una diffusione nella Chiesa veramente<br />

impressionanti. Iniziato tra i baraccati di Madrid, come<br />

l’evangelico granellino di senapa è diventato, trent’anni dopo,<br />

un grande albero, che s’estende ormai in più di 100 paesi del<br />

mondo, con presenze significative anche tra i cattolici di Chiese<br />

di rito orientale. Come ogni anniversario, anche il vostro, visto<br />

alla luce della fede, si trasforma in occasione di lode e di ringraziamento<br />

per l’abbondanza dei doni che il Signore ha concesso<br />

in questi anni a voi e, per mezzo vostro, a tutta la Chiesa. Per<br />

molti l’esperienza neocatecumenale è stata un Cammino di con-<br />

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versione e di maturazione nella fede attraverso la riscoperta del<br />

battesimo come vera fonte di vita e dell’Eucaristia come<br />

momento culminante nell’esistenza del cristiano: attraverso la<br />

riscoperta della parola di Dio che, spezzata nella comunione fraterna,<br />

diventa luce e guida della vita; attraverso la riscoperta<br />

della Chiesa come autentica comunità missionaria. Quanti giovani<br />

e ragazze grazie al Cammino hanno pure scoperto la propria<br />

vocazione sacerdotale e religiosa! La vostra odierna visita<br />

offre una felice opportunità anche a me per unirmi al vostro<br />

canto di lode e di ringraziamento per le «grandi cose» (magnalia)<br />

che Dio va operando nell’esperienza del Cammino. La sua<br />

storia si iscrive nel contesto di quella fioritura di movimenti e di<br />

aggregazioni ecclesiali che costituisce uno dei frutti più belli del<br />

rinnovamento spirituale avviato dal Concilio Vaticano lI. Tale<br />

fioritura è stata ed è tuttora un grande dono dello Spirito Santo<br />

ed un luminoso segno di speranza alla soglia del Terzo<br />

Millennio… Il Cammino Neocatecumenale compie trent’anni<br />

di vita: l’età direi, di una certa maturità. Il vostro raduno al Sinai<br />

ha aperto davanti a voi in un certo senso una tappa nuova.<br />

Opportunamente, pertanto, avete cercato di rivolgere il vostro<br />

sguardo con spirito di fede non solo verso il passato, ma anche<br />

verso l’avvenire, interrogandovi su quale sia il disegno di Dio<br />

nei confronti del Cammino in questo momento storico. Il<br />

Signore ha messo nelle vostre mani un tesoro prezioso. Come<br />

viverlo in pienezza? Come svilupparlo? Come condividerlo<br />

ancora meglio con gli altri? Come difenderlo da vari pericoli<br />

presenti o futuri? Ecco alcune delle domande che vi siete posti,<br />

come responsabili del Cammino o come itineranti della prima<br />

ora. Per rispondere a queste domande, in un clima di preghiera<br />

e di profonda riflessione, avete iniziato al Sinai il processo della<br />

stesura di uno Statuto del Cammino. È un passo molto importante<br />

che apre la strada verso il suo formale riconoscimento giuridico,<br />

da parte della Chiesa, dando a voi una ulteriore garanzia<br />

dell’autenticità del vostro carisma 38 .<br />

Non c’è dubbio che il Cammino suscita entusiasmo, accoglienza,<br />

critiche, diffidenze, adesioni parziali; nei suoi confronti spesso ci<br />

sono precomprensioni, ignoranza, indifferenza, si arriva ad accusarlo<br />

di eresia, di creare chiese parallele, di essere staccato dalla realtà,<br />

38 GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli itineranti, 24 Gennaio 1997.


angelista. Critiche sul piano teologico, pastorale, liturgico, biblico:<br />

non c’è praticamente aspetto su cui non vi siano riserve. Le difficoltà<br />

e le obiezioni ne toccano la struttura, la teologia, la prassi pastorale,<br />

in un intreccio difficilmente districabile.<br />

Potrebbe essere utile ravvisare alcune convergenze tra quanto<br />

oggi è ormai acquisito nella chiesa e alcune intuizioni del Cammino<br />

(il suo venire dai «lontani» e tendere ad essi; gli adulti come scelta<br />

pastorale; la necessità di cammini di fede); come l’individuare alcune<br />

ragionevoli critiche per una più ponderata valutazione (di essere<br />

chiesa parallela, staccato dalla realtà, di rifiutare un approccio storico<br />

alle Scritture, di confondere iniziazione cristiana con cammini di<br />

fede o di non aver chiarito teologicamente il rapporto tra il battesimo<br />

ricevuto e la sua riscoperta).<br />

I problemi cominciano sui modi concreti con cui il Cammino<br />

porta avanti le sue finalità; quando è in gioco il suo specifico carisma.<br />

Per ora ci limitiamo a ricordare un fatto e due criteri: nella storia<br />

della chiesa raramente si spegne direttamente un carisma, più<br />

normalmente si cerca di svuotarlo adattandolo e razionalizzandolo,<br />

inserendolo in piani difficilmente armonizzabili con ciò che di specifico<br />

esprime.<br />

Un primo criterio: in ogni carisma è necessario coniugare due<br />

cose: la sua destinazione alla chiesa, ma anche la sua novità, senza<br />

il cui rispetto e sviluppo la chiesa non ne avrebbe beneficio, ma solo<br />

un problema in più da risolvere.<br />

Secondo: se in un Cammino ci sono degli aspetti che restano in<br />

penombra o sottaciuti, non significa che siano negati ma solo che<br />

non costituiscono il perno della sintesi; nel Cammino c’è un carisma,<br />

non la somma di carismi. Per cui, più che una «risposta» ai singoli<br />

punti, cercherò di dare alcune chiavi di lettura per meglio comprendere<br />

e situare il Cammino e più precisamente le ragioni e le<br />

modalità con le quali in esso si riscopre la fede.<br />

Il punto di partenza è questo: anche il Cammino desidera realizzare<br />

il concilio Vaticano II. Certamente il Cammino nel suo insieme<br />

(celebrazioni liturgiche, ruolo dei laici, missionarietà delle famiglie)<br />

è inconcepibile senza il Vaticano II. Come realizzare il concilio?<br />

Una risposta potrebbe essere questa: coniugando l’orientamento<br />

emerso nella prima sessione su indicazioni dei cardinali Léger,<br />

Suenens e Montini, di un concilio ripensato come concilio per il<br />

mondo, con la sua ratio primigenia, di un concilio, cioè, voluto da<br />

papa Giovanni come «novella Pentecoste» per la Chiesa e quindi per<br />

pastorale<br />

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l’intera umanità. In questa linea, mi sembra, si muove il Cammino.<br />

Si può dire che il Cammino legge il Vaticano II:<br />

a) alla luce dei contraccolpi che il mondo moderno ha riversato<br />

all’interno della Chiesa;<br />

b) ricentrando il Vaticano II sulla ispirazione giovannea: una<br />

novella pentecoste;<br />

c) alla luce di un rinnovato rapporto tra Chiesa e mondo. Una lettura<br />

che riflette i cambiamenti avvenuti fuori e dentro la chiesa a<br />

partire dalla fine degli anni Sessanta.<br />

a) L’analisi e il giudizio su questi contraccolpi sono duri e talora<br />

possono sorprendere e irritare. Il mondo si è infiltrato nella chiesa:<br />

la chiesa volendo evangelizzarlo è spesso rimasta pastoralmente<br />

come prigioniera - ovviamente in modo inconscio - dei metodi del<br />

mondo, dimenticando che ciò che aliena l’uomo non è principalmente<br />

la realtà socio-economica o quella psichica (i complessi<br />

paterni o materni), ma il peccato, i suoi peccati; per cui serve a ben<br />

poco o a nulla cambiare le strutture se non si cambia il cuore dell’uomo.<br />

Altrimenti l’uomo rischia di essere lasciato in balia delle<br />

tentazioni del maligno che, come ad Eva, suggerisce di non fidarsi<br />

di Dio, perché «Dio non ama l’uomo», perché anche se Dio ci fosse<br />

non c’entra con la vita concreta dell’uomo, per cui egli deve provvedere<br />

a se stesso, costruirsi la sua città: Dio non c’entra con la salute,<br />

con il lavoro, con la povertà o la ricchezza, con gli affetti, con la<br />

storia quotidiana.<br />

Con un’altra possibile conseguenza: di spingere l’uomo a rifugiarsi<br />

nella religiosità naturale, nella quale egli è portato a servirsi di<br />

Dio più che a servire Dio, in fondo perché ancora immerso nella<br />

paura di Dio. «Io non ho mai incontrato un cristiano - ripete Kiko -<br />

che dica “mio Padre” riferendosi a Dio». Da qui una crisi di fede diffusa,<br />

perché mancano i segni della fede; perché non ci può essere un<br />

cristiano che prima non abbia visto un altro cristiano; perché il cristianesimo<br />

non si dimostra ma si mostra. Se oggi esistono singoli<br />

cristiani o famiglie cristiane o delle comunità cristiane, di solito<br />

nelle parrocchie non si trovano comunità che nel loro insieme e abitualmente<br />

(almeno come tensione) diano visibilmente i segni della<br />

fede; comunità, cioè, in cui i cristiani siano adulti nella fede: sottomessi<br />

gli uni agli altri, ritenendosi ciascuno inferiore all’altro; capaci<br />

di portare gli uni i pesi - i peccati, che sono il peso più grande -


degli altri; capaci di perdonare il nemico; di amarsi, insomma, nella<br />

dimensione della croce 39 .<br />

Questi dati confermano la sensazione che occorre “ri-evangelizzare”<br />

la religiosità degli adulti annunciando loro un Dio dal volto<br />

storico, relazionale e comunitario 40 .<br />

Ciò che caratterizza la Rivelazione cristiana è il fatto che Dio si<br />

rivela e si dona in una storia intessuta di avvenimenti e di parole.<br />

Una ricerca di Dio come essere trascendente fuori del tempo strappa<br />

l’uomo dalla concretezza della sua vicenda storica, lo fa evadere<br />

dalla sua avventura umana. L’annuncio di un Dio che si fa uomo rinvia<br />

l’uomo dentro la sua ferialità e quotidianità, rendendolo capace<br />

di impegnarsi per la propria umanizzazione e quella del mondo.<br />

Contro le alienazioni di ogni forma di spiritualismo e di ogni fuga<br />

dalla storia è urgente che torni a risuonare l’annuncio di un Dio che<br />

si è fatto uomo e dentro la storia ha tracciato la possibilità di un itinerario<br />

umano e fraterno per tutti. Sta qui un primo compito dell’annuncio:<br />

ancorarlo a quell’evento storico e metastorico che è la<br />

Pasqua del Signore Gesù. In tal mondo, più che come ricerca dell’uomo,<br />

la fede si presenta come accoglienza di un’irruzione di Dio<br />

nella storia, che chiede disponibilità.<br />

La ricerca di religioso che si perde in un vago senso dell’assoluto<br />

o che si dissolve nel movimento senza volto della natura lascia<br />

l’uomo nella sua solitudine. La fede cristiana, nel suo primo e nel<br />

suo definitivo Testamento (la prima e la nuova Alleanza), annuncia<br />

il volto di un Dio che si lega all’uomo, di un Tu che prende volto<br />

umano e sollecita ciascuno a entrare in relazione libera con Lui.<br />

39 Cf. Orientamenti alle équipes dei catechisti, pp. 36-68. Cf. anche A. LIPPI,<br />

La Croce gloriosa nel Cammino neocatecumenale, in La Sapienza delle Croce 5<br />

(1990), 195-210. In questo articolo l’autore presenta il Cammino neocatecumenale<br />

come un carisma e un dono di Dio per la Chiesa del nostro tempo. Il neocatecumenato<br />

è fondato sul sacramento del battesimo, tutto da vivere e da interiorizzare<br />

nei suoi vari momenti, e incentrato sulla Parola di Dio, a cui si accede<br />

a livello di vita ecclesiale più che di riflessione teologica. È prospettata una<br />

mentalità cristiana, non semplicemente etica in cui la croce è il criterio di identificazione<br />

di ciò che è autenticamente cristiano. La croce non è sottomissione rassegnata<br />

al Dio legislatore, non è morte, ma gloria che fa vedere il volto di Dio.<br />

40 Queste dimensioni dell’educazione della religiosità emergono soprattutto<br />

da un’analisi attenta del catechismo degli adulti La Verità vi farà liberi. Si veda<br />

anche: E. BIEMMI-G. LAITI, Conoscere il Catechismo degli adulti, ElleDiCi, Torino-<br />

Leumann 1995.<br />

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Nella percezione della presenza di questo Tu e nella risposta libera<br />

a Lui la persona nasce a se stessa, impara il proprio nome e scopre<br />

il senso della sua vita. Il Dio di Gesù Cristo, proprio in quanto figlio<br />

di Dio fatto umano dentro la storia, pone ciascuno come altro da sé<br />

davanti a sé, chiamando non al mistico naufragio in Lui, fagocitati<br />

come una goccia nell’oceano, ma ad un rapporto libero e responsabile.<br />

È proprio dell’annuncio evangelico provocare ad una relazione<br />

storica e adulta sottratta sia allo smarrimento nel Tu divino che allo<br />

smarrimento del Tu divino.<br />

L’altra dimensione propria del cristianesimo e idonea a rievangelizzare<br />

la ricerca religiosa contemporanea è quella comunitaria. Il<br />

Dio di Gesù Cristo che viene incontro all’uomo dentro la storia e ne<br />

provoca la libera e responsabile risposta si lascia incontrare dentro<br />

la comunità ecclesiale e crea comunità. La struttura sacramentale<br />

della fede cristiana, il suo darsi all’interno di mediazioni e in particolare<br />

di una comunità che ascolta la Parola, la celebra nei riti della<br />

fede e la vive nella diaconia e nella carità, sono conseguenze dell’incarnazione,<br />

intesa in senso globale di incarnazione e Pasqua del<br />

Signore.<br />

Così, di fronte a una religiosità viva ma evanescente, disciogliente<br />

e ultimamente soggettiva la comunità cristiana vede riaprirsi il<br />

compito di annunciare all’uomo postmoderno un Dio che comunicandosi<br />

senza riserve e rimanendo se stesso provoca a un rapporto<br />

storico, responsabile e fraterno.<br />

In questo processo di educazione in senso evangelico della religiosità<br />

degli adulti, occorre rispettare il dinamismo proprio del<br />

nascere e del crescere della fede. Lungo tutta la tradizione, partendo<br />

dalla testimonianza biblica, la comunità ecclesiale ha messo a punto<br />

e mai abbandonato un processo di annuncio e di accoglienza della<br />

fede che ha espresso nei termini della traditio, receptio e redditio<br />

fidei.<br />

La fede richiede una traditio, come iniziativa di Dio che precede<br />

l’uomo sulle strade del suo desiderio. La fede per nessuno è un dono<br />

diretto e suppone una comunità che se ne faccia portatrice e mediatrice.<br />

Il fonte battesimale è considerato nelle catechesi patristiche il<br />

grembo materno della Chiesa che genera la fede. La prima faccia del<br />

credere è una passività, intesa come disponibilità ad accogliere ciò<br />

che gratuitamente viene offerto. Il termine traditio può trarre in<br />

inganno: fa pensare, nel linguaggio comune, a usanze che si conservano<br />

e si riproducono senza cambiare nulla. Di fatto il contenuto


dell’atto del trasmettere è un messaggio sempre nuovo, una buona<br />

notizia, una parola che fa vivere 41 .<br />

La fede suppone una receptio, l’accoglienza e l’interiorizzazione<br />

libera di quanto viene offerto. Il termine receptio è l’espressione<br />

attiva della passività della fede. Richiama un ricevimento, e quindi<br />

una festa. L’accoglienza della Buona Novella suppone un atteggiamento<br />

attivo. Ognuno accoglie a modo suo con tutto ciò che è, con<br />

la sua storia, mentalità, lingua, cultura.<br />

La redditio è la fecondità della fede. Evoca la restituzione, la<br />

necessità di rispondere all’appello di Dio attraverso una fede che<br />

opera nella carità. E’ la fede che prende volto nel celebrare, nel testimoniare,<br />

nel servire 42 .<br />

La fede è un fatto relazionale, nasce e si sviluppa nella libertà,<br />

chiede l’iniziativa gratuita di Dio e la vulnerabilità di persone disponibili<br />

e recettive. Fuori di questo dinamismo non c’è fede, anche se<br />

ci può essere istruzione o socializzazione religiosa.<br />

In questo contesto si capisce come il Cammino ponga la necessità<br />

di itinerari di fede per arrivare alla formazione di comunità cristiane<br />

capaci di dare questi segni della fede, ritenendoli segni evangelici<br />

ed eloquenti per richiamare alla vita eterna i nuovi pagani, insensibili<br />

ad altre voci del cristianesimo e scandalizzati dal dolore del<br />

mondo.<br />

Una scelta che trova conferma nel magistero di Paolo VI che già<br />

a partire dal 1972 e, in particolare, per tutto un mese del 1977 aveva<br />

41 Cf. Tabor. Encicolopedia dei catechisti, Edizioni Paoline 1995, 116-117.<br />

42 Il movimento della traditio/receptio/redditio è rimasto costante nella vita<br />

della Chiesa, anche se a livello catechistico si è sbiadito con la nascita dei catechismi<br />

(a partire dal 1500, ma con accentuazioni notevoli nei secoli successivi,<br />

per le contaminazioni di tipo illuministico e neoscolastico), a favore di un<br />

annuncio ritmato sulla domanda e risposta tra insegnante ed alunno. Può essere<br />

utile, a questo proposito, far notare che il procedimento domanda/risposta<br />

proprio del catechismo di Pio X non era che il “residuo” di quel movimento di<br />

offerta/accoglienza che in maniera più lucida era salvaguardato e segnalato,<br />

ad esempio, dall’impianto iniziatico del catecumenato. Il dialogo che avveniva<br />

nella notte di Pasqua, nel fonte battesimale, tra la Chiesa e il catecumeno rappresentava<br />

il dinamismo della fede: “Credi in Gesù Cristo?” – “Credo!”. Così,<br />

per uno slittamento inconsapevole ma dalle conseguenze importanti ciò che<br />

significava e favoriva la struttura dialogale del credere, come offerta e accoglienza<br />

di una relazione, si è ridotto nel sistema della domanda/risposta dei<br />

catechismi a verificare la corrispondenza tra un contenuto trasmesso e la sua<br />

memorizzazione.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

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spiritualità<br />

116<br />

parlato della necessità di «ricostruire» la chiesa, gioendo di vederne<br />

un’espressione proprio nelle comunità neocatecumenali 43 . E ancora<br />

più significativo appare quanto scritto, da Giovanni Paolo II, nella<br />

<strong>Christi</strong>fideles laici, dove non solo si parla della necessità di rifare<br />

daccapo il tessuto cristiano delle comunità ecclesiali - come premessa<br />

previa alla nuova evangelizzazione - ma si pone come condizione<br />

del rinnovamento della chiesa la creazione di piccole comunità<br />

cristiane 44 .<br />

b) Il compito della comunità cristiana è quello di essere luogo di<br />

«gestazione della fede» fino alla sua maturità. Una necessità avvertita<br />

da Paolo VI, neppure due anni dopo la chiusura del concilio, con<br />

la proclamazione del «Credo del popolo di Dio» e passando, nel<br />

corso degli anni Settanta, dalla domanda «Chiesa di Gesù Cristo<br />

cosa dici di te stessa?», all’altra: «Chiesa di Gesù Cristo cosa dici<br />

del tuo Dio?». Proprio nello stesso torno di tempo J. Maritain scriveva<br />

che la crisi di fede del periodo modernistico era un colpo di raffreddore<br />

in confronto a quella in cui stava entrando la chiesa del<br />

dopo concilio 45 . L’apertura al mondo rischiava di svuotare il messaggio<br />

cristiano.<br />

Il Cammino si muove nella medesima direzione. Anche per esso<br />

la riforma della Chiesa non è fine a se stessa, ma per introdurre nell’uomo<br />

moderno la forza vitale del vangelo: la fede. Qui sta la «ratio<br />

primigenia» del Cammino, la sua domanda di fondo - non tematizzata,<br />

ma reale e profonda -: dove trovare nella chiesa di oggi luoghi<br />

per essere iniziati alla fede, alla vita cristiana, alla chiesa come<br />

popolo di Dio e corpo di Cristo? Se nella Chiesa vi sono molti spazi<br />

per introdurre alle forme specifiche dell’esistenza cristiana, sono<br />

insufficienti i luoghi in cui generare alla fede; donde la necessità di<br />

ricreare un catecumentato per giovani e adulti 46 . Questo il carisma<br />

43 Cf. Udienza del 12 gennaio 1977.<br />

44 Cf. <strong>Christi</strong>fideles laici nn. 26, 34.<br />

45 J. MARITAIN, Le paysan de la Garonne, Bruges-Paris 1967.<br />

46 I più recenti Documenti della C.E.I. propongono di ispirarsi al paradigma<br />

catecumenale anche per realizzare itinerari di Iniziazione cristiana che tengono<br />

conto della nuova situazione, sia della società, sia della famiglia, e di prevedere<br />

un Cammino a tappe, con corrispondenti verifiche: “Al centro di tale rinnovamento<br />

[pastorale] va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo<br />

il modello della Iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza<br />

e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede


del Cammino: percorsi comunitari di gestazione alla fede. Allora nel<br />

seno di ogni comunità cristiana si manifesteranno i carismi, le diverse<br />

vocazioni peculiari: matrimonio, verginità, ministero ordinato,<br />

testimonianze evangeliche nei diversi ambiti. Per questo bisogna<br />

ritornare dagli ambienti alle comunità; dalle specializzazioni apostoliche<br />

alla loro fonte che è la fede 47 .<br />

In tale contesto si può vedere il modo diverso di intendere la figura<br />

del laico nel Cammino: mentre di solito si sottolinea la responsabilità<br />

secolare del laico, la sua autonomia e il suo ruolo nella chiesa,<br />

questi aspetti nel Cammino non sono negati, ma spostati in un<br />

secondo momento, essendo necessario, prima, un autentico ritorno<br />

alla fede. Soltanto dopo quegli aspetti potranno essere come riscoperti<br />

e messi a frutto cristianamente. L’accento insomma ritorna<br />

sulla fede; perché la chiesa sia nel mondo cristianamente, deve essere<br />

fedele.<br />

c) Un rinnovato rapporto della Chiesa con il mondo. La Chiesa<br />

non è una luce in più; una camminatrice in più. Ma la Chiesa è la<br />

luce, la via: «Voi siete la luce del mondo»; «Andando in tutto il<br />

mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità<br />

– permette di dare unità alla vita della Comunità e di aprirsi alle diverse situazioni<br />

spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si<br />

riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano”.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un<br />

mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo<br />

decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 59.<br />

47 Si tratta di un processo formativo all’esperienza di vita cristiana che<br />

abbraccia quattro aspetti e momenti, strettamente legati tra loro e interdipendenti:<br />

• il primo annuncio di Cristo, Morto e Risorto, per suscitare la fede, quale<br />

adesione a Lui e al suo Messaggio di salvezza nella sua globalità; è fondamentale<br />

che si stabilisca un rapporto con Lui! • la catechesi propriamente detta,<br />

finalizzata all’approfondimento in forma organica del Messaggio stesso in vista<br />

della conversione, cioè del progressivo cambiamento di mentalità e di stile di<br />

vita; in questo entrano anche la formazione morale e il sacramento della<br />

Riconciliazione, come dono da sperimentare; • l’esperienza liturgico-sacramentale,<br />

per educare alla preghiera e realizzare il pieno inserimento nel Mistero<br />

pasquale di Cristo e nella vita della Chiesa, anzitutto attraverso la partecipazione<br />

attiva all’Eucaristia domenicale; •l’impegno della testimonianza e del servizio,<br />

per una partecipazione corresponsabile nella vita della Comunità ecclesiale<br />

e nella missione, cf. CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE DELLA CEI,<br />

L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, 30<br />

marzo 1997. Premessa.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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Concilio Vaticano<br />

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mondo». Gesù Cristo non è inferiore o superiore a qualche altro profeta,<br />

Cristo è l’unico Salvatore e la sua unicità, misteriosamente,<br />

ricade sulla Chiesa. È l’unità indissolubile tra l’essere comunità e<br />

mezzo di salvezza che costituisce la Chiesa come sacramento di salvezza;<br />

e questo non per escludere qualcuno dalla salvezza e condannarlo<br />

alla perdizione, ma per chiamare ogni uomo.<br />

Tutti sono chiamati ad essere evangelizzati: ad essere «illuminati»,<br />

ad essere «salati», ad essere «lievitati»; ma non tutti sono chiamati<br />

ad essere «luce», «sale» e «lievito»: solo quelli che il Signore<br />

chiama e che la Chiesa, in cammini di iniziazione alla fede, deve<br />

discernere per trasmettere loro la missione di Cristo, per invocare su<br />

di loro lo Spirito. Nessuno può seguire Gesù Cristo semplicemente<br />

perché lo desidera; perché seguire Gesù Cristo vuol dire seguirlo<br />

nella morte a Gerusalemme, per essere uccisi dal mondo. «Non voi<br />

avete scelto me, ma io ho scelto voi».<br />

Quindi non solo tutti non entreranno nella Chiesa, ma anzi in<br />

alcuni fratelli il maligno agisce con una tale forza che neppure riusciranno<br />

ad essere visibilmente illuminati o salati su questa terra;<br />

non perché siano cattivi o ne abbiano una colpa. Nessuno è amato di<br />

meno, ma qualcuno ha una missione in più: quella di Cristo. E chi è<br />

chiamato ad essere Cristo, prima o poi avrà uno che lo tradirà.<br />

Ebbene, l’unico modo che hanno questi fratelli che tradiscono di<br />

essere salvati è che la Chiesa dia il suo sangue per loro; il sangue dei<br />

cristiani è il sangue di Cristo. Salva! Ci saranno dunque delle persone<br />

che uccideranno i cristiani e cristiani che daranno il loro sangue<br />

per esse; come fece Stefano per coloro che lo lapidavano e come<br />

hanno fatto in questi anni postconciliari quasi mille missionari. La<br />

Chiesa, che è madre, non condanna nessuno all’inferno, ma dà ogni<br />

giorno la sua vita per tutti coloro che lo Spirito riempie, perché nel<br />

mondo possa continuare la vita di Cristo e in lui l’amore al nemico:<br />

il luogo ermeneutico - su questa terra - della più intima identità cristiana.<br />

L’approvazione definitiva degli Statuti, pertanto, è motivo di<br />

grande gioia e di conferma da parte di Pietro per il Cammino.<br />

Kerygma, itinerari di fede, piccole comunità sono la caratteristica<br />

del Cammino, il cui approdo è la Chiesa. L’approdo del Cammino è<br />

solo e unicamente nella Chiesa; operativamente nella parrocchia.<br />

Indipendentemente da tutto, dai limiti, dai peccati, dalle particolari<br />

prospettive o modelli pastorali, la struttura del Cammino porta alla<br />

Chiesa. Questo è il centro del discorso.


Il rifluire nella parrocchia di un gruppo di persone che, almeno<br />

come tensione, danno i segni della fede, essendosi in essi provati<br />

durante un Cammino di conversione molto lungo; lungo perché si<br />

tratta di contribuire a rifare, come scritto nella <strong>Christi</strong>fideles laici, il<br />

tessuto ecclesiale delle comunità cristiane; lungo perché il salto di<br />

qualità per essere cristiani è molto più esigente di quello per essere<br />

presbiteri. Se rifluisce vuol dire che il Cammino termina; non dura<br />

tutta la vita; per questo non è una congregazione religiosa e neppure<br />

un movimento, ma appunto un percorso di fede inserito nella parrocchia<br />

per contribuire a rigenerare in essa la Chiesa. Un rifluire in<br />

umiltà, semplicità e lode, grati a Dio che continua a scegliersi un<br />

popolo nel quale il Figlio suo può continuare a dare al mondo la vita<br />

eterna.<br />

ENG<br />

THE NEOCATECHUMENAL ROAD IN THE<br />

LIGHT OF THE 2 nd VATICAN COUNCIL<br />

By Maurizio Buioni, C.P.<br />

On the occasion of the approval of the Statutes of the<br />

Neocatechumenal Road by the holy See, the author offers us a clear<br />

and stimulating presentation on this ecclesial reality. We are shown<br />

how, from the very beginning, the Road was embraced and accompanied<br />

by the Church authority as a fruit of the Holy Spirit, who thus<br />

put into effect – as happened with various spiritual movements<br />

which originated after the Council of Trent – what was announced<br />

and promoted by the Second Vatican Council. As was made evident<br />

in preceding article in this journal, the glorious Cross is at the very<br />

center of the catechumenal Road, which Cross included in itself the<br />

Resurrection. We have been immersed – baptized – into the death<br />

and resurrection of Jesus (cf Rm 6: 1-11). This article likewise illustrates<br />

another prerogative of the Road, i.e. its ecclesial nature, in so<br />

far as it is active in the local Church and parish and is conducive to<br />

the experience of the Church as a community, stressing the importance<br />

of the liturgy as an instrument of grace for the Church, the<br />

transmission of the faith, evangelization (2 nd part) and the importance<br />

of signs and an understanding of the same.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

alla luce del<br />

Concilio Vaticano<br />

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spiritualità<br />

120<br />

LE CHEMIN NEOCATECHUMENAL A LA LUMIERE<br />

DU CONCILE VATICAN II<br />

Par Maurice Buioni c.p.<br />

L’Auteur nous offre une présentation claire et stimulante de cette<br />

réalité ecclésiale. Il nous montre comment, depuis le début, le<br />

Chemin fut compris et accompagné par l’autorité de l’Eglise<br />

comme un fruit de l’Esprit Saint, qui actualisait ainsi - comme cela<br />

est arrivé en divers mouvements spirituels dans le rayonnement du<br />

Concile de Trente – ce qui a été annoncé et suscité par le Concile<br />

Vatican II. Comme nous l’avons déjà mis en évidence dans un précédent<br />

article publié dans notre revue, la Croix glorieuse est au centre<br />

du Chemin catéchuménal, la Croix qui inclut en elle la résurrection.<br />

Nous avons été immergés, c’est-à-dire baptisés, dans la mort et<br />

dans la résurrection de Jésus (Rm 6,1-11). Cet article éclaire aussi<br />

d’autres valeurs du Chemin : son ecclésialité, en tant qu’il s’actualise<br />

dans l’Eglise locale et dans la paroisse, l’expérience de l’Eglise<br />

comme communauté, l’importance de la liturgie en tant qu’instrument<br />

de grâce pour l’Eglise, la transmission de la foi, l’occasion de<br />

l’approbation des Statuts du Chemin Néocatéchuménal par le Saint<br />

Siège, foi, l’évangélisation (seconde partie), l’importance des<br />

signes et de leur compréhension.<br />

EL CAMINO NEOCATECUMENMAL<br />

A LA LUZ DEL CONCILIO VATICANO II<br />

Por Maurizio Buioni, c.p.<br />

FRA<br />

ESP<br />

Con ocasión de los Estatutos del Camino Neocatecumenal por la<br />

Santa Sede, el autor ofrece una presentación clara y clarificadora<br />

de esta realidad eclesial: demuestra que, desde sus inicios, el<br />

Camino fue aceptado y acompañado por las autoridades de la<br />

Iglesia como un fruto del Espíritu Santo, que cumple así, como ocurriera<br />

con diversos movimientos espirituales nacidos tras el<br />

Concilio de Trento, lo que había anunciado y promovido el Concilio<br />

Vaticano II. Tal como se puso de relieve en otro artículo aparecido<br />

antes en esta revista, la Cruz gloriosa ocupa el centro del Camino<br />

Catecumenal, pues la Cruz incluye el hecho de la Resurrección:<br />

hemos sido sumergidos, o sea, “bautizados” (Rom 6, 1-11) en la


Cruz y en la Resurrección. Este trabajo ilumina igualmente las<br />

características del Camino: eclesialidad en cuanto se mueve en la<br />

Iglesia local y en las parroquias, experiencia de la Iglesia como<br />

comunidad, importancia de la liturgia como instrumento de gracia<br />

para la Iglesia, transmisión de la fe, evangelización (segunda<br />

parte), e importancia de los signos y de su comprensión.<br />

GER<br />

DER NEOKATECHUMENALE WEG IM LICHTE<br />

DES II. VATIKANISCHEN KONZILS<br />

Von Maurizio Buioni CP<br />

Anlässlich der Approbation der Statuten des Neokatechumenalen<br />

Weges von Seiten des Heiligen Stuhles stellt uns der Autor in klarer<br />

und anregender Weise diese neue kirchliche Realität vor. Die Studie<br />

zeigt, dass das kirchliche Amt den Weg von Anfang an als eine<br />

Frucht des heiligen Geistes verstanden und behandelt hat. Auf diese<br />

Weise hat es - ähnlich wie nach dem Konzil von Trient, das ebenfalls<br />

verschiedene geistliche Bewegungen hervorgebracht hat - das<br />

verwirklicht, was im II. Vatikanischen Konzil verkündet und gefordert<br />

worden ist.<br />

In einem früher erschienenen Artikel ist bereits betont worden, dass<br />

im Zentrum des Neokatechumenalen Weges das verherrlichte Kreuz<br />

steht, das die Auferstehung in sich einschließt. In Tod und<br />

Auferstehung <strong>Christi</strong> sind wir eingetaucht – d. h. getauft worden<br />

(Röm 6,1-11). Der vorliegende Artikel beleuchtet darüber hinaus<br />

auch andere Vorzüge des Weges: seine Kirchlichkeit, inwieweit sich<br />

diese in Diözesen und Pfarreien verwirklicht; die Erfahrung von<br />

Kirche als Gemeinschaft; die Bedeutung der Liturgie als<br />

Gnadenvermittlung für die Kirche; die Weitergabe des Glaubens;<br />

die Evangelisierung (Teil 2); die Bedeutung von Symbolen und<br />

deren Verständnis.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Il cammino<br />

Neocatecumenale<br />

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Concilio Vaticano<br />

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spiritualità<br />

122<br />

DROGA NEOKATECHUMENALNA W ŚWIETLE<br />

SOBORU WATYKAŃSKIEGO II<br />

MaurizioBuioni CP<br />

POL<br />

Przy okazji zaaprobowania Statutów drogi Neokatechumenalnej<br />

przez Stolicę Świętà Autor prezentuje nam jasne i inspirujàce ujęcie<br />

tej rzeczywistości kościelnej. Pokazuje, jak od poczàtku Droga była<br />

przyjmowana i cieszyła się zainteresowaniem władz kościelnych<br />

jako owoc Ducha Świętego, który wprowadzał w życie, jak miało to<br />

miejsce w różnych epizodach duchowych zwiàzanych z Soborem<br />

Trydenckim, to co głosił i promował Sobór Watykaƒski II. Jak to<br />

zostało ukazane w artykule poprzednio opublikowanym w tym<br />

czasopiśmie, chwalebny Krzyż jest w centrum Drogi<br />

katechumenalnej, Krzyż zawiera w sobie zmartwychwstanie. W<br />

śmierci i zmartwychwstaniu Jezusa zostaliśmy zanurzeni, czyli<br />

ochrzczeni (Rz 6,1-11). Artykuł ten rzuca też światło na inne<br />

prerogatywy Drogi: jej eklezjalność, bowiem realizuje się w<br />

Kościele lokalnym i w parafii, doświadczenie Kościoła jako<br />

wspólnoty, znaczenie liturgii jako narzędzia łaski dla Kościoła,<br />

przekazywanie wiary, ewangelizacja (część druga), znaczenie<br />

znaków i ich rozumienie.


di FERNANDO GUILLEN PRECKLER SCH.P.<br />

L’autore di questo articolo-testimonianza è missionario in<br />

Africa ed esamina il problema della nuova evangelizzazione<br />

partendo dall’esperienza, oltre che dalle conoscenze storiche.<br />

Oggi più che mai si richiede un’evangelizzazione che ponga la<br />

sua fiducia unicamente in Dio e nella potenza del kerigma, non<br />

negli appoggi del potere o del<br />

denaro.<br />

“Noi invece annunziamo Cristo<br />

crocifisso” (I Cor 1, 23)<br />

Papa Giovanni Paolo II, assumendo<br />

un’espressione in uso nella Chiesa Latinoamericana,<br />

lanciò il progetto di una “nuova<br />

evangelizzazione”, espresso specialmente<br />

nell’Enciclica Redemptoris Missio (n. 33-36), e nei Sinodi continentali<br />

che preparavano il grande evento del Giubileo del 2.000 1 . Porgo<br />

qui una mia breve riflessione sulle caratteristiche di questa “nuova<br />

evangelizzazione” secondo la Bibbia, la storia e l’attualità.<br />

Nuovo Testamento<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

EVANGELIZZARE<br />

PARTENDO<br />

DALLA<br />

“KENOSI”<br />

Nella sua predicazione, Gesù manifesta una singolare autorità nel<br />

rivelare i misteri del Regno e liberare da ogni male. All’inizio del<br />

Vangelo secondo Marco, leggiamo che “la gente che ascoltava era<br />

1 Trovandomi a Yaundé (Camerun), ho potuto collaborare nella Settimana<br />

Teologica de “l’École Théologique Saint-Cyprien” sulla Nuova<br />

Evangelizzazione in Africa. (novembre 1999) E proprio in quel contesto mi è<br />

venuta l’idea dell’evangelizzazione dalla “kenosi”. (Cf. Annales de l’École<br />

Théologique Saint-Cyprien, 5 (2000).<br />

Evangelizzare<br />

partendo<br />

dalla “Kenosi”<br />

123-131<br />

spiritualità<br />

123


pastorale e<br />

spiritualità<br />

GUILLEN PRECKLER<br />

SapCr XXIV<br />

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spiritualità<br />

124<br />

meravigliata del suo insegnamento: Gesù era diverso dai maestri<br />

della Torà, perchè insegnava come uno che ha piena autorità” (Mc<br />

1, 22). Questa è anche la conclusione del discorso della montagna<br />

secondo Matteo (7, 28). Lui conosce la volontà del Padre ed in mille<br />

forme sa tradurla nel nostro linguaggio umano. Lui ci annuncia il<br />

Regno di Dio in parabole, ci dà la preghiera del Regno, ed espone le<br />

nuove leggi di questo Regno (Mt 13; Mt 6, 5-15; Mt 5, 17-47). Gesù<br />

conosce il Padre come nessun altro lo conosce (Mt 11, 27).<br />

Inoltre, Gesù manifesta la verità della “Buona Notizia” nel<br />

trionfo su tutti i mali. Ancora Marco ci dà la reazione della gente<br />

dopo l’espulsione d’uno spirito immondo: “Tutti i presenti rimasero<br />

sbalorditi e si chiedevano l’un l’altro: Che succede? Questo è<br />

un insegnamento nuovo dato con autorità. Costui comanda<br />

perfino agli spiriti maligni ed essi gli ubbidiscono” (Mc 1, 27). In<br />

pari modo, Gesù libera dalla malattia tutte le persone che glielo<br />

chiedono (Mc 1, 33), ma anche perdona i peccati, suscitando sia<br />

l’ammirazione che lo scandalo nei presenti (Mc 2, 1 s).<br />

Nelle sue parole ed azioni c’è un bagliore iniziale del Regno<br />

(Mt 12, 28), che però non è di questo mondo (Gv 18, 36). Per questo<br />

Gesù rifiuta ogni sorta di potere economico, politico e perfino<br />

culturale. Egli vive poveramente, senza far uso di oggetti costosi<br />

(Mt 8, 20); scappa quando lo vogliono far diventare re (Gv 6, 15);<br />

loda il Padre perchè ha nascosto i misteri del Regno ai sapienti e<br />

agli esperti, e lo ha manifestato ai piccoli (Mt 11, 25).<br />

La sua preghiera nel Getsemani, la condanna religiosa che gli<br />

viene comminata in quanto bestemmiatore, e quella politica che<br />

gli viene comminata in quanto rivoluzionario, e la sua morte in<br />

croce, sono il sigillo di un messaggio unico, vissuto “nelle mani<br />

del Padre” (Lc 23, 46).<br />

La sua risurrezione conferma e fa capire la verità della sua persona<br />

e l’universalità della sua missione. Gesù risorto può proclamare:<br />

“A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò<br />

andate, fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo;<br />

battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo;<br />

insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate<br />

che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del<br />

mondo” (Mt 28, 18-20).<br />

I discepoli di Gesù, inviati come suoi apostoli avranno dunque<br />

parte al potere di Gesù, per il fuoco dello Spirito che riceveranno,<br />

come frutto del Mistero Pasquale (At 1, 5). Lo Spirito sarà la forza


interiore per proclamare il Regno di Dio nel Cristo Gesù, e per liberare<br />

da ogni male nel suo Nome, aprendo all’umanità le porte del<br />

Regno eterno.<br />

Un’eco fedele del Maestro è la dichiarazione di Paolo aldilà dei<br />

desideri di forza e sapienza di Giudei e Greci: “Gli Ebrei infatti vorrebbero<br />

miracoli, e i Greci si fidano solo della ragione. Noi invece<br />

annunziamo Cristo crocifisso; per gli Ebrei questo messaggio è<br />

offensivo, mentre per i Greci è assurdo. Ma per quelli che Dio ha<br />

chiamati, siano essi Ebrei o Greci, Cristo è potenza e sapienza di<br />

Dio. Perchè la pazzia di Dio è più sapiente della sapienza degli<br />

uomini, e la debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini”<br />

(I Cor 1, 22-25).<br />

Un po’ di storia dell’evangelizzazione<br />

Diamo ora uno sguardo alla storia dell’evangelizzazione.<br />

Il primo annuncio evangelico nell’Impero Romano si fece partendo<br />

da situazioni di povertà, nell’opposizione politica e senza prestigio<br />

culturale. Basta leggere gli Atti degli Apostoli e le Lettere di<br />

Paolo per convincerci di questo. Gli apostoli hanno predicato nella<br />

povertà, in mezzo alle persecuzioni e senza alcuna pretesa filosofica<br />

o letteraria. La sconfitta di Paolo nel magnifico sforzo che fece<br />

nell’Areopago di Atene lo portò alla semplice predicazione del<br />

Crocifisso in mezzo ai poveri di Corinto (At 17, 32-18, 1). La conversione<br />

del mondo greco-romano fu lenta. Durò ben cinque secoli.<br />

Al tempo di San Benedetto, nel secolo VI, c’erano ancora dei<br />

pagani nelle campagne attorno Monte Cassino. Ma il catecumenato<br />

fu efficace e sopratutto nei tre primi secoli, il motivo della conversione<br />

non aveva nessuna pretesa umana o interesse egoistico.<br />

L’evangelizzazione dei popoli germanici, nei secoli V-VIII 2 , e più<br />

tardi dei popoli slavi, nei secoli IX e X 3 , fu più rapida, in parte per<br />

opera dei monaci 4 , ma anche, in alcuni casi 5 , con interventi militari,<br />

2 Da Clodoveo a Carlomagno.<br />

3 Cf. L’enciclica Slavorum apostoli, di Giovanni Paolo II (1985).<br />

4 Si pensi al ben noto invio di Agostino, e dei suoi benedettini in Inghilterra,<br />

ai tempi di Gregorio Magno, nel secolo VI.<br />

5 Pensiamo a Carlomagno, a qualcuna delle sue imprese, ed anche ai cavalieri<br />

teutonici in Polonia...<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Evangelizzare<br />

partendo<br />

dalla “Kenosi”<br />

123-131<br />

spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

GUILLEN PRECKLER<br />

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GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

126<br />

e con battesimi che incominciavano dall’alto, per i re e i nobili, con<br />

scarsa catechesi 6 . Il radicamento evangelico si sviluppò assai più<br />

tardi, lungo tutto il Medioevo.<br />

Quando l’Europa si lanciò alla scoperta e conquista di altri continenti<br />

il Portogallo e la Spagna (Castiglia) nei secoli XV-XVI,<br />

l’Inghilterra e l’Olanda dal secolo XVII in poi, non mancarono di<br />

inviare missionari dai Patronati Reali 7 verso le nuove terre. La prima<br />

evangelizzazione africana, asiatica ed americana ebbe dunque un<br />

chiaro sigillo coloniale. Benchè i missionari spesso siano stati dei<br />

validissimi testimoni di Cristo 8 , il contesto storico situò questa predicazione<br />

evangelica sotto il segno del potere economico, politico e culturale.<br />

I cristiani si mostrarono superiori a tutti i livelli e le conversioni<br />

ebbero naturalmente anche motivazioni di interesse o di paura 9 .<br />

Quando, dopo la Rivoluzione Francese e con i grandi progressi<br />

tecnici e industriali, l’Europa si lanciò di nuovo alla conquista del<br />

mondo, la Francia, il Belgio, la Germania e l’Italia si aggiunsero a<br />

questa impresa, soprattutto dopo il Congresso di Berlino condotto<br />

dal Bismark nel 1885. Sorse allora una pleiade di nuove<br />

Congregazioni Missionarie 10 che si rese presente in tutti gli angoli<br />

6 Si pensi per esempio a Recaredo, re dei visigoti in Spagna, nel secolo VI,<br />

e a Stefano, il re d’Ungheria, nel secolo X...<br />

7 I Papi, specialmente Alassandro VI, diedero ai re del Portogallo e della<br />

Spagna il privilegio ed anche l’obbligo della propagazione della fede nei territori<br />

da loro scoperti e conquistati: la costa africana, l’India, dove pure c’erano<br />

già i cristiani di San Tommaso, e l’America furono evangelizzate da missionari<br />

inviati e sostenuti dai re; anche i vescovi erano scelti dall’Ordine di Cristo<br />

(Portogallo) o dal Consiglio delle Indie (Spagna).<br />

8 Pensiamo per esempio a quei poverissimi francescani arrivati nel Messico<br />

con Fra Martin de Valencia nel 1524 o alle condizioni precarie di Francesco<br />

Saverio nella costa Sud dell’India.<br />

9 Pensiamo per esempio all’immenso prestigio culturale dei gesuiti nella<br />

corte dell’imperatore della Cina, con la presenza di P. Matteo Ricci (+1610),<br />

ma anche alla protezione dei soldati spagnoli data ai missionari nelle Filippine,<br />

quando andavano nelle regioni pericolose.<br />

N.B. Nel caso dell’Inghilterra e dell’Olanda, furono le Compagnie commerciali<br />

a incominciare lo scambio con le popolazioni indigene. Solo pian piano<br />

si fece presente anche un’intenzione missionaria. Nelle Molucche, gli olandesi<br />

cercavano di convertire al protestantesimo i cattolici dell’epoca portoghese.<br />

10 Per citare soltanto alcuni nomi: Oblati di Maria Immacolata, Spiritani,<br />

Missionari del Sacro Cuore, Preti del Sacro Cuore, Maristi ecc. in Francia;<br />

Verbiti in Germania, Claretiani in Spagna, Comboniani, Saveriani ed anche


dei continenti fino allora sconosciuti, in particolare in Africa, in<br />

molti territori asiatici a in Oceania. L’America ispano-portoghese<br />

era già praticamente cattolica fin dal secolo XVII.<br />

Dalla metà dell’ottocento alla metà del novecento, da Gregorio<br />

XVI (+ 1846) a Pio XII (+ 1958), abbiamo cent’anni di una incredibile<br />

generosità evangelizzatrice. Le attuali giovani Chiese asiatiche<br />

ed africane presenti già nel Concilio ecumenico Vaticano II sono il<br />

frutto di questo “secolo delle missioni” 11 .<br />

Ma dobbiamo anche qui riconoscere l’influenza di quella caratteristica<br />

che era la superiorità economica, politica e culturale dei paesi<br />

da cui provenivano questi missionari, che, peraltro, erano estremamente<br />

dediti al compito dell’evangelizzazione e spesso cadevano<br />

vittime di malattie e persecuzioni 12 . Bisogna pur dire che le metropoli<br />

hanno cercato sempre di avere missionari della propria nazione,<br />

e che spesso c’era una connivenza nazionalistica tra ecclesiastici e<br />

autorità coloniali 13 .<br />

Dopo la seconda guerra mondiale, la raggiunta indipendenza di<br />

tutte le antiche colonie europee e la celebrazione del Concilio<br />

Vaticano II segnano un nuovo periodo nella storia dell’evangelizzazione<br />

14 .<br />

Salesiani in Italia. Ci sono inoltre le Società Missionarie: dopo quella di Parigi<br />

e quella di Lione, Mill Hill in Inghilterra, San Colombano in Irlanda, PIME in<br />

Italia, Misiones extranjeras in Spagna, Maryknoll negli USA... e tanti Istituti<br />

femminili, forme attive degli antichi Ordini (francescane, domenicane, carmelitane,<br />

agostiniane...) o rami delle nuove fondazioni.<br />

11 Nell’America i cattolici sono il 62,53%, nell’Oceania il 26,28%,<br />

nell’Africa il 17,08 % e nell’Asia il 2,96 % (“Annuario Statistico della Chiesa”<br />

2005).<br />

12 Considerando anche solo il Vietnam, durante l’ottocento possiamo parlare<br />

di migliaia di martiri. I cimiteri missionari dell’Africa, a causa della malaria<br />

ed altre infermità tropicali, sono incalcolabili.<br />

13 Benedetto XV richiamò l’attenzione sul pericolo del nazionalismo nelle<br />

missioni nella lettera apostolica Maximum illud (1919). (Cf. MONGO BETI, Le<br />

pauvre Christ de Bomba).<br />

14 L’enciclica Redemptoris missio del 1990, appartiene pienamente a questa<br />

nuova impostazione.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Evangelizzare<br />

partendo<br />

dalla “Kenosi”<br />

123-131<br />

spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

128<br />

La pratica attuale dell’evangelizzazione<br />

Diamo infine uno sguardo al mondo di oggi.<br />

Ogni lettore dei Fioretti di San Francesco rimane colpito dal<br />

capitolo sulla “perfetta letizia”. Né la scienza, né i più svariati carismi,<br />

né i più grandi successi apostolici costituiscono la “perfetta letizia”.<br />

Questa si trova soltanto nella pazienza, nell’umiltà, nella partecipazione<br />

alla croce di Cristo. Potremmo dire che qui si trova l’autentica<br />

forza evagelizzatrice secondo Francesco, discepolo di Paolo<br />

e soprattutto di Gesù 15 .<br />

Quando oggi, partendo dalla rinnovata coscienza dell’Incarnazione<br />

del Figlio di Dio, frutto del grande Giubileo 2000, ci proponiamo<br />

un nuovo slancio evangelizzatore, quali caratteristiche<br />

potremmo attribuirgli?<br />

Siamo in un mondo politicamente “post-coloniale”, dove però il<br />

dominio economico e tecnico di alcune nazioni è ancore fortissimo.<br />

Ciò si traduce anche nella supremazia militare. In qualche modo, i<br />

mezzi di comunicazione sociale producono anche una certa certa<br />

agressività culturale, che corre parallelamente alla globalizzazione<br />

commerciale. L’idea di utilizzare questi stessi mezzi per l’evangelizzazione<br />

viene spontanea, e non mancano iniziative in questo senso.<br />

Tenendo presente che i contesti culturali sono diversissimi, oserei<br />

però indicare come paradigma della “nuova evangelizzazione”<br />

una presentazione della Buona Notizia di Cristo senza alcuna pretesa<br />

di potere economico, politico o culturale. Noi cristiani non siamo<br />

i più ricchi, non ci appoggiamo alle leggi che ci favoriscono e non<br />

siamo i più sapienti. Nonostante ciò, annunciamo la Parola del<br />

Regno con autorità, come Gesù e in Gesù. È la forza che ci viene<br />

dal poter presentare la speranza del Regno dei Cieli, dei suoi misteri,<br />

della sua bellezza, della sua bontà, della sua verità, a partire da<br />

una iniziale vittoria sopra ogni male.<br />

La missione evangelizzatrice consisterebbe allora soprattutto<br />

nello stimolare l’esperienza di Gesù, pur sapendo che il vero incontro<br />

con Lui è sempre un mistero della grazia. Paolo ci parlava di<br />

“vocazione”. C’è una preghiera per il Regno di Dio oggi, c’è<br />

un’umiltà di cuore per capire le parabole del Regno oggi, c’è una<br />

15 Il capitolo VIII dei Fioretti, cui facciamo riferimento, finisce con una citazione<br />

di Paolo (Gal 6, 14).


comprensione nuova delle leggi del Regno di Dio tra noi qui, c’è una<br />

gioia della comunione ecclesiale adesso, che irradia aldilà di ogni<br />

intenzione propagandistica. Queste cose fanno sentire la sublimità<br />

dell’Amore di Dio e riscoprire la grazia dei Sacramenti<br />

dell’Incarnazione del Verbo.<br />

Questo tipo di testimonianza integrale può purificare dappertutto<br />

le motivazioni della pastorale e della conversione. La trasformazione<br />

che la Fede in Gesù propone e fa sentire è al di sopra di ogni interesse<br />

umano immediato e riduttivo. Questo benché il Signore mostri<br />

di avere molta pazienza con gli itinerari personali, così diversi e<br />

spesso così interessati all’inizio.<br />

Evangelizzare dalla “kenosi” è dunque in primo luogo abbracciare<br />

lo stile di Gesù nella sua missione redentrice, per quanto paradossale<br />

e assurdo possa sembrare. E’ anche la proposta personale e<br />

paziente dell’esperienza ecclesiale di Gesù. E’ infine l’essere disposti<br />

a morire senza vedere niente, a sperare contro ogni speranza, perchè<br />

il Salvatore di tutti è già assiso alla destra del Padre e intercede<br />

per noi. Ricordiamo la morte solitaria del beato Carlo di Foucauld<br />

nel cuore del Sahara.<br />

Vuol dire questo che disprezziamo ogni sorta di mezzi economici,<br />

politici o culturali? Io direi che ce ne serviamo con una suprema<br />

libertà, cioè che non mettiamo in essi né la ragione né lo scopo del<br />

nostro lavoro apostolico. In altri termini, possiamo dire che non ci<br />

scoraggiamo quando vengono a mancare e che nel più profondo del<br />

cuore, noi poniamo la nostra fiducia in altre risorse, che sono scandalo<br />

e sciocchezza agli occhi di quelli che ci stanno attorno, siano<br />

Ebrei o Greci.<br />

Fra tutte le grazie che lo Spirito Santo può concedere ai pastori e<br />

ai fedeli della Chiesa oggi, non ci sarebbe forse il dono di saper<br />

evangelizzare questo mondo, estremamente bramoso di potere economico,<br />

politico e culturale, partendo dalla “kenosi” di Gesù, e dalla<br />

nostra propria “kenosi”, nella potenza del Mistero Pasquale?<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Evangelizzare<br />

partendo<br />

dalla “Kenosi”<br />

123-131<br />

spiritualità<br />

129


pastorale e<br />

spiritualità<br />

GUILLEN PRECKLER<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

130<br />

EVANGELIZING CENTERED ON THE KENOSIS<br />

By Fernando Guillen Preckler, Sch.P<br />

The author of this witness-article is a missionary in Africa and he<br />

examines the issue of “New Evangelization” based on experience,<br />

not just historical knowledge. Today more than ever what is required<br />

is an evangelization in which trust is solely in God and the power of<br />

the kerygma, rather than on the support of power and money.<br />

EVANGELISER EN PARTANT DE LA «KENOSE»<br />

Par Fernando Guillen Preckler sch.p.<br />

L’auteur de cet article-témoignage est missionnaire en Afrique ; il<br />

examine le problème de la nouvelle évangélisation en partant de<br />

l’expérience, et aussi des connaissances historiques. Aujourd’hui<br />

plus que jamais s’impose une évangélisation qui met sa confiance<br />

uniquement en Dieu et dans la puissance du kérigme, et non dans les<br />

appuis du pouvoir ou de l’argent.<br />

EVANGELIZAR PARTIENDO DE LA “KENOSIS”,<br />

Por Fernando Guillén Preckler, sch.p.<br />

El autor, misionero en Africa, analiza el problema de la nueva evangelización<br />

a partir de la experiencia, sin excluir los conocimientos<br />

históricos. Más que nunca hoy se exige que la evangelización ponga<br />

su confianza únicamente en Dios y en la potencia del “kerigma”, no<br />

en los apoyos procedentes del poder o del dinero.<br />

EVANGELISIEREN AUSGEHEND<br />

VON DER „KENOSIS“<br />

Von Fernando Guillen Preckler Sch.p.<br />

ENG<br />

FRA<br />

ESP<br />

GER<br />

Der Autor ist Afrikamissionar, und geht in seinem zeugnishaften<br />

Artikel dem Problem der Neuevangelisierung nach. Ausgehend von


Erfahrungen und geschichtlichen Hintergründen legt er dar, dass<br />

heute mehr den je eine Evangelisation gefordert ist, die ausschließlich<br />

auf Gott und auf die Kraft des Kerygmas vertraut, und sich<br />

nicht auf die Unterstützung durch Macht und Geld verlässt.<br />

POL<br />

EWANGELIZACJA WYCHODZĄCA OD KENOZY<br />

Fernando Guillen Preckler SchP<br />

Autor tego artykułu-świadectwa jest misjonarzem w Afryce i analizuje<br />

problem nowej ewangelizacji wychodzącej od doświadczenia<br />

oraz od wiedzy historycznej. Dzisiaj bardziej niż kiedykolwiek<br />

oczekuje się na ewangelizację, która swą ufność złożyłaby jedynie<br />

w Bogu i w potędze kerygmatu, nie zaś w oparciu o władzę i<br />

pieniądze.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

Evangelizzare<br />

partendo<br />

dalla “Kenosi”<br />

123-131<br />

spiritualità<br />

131


di ANTONIO ARTOLA C.P.<br />

Tra il 2008 e l’anno corrente si affollano varie date legate alla<br />

figura di san Gabriele Possenti dell’Addolorata (1838-1862).<br />

Nello scorso anno si sono avute varie manifestazioni legate al<br />

centenario della beatificazione del giovane passionista. Tra queste,<br />

la più rilevante dal punto di vista culturale, è rappresentata<br />

dal IV Colloquio “San Gabriele dell’Addolorata e il suo tempo”.<br />

Il convegno si è tenuto presso il Centro di spiritualità del Santuario<br />

di San Gabriele dal 12 al 13 novembre. Gli interventi di qualificati<br />

relatori si sono estesi dall’ambito<br />

storico (De Mattei, Viglione ed<br />

altri) al campo teologico (Artola,<br />

Baldini, Valentini ed altri) ed a quello<br />

pastorale (Orsini ed altri).<br />

In attesa della pubblicazione degli<br />

Atti del IV Colloquio, presentiamo ai<br />

nostri lettori la relazione del prof.<br />

Antonio M. Artola, che approfondisce<br />

la tematica poco studiata della<br />

vita mistica del santo.<br />

Fondamentale per questa rilettura<br />

della spiritualità del santo la locuzione<br />

mariana del 22 agosto 1856<br />

a Spoleto. Gabriele si sente guardato<br />

da Maria, scelto personalmente<br />

con una locuzione chiara che, come<br />

nel caso di Paolo apostolo o di<br />

Paolo della Croce, non si cancellerà<br />

più dalla sua coscienza: tu non sei fatto per il mondo, sei fatto per<br />

Dio, che ti vuole tutto per sé. La potenza della trasformazione<br />

operata da questa esperienza mostra il suo carattere soprannaturale.<br />

E’, oltretutto, l’espressione tipica di un autentico messaggio<br />

vocazionale.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’ESPERIENZA<br />

MISTICA<br />

DI<br />

SAN GABRIELE<br />

A SPOLETO<br />

Nella vita di S. Gabriele c’è un fatto considerato<br />

come “la fonte di tutte le grazie” che il santo<br />

ricevette nella sua vita religiosa e la spiegazione<br />

della sua santità eroica. E’ l’episodio della<br />

chiamata alla vita passionista avuta il<br />

22.08.1856 a Spoleto 1 . Ma questo fatto singolare<br />

offre, fin dal primo colloquio con il diret- L’esperienza<br />

mistica<br />

1 L’episodio non è stato oggetto di uno studio monografico, per quanto ne<br />

possiamo sapere. Per le fonti dello stesso vedere FONTI STORICO – BIOGRA-<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

133-154<br />

spiritualità<br />

133


pastorale e<br />

spiritualità<br />

ANTONIO ARTOLA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

134<br />

tore spirituale di Gabriele, P. Bompiani, S. J., svariate interpretazioni,<br />

che non hanno ancora raggiunto un consenso soddisfacente. Tra<br />

i testimoni della santità di S. Gabriele, come nella generalità dei suoi<br />

biografi, c’è una tendenza che riduce al minimo l’influsso sensibileuditivo<br />

della locuzione della Vergine. La maggior parte degli scrittori<br />

narra il fatto pensando che nella locuzione di Spoleto non vi fu<br />

niente che superasse la normalità delle esperienze di religiosità<br />

intensa che sfociano in una decisione vocazionale. In altre parole, la<br />

locuzione di Spoleto non solo non fu accompagnata da nessun epifenomeno<br />

di ascolto straordinario, ma consistette solo in una specie<br />

di forte ispirazione interiore, percepita in tal senso, o, al massimo,<br />

come una semplice locuzione interiore. Questa si può chiamare<br />

interpretazione minimalista che esclude nell’episodio ogni straordinarietà<br />

mistica o psicologica. Questa interpretazione richiede una<br />

revisione. Sarebbe possibile un’alternativa che ammetta, almeno per<br />

ipotesi, nell’episodio di Spoleto, qualcosa di straordinario, almeno<br />

di tipo mistico, se non si vuol parlare di un’esperienza visibile o sensibile?<br />

Se questa interpretazione fosse vera, riterremmo che l’esperienza<br />

di Spoleto fu simile alla locuzione-visione che provocò la<br />

conversione di Andrés Frossard. Questo è il problema alla cui soluzione<br />

desidera contribuire questo studio.<br />

La domanda sulla<br />

natura del fenomeno<br />

di Spoleto<br />

fu posta già dal canonico<br />

Carlo Bonaccia2 I. Lettura critica delle fonti<br />

, ma<br />

egli lasciò la risposta aperta per future investigazioni. La diversità<br />

delle testimonianze processuali è sconcertante. Questo complica la<br />

cosa. Perfino nel P. Norberto si trovano versioni del fatto notevolmente<br />

diverse tra di loro. Questo stato confuso delle fonti esige una<br />

FICHE DI S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA, Edizione critica a cura di Natale<br />

Cavatassi c.p e Fabiano Giorgini c.p. Edizioni “Eco” 1969. Questa opera<br />

verrà citata in appresso con la sigla FS. Il P. Franco D’Anastasio ha raccolto con<br />

cura tutti i dettagli del fatto in S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA. 100 anni di<br />

ricerche. 1892 – 1992. Editoriale Eco, 1994, pp. 341 – 342.<br />

2 “Se queste fossero voci articolate e sensibili, oppure solamente interiori<br />

non è da me a giudicarlo” (FS p. 307, 27 – 29).


previa lettura critica delle medesime, prima di affrontare la questione<br />

della natura teologica del singolare episodio.<br />

1. I primi testimoni dei fatti<br />

Il primo testimone dell’episodio di Spoleto è il gesuita P. Carlo<br />

Giuseppe Bompiani 3 . Nel pomeriggio di venerdì 22 agosto 1856<br />

Gabriele aveva vissuto una forte esperienza religiosa che volle sottomettere<br />

al discernimento del suo direttore, P. Bompiani. Questi lo<br />

ricevette nelle prime ore del pomeriggio di domenica 24 agosto.<br />

All’inizio la confidenza di Gabriele gli sembrò strana. La superficialità<br />

del giovane Possenti non faceva presagire una decisione tanto<br />

radicale come l’entrata in un convento 4 . Con molta cura gli chiese<br />

chiarimenti sulla “voce” 5 . Si riferiva, senza dubbio, alla chiamata<br />

della Vergine che gli aveva causato un cambiamento così improvviso.<br />

La deposizione del gesuita nel processo di beatificazione, nella<br />

sua brevità, offre già tutti i dati essenziali dell’episodio vocazionale<br />

e delle sue notevoli circostanze. Il P. Bompiani traccia in rapide pennellate<br />

la vita del giovane diretto da lui, menziona le difficoltà interpretative<br />

del fatto della “voce” misteriosa in cui sembra appoggiarsi<br />

l’improvviso cambiamento del giovane Possenti. L’insieme delle<br />

confidenze produsse nel direttore un effetto positivo, motivo per cui<br />

egli approvò la decisione vocazionale che veniva sottomessa al suo<br />

discernimento.<br />

Un punto fermo nella deposizione del P. Bompiani è che tutto il<br />

fatto che provocò l’assorbente decisione vocazionale era dovuto a<br />

una misteriosa voce. Questo primo fatto, riportato nella deposizione<br />

del Bompiani, lo terranno sempre fermo i diversi testimoni che<br />

deporranno nel processo, e lo considereranno come essenziale per<br />

3 Sulle circostanze della deposizione del P. Bompiani vedere la nota introduttiva<br />

di FS p. 289.<br />

4 “Amava i divertimenti, le conversazioni, il teatro, ed il vestire gaio, era di<br />

buon ingegno” (FS p. 290). “Fu proclive alla vanità, amante, come ho detto di<br />

sopra, dei divertimenti, dei teatri, delle conversazioni” (FS p. 290, nota 2).<br />

5 “Nell’estate del 1855 [1856], in domenica, nelle ore pomeridiane il Servo<br />

di Dio mi domandò un abboccamento. Lo condussi alla mia scuola; quivi candidamente<br />

mi aprì l’idea di rendersi religioso <strong>Passio</strong>nista. Io gli rappresentai<br />

quei motivi che chiarissero donde fosse questa voce” (FS p. 291).<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

133-154<br />

spiritualità<br />

135


pastorale e<br />

spiritualità<br />

ANTONIO ARTOLA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

136<br />

tutto l’episodio. Però nella deposizione del gesuita appare ugualmente<br />

chiaro che Gabriele non fu molto esplicito nel riferirgli la natura<br />

concreta della voce. Perciò gli chiese chiarimenti su questo particolare.<br />

Sicuramente il gesuita desiderava sapere se era una voce interiore<br />

- una ispirazione - o una locuzione esteriormente percepibile.<br />

La deposizione assume una grande importanza, poiché si riferisce<br />

al momento storico più vicino al fatto, e rivela già i primi problemi<br />

della sua interpretazione. Per questa interpretazione bisogna<br />

tenere presente che, secondo lo stesso Bompiani, Gabriele era molto<br />

riservato nelle sue cose 6 . Questa riservatezza e timidezza furono<br />

senz’altro la causa per cui il giovane non fu né completo né chiaro<br />

nelle sue confidenze. Queste osservazioni non bastano per iniziare<br />

lo studio. Iniziamo da una domanda fondamentale: chiarì veramente<br />

Gabriele al suo direttore il dettaglio della sua esperienza? Oppure<br />

si rifugiò nella sua riservatezza e si limitò a informare il suo direttore<br />

soltanto dell’essenziale del fatto? E’ probabile che Gabriele abbia<br />

detto soltanto che davanti all’immagine della Vergine si sentì chiamato<br />

a entrare in religione.<br />

Se il primo atteggiamento davanti al direttore fu quello di una<br />

confidenza discreta, ridotta all’essenziale, è lecito pensare che mai<br />

parlò con maggiore chiarezza, e la laconicità delle prime conversazioni<br />

resterà come una fermezza psicologica le cui barriere mai<br />

infranse completamente. Dobbiamo sospettare che questa riservatezza<br />

dei primi giorni immediati all’esperienza spirituale, porterà il<br />

santo a non entrare mai in dettagli intimi nel riferire il fatto misterioso.<br />

Ciò che richiama l’attenzione nel Bompiani è che - sebbene<br />

conoscesse la vita superficiale che Gabriele conduceva 7 e nonostante<br />

che il giovane mai avesse dimostrato propensione alcuna alla vita<br />

religiosa 8 - lo assicura che aveva vocazione 9 . Un altro dettaglio<br />

6 “Era amante di mantenere il segreto sui fatti suoi specialmente sul suo interno”<br />

(FS p. 290, nota 2).<br />

7 “Egli fu contento e superò gran parte delle difficoltà e del padre e delle<br />

altre persone autorevoli che v’interpose. La cosa procedeva, ma l’ultimo colpo<br />

di grazia la SS. Vergine lo riservò a se stessa” (FS p. 291, nota 3).<br />

8 “Francesco Possenti non aveva mai mostrato, che io rammenti, propensione<br />

allo stato religioso” (FS p. 310, 5 – 6).<br />

9 “Considerai alquanto la proposta: vidi che non era né capriccio, né slancio<br />

di fervore fantastico, né ignorava delle difficoltà che quello stato di vita gli<br />

avrebbe opposto; conclusi approvando il suo consiglio: me ne rallegrai e rimisi<br />

la cosa a suo padre, la cui approvazione era necessaria” (FS p. 291, nota 3).


importante è che, narrando retrospettivamente l’episodio nel processo,<br />

lo giudicasse dagli effetti che quella chiamata produsse nell’impegno<br />

di vita che ne seguì. Riferisce, in concreto, che un altro spoletino<br />

entrò con lui nel noviziato di Morrovalle, ma solo Gabriele<br />

perseverò 10 .<br />

Il ciclo dei primi tempi del Bompiani include, in secondo luogo,<br />

Sante Possenti. Scrivendo il padre di Gabriele dopo due giorni dall’avvenimento<br />

a suo nipote, Giovanni Possenti, lo informa della<br />

chiamata avuta da suo figlio di farsi passionista 11 . Sante è seguito dal<br />

fratello di Gabriele, Luigi Tommaso Possenti. E’ il terzo testimone<br />

nell’ordine cronologico del fatti. Parlando della chiamata di suo fratello,<br />

fa menzione dello sguardo del santo all’immagine della<br />

Vergine 12 .<br />

2. Il canonico Paolo Bonaccia<br />

La prima biografia di Gabriele fu opera del canonico Bonaccia.<br />

La sua fonte principale fu un manoscritto che il P. Norberto aveva<br />

composto dopo un mese dalla morte di S. Gabriele (27.03.1862) per<br />

consolare il padre. Il testo fu spedito nell’aprile dello stesso anno 13 .<br />

In questo testo, chiamato Cenni, per la prima volta il direttore del<br />

santo parlò del fatto misterioso della vocazione. Il P. Norberto, nella<br />

relazione della vita del giovane, sembra dominato dal desiderio di<br />

evitare i racconti di cose straordinarie. Sicuramente utilizzò nei<br />

Cenni il metodo biografico che alcuni anni dopo avrebbe consigliato<br />

al canonico Bonaccia per comporre la sua biografia. Doveva<br />

applicare al santo il clichè della vita di S. Francesco di Sales 14 .<br />

Questa narrazione del P. Norberto è di una discrezione estrema sul<br />

10 FS p. 292.<br />

11 FS, p. 343.<br />

12 “Gli parve di osservare nel simulacro della Vergine, portato processionalmente,<br />

di essere da lei chiamato allo stato religioso” (FS p. 269).<br />

13 Storia del testo in FS p. 178. Testo in FS pp. 176 – 219.<br />

14 “L’idea dominante che ha da campeggiare in tutto il lavoro ha da essere<br />

una santità e una virtù sul taglio di S. Francesco di Sales, una santità e virtù<br />

facile, spontanea, dolce, amabile, e nel tempo medesimo intiera, totale, generosa,<br />

forte, costante. Riusciragli alquanto difficile incarnare in tutto il suo lavoro<br />

questo duplice carattere; ma se vuole presentarla originale e genuina, la virtù<br />

di Confr. Gabriele fu tale” (Ulteriori Notizie p. 262).<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

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fatto mariano della vocazione, fino al punto di passare sotto silenzio<br />

tutto ciò che di straordinario sarebbe potuto apparire nell’episodio 15 .<br />

Ecco perché abbiamo chiamato il testo il più minimalista di tutti.<br />

Non appare in esso né lo sguardo, né tanto meno la voce della<br />

Vergine a Gabriele. Appare solo la commozione religiosa che fa scaturire<br />

dal suo intimo alcune riflessioni a mo’ di rimorsi sulla sua vita<br />

nel mondo, perché doveva entrare in religione. Quello che il P.<br />

Norberto sottolinea con interesse è l’effetto della commozione interiore,<br />

cioè il cambiamento completo di vita 16 . Risulta strano che, a<br />

solo sei anni dagli avvenimenti e mentre afferma di conoscere tutto<br />

il mondo interiore di Gabriele, sappia così poche cose sull’evento di<br />

Spoleto 17 . Questa prima relazione dei Cenni il P. Norberto la completò<br />

più tardi con un altro documento chiamato Ulteriori Notizie. In<br />

questo scritto aggiunse un dato che doveva avere una grande importanza<br />

nell’elaborazione dell’episodio della vocazione nella biografia<br />

del Bonaccia. Questo documento puntualizzava che Gabriele, guardando<br />

la Vergine, udì una “interna, efficace locuzione” 18 .<br />

15 “Il nostro defunto vi si portò ma alla sbadata, e più per curiosità che per<br />

altro; ma colà appunto lo aspettava Maria: ché muovendosi la processione<br />

portò lo sguardo sull’immagine della Madonna, e nel mirarla si sentì all’istante<br />

sorgere con vivezza in questi riflessi: Ma io non sono fatto per il mondo; che<br />

pensiero vi faccio io nel mondo? Tu sei fatto per Iddio, Iddio ti vuole tutto per<br />

sé, ti chiama al cielo, presto fatti Religioso!” (FS p. 208).<br />

16 “Da questo punto si sentì mutato nel cuore e nelle inclinazioni, e non<br />

sospirava altro che di effettuare il suo disegno; finché il mise in esecuzione con<br />

risultato tanto felice. E qui devo aggiungere che dopo sentitosi chiamare si sforzava<br />

di non dare a divedere ad alcuno le sue intenzioni, ma, come mi è stato<br />

detto da più d’uno, nol poté fare con tal segretezza da non farne trasparire<br />

qualche indizio” (FS p. 208).<br />

17 L’ipotesi che si può fare è che Gabriele parlò della sua esperienza mariana<br />

con il maestro che lo diresse nel noviziato, P. Raffaele di S. Antonio. In quel<br />

tempo il P. Norberto era solo vice maestro e non stava in contatto intimo con<br />

Gabriele. Quando divenne direttore del giovane professo, le cose di Spoleto<br />

erano ormai lontane, e non fu necessario che Gabriele narrasse in dettaglio le<br />

circostanze di detto avvenimento. Gabriele si limitò a riferirgli genericamente<br />

l’essenziale di tutto quello che era avvenuto.<br />

18 Il documento fu scoperto nel 1982 dal P. Verducci (Cfr. Claudio Verducci<br />

LE CARTE BONACCIA, Manoscritti inediti riguardanti S. Gabriele<br />

dell’Addolorata, in S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA E IL SUO TEMPO, Studi –<br />

Ricerche – Documentazione, 2, Edizioni Eco, 1986, pp. 235 – 288). Il testo<br />

che citiamo appare a p. 264. Sebbene dica che si parla di questa voce in<br />

Cenni, il fatto è che nello scritto non si menziona questa locuzione efficace, ma<br />

si parla solo di un soliloquio di Gabriele.


Ritornando alla narrazione di P. Norberto, c’è in essa un giudizio<br />

di valore che domina tutto l’episodio. Fin dal primo momento, il<br />

P. Norberto considera l’evento di Spoleto come la fonte di tutte le<br />

grazie 19 . Per il direttore è la pietra angolare del futuro edificio spirituale<br />

di S. Gabriele. Come nel caso di tutte le conversioni, il primo<br />

momento è il più decisivo di tutta la vita nuova che inizia e a cui<br />

seguirà un cambiamento. Questo basta perché in uno studio della<br />

santità e della mistica del santo, tutto si debba guardare da questo<br />

primo episodio.<br />

Su questo impagabile testo costruì Bonaccia la sua biografia.<br />

L’autore era un compagno di studi del santo 20 . Utilizzò nella sua<br />

opera i Cenni del P. Norberto, completati con le Ulteriori Notizie.<br />

Per offrire una relazione omogenea, modificò il tenore dei Cenni<br />

introducendo due fatti nuovi: lo sguardo della Vergine a Gabriele e<br />

la chiamata vocazionale attribuita direttamente alla voce di Maria.<br />

Per fare questo utilizzò l’informazione del P. Norberto sulla voce<br />

interiore. Per incorniciare la chiamata della Vergine aggiunse lo<br />

sguardo della Vergine a Gabriele. Non solo fece questo, ma per di<br />

più sfumò anche lo sguardo di Gabriele alla Vergine facendolo<br />

incontrare con il sorriso di Maria. Aggiunse solo un verbo per sfumare<br />

la storicità della sua relazione. Aggiunse un verbo dubitativo<br />

per evitare un’affermazione tranciante sulla visione: “gli pare”, cioè<br />

Gabriele crede che la Vergine lo guardi e gli diriga le parole della<br />

chiamata.<br />

La voce interiore menzionata dal P. Norberto 21 ha ispirato al<br />

Bonaccia la classica immagine di Gabriele che fissa gli occhi nella<br />

19 “… questa sola [grazia], che è stata la sorgente di tutte le altre. Questa<br />

grazia la ricevé evidentemente da Maria” (FS p. 208).<br />

20 Vedere i riferimenti alla persona in FS p. 297 – 8.<br />

21 Se è certa questa ipotesi che la modificazione narrativa del Bonaccia<br />

dipende dal P. Norberto, la sua operazione narrativa non sarebbe granché, e<br />

il P. Norberto apparirebbe come il testimone privilegiato di tutto quello che si<br />

sa sull’episodio mariano. Bonaccia aggiunge al chiarimento del P. Norberto il<br />

suo dubbio sulla natura della voce “articolata e sensibile”. E’ curiosa la coincidenza<br />

del P. Norberto in Ulteriori Notizie con la descrizione del Bompiani sulla<br />

“voce”. Si noti il termine “articolato” che apparirà in seguito nel P. Norberto,<br />

in PA, FS p. 29, nota 13. Bonaccia tenne fermo il suo riferimento alla “voce”<br />

in FS p. 309: “Non potea Francesco dimenticare quel luogo dove avea sentito<br />

la voce della sua Madre divina, né potea starle vicino senza sentire una fora<br />

misteriosa che lo attirava”.<br />

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Icona 22 e la Vergine che lo guarda e gli parla con una efficace locuzione<br />

interiore. Ma non si azzarda ad affermare che si trattava di una<br />

locuzione sensibile della Vergine 23 . Ricomposto in questo modo il<br />

fatto, Bonaccia trae tutte le conseguenze dalla sua ricostruzione storica,<br />

cioè quanto di virtuoso apparve nella successiva vita di<br />

Gabriele ebbe la sua origine da questa visione 24 . In ragione di questo<br />

principio sviluppa in forma oratoria molto ampia quello che era<br />

contenuto nella fonte dei Cenni. Il primo effetto dell’intervento di<br />

Maria fu come la ferita prodotta da un dardo spirituale che si conficcò<br />

nella sua anima 25 . Per Bonaccia tutti i cambiamenti che avvennero<br />

nella nuova vita di Gabriele avevano la loro origine nell’episodio<br />

della Santa Icona. La Vergine suscitò nel suo cuore la decisione di<br />

lasciare il mondo. Pertanto, in un modo o nell’altro, l’origine di tutto<br />

era nell’incontro con la venerata immagine mariana. Gli fu sufficiente<br />

questo per porre nella bocca della Vergine le parole dell’ammonizione-chiamata.<br />

Gabriele ricordò sempre questa chiamata, fino<br />

alla sua morte 26 . Il Bonaccia presentò i cambiamenti nella vita di<br />

22 “Questi era Francesco Possenti; il quale avvicinandosi alla sua volta la<br />

Icone augusta, leva in alto gli occhi per vagheggiarla. La guarda, e pargli che<br />

la Vergine benedetta lo riguardi a vicenda, gli sembra di vedersi diretta un’occhiata<br />

speciale, dietro lo sguardo risonargli in cuore queste parole: ‘Francesco,<br />

il mondo non è più per te; ti aspetta la religione’” (FS p. 307).<br />

23 Vedere nota 2.<br />

24 Questa chiarificazione del P. Norberto può spiegare la menzione della<br />

voce interiore attribuita alla Vergine, al posto del soliloquio di Cenni. Se è certa<br />

questa ipotesi, la modifica del Bonaccia non sarebbe granché. Si baserebbe in<br />

un chiarimento dello stesso P. Norberto. In FS p. 309, Bonaccia farà espressa<br />

menzione della voce così com’era contenuta in Ulteriori Notizie: “Non potea<br />

Francesco dimenticare quel luogo dove avea sentito la voce della sua Madre divina,<br />

né potea starle vicino senza sentire una forza misteriosa che lo attirava” (FS<br />

p. 309). Con ciò il Padre appare come il testimone privilegiato di tutto quello che<br />

si sa sull’episodio mariano. Il dubbio del Bonaccia era centrato unicamente sul<br />

senso della locuzione “articolata e sensibile”. E’ possibile che il P. Norberto, nella<br />

descrizione in PA, quando definisce la locuzione mariana come articolata, forse<br />

risponde al dubbio del Bonaccia: “Se queste fossero voci articolate e sensibili,<br />

oppure solamente interiori, non è da me a giudicarlo”. Si noti la parola “articolato”,<br />

che apparirà in seguito nel P. Norberto, PAA. In FS p. 309 sarà più categorico<br />

e affermerà senza esitazione la presenza della voce mariana.<br />

25 “Restò egli dunque siccome saettato e la ferita fu così profonda che non<br />

ebbe più pace finché non si raccolse in religione” (FS p. 307).<br />

26 “Ebbe egli a confessare al suo direttore di spirito che soventi volte dopo<br />

quel tempo solea rientrare nei segreti della sua coscienza e dire a se stesso:<br />

“Che fai, o Francesco? Tu non sei più del mondo, il mondo non è più tuo”<br />

(FS p. 307).


Gabriele sulla base di citazioni bibliche 27 e di esempi presi dalla vita<br />

dei santi 28 . Le conseguenze furono soprattutto interiori: nessuno si<br />

rese conto del cambiamento interiore operato dalla chiamata mariana<br />

29 . Tuttavia, già pochi giorni dopo l’avvenimento misterioso, si<br />

notò subito il cambiamento di Gabriele nel modo di comportarsi<br />

nelle feste mondane, specialmente nel teatro 30 . La chiamata che<br />

aveva avuto luogo vicino alla cattedrale gli aveva fatto sorgere<br />

un’attrattiva speciale per il luogo della chiamata 31 .<br />

27 “Esci dalla tua casa e dalla tua patria, vanne dove la voce di Dio ti chiamò.<br />

Il Signore ha chiamato, egli ha risposto al suo invito: se oggi ascolti la chiamata<br />

non voler chiudere gli orecchi [……]. La voce del Signore è una ruota che<br />

passa. Temi Iddio che va oltre e non si rivolge indietro a chiamar due volte.<br />

Ricordati di Matteo che lascia il telonio, di Pietro che getta via le nasse e le reti<br />

e tengono dietro al Signore. Chi pon mano all’aratro e poi ristà non è adatto<br />

pel cielo” (FS pp. 307 – 8).<br />

28 “Con questi pensieri venia Francesco maturando il pensiero di darsi a Dio<br />

nella religione” (FS p. 308).<br />

29 “Ma questo lavorio della grazia si compiva tutto all’interno, poiché nell’esterno<br />

nulla appariva. Intendea bene Francesco quanto sia necessario<br />

nascondere il tesoro celeste, affinché mano profana non istorpi i disegni divini,<br />

così la conchiglia al mattino si schiude per raccogliere la manna del cielo, ma<br />

avutala si racchiude e la serba per formare a tempo la perla, che sarà poi l’ornamento<br />

di corone regali. Pertanto avresti visto questo giovane conservare la<br />

forma ricercata del vestire, il medesimo procedere festoso ed ameno e, quanto<br />

all’apparenza, lo stesso intervenire ai profani spettacoli, alle conversazioni, ai<br />

teatri. Ma se avessi potuto penetrare con l’occhio sotto il suo elegante vestito e<br />

sotto la morbida tela che gli proteggea la vita, avresti con maraviglia ed orrore<br />

veduto una larga cinta di duro cuoio munita di aspre ed acuminate punte di<br />

ferro, la quale correndo in giro ai suoi delicati fianchi, tenea l’ufficio di cilizio;<br />

la qual cosa potrebbe ancor di leggieri attestarsi da coloro i quali coi propri<br />

occhi videro ed ebbero in mano il rigido strumento di penitenza” (FS p. 308).<br />

30 “Quanto poi ai teatri avvenne cosa da essere ricordata; la quale insegna<br />

che altro era il Francesco che appariva altro il Francesco che si nascondeva.<br />

Nel corto tempo che trascorse dalla sua chiamata all’ingresso nella religione,<br />

solea, conforme il costume, frequentare il teatro in compagnia di suo padre.<br />

Questo prendea posto in uno dei palchi signorili per favore e gentilezza di quello<br />

a cui appartenea; ma per l’angustia del luogo, non potendo aversi accanto<br />

il figliuolo Francesco, lo lasciava andare alla loggia superiore in compagnia di<br />

altri suoi conoscenti ed amici. Francesco fingeva d’andarvi ma frattanto se ne<br />

usciva soletto dal teatro e se ne venia chetamene al portico della chiesa cattedrale<br />

contigua (poiché l’antico teatro cittadino distava sol pochi passi) ed ivi<br />

passava in preghiera il tempo del profano divertimento” (FS pp. 308 – 9).<br />

31 Per ordinario solea entrare nella chiesa che di quel tempo teneasi aperta<br />

fino a gran notte per soddisfare alla pietà dei cittadini che accorrevano in calca<br />

a ringraziare la Vergine la quale l’anno innanzi avea liberata la città da morbo<br />

del colera…. Talvolta però trovando le porte chiuse gettavasi ginocchione<br />

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Questo discorso e questo ampliamento consistente sull’effetto<br />

della chiamata, avranno un grande influsso nelle dichiarazioni del P.<br />

Norberto nel Processo Ordinario.<br />

3. Il P. Norberto e le sue testimonianze processuali<br />

Il P. Norberto aveva già letto la relazione del Bonaccia quando<br />

fece la sua prima deposizione canonica nel Processo Ordinario. Non<br />

si può negare che la biografia ebbe un grande influsso sul P.<br />

Norberto per comprendere quello che già sapeva sull’episodio<br />

mariano di Spoleto. Vediamolo. In questa relazione il P. Norberto ha<br />

introdotto due cose nuove: prima di tutto la commozione interiore<br />

dovuta allo sguardo della Vergine; in secondo luogo non è Gabriele<br />

colui che riflette dicendosi interiormente le parole sulla fuga dal<br />

mondo, bensì è la stessa Vergine che gliele dirige. E questo con una<br />

locuzione interna distinta, viva ed efficacissima. Questo dettaglio lo<br />

aveva aggiunto ai Cenni in Ulteriori Notizie, come già ho detto.<br />

Continuando sviluppa in forma nuova l’efficacia della voce 32 .<br />

Il P. Norberto tornò a deporre nel Processo Ordinario. Questo è il<br />

testo dove appare meglio profilato il suo pensiero sulla vera natura<br />

del fenomeno spoletino. In primo luogo introducendo lo sguardo<br />

della Vergine al giovane 33 e, con lo sguardo, l’ammonimento sulla<br />

sua vita nel mondo 34 . Però il P. Norberto continua togliendo impor-<br />

nell’atrio e di là facea giungere le sue calde preghiere fino all’altare della<br />

Vergine SS.ma. Non potea Francesco dimenticare quel luogo dove avea sentito<br />

la voce della sua Madre divina, né potea starle vicino senza sentire una<br />

forza misteriosa che lo attirava. Bel contrapposto frattanto vedere quel giovane<br />

col ginocchio sul suolo, coll’occhio al cielo, collo spirito in Dio nell’ora istessa<br />

che nel luogo vicino molti altri giovani pari suoi, immersi in profani piaceri,<br />

ebbri di gioia bugiarda perdevansi avidamente dietro seducenti spettacoli, col<br />

cuore forse piagato e coll’anima contaminata dalla colpa” (FS p. 309).<br />

32 “Questa vista e questa voce lo cambiarono si fattamente nei sentimenti<br />

che senza prender tempo corse immediatamente a consultare l’affare della propria<br />

vocazione col P. Bompiani della Compagnia di Gesù, al quale disse sentirsi<br />

chiamato alla Congregazione dei <strong>Passio</strong>nisti” (FS p. 29).<br />

33 “Giunto presso l’immagine, gli parve che la Madonna lo guardasse con<br />

uno sguardo assai distinto e al tempo stesso sentì nel proprio interno una voce<br />

articolata, distinta, che gli diceva: “Tu non sei fatto per il mondo; presto fatti<br />

religioso” (FS p. 29, nota 13).<br />

34 FS p. 29, nota 13.


tanza alla parte visiva del fenomeno con un “gli parve vedere”, che<br />

mantiene dalla narrazione del Bonaccia. Modifica il sorriso di Maria<br />

sottolineando che si trattò di qualcosa di differente dagli altri sguardi.<br />

La voce stessa è finalmente descritta come “articolata” e distinta,<br />

ma solo interiore 35 .<br />

Questi cambiamenti del pensiero del P. Cassinelli meritano un<br />

esame. Come abbiamo già detto, nei Cenni non c’è niente che vada<br />

al di là di una semplice reazione religiosa di una coscienza inquieta,<br />

mentre Gabriele guarda con amore l’immagine della Vergine, nel<br />

corso di una solenne processione popolare tanto radicata nella città.<br />

Il problema è come P. Norberto passò dalla narrazione tanto minimalista<br />

dei Cenni al Processo Ordinario Spoletino, cambiando il<br />

soggetto stesso della locuzione, dal soliloquio interiore e soggettivo<br />

di Gabriele a una locuzione personalizzata dalla Vergine; e questo,<br />

non sotto la forma di una insinuazione interiore, ma sotto la forma<br />

di una locuzione viva ed efficace.<br />

A mio modo di vedere, intervennero due cose. In primo luogo la<br />

chiarificazione avvenuta nella stessa interiorità di Norberto mentre<br />

componeva le sue Ulteriori Notizie, dove parla di una voce. C’è<br />

stato tutto un lavoro per ricordare i detti di Gabriele. In Cenni l’attenzione<br />

del direttore si concentra sull’accumulo di piccoli dettagli<br />

edificanti, non curando il rapporto e l’importanza degli stessi in relazione<br />

con l’intera vita del santo. Tra i Cenni e il Processo Ordinario<br />

si deve collocare questo lavoro interiore del P. Norberto, che le<br />

Ulteriori Notizie attestano. In secondo luogo, la nuova messa a<br />

fuoco che diede la biografia del Bonaccia a tutto quello che si riferiva<br />

alla locuzione. D’altra parte la vita santa e straordinaria di<br />

Gabriele esigeva un principio intimo di intervento divino di un ordine<br />

superiore ed efficace. Non si può distinguere tra quello che è vero<br />

ricordo e quello che è interpretazione teologica delle cause.<br />

Nel testo del Processo Ordinario Norberto ritoccò letteralmente il<br />

testo di Cenni, mantenendo i dubbi sulla percezione visiva della<br />

Vergine e sottolineando da questa prospettiva la condizione interna<br />

della locuzione.<br />

35 Bonaccia intende “articolato” come sinonimo di acusticamente percepibile.<br />

Norberto lo intende come locuzione formale interiore.<br />

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4. Conclusione critica<br />

La conclusione critica che si deduce da questo esame è che il P.<br />

Norberto conservava un ricordo evanescente dell’insieme dell’episodio<br />

mariano di Spoleto. Ricordava solo in maniera confusa che la<br />

decisione vocazionale sorse come una grazia dall’incontro del santo<br />

con l’immagine della Vergine, come risultato di una commozione<br />

interiore che gli procurava la sua vita mondana, la quale esigeva un<br />

cambiamento completo con l’entrata in religione 36 . Il racconto del<br />

Bonaccia lo fece riflettere, e gli fece dare un’espressione differente<br />

all’insieme della relazione, facendo intervenire la Vergine nella<br />

locuzione e abbreviando la locuzione stessa.<br />

Dal ricordo evanescente dei Cenni Bonaccia trasse la sua relazione,<br />

e, da questa, Norberto migliorò la sua. Il risultato fu che lo sguardo<br />

di san Gabriele scopre nel volto della Vergine uno sguardo<br />

sorridente, accompagnato da una locuzione interiore di chiamata<br />

vocazionale.<br />

I tre “logia” della vocazione ricordano il fenomeno dei “logia”<br />

dei Vangeli, trasmessi in forma diversa dagli evangelisti.<br />

Facendo una epurazione critica sembra che nel Bompiani abbiamo<br />

la relazione più arcaica. Questa relazione contiene già la voce. Il fatto<br />

che Bompiani abbia letto il Bonaccia non significa che il gesuita abbia<br />

preso dal canonico la menzione della voce. Poiché il ricordo della<br />

voce appare completato nel ricordo di cui il direttore chiese spiegazioni<br />

rispetto alla stessa. La forma più antica è quella del Bompiani, con<br />

la menzione della voce. Cenni ci dà approssimativamente il tenore di<br />

questa voce, ma a modo di soliloquio di Gabriele. Ulteriori Notizie<br />

introduce una voce interiore efficace. Bonaccia pone sulle labbra della<br />

Vergine le parole, abbreviandole, e Norberto si attiene, nelle sue deposizioni<br />

processuali, al puro tenore del Bonaccia. Questo sembra il<br />

risultato più verosimile della lettura critica delle fonti.<br />

36 Un buon indizio di questa imprecisione dei ricordi è il diverso tenore delle<br />

parole della chiamata. In Cenni scrive: “Ma io non sono fatto per il mondo, che<br />

pensiero vi faccio io nel mondo. Tu sei fatto per Iddio, Iddio ti vuole tutto per<br />

sé, ti chiama al cielo; presto fatti religioso!” (FS p. 208). Nonostante ciò nei<br />

POS le parole sono: “Tu non sei fatto per il mondo, presto fatti religioso”.<br />

Bonaccia riporta: “Francesco, il mondo non è più per te; ti aspetta la religione”<br />

(FS p. 29). Non è azzardato supporre che la citazione più breve del Bonaccia<br />

ha indotto il P. Norberto alla semplificazione.


Per quanto riguarda la testimonianza del Bompiani dobbiamo<br />

riflettere sul carattere riservato di Gabriele, che sicuramente, fin dal<br />

principio, ricusò di fornire dettagli molto personali e straordinari.<br />

Sicuramente fu molto discreto col suo direttore. Più discreto coi suoi<br />

familiari. Con il P. Norberto mantenne la stessa discrezione. Quella<br />

riservatezza iniziale fece trovare a Gabriele qualche formula espressiva<br />

sufficientemente chiara per dar ragione del cambiamento operato<br />

da quell’incontro, ma lo frenò dal dare dei dettagli personali più<br />

intimi che chiarissero le circostanze. L’esperienza di Spoleto fu, con<br />

ogni probabilità, un segreto che il santo si portò nella tomba.<br />

Dalla lettura cri-<br />

II. Lettura teologica<br />

tica delle fonti<br />

si può ritenere<br />

come dato storicamente<br />

certo che a Spoleto Gabriele sentì una locuzione che aveva relazione<br />

con la Santa Icona. Perciò iniziamo la lettura teologica dall’analisi<br />

di questo fatto, così come ce lo narrano le fonti.<br />

1. La locuzione<br />

Essendo il primo elemento certo che abbiamo incontrato nel<br />

Bompiani, vediamo il senso di questo fenomeno. Già il Bompiani<br />

desiderò accertare i dettagli della locuzione. Bonaccia lascia nell’aria<br />

la domanda se fu una mera locuzione interiore o una parola<br />

udita acusticamente.<br />

Iniziamo dalle relazioni più antiche, che sono quelle del P.<br />

Norberto. Secondo il direttore di Gabriele, le parole furono un soliloquio<br />

interiore che il santo fece tra sé e sé. Ma questo soliloquio fu<br />

provocato dall’incontro con la Icona. Questo ci mette sulla pista di<br />

ciò che i mistici chiamano le locuzioni successive. In queste l’elemento<br />

caratteristico è che la locuzione parte da un intervento<br />

soprannaturale di Dio, ma poi il soggetto che l’ha ricevuta la prolunga<br />

con riflessioni proprie a modo di linguaggio interiore 37 .<br />

37 Il maestro più autorizzato che ha scritto sul tema è S. Giovanni della<br />

Croce in Salita del Monte Carmelo, L. II, cap. XXIX, il quale le descrive in questo<br />

modo: “Le parole successive accadono quando lo spirito, essendo raccolto<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

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spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

ANTONIO ARTOLA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

146<br />

Nei Cenni il P. Norberto narra che l’impatto dell’incontro di<br />

Gabriele con l’immagine della Vergine suscita nel suo interno un<br />

soliloquio sulla sua vita, con grande disgusto della stessa, e una<br />

opzione per la vita religiosa. Pertanto c’è un intervento forte della<br />

grazia. A questo intervento seguono le riflessioni di Gabriele, suscitate<br />

dall’emozione dell’incontro. Si tratta di una locuzione successiva<br />

all’intervento mariano, le cui parole però si devono al soggetto<br />

stesso colpito dall’incontro personale. La verità del fatto della locuzione<br />

interiore successiva appare garantita dai singolari effetti che<br />

ne seguirono.<br />

e assorto in qualche considerazione, scorre nella materia che pensa da una<br />

cosa all’altra, formando parole e ragioni molto bene appropriate, con molta<br />

facilità e distinzione, discute e scopre cose non mai sapute, tanto da sembrargli<br />

che non è lui che fa tutto ciò, ma che un’altra persona interiormente gli suggerisce<br />

le ragioni, le risposte e gli insegnamenti. Ed invero ha gran motivo di<br />

pensare questo, perché egli stesso ragiona con sé e si risponde come se fosse<br />

una persona con un’altra, e in qualche modo si può dire che sia così. Perché,<br />

quantunque lo spirito umano è quegli che opera, nondimeno molte volte è aiutato<br />

dallo Spirito Santo a produrre e formare quei concetti, parole e ragioni<br />

vere, e quindi parla a se stesso come se fosse terza persona. L’intelletto allora<br />

è raccolto e unito con la verità di ciò che pensa, e anche lo Spirito Divino è<br />

unito con lui in quella verità, come lo è sempre in ogni verità. Per cui ne segue<br />

che l’intelletto, comunicando in tal modo con lo Spirito Divino mediante quella<br />

verità, ne ricava successivamente le altre che hanno attinenza con quella,<br />

aprendogli la porta, per così dire, e infondendogli luce il Celeste Maestro, lo<br />

Spirito Santo, di cui è proprio insegnare anche in questa maniera”.<br />

Le parole successive che descrive il santo sono quelle che avvengono durante<br />

l’orazione. Ma si può dare la successione in un ordine distinto. Questo è il<br />

caso di un intervento divino soprannaturale, che il destinatario della grazia in<br />

questione prolunga mediante l’attività della propria intelligenza. Questo può<br />

essere il caso del soliloquio interiore di S. Gabriele, se diamo come reali e storiche<br />

le parole riferite in Cenni dal P. Norberto. Così il P. ROYO MARIN chiarisce<br />

la natura più generale di queste locuzioni: “A prima vista queste locuzioni<br />

sono puramente umane, giacché il Santo ci dice che lo spirito le va formando<br />

e ragionando. Ma, come spiega in seguito, in realtà procedono dalla luce<br />

divina dello Spirito Santo, che ‘lo aiuta molte volte a produrre e formare quei<br />

concetti, parole e ragioni vere’. Per questo l’anima le va formando con tanta<br />

facilità e perfezione. E’ un’azione combinata dello Spirito Santo e dell’anima,<br />

‘di modo che possiamo dire che la voce è di Giacobbe e le mani sono di Esaù.’<br />

E si chiamano successive perché non si tratta di una luce istantanea e intuitiva,<br />

ma di una luce con cui lo Spirito Santo va istruendo l’anima con ragionamenti<br />

successivi”. (Cfr TEOLOGIA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA, BAC, n. 144,<br />

Madrid, 1955, p. 821).


La locuzione attribuita direttamente alla Vergine appartiene a un<br />

altro tipo di locuzioni. Sono quelle chiamate parole formali o locuzioni<br />

formali 38 .<br />

Per determinare il carattere delle parole udite da S. Gabriele,<br />

abbiamo alcune indicazioni convergenti di Norberto e Bonaccia.<br />

Anche il Bonaccia è il primo a segnalare la visione che antecede la<br />

locuzione, sebbene con l’aggiunta che “gli parve” 39 .<br />

2. Lo sguardo della Vergine<br />

Norberto nella deposizione processuale allude - anche se molto<br />

discretamente - a una forma di visione 40 . Il fenomeno che descrive<br />

P. Norberto assomiglia a quello del sorriso della Vergine a Santa<br />

Teresina, che la curò dalla sua terribile infermità infantile.<br />

Queste descrizioni non escludono una discreta presenza dell’elemento<br />

visivo, sebbene non fosse più che sotto la forma di uno sguardo<br />

tenero, distinto da quello che offre la visione materiale dell’immagine<br />

bizantina.<br />

Questi dati ammettono anche la possibilità che in S. Gabriele si<br />

fosse verificato un duplice fenomeno successivo: quello della locuzione<br />

e quello della visione. Nella Bibbia quasi sempre la locuzione<br />

è preceduta o seguita da una visione. Però a volte, come nella vocazione<br />

di Abramo (Gen 12, 1), ci sono locuzioni senza la corrispon-<br />

38 Di queste locuzioni parla S. Giovanni della Croce nella Salita del Monte<br />

Carmelo, L. II, cap. XXX. Il citato P. Royo Marìn le spiega così: “Queste locuzioni<br />

sono quelle che si percepiscono nella conoscenza come provenienti chiaramente<br />

da altro, senza che uno ponga niente da parte sua, sia che lo spirito stia<br />

raccolto sia che stia distratto, a differenza delle successive che si riferiscono<br />

sempre a ciò che lo spirito stava considerando. Per se stesse le parole intellettuali<br />

formali non possono mai indurre ad errore. Il motivo è perché né la conoscenza<br />

pone qualcosa da parte sua, né il demonio ha potere diretto su di essa.<br />

Nonostante questo però la conoscenza può avere illusioni, prendendo per<br />

parole divine gli artifici del demonio sull’immaginazione” (Ibidem, p. 821).<br />

39 “Francesco Possenti [….] il quale avvicinandosi alla sua volta la Icone<br />

augusta, leva in alto gli occhi per vagheggiarla. La guarda, e pargli che la<br />

Vergine benedetta lo riguardi a vicenda, gli sembra di vedersi diretta un’occhiata<br />

speciale” (Fs, p. 307.<br />

40 “Giunto presso l’immagine, gli parve che la Madonna lo guardasse con<br />

uno sguardo assai distinto” (FS p. 29, nota 13).<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

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spiritualità<br />

148<br />

dente visione. Nella storia dei santi si danno ugualmente casi di<br />

associazione e di dissociazione della locuzione e della visione. S.<br />

Luigi Gonzaga sente, nel palazzo reale di Madrid, la chiamata della<br />

Vergine a entrare nella Compagnia di Gesù. Essa gli proviene da una<br />

immagine della Vergine del Buon Consiglio. Ciononostante in<br />

Andrés Frossard, c’è una locuzione seguita da una visione. Nel caso<br />

di S. Gabriele il problema è se l’analogia più vicina è la vocazione<br />

di S. Luigi o la conversione del Frossard.<br />

Tenendo conto della riservatezza personale di Gabriele, si può<br />

proporre l’ipotesi che a Spoleto sia avvenuta una visione seguita da<br />

una locuzione. Forse quando Bompiani gli chiese chiarimenti sulla<br />

voce, si riferiva a questa connessione o soltanto alla natura della sola<br />

voce. Nel caso della vocazione di Gabriele c’è un duplice segreto.<br />

Vi fu una visione della Vergine, al di là della sobria menzione dello<br />

sguardo di Maria fatta dal Bonaccia e da Norberto? Gabriele parla<br />

qualche volta nella sua vita fornendo tutti i dettagli della sua vocazione?<br />

3. La verifica<br />

Secondo i maestri spirituali mai si sa con certezza se le locuzioni<br />

o le visioni sono di vera origine divina. La controprova è data<br />

dagli effetti. Ed è qui dove tutti i testimoni insistono con fermezza:<br />

in san Gabriele, al di là dell’episodio mariano, avvenne un vero e<br />

profondo cambiamento spirituale. Questo punto merita di essere<br />

ampliato.<br />

Già abbiamo segnalato varie volte l’accordo dei testimoni su questo<br />

particolare. Ora aggiungeremo dei dati nuovi.<br />

Il vero carattere conflittuale di S. Gabriele appare ben documentato<br />

dalla lettera del padre del 1852 41 . In verità questa lettera coinci-<br />

41 “Devo ora incomodarvi per una cosa che molto m’interessa, ed a voi solo<br />

posso affidarne l’esecuzione. Vorrei porre in codesto seminario il mio figlio<br />

Checchino, che è pieno di fuoco, e che non combina affatto cogli altri fratelli e<br />

sorelle, e che non vuol attendere allo studio, quantunque dimostri dei talenti e<br />

qualche propensione per farsi prete. Vorrei pertanto che v’informaste da codesto<br />

signor rettore se vi sia il posto per il medesimo”. Ladislao Ravasi, Paolo<br />

Possenti, in SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA E IL SUO TEMPO, Studi –<br />

Ricerche – Documentazione, 2, Edizioni Eco, 1986, p. 54.


de con l’adolescenza del santo, e la crisi a cui allude Sante potrebbe<br />

essere passata all’epoca della vocazione. Ma l’indicazione del P.<br />

Norberto che Gabriele era molto collerico, induce a pensare che<br />

c’erano componenti della sua personalità che non lo facevano molto<br />

predisposto alla santità. Bonaccia afferma che il suo comportamento<br />

dava a pensare che non era fatto per la vita religiosa.<br />

Il P. Norberto narra un fatto della vita di san Gabriele quando era<br />

già religioso. Trovandosi un giorno in un convento gesuita per alcuni<br />

affari familiari, dopo il colloquio il P. Superiore chiamò a parte P.<br />

Norberto e gli domandò del comportamento di Gabriele. Davanti al<br />

franco elogio del direttore, il gesuita gli disse che tra di loro si aveva<br />

un’altra opinione del giovane religioso 42 . Questo dettaglio corrobora<br />

le condizioni del carattere di Gabriele prima di entrare nella<br />

Congregazione. La grazia di Spoleto lo cambiò profondamente.<br />

Questa controprova dei fatti e la virtù eroica di Gabriele, approvata<br />

dalla Chiesa, dimostrano che l’esperienza di Spoleto fu una vera e<br />

soprannaturale esperienza divina, si tratti di visione o di locuzione.<br />

Vi è nella biografia<br />

di S. Gabriele<br />

un segreto<br />

che ha incuriosito<br />

tutti i biografi. E’ il caso<br />

del suo famoso quadernetto di note personali.<br />

C’è in questo fatto qualche dettaglio degno di menzione. Prima<br />

di tutto era un piccolo quaderno43 che riportava le grazie ricevute<br />

dalla Vergine44 III. Il segreto di San Gabriele<br />

. Secondo i biografi, la grazia più grande fu per il<br />

santo la locuzione mariana che lo convertì e lo chiamò alla vita<br />

religiosa.<br />

42 Cfr. Fs, p. 35.<br />

43 Questo scritto riceve diversi nomi nella dichiarazione processuale di P.<br />

Norberto: “giornaletto”, “un piccolo plico”, “libretto”.<br />

44 “Poco dopo che si fu comunicato, avutomi da solo mi disse: ‘là nel cassetto<br />

sono andato registrando le grazie che conosceva di aver ricevuto dalla<br />

Madonna. Temo che il demonio se ne possa servire per tentarmi di superbia e<br />

di vanagloria. Mi promette di levarlo e di non farlo vedere ad alcuno?’. ‘Glielo<br />

prometto – gli risposi – anzi le prometto di non vederlo neppure io’. ‘Va bene’<br />

replicò. E poi con insistenza e con una grazia indescrivibile aggiunse: ‘Si ricor-<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

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spiritualità<br />

150<br />

E’ lecito pensare che la prima pagina del quaderno contenesse<br />

questo racconto. Il silenzio assoluto con cui aveva custodito quel<br />

fatto esigette un giorno da lui la necessità di trasportarlo sulla carta.<br />

Non c’è ragione per negare quel che Norberto dice: che conosceva<br />

personalmente tutte le grazie che Gabriele aveva ricevuto da<br />

Maria 45 . Però conosceva egli tutti i particolari di quelle grazie? Non<br />

c’è dubbio che conosceva l’essenziale della grazia di Spoleto 46 . Ma<br />

i dettagli? Sapeva se era una locuzione solo interiore o anche sensibile?<br />

Conosceva il tenore esatto delle parole? Sapeva se le pronunziò<br />

la Vergine o le pronunziò Gabriele a se stesso? Sapeva se la locuzione<br />

fu completata da una visione mariana?<br />

Il timore della vanagloria poteva alimentarsi molto bene del pensiero<br />

che la lettura del suo quaderno avrebbe svelato il segreto del<br />

suo incontro con la Vergine, custodito tanto gelosamente. Lascio al<br />

lettore la risposta a queste interessanti domande. Per me è certo che<br />

lo sguardo speciale fu una “grazia” della Vergine come il sorriso di<br />

Maria per santa Teresina.<br />

La locuzione interiore – secondo le descrizioni dei processi – fu<br />

una locuzione soprannaturale secondo il tipo delle “parole successive”<br />

o delle “parole formali”, ma certamente fu una locuzione misti-<br />

di che ogni promessa è debito’. ‘Stia tranquillo” – gli risposi. Si tranquillizzò né<br />

mai più mi fece parola di tal cosa. Mi pentii e mi pento di essere stato troppo<br />

corrivo e troppo largo in promettere e di aver promesso anche più di ciò che<br />

mi dimandava, e molto più mi pento di aver mantenuto troppo fedelmente e<br />

troppo presto le promesse. Egli non avea difficoltà che vedessi io, a cui nulla<br />

teneva celato, ma voleva che non conoscessero gli altri. Ma conoscendo i tesori<br />

di quell’anima, sapendo quanto con lui l’avesse il demonio, considerando<br />

che un assalto in quel punto poteva distruggere l’opera con tante fatiche compiute<br />

in sei anni, senza tanto riflettere, volli assicurarla anche in questo modo.<br />

E affinché Conf. Gabriele non avesse ragione di sospettare e fosse sicuro del<br />

fatto, andai a prendere il giornaletto, mi recai a distruggerlo e ritornato all’infermo<br />

gli dissi che era già tutto distrutto. Ne mostrò molto contento, e gustosamente<br />

sorridendo mi disse: ‘Va bene’” (FS p. 157).<br />

45 “Del resto io già conoscevo tutto quello che vi era, perché Conf. Gabriele<br />

non aveva segreti per me. Mi interessava solo di rasserenare l’anima di un<br />

morente” (FS p. 157, nota 9).<br />

46 I primi giorni di tutto l’anno del noviziato furono quelli più opportuni perché<br />

Gabriele rivelasse i dettagli della sua vocazione. Ma in quel tempo il P.<br />

Norberto era solo vice – maestro e non aveva una relazione molto personale e<br />

intima con lui. Quando ha parlato col suo direttore di quell’episodio? Quante<br />

cose gli ha riferito?


ca, come lo dimostrò il corso dell’intera vita di Gabriele. Non v’è<br />

dubbio che la vita religiosa di San Gabriele cominciò con una esperienza<br />

mistica mariana. Questa è la grazia dello sguardo della Santa<br />

Icona. Questo è il segreto di S. Gabriele.<br />

ENG<br />

(Traduzione dallo spagnolo di P. Lorenzo Baldella c.p.)<br />

SAINT GABRIEL’S MYSTICAL EXPERIENCE IN<br />

SPOLETO<br />

By Antonio Artola, C.P.<br />

From the year 2008 till the present moment a considerable amount<br />

of data regarding St. Gabriel Possenti of the Sorrowful Virgin<br />

(1838-1862) has come to light. In the course of last year there have<br />

been a number of events connected with the centenary of the young<br />

<strong>Passio</strong>nist’s beatification among the more relevant of which from a<br />

cultural point of view was the 4 th Conference on “St. Gabriel and his<br />

Time.” This was held at the Spirituality Center at St. Gabriel’s<br />

shrine the 13 th – 14 th November 2008. Qualified speakers covered<br />

from the historical field (De Matei, Viglione and others) to the theological<br />

one (Artola, Baldini, Valentini and others) and to the pastoral<br />

one (Orsini and others.)<br />

As we await the publication of the Minutes of the aforementioned<br />

meeting, we offer our readers the talk given by Professor Antonio M.<br />

Artola, C.P. who covered a barely studied topic the mystical life of<br />

the saint. He founded his words largely on the Marian Talks of the<br />

22 nd August 1856 in Spoleto. Gabriel keenly felt Mary gaze upon him<br />

and addressed by clear words – as in the cases of St. Paul the<br />

Apostle and St. Paul of the Cross – which would never leave his<br />

mind: “You were not made for this world, you were made for God<br />

who wants you all for himself.” The very power of the transformation<br />

brought about by this experience points to its supernatural<br />

nature. It was, above all else, the typical expression of an authentic<br />

vocational message.<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

133-154<br />

spiritualità<br />

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pastorale e<br />

spiritualità<br />

ANTONIO ARTOLA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

152<br />

L’EXPÉRIENCE MYSTIQUE DE SAINT GABRIEL À<br />

SPOLÈTE<br />

Par Antonio Artola c.p.<br />

En 2008 et dans l’année en cours, certaines dates se présentent, qui<br />

sont liées à la figure de saint Gabriel Possenti de l’Addolorata<br />

(1838-1862). L’année dernière, eurent lieu diverses manifestations<br />

liées au centenaire de la béatification du jeune passioniste. Parmi<br />

ces dates, la plus importante du point de vue culturel, est celle du<br />

4 ème Colloque « Saint Gabriel de l’Addolorata et son temps ». Ce<br />

congrès s’est tenu près du Centre de spiritualité du Sanctuaire de<br />

Saint Gabriel, du 12 au 13 novembre. Les conférences d’ intervenants<br />

qualifiés sont parties du contexte historique (De Mattei,<br />

Viglione etc.) pour s’étendre jusqu’au domaine théologique (Artola,<br />

Baldini, Valentini etc.) et à celui de la pastorale (Orisini etc.).<br />

Dans l’attente de la publication des Actes du 4 ème Colloque, nous<br />

présentons à nos lecteurs la conférence du prof. Antonio M. Artola,<br />

qui approfondit la question peu étudiée de la vie mystique du saint.<br />

La parole de Marie du 22 août 1856 à Spolète est fondamentale<br />

pour cette relecture de la spiritualité du saint. Gabriel se sent<br />

regardé par Marie, choisi personnellement par une parole claire<br />

qui, comme dans le cas l’apôtre Paul ou de Paul de la Croix, ne s’effacera<br />

plus de son esprit : tu n’es pas fait pour le monde, tu es fait<br />

pour Dieu, qui te veut tout à lui. La puissance de la transformation<br />

opérée par cette expérience montre son caractère surnaturel. C’est,<br />

par dessus tout, l’expression typique d’un authentique appel à la<br />

vocation.<br />

LA EXPERIENCIA MISTICA DE SAN GABRIEL<br />

EN SPOLETO<br />

Por Antonio Ma. Artola, c.p.<br />

FRA<br />

ESP<br />

En 2008 y 2009 se están acumulando varias fechas vinculadas a la<br />

figura de San Gabriel Possenti de la Dolorosa (1838-1862). Entre<br />

las diversas manifestaciones del año pasado, vinculadas al centenario<br />

de su beatificación, destaca, desde el punto de vista cultural, el<br />

IV Coloquio sobre “San Gabriel de la Dolorosa y su tiempo”, en el<br />

Centro de Espiritualidad del Santuario de San Gabriel los días 12-


13 de noviembre. Las intervenciones de cualificados expositores<br />

han tratado el ambiente histórico (De Mattei, Viglione...), el campo<br />

teológico (Artola, Baldini, Valentini...) y el pastoral (Orsini...).<br />

Mientras se prepara la publicación de las Actas del IV Coloquio,<br />

presentamos la conferencia del prof. Antonio Ma. Artola, sobre un<br />

tema poco estudiado, la vida mística del santo; en este aspecto<br />

ocupa lugar fundamental la “locución” mariana del 22 de agosto<br />

de 1856 en Spoleto. Gabriel se sintió mirado por la Virgen María y<br />

llamado personalmente, mediante una locución clara, que, como<br />

ocurrió en el caso de San Pablo de la Cruz, no se borraría nunca de<br />

su conciencia: Tú no has sido hecho para el mundo, sino para Dios,<br />

que te quiere todo suyo. La transformación notable que esta experiencia<br />

obró en él demuestra su carácter sobrenatural, y es, además,<br />

expresión típica de un auténtico mensaje vocacional.<br />

GER<br />

DIE MYSTISCHE ERFAHRUNG DES HEILIGEN<br />

GABRIEL IN SPOLETO<br />

Von Antonio Artola CP<br />

2008 und 2009 häufen sich verschiedene Termine, die mit dem heiligen<br />

Gabriel Possenti von der Schmerzhaften Mutter (1838-1862)<br />

zusammenhängen. Im vergangenen Jahr fand die Hundertjahrfeier<br />

der Seligsprechung des jungen <strong>Passio</strong>nisten vielfältigen Ausdruck.<br />

Am bedeutendsten war aus kultureller Sicht das IV. Kolloquium:<br />

„Der Heilige Gabriel von der Schmerzhaften Mutter und seine<br />

Zeit“, das vom 12. bis 13. November am Zentrum für Spiritualität<br />

beim Heiligtum San Gabriele veranstaltet worden ist. Die Beiträge<br />

der hoch qualifizierten Vortragenden erstreckten sich über die<br />

Bereiche Geschichte (De Mattei, Viglione, u. a.), Theologie (Artola,<br />

Baldini, Valentini u. a.) und Pastoral (Orsini u. a.).<br />

Während die Publikation der Kolloquiumsbeiträge noch aussteht,<br />

stellen wir unseren Lesern hier das Referat von Prof. Antonio M.<br />

Artola vor. Darin geht er dem noch wenig erforschten mystischen<br />

Leben des Heiligen nach. Das Fundament für seine Untersuchung<br />

bildet die Marienerscheinung vom 22. August 1856 in Spoleto.<br />

Gabriel erfährt die eindeutige Erscheinung, die sich - ähnlich wie<br />

beim heiligen Apostel Paulus oder beim heiligen Paul vom Kreuz –<br />

nicht mehr aus seinem Bewusstsein tilgen lässt, als eine persönliche<br />

pastorale<br />

e<br />

spiritualità<br />

L’esperienza<br />

mistica<br />

di San Gabriele<br />

a Spoleto<br />

133-154<br />

spiritualità<br />

153


pastorale e<br />

spiritualità<br />

ANTONIO ARTOLA<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

spiritualità<br />

154<br />

Zuwendung und Erwählung durch die Maria: Du bist nicht für die<br />

Welt gemacht. Du bist für Gott geschaffen, der dich ganz für sich<br />

haben will. Gerade die transformierende Kraft, die diese Erfahrung<br />

ausübt, zeigt deren übernatürlichen Charakter. Sie ist vor allem der<br />

typische Ausdruck einer echten Berufungsbotschaft.<br />

DOŚWIADCZENIE MISTYCZNE ŚW. GABRIELA W<br />

SPOLETO<br />

Antonio Artola CP<br />

POL<br />

Między rokiem 2008 a rokiem bieżàcym nagromadziło się wiele<br />

rocznic zwiàzanych ze św. Gabrielem od Matki Bożej Bolesnej<br />

(Possenti, 1838-1862). W roku ubiegłym miały miejsce różne<br />

wydarzenia zwiàzane ze stuleciem beatyfikacji młodego pasjonisty.<br />

Wśród nich najbardziej znaczàce z kulturalnego punktu widzenia<br />

było IV Kolokwium „Święty Gabriel od Matki Bożej Bolesnej i jego<br />

czasy”. Miało ono miejsce w Centrum Duchowości przy<br />

Sanktuarium św. Gabriela w dniach 12-13 listopada. Referaty<br />

kompetentnych mówców dotyczyły zwłaszcza problematyki<br />

historycznej (De Mattei, Viglione i in.), teologicznej (Artola,<br />

Baldini, Valentini i in) i pastoralnej (Orsini i in.).<br />

Oczekując na publikację Akt IV Kolokwium przedstawiamy naszym<br />

czytelnikom referat prof. Antonio M. Artoli, który zgłębia temat mało<br />

zbadany z życia mistycznego świętego. Podstawà relektury<br />

duchowości świętego jest maryjna lokucja z 22 sierpnia 1856 r. w<br />

Spoleto. Gabriel czuje, że Maryja patrzy na niego, wybiera go<br />

osobiście poprzez wyraźnà lokucję, która, jak w przypadku św.<br />

Pawła Apostoła i św. Pawła od Krzyża nigdy się już nie zatrze w<br />

jego świadomości: „Ty nie jesteś przeznaczony dla świata. Ty jesteś<br />

przeznaczony dla Boga, który chce Cię w całości dla siebie”. Moc<br />

przemiany dokonanej przy tej okazji pokazuje jej nadprzyrodzony<br />

charakter. Przede wszystkim zaś jest typowym wyrazem<br />

autentyczności przesłania powołaniowego.


di TITO AMODEI C.P.<br />

In memoria di padre Adriano di Bonaventura.<br />

Per venticinque anni il padre Adriano di Bonaventura, passionista<br />

(1934-2008), ha diretto con costanza, sacrifici ed entusiasmo<br />

la Biennale di Arte Sacra di San Gabriele (TE). La<br />

Biennale che egli aveva immaginata e fondata nel 1984 a<br />

Pescara, poi trasferita nel complesso<br />

conventuale del Gran<br />

Sasso.<br />

IL VALORE<br />

DI UNA<br />

PROFEZIA<br />

Se la profezia è un annunzio in<br />

nome di una autorità superiore<br />

è doveroso ritenere che<br />

l’impegno e il lavoro di padre Adriano nella promozione<br />

dell’arte sacra ha avuto tutti i requisiti che la profezia<br />

suppone.<br />

L’appello accorato di Paolo<br />

VI e le indicazioni del Concilio<br />

nella Costituzione Sacrosanctum<br />

Concilium, che rivendicano<br />

all’arte una funzione di supporto<br />

essenziale alla stessa<br />

manifestazione della fede, come<br />

gridava Paolo VI, in questo<br />

lungo lasso di tempo, che ci<br />

separa dal Concilio sono stati<br />

fatti cadere in maniera irresponsabile.<br />

Soprattutto dalla gerarchia<br />

e dalle istituzioni cominciando<br />

da quelle preposte alla<br />

pastorale e alla formazione del<br />

clero e dei fedeli.<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

Il valore<br />

di una profezia<br />

155-161<br />

culture<br />

155


salvezza e<br />

culture<br />

TITO AMODEI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

156<br />

Non si è voluto capire quanto l’arte sia formatrice delle coscienze<br />

e crei spazi a quell’amore che è e resta il primo comandamento<br />

per ogni fedele che entri in chiesa. E l’immagine in questione è quella<br />

che nasce qui ed oggi; è quella che ci rappresenta perché testimonia<br />

quello che siamo o quello che dobbiamo essere. Più di qualunque<br />

trattato sociologico, più di qualsiasi analisi e scandaglio psicologico.<br />

A sorpresa questo comando del Concilio e l’appello di Paolo VI<br />

li raccoglie il padre Adriano inventandosi la Biennale di arte sacra.<br />

“Uno sprovveduto”, per sua onesta e disarmante confessione.<br />

Proprio perché tale va incontro alla mole enorme delle difficoltà e<br />

della fatica che una simile impresa, per sua natura, comporta. Egli<br />

viene da una ben diversa formazione. Biblista ed insegnante, dirotta<br />

la sua attenzione sull’arte sacra contemporanea. Con piacevole sorpresa<br />

degli addetti al lavoro.<br />

Egli sa che Cristo “omni modo” deve essere annunziato 1 . E quel<br />

omni modo deve accadere anche con l’arte che nasce dal nostro vissuto<br />

contemporaneo.<br />

Uno specialista del settore lo avrebbe irriso o, ad essere benevoli,<br />

l’avrebbe compatito quando nel 1984 a Pescara, organizzò la 1°<br />

Biennale d’Arte Sacra a carattere nazionale.<br />

Per accreditare la sua iniziativa, parte dal grido dell’Evangelii<br />

Nuntiandi che recita: “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio<br />

il dramma del nostro tempo” e che egli pone come esergo alla<br />

sua introduzione al catalogo della 1° Biennale.<br />

Consapevole della estraneità della sua formazione culturale ai<br />

fermenti dell’arte di oggi si premura di affidarne la direzione ai professionisti<br />

del settore che accoglierà, sempre, tra i più noti e qualificati.<br />

Nelle ultime edizioni, i curatori saranno numerosi, perché la<br />

Biennale esibisse uno spettro sempre più vasto della ricerca contemporanea.<br />

Va a suo merito di aver lasciato loro la più assoluta autonomia<br />

nella scelta delle opere da presentare. E suo merito ancora, di<br />

non aver mai guardato alla loro ideologia.<br />

Più curatori, più vasta l’accoglienza di forme espressive e diversificate<br />

e più efficace il sempre misterioso campo degli stimoli del<br />

tema sacro. La differente formazione dei curatori costituiva anche<br />

una non indifferente dialettica tra i concetti che supportavano le<br />

1 Fil. 1, 18.


scelte e risultati delle diverse Biennali tanto da poter affermare che<br />

i cataloghi delle medesime danno un prezioso ed ampio rendiconto<br />

di quanto veniva accadendo nell’evolvere della ricerca artistica<br />

degli ultimi anni.<br />

Questi cataloghi sono anche un’inconfutabile testimonianza della<br />

risposta variegata data da artisti non solo di provenienza diversificata<br />

nei loro linguaggi ma anche, e direi soprattutto, del loro senso del sacro.<br />

Questi cataloghi, attestano ancora che da parte degli organizzatori<br />

non si è mai dato indirizzo vincolante né di stile né di illustrazioni<br />

e attestano inoltre la partecipazione di affermatissimi artisti che<br />

non si sono sottratti a confrontarsi con colleghi meno affermati.<br />

Magari artisti star i quali agli inizi pareva che snobbassero il tema<br />

sacro (del resto indefinibile e irriducibile a canoni precostituiti) o<br />

che si rifiutassero di apparire nella lista che avesse comunque un’<br />

origine ecclesiastica.<br />

Nel 1992 la Biennale da Pescara fu trasferita nel complesso conventuale<br />

di San Gabriele al Gran Sasso (TE) potendo fruire di spazi<br />

più idonei.<br />

La partecipazione si andò sempre più ampliando e fu possibile<br />

dotare la Biennale di una biblioteca sull’arte e via via, creare un<br />

museo sulla <strong>Passio</strong>ne, invitando gli artisti ad esservi presenti con<br />

delle loro opere.<br />

Parallelamente all’impegno della Biennale il padre Adriano crea<br />

dei corsi per la formazione dei giovani artisti al tema sacro; corsi<br />

arrivati alla quinta edizione, e condotti da notissimi maestri. I risultati<br />

hanno convinto della bontà della iniziativa.<br />

Dall’anno 1993 la Biennale si arricchisce dell’apporto culturale,<br />

di grande respiro, del salesiano Don Carlo Chenis, attualmente<br />

vescovo di Tarquinia e Civitavecchia e già Segretario dei Beni<br />

Culturali della Santa Sede. Con Chenis, le varie edizioni iniziano a<br />

diventare anche tematiche. Con lui nasce anche la festa dell’artista.<br />

Il valore e il peso della Biennale di San Gabriele sono variamente<br />

quantificabili.<br />

Cominciando dalla constatazione che era proprio necessaria la<br />

sua creazione. Se non lo fosse stata non sarebbe durata tanto a<br />

lungo: un quarto di secolo! E non avrebbe prodotto così tanti frutti<br />

e suscitato tanti interessi ed attenzione.<br />

Prima della Biennale di San Gabriele altre ne erano sorte in Italia<br />

nel secolo scorso, ma tutte di vita breve. Nate da coraggioso volontarismo<br />

ma non prese in debita considerazione dalle gerarchie,<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

Il valore<br />

di una profezia<br />

155-161<br />

culture<br />

157


salvezza e<br />

culture<br />

TITO AMODEI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

158<br />

anche se indicative di potenziali risultati, se si guarda all’interesse<br />

suscitato tra gli artisti e la cultura laica.<br />

Anche nel resto dell’orbe cattolico manifestazioni simili non<br />

hanno avuto molta fortuna e lunga vita. E la spiegazione del fenomeno<br />

ci porterebbe lontano; tuttavia sarebbe utile approfondire questa<br />

complessa materia che direbbe molto sulla cultura nella Chiesa e<br />

il prezzo che essa ha pagato per avere sottovalutato l’apporto che<br />

l’arte avrebbe potuto dare alla promozione della fede.<br />

L’arte per sua natura cerca visibilità. Viene prodotta nella solitudine<br />

dall’artista che è provocato dai fermenti di cui spesso egli stesso<br />

ignora l’origine ma che sono ineludibili; esprimendoli in forme<br />

sue proprie produce linguaggio e questo deve comunicare.<br />

Fino a tutto il ‘700, nelle grandi città gli artisti esponevano le loro<br />

opere sul sagrato delle chiese perché tutti potessero vederle e giudicarle.<br />

Anche se l’approvazione definitiva era riservata al committente.<br />

E dal sagrato, se l’immagine lo consentiva, passava facilmente ad<br />

occupare gli spazi sacri.<br />

Molto dopo nasce l’istituzione delle gallerie d’arte, luoghi selettivi<br />

per amatori ed intenditori. Oppure si creano eventi per un pubblico<br />

più vasto con le Biennali e le Quadriennali, nelle quali si tentavano<br />

dei consuntivi sullo stato di salute dell’arte e sulle ricerche<br />

linguistiche che via via venivano portate avanti. Non si richiedevano<br />

supporti ideologici, salvo che nelle opere sollecitate o promosse<br />

da regimi dittatoriali.<br />

In quelle rassegne sempre più vaste e sempre più attente al contemporaneo<br />

la Chiesa e il sacro erano sistematicamente bandite.<br />

Anche perché, il prodotto che guardasse alla religione non avrebbe<br />

retto il confronto con quanto la ricerca più avanzata offriva. Anzi,<br />

dal versante del sacro non c’erano quasi mai proposte. Avendo la<br />

Chiesa ripiegato da tempo, per coprire il fabbisogno di iconografia,<br />

sul prodotto commerciale, deprimente e impersonale della offensiva<br />

chincaglieria.<br />

Se l’arte ufficiale ignorava il tema sacro, per la diffusa laicizzazione<br />

della società e della cultura, la cultura ecclesiastica le voltava<br />

le spalle. Il danno, per lungo tempo, è stato irreparabile.<br />

E anche alla Biennale di San Gabriele, così colta, così libera, da<br />

facilmente accogliere anche i linguaggi più avanzati o sperimentali,<br />

malgrado l’impegno e il coraggio, oltre che la fatica del fondatore,<br />

e il fermo proposito di non farla morire nella Chiesa italiana, per<br />

molto tempo non fu accordata particolare attenzione dai rappresen-


tanti ufficiali dalla Gerarchia. Anche se più tardi la Cei le accorda<br />

credito e sostegno.<br />

Finalmente il 25 novembre 2008 la Fondazione Stauròs, di cui la<br />

Biennale è una emanazione, tramite l’interesse dell’Accademia<br />

Pontificia dei Virtuosi al Pantheon, riceve una medaglia e un messaggio<br />

pontificio, in segno di riconoscimento per il lavoro fatto negli<br />

ultimi 25 anni a favore del dialogo tra la Chiesa e gli artisti contemporanei.<br />

Tra l’altro nel suo messaggio il Papa ha detto: “Sono, inoltre,<br />

contento che, quale segno di apprezzamento e incoraggiamento si<br />

offra una medaglia del pontificato alla Fondazione Stauròs Italiana<br />

Onlus per la realizzazione del museo di Arte Sacra Contemporanea<br />

e per l’organizzazione della Biennale dell’Arte Sacra, appuntamento<br />

ormai tradizionale per gli artisti che si impegnano nel settore dell’arte<br />

sacra” 2 .<br />

Ora qualcuno dovrebbe calcolare quanta fede sia stata diffusa e<br />

conservata con la dottrina, anche con la sola catechesi spicciola, e<br />

quanta ne sia stata diffusa e incrementata attraverso la contemplazione<br />

e la devozione dell’immagine o dell’iconografia sacra.<br />

Sarebbe indubbiamente una sorpresa insospettabile.<br />

Perciò non ci si capacita come in una società, che ha fatto dell’immagine<br />

il mezzo di comunicazione privilegiato, la Chiesa, che<br />

ha avuto il categorico mandato di comunicare la rivelazione stenti<br />

ancora, in genere, a riconoscere il contributo persuasivo dell’arte di<br />

oggi all’assolvimento di un così alto mandato.<br />

Il padre Adriano, testimone convinto, coraggioso ed evangelicamente<br />

libero, a ragione deve essere considerato profeta 3 . Con l’augurio<br />

che il suo non sia un grido nel deserto.<br />

Gli artisti, il clero sensibile e la Congregazione alla quale egli ha<br />

appartenuto e che ha onorato, mi pare, siano impegnati a testimoniare<br />

ancora quanto il linguaggio di oggi sia indispensabile alla conoscenza<br />

di Cristo e del suo Vangelo.<br />

2 Piergiorgio Bartoli, superiore provinciale Piet “In memoriam” in Percorsi<br />

formativi 2008, edizione Stauròs.<br />

3 “Mai ha rinunciato all’urgenza di dissodare il campo dell’arte, confidando<br />

di trovare in esso nuovi germogli per rievangelizzare la cultura contemporanea<br />

e per esprimere il culto divino” (Carlo Chenis).<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

Il valore<br />

di una profezia<br />

155-161<br />

culture<br />

159


salvezza e<br />

culture<br />

TITO AMODEI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

160<br />

THE VALUE OF A PROPHESY<br />

By Tito Amodei, C.P.<br />

In memory of Father Adriano di Bonaventura.<br />

For all of 25 years Fr. Adriano di Bonaventura, <strong>Passio</strong>nist priest<br />

(1934-2008) had directed with great constancy, personal sacrifice<br />

and enthusiasm the Biennial of Sacred Art at San Gabriele (TE).<br />

This Biennial which he started in 1984, was first held at Pescara,<br />

but was later transferred to the <strong>Passio</strong>nist Gran Sasso basilica.<br />

LA VALEUR D’UNE PROPHÉTIE<br />

Par Tito Amodei<br />

En mémoire du père Adrianoo di Bonaventura.<br />

Pendant vingt-cinq ans le père Adriano di Bonaventura, passioniste<br />

(1934-2008), a dirigé avec fidélité, sacrifices et enthousiasme la<br />

Biennale d’Art Sacré de Saint Gabriel (TE). La Biennale qu’il avait<br />

imaginée et fondée en 1984 à Pescara, fut transférée par la suite<br />

dans le complexe conventuel du Gran Sasso.<br />

EL VALOR DE UNA PROFECÍA<br />

Por Tito Amodei<br />

“In memoriam” del P. Adriano Di Bonaventura<br />

ENG<br />

FRA<br />

ESP<br />

Durante veinticinco años el P. Adriano Di Bonaventura (1934-<br />

2008) dirigió con constancia, mucho sacrificio y entusiasmo, la<br />

Bienal de Arte Sacro de San Gabriel (TE), Bienal que había concebido<br />

y fundado en 1984 en Pescara, más tarde trasladada al complejo<br />

conventual del Gran Sasso.


GER<br />

DER WERT EINER PROPHETIE<br />

Von Tito Amodei<br />

In memoriam P. Adriano di Bonaventura.<br />

Fünfundzwanzig Jahre lang hat Pater Adriano di Bonaventura,<br />

<strong>Passio</strong>nist (1934-2008) mit Ausdauer, unter Opfern und mit<br />

Enthusiasmus die Zeitschrift Arte Sacra di San Gabriele (TE)<br />

geleitet. Die halbjährlich erscheinende Zeitschrift ist von ihm im<br />

Jahre 1984 in Pescara entworfen und gegründet worden. Später hat<br />

er sie in den Konvent am Gran Sasso verlegt.<br />

POL<br />

WARTOŚĆ PEWNEGO PROROCTWA<br />

Tito Amodei CP<br />

Artykuł poświęcony pamięci o. Adriano di Bonaventura CP.<br />

Przez dwadzieścia pięç lat o. Adriano di Bonawentura, pasjonista<br />

(1934-2008) kierował wytrwale, z poświęceniem i entuzjazmem<br />

Biennale Sztuki Sakralnej w Św. Gabrielu (TE). Biennale, który<br />

wymarzył i założył w 1984 w Pescara, a potem przeniósł do centrum<br />

kongresowego w Gran Sasso.<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

Il valore<br />

di una profezia<br />

155-161<br />

culture<br />

161


di ELISABETTA VALGIUSTI<br />

Il grande film del 1953, La carrozza d’oro, di Jean Renoir, propone<br />

una straordinaria Anna Magnani nel ruolo di Camilla,<br />

una teatrante che approda con un gruppo della commedia dell’arte<br />

nel lontano Perù. Il film, ispirato al testo “Le carrosse du<br />

Saint-Sacrament” di Prosper Mérimée, si incentra su una carrozza<br />

d’oro, simbolo di potere e<br />

prestigio, che viene donata a<br />

Camilla dal Vicerè spagnolo, innamoratosi<br />

di lei.<br />

E’ un incanto vedere La<br />

carrozza d’oro . E’ l’incanto<br />

della grande arte<br />

del cinema di un tempo,<br />

quello dei grandi autori<br />

con immagini e volti e<br />

scene indimenticabili. Il<br />

film è dedicato al rapporto fra amore e arte contrapposti al potere.<br />

Anna Magnani, cioè Camilla, la capocomica di un gruppo di attori<br />

italiani della commedia dell’arte, ne è interprete straordinaria con la<br />

sua carica di passionalità e tenerezza, con la<br />

sua varietà di stati d’animo e di espressioni.<br />

Il film viene prodotto all’inizio degli anni ’50<br />

quando il grande regista Jean Renoir, figlio<br />

del pittore Auguste, è rientrato in Europa<br />

dopo l’esilio negli Stati Uniti . Renoir è già<br />

famosissimo dagli anni ’30 per i suoi film e<br />

per il suo impegno politico. I suoi capolavori<br />

La grande illusione del 1937 e La regola<br />

del gioco del 1939 affrontano a livello storico<br />

e sociale questioni cruciali della realtà<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

LA CARROZZA<br />

D’ORO<br />

DI<br />

ANNA<br />

MAGNANI<br />

La Carrozza d’oro<br />

di Anna Magnani<br />

163-168<br />

culture<br />

163


salvezza e<br />

culture<br />

ELISABETTA VALGIUSTI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

164<br />

francese ed europea che si affacciano sul baratro della seconda guerra<br />

mondiale. Durante l’esilio americano Renoir realizza Il diario di<br />

una cameriera dal famoso romanzo di Octave Mirbeau, ma il regista<br />

non si adatta al clima cinematografico di Hollywood mentre un<br />

suo soggiorno in India frutta nel 1951 il film Il fiume che rimane<br />

nella storia del cinema indiano. Quindi, nel dopoguerra La carrozza<br />

d’oro rappresenta una ripresa del cinema europeo di grande ispirazione<br />

e qualità che doveva essere girato da Luchino Visconti ma<br />

venne poi affidato a Renoir. Viene realizzato negli studi di Cinecittà<br />

da una co-produzione italo-francese con un cast tecnico-artistico di<br />

altissimo livello.<br />

La storia si svolge in una miserabile colonia spagnola in Perù,<br />

dove si trova un bel Vicerè annoiatissimo. Nello stesso giorno vi<br />

giungono la compagnia italiana del teatro dell’arte e la carrozza<br />

d’oro. I poveri teatranti vengono ricevuti malissimo e devono adattarsi<br />

a trasformare un pollaio in un teatro. In breve i loro spettacoli<br />

riscuotono un grande successo fra i campesinos. Il successo e l’innamoramento<br />

del Vicerè per Camilla trasforma la vita dei poveri<br />

teatranti, ma scatena la gelosia degli aristocratici spagnoli specialmente<br />

quando la carrozza d’oro viene donata a Camilla. La carrozza<br />

diventa il pretesto di un ricatto politico degli aristocratici nei confronti<br />

del Vicerè e della sua gestione. Il Vicerè deve scegliere: o dare<br />

le dimissioni e mantenere gli impegni amorosi oppure lasciare<br />

Camilla e riprendersi la carrozza e il potere. E da buon politico sceglie<br />

il tradimento. L’addolorata e furiosa Camilla vuole tenersi a tutti<br />

i costi la carrozza proprio in quanto simbolo della priorità assoluta<br />

dell’amore e della bellezza sul potere. Ma lei e i suoi amici sono in<br />

pericolo in quella terra straniera e gli eventi precipitano a causa di<br />

un duello fra altri due pretendenti di Camilla. Camilla è annientata<br />

dal fallimento, dalla perdita dell’amore e dell’onore. Con un colpo<br />

di teatro e di cinema straordinario, la storia si ribalta. Camilla si presenta<br />

trionfante con la sua carrozza al palazzo del Vicerè. Sullo scalone<br />

del palazzo è preceduta dal Vescovo al quale ha donato la carrozza<br />

per poter compiere le sue visite ai campesinos. Il Vescovo ha<br />

accettato il dono e ringrazia pubblicamente la donna che vede così<br />

riconosciuta la sua dignità e viene liberata da qualsiasi accusa.<br />

Ma la storia, per quanto intrigante e graziosa, non può descrivere la<br />

finezza e l’eleganza delle scenografie e dei costumi, la bellezza delle<br />

coreografie specialmente nelle scene sul palcoscenico del teatro<br />

dell’arte, la sapienza della fotografia che rappresenta uno dei primi


e straordinari utilizzi della pellicola in Technicolor, la meticolosità<br />

del montaggio. Il tutto esaltato da una splendida esecuzione delle<br />

musiche tratte dal repertorio di Antonio Vivaldi. Alla composizione<br />

del soggetto e della sceneggiatura aveva partecipato il regista<br />

coadiuvato da Renzo Avanzo, Giulio Macchi, Jack Kirchland; la<br />

fotografia era affidata al figlio Claude Renoir; il montaggio curato<br />

da Mario Serandrei. Oltre alla Magnani e a Duncan Lamont nel<br />

ruolo del Vicerè, nel cast troviamo attori noti di quel tempo come<br />

Odoardo Spadaro, Nadia Fiorelli, Paul Campbell, Georges<br />

Higghins.<br />

Così il grande regista francese Truffaut descrive l’opera: «La carrozza<br />

d’oro è uno dei film chiave di Jean Renoir perché riprende i<br />

temi di molti altri, principalmente quello della sincerità in amore e<br />

quello della vocazione artistica; è un film costruito secondo il gioco<br />

delle scatole cinesi che si incastrano le une nelle altre, un film sul<br />

teatro nel teatro. C’è molta ingiustizia nell’accoglienza riservata dal<br />

pubblico e dalla critica a La carrozza d’oro, che è forse il capolavoro<br />

di Renoir. Si tratta, comunque, del film più nobile e raffinato che<br />

sia mai stato girato. Vi si trova tutta la spontaneità e l’inventiva del<br />

Renoir d’anteguerra unite al rigore del Renoir americano. Qui tutto<br />

è distinzione e gentilezza, grazia e freschezza. È un film tutto di<br />

gesti e di comportamenti. Il teatro e la vita si mescolano in un’azione<br />

sospesa tra il piano terra e il primo piano di un palazzo come la<br />

commedia dell’arte oscilla tra il rispetto della tradizione e l’improvvisazione.<br />

Anna Magnani è l’ammirevole vedette di questo film elegante<br />

in cui il colore, il ritmo, il montaggio sono all’altezza di un<br />

accompagnamento musicale in cui Vivaldi fa la parte del leone. La<br />

carrozza d’oro è di una bellezza assoluta, ma la sua bellezza sta tutta<br />

nel suo profondo soggetto. Ho descritto l’altro capolavoro di Jean<br />

Renoir, La règle du jeu, come una conversazione aperta, un film al<br />

quale si è invitati a partecipare; le cose vanno diversamente per La<br />

carrozza d’oro che è un lavoro chiuso, finito, che bisogna guardare<br />

senza toccare, un film che ha trovato la sua forma definitiva, un<br />

oggetto perfetto».<br />

Va ricordato che nel 2008 sono stati organizzati eventi e mostre<br />

in occasione del centenario della nascita di Anna Magnani avvenuta<br />

a Roma il 7 marzo 1908. La vita e la carriera della Magnani presentano<br />

elementi personali e professionali spesso difficili e dolorosi.<br />

Il suo carattere e il suo tipo fisico la rendono un prototipo della<br />

donna italiana forte e appassionata. Anna rappresenta un modello<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

La Carrozza d’oro<br />

di Anna Magnani<br />

163-168<br />

culture<br />

165


salvezza e<br />

culture<br />

ELISABETTA VALGIUSTI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

166<br />

femminile di innovazione nella società e nella cultura italiana.<br />

Intraprende giovanissima la carriera teatrale, approda alla rivista di<br />

avanspettacolo, per il cinema è protagonista la prima volta in La<br />

Cieca di Sorrento . Nei ruoli che interpreta nella sua lunga carriera<br />

in film di produzione italiana come L’onorevole Angelina, Roma<br />

città aperta, L’Amore, Bellissima, Siamo donne, Nella città l’inferno,<br />

Mamma Roma, la Magnani crea figure eccezionalmente vive e<br />

credibili che ben esprimono i problemi e le sfide delle donne italiane<br />

a lei contemporanee sia nel periodo dei Telefoni bianchi sia nel<br />

momento di passaggio del paese, nel dopoguerra, fra mondo tradizionale<br />

e modernità. La Magnani non teme di esporsi, costruisce la<br />

sua carriera con scelte spesso complesse e audaci, applica la sua<br />

grande arte a personaggi diversissimi fra loro collaborando con i<br />

migliori attori, registi, scrittori del suo tempo. E’ un personaggio<br />

pubblico amatissimo specie dalle donne. Qualche critico ha affermato<br />

che il cinema italiano non le ha offerto le possibilità che meritava.<br />

Questo viene dimostrato nel 1955 quando la Magnani va ad<br />

Hollywood per interpretare insieme a Burt Lancaster La Rosa<br />

tatuata, scritto appositamente per lei dal grande commediografo e<br />

scrittore Tennesse Williams, suo grande estimatore ed amico. Il film<br />

fu un successo straordinario e la Magnani ricevette il premio Oscar<br />

come miglior attrice protagonista. Nel 1959 la troviamo in Pelle<br />

di serpente, diretta da Sydney Lumet, al suo fianco c’è Marlon<br />

Brando. Un’altra straordinaria interpretazione, un “cult”. Poi per<br />

Selvaggio è il vento, di George Cukor, la Magnani riceve l’Orso<br />

d’argento al Festival di Berlino.<br />

L’arte, la forza, il temperamento di questa grande artista hanno<br />

significato moltissimo per il nostro paese. Nel mondo il suo volto<br />

ha rappresentato un’Italia libera, vitale, coraggiosa. La Magnani ci<br />

manca molto. Olivia, figlia di Luca Magnani, ha intrapreso il lavoro<br />

della nonna. Ha uno splendido volto e un gran carattere. Magari,<br />

come nel film La Carrozza d’Oro, la Magnani è riuscita a farci un<br />

altro bel dono. Qualcosa di nuovo. Grazie, Anna.


ENG<br />

THE GOLDEN CHARIOT<br />

By Elisabetta Valgiusti<br />

That famous 1953 film, “The Golden Coach” * by Jean Renoir, gave<br />

the role of Camilla to the extraordinary Anna Magnani, a theater<br />

actress who starred together with a group from the Art Comedy<br />

Institute of far-away Peru. The film, the text of which was inspired<br />

by Prosper Mériméer’s “The Chariot of Blessed Sacrament Coach”<br />

* is centered on a golden coach, a symbol of power and prestige,<br />

donated to Camilla by the Spanish Viceroy, madly in love with her.<br />

FRA<br />

LE CARROSSE D’OR D’ANNE MAGNANI<br />

Par Elisabetta Valgiusti<br />

Le grand film de 1953, le carrosse d’or, de Jean Renoir, met en scène<br />

une extraordinaire Anne Magnani dans le rôle de Camilla, une<br />

comédienne ambulante qui arrive avec un groupe de la comedia<br />

dell’arte du lointain Pérou. Le film, inspiré du texte « Le Carrosse<br />

du Saint-Sacrement » de Prosper Mérimée, se concentre sur un carrosse<br />

d’or, symbole du pouvoir et du prestige, qui est donné à<br />

Camilla par le vice-roi espagnol amoureux d’elle.<br />

ESP<br />

LA CARROZZA D’ORO DE ANA MAGNANI<br />

Por Isabel Valgiusti<br />

La gran pe´licula del año 1953, “La carrozza d’oro” (La carroza de<br />

Oro), de Jean Renoir, presentaba a la extraordinaria Ana Magnani<br />

en el papel de Camila, artista de teatro llegada al lejano Perú con<br />

un grupo de compañeros del mundo del arte. La película, inspirada<br />

en “El carro del Santísimo Sacramento”, de Próspero Merimèe, se<br />

centra en la carroza de oro, símbolo del poder y del prestigio, que<br />

regaló a Camila el virrey español, enamorado de ella.<br />

salvezza<br />

e<br />

culture<br />

La Carrozza d’oro<br />

di Anna Magnani<br />

163-168<br />

culture<br />

167


salvezza e<br />

culture<br />

ELISABETTA VALGIUSTI<br />

SapCr XXIV<br />

GENNAIO-GIUGNO 2009<br />

culture<br />

168<br />

DIE GOLDENE KAROSSE VON ANNA MAGNANI<br />

Von Elisabetta Valgiusti<br />

Der großartige Film aus dem Jahr 1953, Die goldende Karosse, von<br />

Jean Renoir, zeigt eine außerordentliche Anna Magnani in der Rolle<br />

der Camilla, einer Komödiantin, die mit ihrer Komödiengruppe im<br />

fernen Peru landet. Der Film ist vom Buch „Le carrosse du Saint-<br />

Sacrament“ von Prosper Mérimée inspiriert und kreist um eine goldene<br />

Karosse als Symbol für Macht und Prestige, die der spanische<br />

Vizekönig Camilla schenkt, in die er sich verliebt hat.<br />

ZŁOTA KAROCA ANNY MAGNANI<br />

Elisabetta Valgiusti<br />

GER<br />

POL<br />

Wielki film Złota karoca (Carrosse d’or) Jeana Renoira przedstawia<br />

wspaniałą Annę Magnani w roli Camilli, aktorki teatralnej, która z<br />

trupą teatralną przypływa do odległego Peru. Film jest ekranizacją<br />

tekstu Le carrosse du Saint-Sacrament” Prospera Mérimée.<br />

Koncentruje się on na złotej karecie jako symbolu władzy i prestiżu,<br />

którą Camilli podarował Wicekról hiszpański, który się w niej<br />

zakochał.


Tova<br />

di ADOLFO LIPPI C.P.<br />

REICH TOVA, Il mio Olocausto, Romanzo.<br />

Traduzione di C. Prinetti, Einaudi, Torino, 2008,<br />

pp. VIII-288, € 16,50.<br />

TOAFF ARIEL, Ebraismo virtuale, Rizzoli, Milano,<br />

2008, pp. 142, € 12.<br />

My Holocaust è un romanzo uscito nel<br />

2007 in America, dopo altri romanzi e racconti<br />

pubblicati dall’autrice, un’ebrea proveniente<br />

da una famiglia di stretta osservanza<br />

religiosa. Suo marito è stato direttore<br />

dello United States Holocaust<br />

Memorial Museum. Curiosamente,<br />

Maurice Messer, il protagonista di questo<br />

romanzo, è precisamente il direttore di<br />

questo stesso museo ed egli viene presentato, insieme al figlio,<br />

come un sagace sfruttatore della memoria delle vittime a scopo di<br />

profitto. La scrittura vivace, piena di fantasia e ricca di sfumature<br />

manifesta una naturale vena narrativa. E’ una satira cinica, allegra<br />

e scandalosa che comincia con la fuga da casa della figlia del protagonista,<br />

la quale sceglie di diventare monaca carmelitana proprio<br />

nel monastero di Auschwitz aspramente contestato dagli ebrei in<br />

nome della memoria delle vittime, e si rifiuta persino di incontrare<br />

i suoi familiari. Prosegue con una lunga serie di smacchi e di<br />

compromessi e termina con la sottrazione del museo alla sola<br />

memoria delle vittime ebraiche per essere destinato alla memoria di<br />

tutti gli olocausti della terra. Vuole essere uno scioccante atto di<br />

accusa contro la banalizzazione della memoria e la cultura del vittimismo<br />

autoconsolatorio. Se fosse stato scritto da un non ebreo,<br />

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della<br />

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UNA<br />

DEMITIZZAZIONE<br />

EBRAICA<br />

DELLA<br />

MEMORIA<br />

DELL’OLOCAUSTO<br />

Una demitizzazione<br />

ebraica della<br />

memoria dell’olocausto<br />

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certamente avrebbe scatenato le più feroci proteste e sarebbe stato<br />

qualificato come uno scritto antisemita.<br />

Verso il termine del romanzo, all’interno del museo che si esige<br />

dedicato a tutti gli olocausti della terra, due bambini gemelli che straziano<br />

gli astanti con i loro pianti, smettono finalmente di piangere.<br />

“Lui (Maurice Messer, il protagonista) pensa che abbiano smesso di<br />

piangere, ma io li sento ancora, quelli che sono presenti in questo<br />

posto e quelli che sono lontani, i vivi e i morti, quelli amati e quelli<br />

scartati, i bambini neri con la pancia gonfia e gli occhi sporgenti, i<br />

neonati intirizziti stesi tutti soli su uno straccio nella piazza del mercato<br />

con una ciotolina di latta da mendicante ai piedi, i neonati grigi<br />

come la cenere strappati alle madri e lanciati nelle fosse in fiamme.<br />

E’ la mia vocazione tenere vive le loro urla nelle mie orecchie, non<br />

così forti da intorpidirmi, e neanche da farmi abituare alla confusione,<br />

e non così deboli da illudermi che siano distanti nel tempo, nel<br />

luogo, nel fato, ma sempre penetranti, frastagliate, presenti, stimmate<br />

che si rinnovano in continuazione fra i miei occhi, un dolore perpetuo,<br />

senza possibilità di fuga nell’oblio, e senza alcun sollievo.<br />

Oltre che una vocazione, è anche la mia passione, mantenere per<br />

sempre viva nella mia mente tutta la sofferenza che c’è stata e che<br />

ci sarà, come un sigillo sul cuore, vicina e fedele alla memoria, tenere<br />

conto dell’eterna angoscia ogni minuto che passa, essere perennemente<br />

nello stato di shock di chi non crede ai suoi occhi, di chi non<br />

riesce a respirare, di chi non riesce a capire. Ancora, ancora, un<br />

minuto dopo l’altro, devo portarmi una mano alla bocca per l’orrore.<br />

Fa’ che non mi abitui, Signore, è tutto quello che Ti chiedo. Fa’<br />

che sia sempre un dolore, sono il mio corpo e il mio sangue a desiderarlo.<br />

Lasciami sospesa per sempre nell’aria sottile, in perfetta<br />

coscienza e puro terrore, nello spazio tra il salto dalla torre in fiamme<br />

e lo schianto finale sulla fredda terra. Vago per questo museo in<br />

rovina per illuminare le immagini e le icone alla luce di una candela<br />

della memoria. La ragazza che lotta per coprirsi il seno sarà<br />

inchiodata per sempre nel momento dopo lo stupro. Il vecchio con<br />

la barba mezza strappata rimarrà per sempre nelle grinfie dei suoi<br />

torturatori. Il ragazzino con gli occhi scuri, il berretto in testa e le<br />

braccia alzate rimarrà per sempre congelato sotto il tiro della pistola.<br />

Le rispettabili madri di famiglia, grottescamente nude all’aperto<br />

in un campo sotto il cielo tremolante saranno per sempre umiliate<br />

dal nostro morboso sguardo mentre aspettano in fila di venire uccise.<br />

E aspetteranno per sempre, perfettamente consapevoli.


Rimarrai per sempre inchiodato alla Tua croce.<br />

Io sono inchiodata a Te” (pp. 276-277).<br />

Vengono in mente le immagini della Crocifissione bianca di<br />

Chagall.<br />

Nonostante tutto questo (e altro), il vecchio impresario<br />

dell’Olocausto (Chi è un ebreo? Domanda fasulla. La vera domanda<br />

è: Chi è un buon ebreo? E la risposta dipende dalla consistenza<br />

della donazione, p. 154) non molla. Il suo museo si chiamerà ora<br />

United States Holocausts Memorial Museum (Memoriale di tutti gli<br />

Olocausti). Ma la sostanza non cambia. E così si conclude il romanzo:<br />

“Una piccola S in più, dice il vecchio. Niente di importante,<br />

signore e signori. Ma due S? Ss? Mai! E’ quello il limite” (p. 281).<br />

Una concezione della realtà può essere espressa in categorie filosofiche,<br />

ma, forse meglio, in una narrazione, (come nel midrash,<br />

nella Haggadah) o in una pittura. La coscienza ebraica, mettendo in<br />

crisi se stessa, torna a sconvolgere la “buona coscienza” occidentale,<br />

costruita a furia di autogiustificazioni: noi non siamo come quei<br />

cattivacci dell’inquisizione, delle crociate o, peggio ancora, come<br />

gli schiavisti romani o greci. Noi siamo democratici. Rispettiamo<br />

l’altro. Aborriamo le oppressioni. Non è vero.<br />

Sopravvivere, questa è la cosa importante per uomini come<br />

Maurice. “Prima sopravvivi, dopo puoi occuparti di sottigliezze<br />

come la moralità e i sentimenti. Quando qualcuno ti dice che ti ucciderà,<br />

devi fare attenzione, prenderlo sul serio, credergli. Il mattino<br />

seguente ti svegli prima e lo ammazzi. Se sopravvivi, vinci. Se non<br />

sopravvivi, perdi. Se perdi, sei niente… Una volta Blanche (la<br />

moglie del protagonista) aveva letto su una rivista che le cellule del<br />

cancro erano la forma di vita più adatta perché mangiavano tutto<br />

quello che avevano intorno, si espandevano, si riproducevano, avevano<br />

successo, vincevano. Forse non era granché come esempio;<br />

forse non dava un’idea carina di Maurice e degli altri – essere paragonati<br />

a delle cellule cancerose. Il cancro era un male, ma in questo<br />

mondo, se sopravvivi vinci, e se vinci sei bravo” (pp. 17-18).<br />

Quest’ultimo paragone è tanto amaro anche perché ci si ferma<br />

alle conseguenze immediate del cancro e non si procede oltre. La<br />

conseguenza ultima è che alla fine, anche le cellule del cancro muoiono<br />

insieme all’organismo che distruggono. Qui si vede quanto è<br />

vero che gli equilibri del mondo non poggiano sulla moralità e sulla<br />

giustizia, ma sulla competizione e la sopraffazione. Finalmente,<br />

però, tutto questo porta alla distruzione e alla morte. Ogni volta che<br />

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uccido un altro, uccido due volte me stesso, chiamo la morte in casa<br />

mia. A lungo andare la violenza non paga. Tremano i fondamenti<br />

(falsi) della Morale del mondo. Si comprende quanto è vero il pensiero<br />

di Lévinas che diceva che l’etica si può fondare (e promuovere)<br />

solo sulla risposta responsabile e totalmente gratuita di colui che<br />

è eletto e chiamato.<br />

Toaff<br />

A questo emblematico romanzo ho creduto bene affiancare il saggio<br />

di Ariel Toaff che, per certi aspetti conferma la stessa critica<br />

verso la banalizzazione dell’Olocausto e il vittimismo e, per altri,<br />

amplia il discorso estendendolo alla storia ebraica del passato e alla<br />

concezione dominante del popolo ebraico come un popolo sempre<br />

giusto e sempre vittima, immune sia da peccati che dalla violenza,<br />

diverso perciò da tutti gli altri. Concezione dominante nella cultura<br />

generale, ma soprattutto nella cultura ebraica, dove c’è chi presume<br />

di sostenerla fino ad accusare di antisemitismo chiunque la mette in<br />

dubbio. Si potrebbe partire, per comprendere questo libro, da quanto<br />

avvenne dopo la pubblicazione del libro-scandalo Pasque di sangue,<br />

dello stesso autore. Nel febbraio del 2007, la commissione per<br />

l’educazione della Kenesset, dello Stato di Israele, si riunì per condannare<br />

senza appello quel libro e per esaminare l’eventualità di<br />

processare il suo autore come antisemita e “falsario manipolatore”<br />

della storia ebraica (p. 39).<br />

Toaff per certi aspetti sembra chiamare il suo popolo, il popolo<br />

ebraico, ad essere adulto, a lasciare indietro l’infanzia dei ghetti e a<br />

saper stare nel mondo aperto, per altri aspetti sembra proclamare<br />

questa uscita come già di fatto avvenuta, almeno in Israele e forse<br />

fuori d’Italia più che in Italia. C’è un ebraismo virtuale, cioè non<br />

reale, paradossalmente tenuto in piedi da antisemiti e da ebrei insieme.<br />

“In realtà – dice Toaff – sono stati proprio gli antisemiti ad avere<br />

sempre proposto un’idea statica e omogenea del mondo ebraico,<br />

costante e uniforme nel tempo, senza frammentazioni e lacerazioni<br />

interne, senza differenze etniche e culturali, senza conflitti interni<br />

religiosi e sociali” (p. 34). Si tratta, come detto sopra, dell’immagine<br />

dell’ebreo eternamente vittima e perennemente impeccabile. “E’<br />

nato così il mito della storia virtuale di un popolo virtuale, sempre


positivo e silenzioso, perennemente angosciato dal pericolo costante<br />

che qualcuno lo spinga nel baratro e in perenne attesa di una mano<br />

amica, quando non quella stessa di Dio, che venga a salvarlo. Chi<br />

pretenda presentare la storia del popolo ebraico come storia reale di<br />

un popolo reale, con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue sofferenze,<br />

la sua voglia di vivere e reagire, con le sue diatribe interne e i<br />

compromessi spesso adottati per sopravvivere, con il divario fra<br />

norma e prassi che l’ha caratterizzato, con i suoi atti eroici e le sue<br />

ipocrisie, con la sua cultura e le sue superstizioni, se non viene subito<br />

zittito, è tacciato di antisemitismo e, se ebreo, di odio verso se<br />

stesso” (pp. 43-44).<br />

Non ci vuol molto a capire che malevole invenzioni come I protocolli<br />

dei saggi anziani di Sion presuppongono la persuasione dell’esistenza<br />

di un ebraismo monolitico e compatto, teso ad assumere<br />

il controllo del mondo intero a proprio vantaggio. Quanto meno le<br />

persone sono istruite sull’ebraismo reale, tanto più tendono a considerarlo<br />

monolitico e compatto. Quanto più si studia l’ebraismo,<br />

tanto più si comprende questo popolo e la sua cultura come diversificati<br />

ed eterogenei. Quando mi capita di dover spiegare l’ebraismo<br />

ai miei correligionari, faccio non poca fatica a presentare adeguatamente,<br />

non dico le singole personalità ebree, ma anche semplicemente<br />

le principali categorie della cultura e della storia ebraica postbiblica:<br />

formazione del Talmud, filosofia medioevale ebraica, misticismo<br />

e kabbalà, il messianismo, le crociate e gli ebrei, le espulsioni,<br />

i ghetti, askenaziti e sefarditi, i chassidim, l’emancipazione e le<br />

sue conseguenze, ebraismo liberale, riformato e ortodosso, l’assimilazione,<br />

l’antisemitismo antico e moderno, i pogrom, il sionismo, le<br />

aliah, la Shoah, i kibbutzim, il nuovo stato di Israele, le successive<br />

guerre, il dialogo ebraico-cristiano, ecc. Poi la narrativa ebraica e<br />

specificamente israeliana, i principali pensatori ebrei, le innumerevoli<br />

e diversissime personalità ebraiche della cultura mondiale.<br />

Quello che più interessa al sottoscritto e che, peraltro, ritengo<br />

estremamente importante per tutti, è la possibilità di un dialogo più<br />

sereno fra ebrei e cristiani, un dialogo in cui non si debba sempre<br />

stare all’erta per il timore di essere tacciati di antisemitismo e magari<br />

sopportare in silenzio affermazioni di cui non si è convinti. Nuoce<br />

certamente a questo dialogo il chiasso giornalistico che su di esso si<br />

fa. Molto giornalismo è di fatto condizionato dalla spinta a scrivere<br />

cose che si vendano bene, come la validità di un programma televisivo<br />

è misurato dall’audience. Non c’è niente che si venda meglio di<br />

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ciò che è scandalistico. Se scrivi qualcosa di scientificamente dimostrabile<br />

e falsificabile, vendi poco. Hochhuth ha venduto bene fin<br />

dall’inizio con un discorso dirompente su Pio XII. Male è che molti<br />

ebrei vadano dietro a questi discorsi non scientificamente storici né<br />

etici. Quale è il risultato? Cosa si aspetta, che i non ebrei diffidino<br />

di persone di grande valore culturale ed etico come Andrea Riccardi<br />

per abbeverarsi a quelli che vendono bene la loro merce? Ma allora<br />

siete antisemiti… Perché? Perché non ce la sentiamo di andar dietro<br />

a una cultura superficiale, a una storiografia da giornalismo. Chi è<br />

che favorisce il male endemico dell’antisemitismo, a cui Israele,<br />

secondo l’ateo Yehoshua o il credente Lévinas, è stato sarà sempre<br />

esposto, già prima del cristianesimo e lo sarà finché Israele vuole<br />

essere fedele alla sua missione o alla sua tradizione religiosa? Chi è<br />

che ci gioca con leggerezza?<br />

Perché non utilizzare le chiavi di lettura della storia che si possono<br />

trovare nella psicologia e nella sociologia, nelle scienze umane in<br />

genere? Toaff parla giustamente di compromessi adottati dagli ebrei<br />

per sopravvivere. Ma quale persona e quale popolo non li adottano?<br />

Perché esporre immediatamente tutto sotto i riflettori di un moralismo<br />

spietato e abbastanza banale, invece di riconoscere i meccanismi<br />

di difesa che operano automaticamente negli individui e nei<br />

popoli? Come il discorso della Tova, così anche il discorso di Toaff,<br />

chiamando in causa gli intellettuali ebrei, chiama in causa, di fatto,<br />

tutta la cultura occidentale. I cristiani hanno agito senza rispetto<br />

verso l’altro: ma chi sono i cristiani? Come si pensa che uno diventi<br />

cristiano? Si pensa che poiché il re si è convertito e un intero<br />

popolo si è convertito in massa, per ciò stesso, come per un colpo<br />

di bacchetta magica, questo popolo abbia cominciato ad agire evangelicamente?<br />

Questa è una concezione magica della realtà, non storica.<br />

Non corrisponde né alla storia dell’ebraismo biblico o postbiblico<br />

né alla storia del Cristianesimo.<br />

Dopo il Concilio Vaticano II si è imparato che un’apologetica ad<br />

ogni costo non è il modo migliore di fare la storia e neanche di<br />

difendere il proprio gruppo. Le manipolazioni della storia non pagano.<br />

La verità è sempre migliore. Come Papa Ratzinger ripete sempre<br />

non ascoltato, relativismo e menzogna sono scelte di morte. Il<br />

virtuale illude, ma poi delude. Pensiamo ai miti contemporanei.<br />

Mentre si è portati a fare grandi risate sulle mitologie antiche o<br />

medioevali e così costruirsi una buona coscienza a buon mercato,<br />

non si è affatto coscienti delle deformazioni della storia provenienti


dalle mitologie contemporanee, ad esempio da quella del<br />

Risorgimento italiano o da quelle costruite artificiosamente dalle<br />

ideologie del secolo XX.<br />

A Camaldoli mi sono trovato d’accordo con un rabbino (ma in<br />

disaccordo con un altro e certamente con molti preti) sulla definizione<br />

di Dio come sempre più grande di ogni immagine che se ne può<br />

avere all’interno di un qualsiasi gruppo religioso. Sembra che uno<br />

scambio di opinioni che generi una ricerca seria non trovi convergenze<br />

all’interno di un singolo gruppo, ma trovi piuttosto, sempre di<br />

più, convergenze trasversali. In fondo, i fondamentalisti islamici,<br />

ebrei, protestanti o cattolici hanno delle strutture di pensiero comuni.<br />

Così le persone aperte. Chouraqui, uomo dello stato di Israele e<br />

uomo di dialogo, uomo di preghiera e uomo di ricerca intellettuale,<br />

poteva scrivere questa frase che io condivido pienamente (ma forse<br />

non tutti i cattolici condividono): “Il pensiero di Israele, che ha<br />

avuto tutte le audacie, dovrà avere il coraggio definitivo di afferrare<br />

le dimensioni nuove del mondo che deve comprendere e di vedere<br />

nelle religioni che sono uscite dal suo seno, non più delle rivali, che<br />

si accaniscono per perderlo, ma delle compagne, delle sorelle che<br />

devono unire le loro forze per il servizio di uno stesso Maestro e la<br />

salvezza di una stessa creazione” (Il Pensiero ebraico, Queriniana,<br />

1999, 102). Potrà un ebreo convincersi che ci sono cristiani (e preti)<br />

ai quali sta a cuore la sorte della fede di Israele, della sua risposta<br />

all’appello di Dio, come la loro stessa vita?<br />

Il dialogo ebraico-cristiano non è soltanto un’attitudine positiva<br />

come ogni dialogo, ma è un’urgenza del nostro tempo. Dispiace<br />

quando esso viene messo in crisi. Dispiace ancora di più quando<br />

viene messo in crisi, come è accaduto ultimamente, per motivi<br />

inconsistenti. Toaff, come Chouraqui, lascia forti dubbi sulla validità<br />

dell’azione di certi rabbini (v. ultima pagina, 138). Si potrà dialogare<br />

da gruppo a gruppo, senza timore di essere tacciati per nemici,<br />

sulla validità dell’azione delle singole persone e non del gruppo<br />

considerato falsamente come omogeneo?<br />

rivista<br />

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MAX JOSEF METZGER,<br />

La mia vita per la pace.<br />

Lettere dalle prigioni naziste<br />

scritte con le mani legate,<br />

Traduzione e cura di Lubomir Zak,<br />

Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 2008, pp. 269<br />

€ 18,00<br />

Stupore è la parola<br />

che traduce un<br />

insieme di<br />

impressioni, sentimenti<br />

e riflessioni suscitati<br />

dalla lettura di queste<br />

270 pagine di “profezia”<br />

nel solco della<br />

Storia. Immagini efficaci<br />

del Vangelo di<br />

Cristo divengono icona<br />

e prendono corpo dinanzi alla figura davvero gigante, umanamente<br />

e cristianamente, del Servo di Dio don Max Josef Metzger (1887-<br />

1944). La potenzialità delle sue idee di pace tra i popoli d’Europa e<br />

di unità della Chiesa nel dialogo ecumenico tra le diverse confessioni<br />

cristiane, sul fondamento della verità e della carità, e di “cattolicità”<br />

incarnata innanzitutto in una comunità religiosa mista di uomini<br />

e donne chiamati con la propria vita pura e santa ad essere testimoni<br />

dell’ “Ordine del Regno di Cristo” quale “ecclesiola in ecclesia”<br />

del tutto simile alla primitiva comunità cristiana, rendono perfettamente<br />

l’ideale evangelico del Regno dei Cieli paragonato al<br />

minuscolo granello di senape che in sé racchiude tutta la vitalità<br />

futura del grande albero.<br />

Quanto a lui, Metzger, sacerdote cattolico, la fedele corrispondenza<br />

alla grazia divina l’ha condotto in perfetta e obbediente<br />

“sequela <strong>Christi</strong>” nell’analoga passione di accettazione della volontà<br />

di Dio in una condanna a morte da innocente, con ingiusto procedimento<br />

di mesi di attesa istruttoria e, quindi, di esecuzione della<br />

pena capitale tramite ghigliottina nel carcere di Brandenburg il lunedì<br />

17 aprile 1944. Riferendoci a lui, non possiamo pensare ad altro<br />

che al chicco di grano destinato a morire solo per produrre il suo<br />

molto frutto, come appropriatamente ricorda nella Prefazione al<br />

libro il Card. Walter Kasper.<br />

Le circa ottanta pagine del saggio introduttivo, la traduzione dell’epistolario<br />

e le numerose quanto preziose note di accompagnamento<br />

alla lettura di queste “lettere dalle prigioni naziste scritte con<br />

recensioni<br />

recensioni<br />

177


ecensioni le mani legate”, sono curati da Lubomir Zak, docente di teologia<br />

presso la Pontificia Università Lateranense. Con stile incalzante e<br />

pensiero attento all’analisi essenziale di un dato estremamente eloquente<br />

in sé, il prof. Zak presenta ampiamente il profilo geniale di<br />

colui che definisce “scomodo profeta di un mondo migliore”, carico<br />

d’una nuova visione della Cristianità, della Chiesa e dell’Europa che<br />

appena oggi, seppure dopo oltre quarant’anni dalla celebrazione del<br />

Concilio Ecumenico Vaticano II e quasi trenta di vulcanico pontificato<br />

di Giovanni Paolo II, stenta ancora a farsi strada e concretizzarsi,<br />

nonostante siano stati molti gli elementi, i fattori e le sollecitazioni<br />

messi in atto dinamicamente in tali direzioni accennate.<br />

Ecco perché stupiscono le tante citazioni, precise e rigorosamente<br />

selezionate dalla vasta produzione letteraria e documentaria di<br />

Metzger, ordinato sacerdote il 9 luglio 1911 e già pienamente attivo<br />

a Graz per una fecondissima “educazione alla pace”. Nel 1918, per<br />

esempio, sulla rivista da lui fondata, Il tempo nuovo, scriveva con<br />

lapidaria lucidità: “La pace sta in piedi o cade con il rinnovamento<br />

intellettuale e morale della società umana. Se deve cambiare la fisionomia<br />

della società umana, deve prima modificarsi la psiche dei<br />

popoli e dei singoli. Sta qui il punto chiave di tutta la questione della<br />

pace. La pace è un problema educativo” (p. 20).<br />

Sono concetti talmente veri da far tremare i nostri giorni inquieti<br />

e tormentati di uomini “non di buona volontà”! Giustamente, chi ha<br />

curato qui i tratti biografici interiori ed intellettuali di Metzger afferma<br />

che egli nel cuore fu un idealista, benché “nella sua intelligenza<br />

ed esperienza fu certo un sobrio realista che conosceva il vero stato<br />

delle cose” (p. 25). Il Servo di Dio si rendeva conto, forse, di essere<br />

un novello “Battista” che grida inascoltato nel deserto? La sua<br />

“colpa”, comunque, fu proprio questa chiarezza ermeneutica della<br />

realtà, del mondo, dello stato delle cose nel mondo e di parola nell’analisi<br />

dell’evidenza esposta con limpido buon senso sapienziale<br />

dell’esistenza, istintivo e acuto discernimento tra verità e menzogna<br />

senza compromessi anche quando il loro orizzonte sembrava tendere<br />

a sfumarsi e confondersi. Non per lui, capace di netto giudizio<br />

come quello espresso sulla politica di potere, della quale altro non si<br />

servono che falsità, egoismi e ingiustizia (cf. p. 26), o riguardo al<br />

Cristianesimo, sulla cui autenticità e freschezza evangelica, giovane<br />

sacerdote nel 1916, si chiedeva: “I popoli cristiani sono oggi davvero<br />

tali? Gli uomini d’oggi sono cristiani in modo da poter rivendicare<br />

il diritto di portare con onore il nome di Cristo?”. Quarant’anni<br />

recensioni<br />

178


ecensioni<br />

dopo, nel 1956, un altro prete, don Primo Mazzolari, faceva<br />

sentire la sua voce con le stesse domande rivolte a molte coscienze<br />

intorpidite.<br />

Don Metzger auspicava nei Cristiani un sincero ritorno allo spirito<br />

delle Beatitudini e vedeva la necessità del ritorno al<br />

“Cristianesimo pratico” – leggere “vissuto”! – delle origini, quale<br />

risposta al bolscevismo avanzante ed al capitalismo disumano.<br />

Quanto alla divisione dei Cristiani, in una delle sue ultime lettere la<br />

definisce sine glossa: “l’eresia interna della Chiesa” (p. 189).<br />

Fu tra i primi cattolici impegnato, a titolo personale, nel dialogo<br />

ecumenico e fondò la Fraternità interconfessionale “Una Sancta”, i<br />

cui punti basilari per i membri erano: “l’essere maggiormente consapevoli<br />

della già data (anche dogmaticamente) unità di tutti in<br />

Cristo per mezzo dell’unico battesimo; pregare per una più ampia<br />

attuazione di quest’unità anche nel ‘corpo della Chiesa’; impegnarsi<br />

come costruttori di ponti per un reciproco avvicinamento dei fratelli<br />

separati a causa di molteplici malintesi e dell’umana incapacità<br />

di comprendere” (p. 52).<br />

Un capolavoro è la sua lettera a Pio XII datata Avvento 1939 (pp.<br />

105-115), dove, tra l’altro, suggerisce un incontro ecumenico di preghiera<br />

ad Assisi ed auspica un successivo Concilio. In questi suoi<br />

scritti dalle carceri naziste, indirizzati per lo più a membri della<br />

comunità da lui fondata sotto il nome di “Societas <strong>Christi</strong> Regis”,<br />

nella quale egli era “fratello Paolo”, costante è il riferimento di conforto<br />

nella lettura del Nuovo Testamento in greco e tedesco, specialmente<br />

dell’epistolario paolino, dove con l’Apostolo si identifica in<br />

espressioni che preludono il martirio.<br />

Impedito di celebrare la S. Messa, visse con crescente e reale<br />

intensità l’esperienza della Comunione dei santi: spesso le sue lettere<br />

parlano di consolazione al pensiero che “noi siamo tutti ‘circumstantes’<br />

(quelli che stanno attorno)” (p. 98). Allora la solitudine si<br />

colma di ecclesialità pura del Corpo di Cristo intero. Toccante è la<br />

sua difesa in un testo del 28 settembre 1943 indirizzato al giudice<br />

istruttore. Di sé scrive dalla prigione di Berlino: “Sono un sacerdote<br />

cattolico, e lo sono con anima e corpo. Tuttavia, la mia forma<br />

mentis non corrisponde all’idea che di solito uno si crea quando si<br />

immagina un prete… Sono un uomo di giudizio indipendente, che<br />

ha un attivo interesse per ciò che avviene nel mondo. Il mio atteggiamento<br />

religioso è dominato del tutto dall’idea del Regno di Dio,<br />

dall’ethos del Vangelo” (p. 166).<br />

recensioni<br />

179


ecensioni<br />

recensioni<br />

180<br />

Fu proprio tale suo essere assolutamente ed evangelicamente<br />

libero che lo rese un nemico del Terzo Reich da eliminare, benché<br />

non si trovino in lui attacchi diretti al nazismo o interessi d’interventi<br />

politici palesi. Col verdetto di morte sul capo pronto ad essere eseguito,<br />

dopo mesi di prigione, ancora il 18 gennaio 1944 il suo interesse<br />

principale è l’inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità<br />

dei Cristiani. Il suo animo poetico stila allora in bellissimi versi un<br />

testamento ecumenico intitolato: “Una Sancta”, seguito da una altissima<br />

meditazione sul Padre nostro e l’Eucaristia (cf. pp. 224-226).<br />

La sua pace interiore, la grazia, la sua vita in Dio gli consente di<br />

apprezzare dalla nuda cella del carcere della morte la bellezza della<br />

natura che pulsa cantico di vita. In una lettera del 27 gennaio 1944<br />

parla della “cincia”, “volata alla finestra una sola volta, mentre<br />

viene regolarmente un corvo”, di cui con umorismo aggiunge:<br />

“certo, non porta pane come a Paolo eremita” (p. 227), riferendosi<br />

al celebre S. Paolo di Tebe visitato da S. Antonio abate nel deserto e<br />

ivi nutrito dal pane del volatile ogni giorno.<br />

Senza data è la sublime riflessione sulla morte (pp. 235-246),<br />

degna di un S. Francesco d’Assisi che per altro cita (cf. p. 238).<br />

“Sorella Morte”, colei che detiene sull’uomo il massimo potere (cf.<br />

p. 235), arrivò a visitarlo il 17 aprile 1944, come recita laconico il<br />

protocollo nazista di avvenuta esecuzione: “Alle ore 15,26 il condannato,<br />

con le mani legate dietro la schiena, è stato introdotto da<br />

due ufficiali carcerari… Dall’introduzione del condannato all’annuncio<br />

dell’eseguita sentenza sono trascorsi 7 secondi” (pp. 266-<br />

267). Sette secondi per “l’inizio ‘della vera vita eterna’ “ e dire:<br />

“Salve, sorella morte!” (p. 238); sette secondi per diventare seme<br />

fecondo della Storia della Chiesa dei decenni successivi.<br />

Una curata bibliografia rende questo libro un documento interessantissimo,<br />

degno di essere inserito in lezioni di pace, di ecumenismo<br />

e di autentica spiritualità per i giorni nostri, eredi di tanta nobile<br />

figura.<br />

(Luciana Maria Mirri)


MC GINN BERNARD,<br />

Storia della mistica cristiana<br />

in occidente.<br />

I. Le origini (I-V secolo),<br />

II. Lo sviluppo (VI-XII secolo),<br />

III. La fioritura della mistica<br />

(1200-1350), Marietti 1820,<br />

Genova-Milano 1997, 2003, 2008,<br />

pp XX+529, XIV+688, XIII+544,<br />

rilegato con sopracoperta,<br />

€ 60, 80, 80.<br />

Un imponente<br />

work in progress,<br />

la cui<br />

crescita, lenta e sicura,<br />

non permette previsioni<br />

di tempi e di estensione<br />

ma, allo stesso tempo,<br />

consente un sia pure<br />

provvisorio bilancio.<br />

Nel titolo americano, a<br />

quello che poi è reso in<br />

italiano, è premesso<br />

The Presence of God,<br />

che riprende un’idea di<br />

mistica che, fra le molte possibili, recepisce l’idea di Teresa d’Avila,<br />

mistica e dottore, che con sublime semplicità anzi nonchalance scrive:<br />

“Mi accadeva improvvisamente d’essere presa dalla sensazione<br />

della presenza di Dio… credo che la chiamino teologia mistica”.<br />

Erede della contemplatio degli autori monastici, la teologia mistica<br />

dei successivi autori medioevali costituisce il presupposto di una<br />

concezione moderna che l’Autore ritiene “vada più opportunamente<br />

considerata non un’entità autonoma o indipendente o una forma di<br />

religione a sé stante, ma un elemento delle concrete comunità e tradizioni<br />

religiose”. L’elemento mistico, naturalmente presente nel<br />

cristianesimo fin dalle origini, diventa esplicito, in tempi e circostanze<br />

concrete, in forme e modi diversi “in cui ha interagito con le<br />

forme istituzionali, intellettuali, sociali di vita religiosa”. Dunque,<br />

“un processo, un modo di vita, piuttosto che definito esclusivamente<br />

nei termini di una qualche esperienza di unione con Dio”. Una<br />

presenza, una consapevolezza che “non deve essere considerata isolatamente<br />

dalle pratiche ascetiche e intellettuali… Questo è il motivo<br />

per cui ho parlato dell’elemento mistico del Cristianesimo come<br />

la parte del suo credo e delle sue pratiche che riguardano la preparazione,<br />

la consapevolezza e la reazione alla presenza diretta o<br />

immediata di Dio”. Il contesto ellenistico (da Platone a Plotino, a<br />

Porfirio, ai misteri…) e la tradizione ebraica, la speculazione filoso-<br />

recensioni<br />

recensioni<br />

181


ecensioni<br />

recensioni<br />

182<br />

fica e la pratica teurgica, con il cristianesimo subiscono una rivoluzione,<br />

mediante una vita strutturalmente intessuta nella ecclesìa, con<br />

la “ fede nella nuova e definitiva presenza di Dio realizzatasi in<br />

Gesù”. Dalla realtà mistica di Cristo nella chiesa, che i primi cristiani<br />

vivono naturalmente, nasce e si sviluppa il proprium della mistica<br />

cristiana con Origene, Evagrio, Dionigi, Gregorio di Nissa. Con<br />

Tertulliano e Cipriano, la Vetus latina, l’opera di papa Damaso,<br />

l’edizione latina della Vita di Antonio e quella di Martino, le<br />

Conlationes di Cassiano, gli Acta martyrum, si forma il cristianesimo<br />

latino, fino alla fioritura di Girolamo, Ambrogio, Agostino. Dai<br />

sapienti gnostici e dai filosofi platonici i mistici cristiani riprendono<br />

il tema dell’ascesi dell’anima, da uno stato di decadenza a Dio, su<br />

una solida base esegetica, con la lectio biblica, enfatizzando l’indispensabile<br />

opera dell’intervento divino, della grazia e ponendo al<br />

centro della riflessione, accanto alla conoscenza, l’amore, concepito<br />

come agàpe-éros.<br />

La mistica altomedioevale, dopo il passaggio dalla Roma imperiale<br />

alla cristianità e la traslatio imperii, “trova la sua incarnazione<br />

istituzionale nello stile di vita monastico”, tra il 500 e 1100, la società<br />

che dal tempo di Carlo Magno si autocomprende come “cristianità”:<br />

Benedetto da Norcia, il padre del monachesimo occidentale, con<br />

la sua Regula (non mancano i doverosi cenni alla Regula Magistri)<br />

e Gregorio Magno, monaco prima che papa, con i Dialogi, ma anche<br />

la Regula pastoralis, e le opere di esegesi: un contemplativo in azione.<br />

La mistica dialettica fa la sua comparsa con Giovanni Scoto<br />

Eriugena, con il suo debito verso le fonti greche e latine e il fondamento<br />

biblico. L’Eriugena traduce Dionigi, si traducono i Verba<br />

seniorum (vite e detti dei primi monaci greci), si leggono i classici<br />

della letteratura monastica spirituale, particolarmente Cassiano e,<br />

soprattutto ci si consacra allo studio della Bibbia, senza trascurare<br />

le arti liberali. Con il XII secolo, il grande risveglio, il passaggio<br />

dalla contemplatio alla teologia mistica per opera dei cistercensi. A<br />

partire dall’Exordium parvum, un forte impulso di sostegno all’opera<br />

riformatrice del monaco Ildebrando, poi papa Gregorio VII. La<br />

teologia monastica si incentra sulla ordinatio caritatis: la caritas,<br />

l’antropologia biblica e teologica, la cristologia, con Bernardo di<br />

Chiaravalle e Guglielmo di St Thierry che vi apporta la dimensione<br />

mistica trinitaria. E poi: Guerric d’Igny, Isacco della Stella,<br />

Baldovino e Giovanni di Ford, Aelredo di Rievaulx. Costante, sulla<br />

scorta di Bernardo, la lectio del Cantico, con tutte le possibili


interpretazioni e applicazioni. Solitudo, lectio/meditatio, oratio/contemplatio<br />

caratterizzano questo stato di vita “di perfezione” in cui<br />

nasce e si sviluppa la “teologia monastica”. Gli ultimi capitoli del II<br />

volume sono dedicati ai visionari e contemplativi: Ruperto di Deutz,<br />

Gioacchino da Fiore, i “monaci neri”, i benedettini, come Pietro il<br />

Venerabile, i certosini, fondati da Bruno e i canonici regolari<br />

dell’Abbazia di San Vittore, con la apostolica vivendi forma: Ugo,<br />

Riccardo e altri.<br />

Affacciatesi sulla scena alla fine del II volume, con Ildegarda di<br />

Bingen e Elisabetta di Schoenau (e non sono comparse!), le donne e<br />

la “questione femminile” sono protagoniste del III volume il cui sottotitolo<br />

(non riportato né nel prospetto generale né nel frontespizio<br />

del volume, ma ripetutamente dichiarato nella Prefazione e nella<br />

amplissima Introduzione) è, appunto: “”Uomini e donne nella nuova<br />

mistica”. Si dà il dovuto rilievo ai grandi fondatori degli ordini mendicanti,<br />

Francesco e Domenico (e come poteva essere diversamente!),<br />

si parla di Innocenzo III e del Concilio Lateranense IV del<br />

1215, della teologia in volgare dei mistici, dell’impulso alla cura<br />

animarum come conseguenza di una ben intesa spiritualità non<br />

astratta dal mondo da parte degli ordini mendicanti e dei canonici<br />

regolari e, per logica conseguenza di pastoralia e predicabili. Si<br />

parla di “nuova mistica” in un clima di democratizzazione: non è<br />

appannaggio di una élite di monaci ma, come leggiamo nel delizioso<br />

Sacrum Commercium: “Questo, Madonna, è il nostro chiostro”,<br />

risposero i frati a Madonna Povertà che chiedeva che le venisse<br />

mostrato il chiostro. E si parla molto di donne, a partire dalle beghine<br />

della Lotaringia e, insieme a Francesco, della sua pianticella<br />

Chiara. Con la prima mistica francescana e la sintesi di<br />

Bonaventura, ecco le mistiche francescane: con le pauperes dominae<br />

di Chiara, Elisabetta d’Ungheria, Isabella di Francia, Dolcelina<br />

di Digne, Margherita da Cortona, Angela da Foligno… Tra le mulieres<br />

religiosae, notevoli esperimenti di mistica femminile: Beatrice<br />

di Nazareth, la prima scrittrice, Cristina di Stommeln, Agnese<br />

Blannbekin, le reclusae come Juette d’Huy e la nostra Umiliana de’<br />

Cerchi, Margherita di Magdeburgo. Tre grandi mistiche beghine:<br />

Hadewijch di Anversa, Mectilde di Magdeburgo, Margherita Porete<br />

con Lo specchio delle anime semplici giudicato eretico con conseguente<br />

bruciamento di Margherita. Seguono le cistercensi di Helfta,<br />

con la grande Gertrude, la premonstratense Cristina di Hane, la<br />

vallombrosana Umiltà di Faenza, la certosina Margherita d’Oingt,<br />

recensioni<br />

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183


ecensioni<br />

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184<br />

le domenicane Diana d’Andalò (di cui abbiamo un bel carteggio con<br />

Giordano di Sassonia “il secondo fondatore dell’ordine”),<br />

Benvenuta da Cividale, Vanna da Orvieto, Margherita di Città di<br />

Castello.<br />

Di Caterina da Siena, annuncia l’Autore, si parlerà nel prossimo<br />

volume, che non si può prevedere quando uscirà, né da quanti altri<br />

sarà seguito. Vogliamo, in conclusione, sottolineare, tra i molti pregi<br />

ai quali abbiamo dovuto solo indirettamente accennare, la estrema<br />

pertinenza delle osservazioni che Mc Ginn, parlando di donne spirituali,<br />

visionarie, mistiche fa a proposito di certe tendenze femministe<br />

nello studio della mistica, come più in generale della storia della<br />

chiesa, della spiritualità, dell’esegesi. “Manca la prova di un contributo<br />

decisivo portato dalle donne nella mistica prima del tredicesimo<br />

secolo”, e poi: “Non mi sembra fruttuoso, né possibile, individuare<br />

una specifica ‘mistica femminile’ nel tardo Medioevo”, sia per<br />

la “stupefacente varietà che caratterizza le donne stesse”, che per la<br />

“malleabilità dei ruoli sessuali” nel modificare, trasformare e trascendere<br />

il loro ruolo nella esperienza mistica. Se nella mistica, per<br />

sua natura esperienzale, dimensione sempre più esplicitamente teorizzata<br />

(Erlebnismystik), la corporeità tende a essere enfatizzata<br />

dalle donne, certe “stravaganti manifestazioni corporee”, non vanno<br />

interpretate come manifestazione di rottura con concezioni più controllate<br />

e “intellettualizzate” presenti nella tradizione mistica precedente,<br />

ma “come indizi di squilibrio personale o addirittura di isteria”.<br />

Non si dimentichi che, nella maggior parte dei casi, l’esperienza<br />

mistica femminile subiva la mediazione letteraria dei direttori di<br />

spirito: i testi ci dicono quello che gli uomini pensavano delle sante<br />

donne. “Le nostre problematiche sono spesso profondamente differenti<br />

da quelle della mistica medioevale”.<br />

(Salvatore Spera)


BRACCIOLINI POGGIO,<br />

Contra Hypocritas,<br />

a cura di Davide Canfora,<br />

Storia e Letteratura<br />

(“Edizione Nazionale<br />

dei Testi Umanistici” 9),<br />

Roma 2008, pp LXXX+66,<br />

cm 14x21, Euro 18,00.<br />

L’irridente, colto,<br />

brillante autore<br />

delle Facetiae,<br />

ancora una volta coglie<br />

da par suo la novità e la<br />

vitalità di una lunga tradizione<br />

antifratesca e<br />

anticlericale, dai grandi<br />

padri della letteratura<br />

italiana a Sacchetti,<br />

Coluccio Salutati,<br />

Leonardo Bruni… Aveva anticipato alcuni temi, di un sostanziale<br />

anticlericalismo che attraversa i suoi scritti, in una lettera a Niccolò<br />

Niccoli del 16 dicembre 1429 sui frati “circulatores” che si aggirano<br />

“capite demisso” e simulano “doctrina et vite bonitas”, mentre in<br />

realtà sono persone spregevoli che infestano la curia romana, al<br />

punto che “totiens deceptus sum… ut iam nesciam quid credam aut<br />

cui credam”: Tema sfiorato anche nel coevo De avaritia: “Num<br />

aliud spectant - parlando dei sacerdoti - quaerunt, ambiunt sub fidei<br />

velamento, nisi ut parvo labore ditiores fiant?”. Ma ormai, scrive<br />

nella dedicatoria a Francesco Accolti di Arezzo, è convinto che<br />

rispetto all’avarizia, l’ipocrisia è “multo scelestius vitium” e che<br />

urge parlarne “ob publicam utilitatem”, adesso che è morto (23 febbraio<br />

1447) papa Eugenio IV (“veluti ad uberrima pascua advolantes<br />

pontificem circuibant tanto persepe studio, ut nil posset esse<br />

fastidiosius”), e si può sperare che con Niccolò V la curia romana<br />

inauguri un nuovo corso nei confronti dei frati osservanti, perché<br />

“hoc tempus, ut ait Terentius, aliam vitam, alios mores postulat”. Le<br />

ripetute espressioni: “Sexcenta eiusmodi hypocritarum occurrunt<br />

exempla mihi nota, quae possem referre, nisi vererer ne dedita viderer<br />

opera eorum acta insectari. Hec recensui ut videant omnes quam<br />

nefaria sint, quam abhominanda persepe istorum opera, quos hypocritas<br />

vocant… Occurrunt plura eiusmodi virorum exempla, quos<br />

prolixitatis causa praetermitto…” non si lasciano smontare dalla<br />

difesa (d’ufficio) che, in casa di Carlo Marsuppini e con lo stesso<br />

Bracciolini, tenta il prelato Girolamo Aliotti che, sia pure personal-<br />

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ecensioni<br />

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186<br />

mente integro, è ottimo conoscitore degli ipocriti, insinua Poggio. Ci<br />

sono iactatores e ostentatores, da non confondere con gli hypocriti<br />

veri e propri. Si può simulare per conseguire un bene pubblico,<br />

come fece Numa Pompilio, l’ ipocrisia non riguarda solo gli uomini<br />

di chiesa e, poi, ci sono tanti bravi e santi religiosi. Ma, è la replica,<br />

è dei religiosi ipocriti che si parla, proprio perché si aggirano<br />

poveri e trasandati e “Iesum Christum semper in ore habent”. E dire<br />

che “magis in hypocritas Salvator noster invectus est quam in reliquos<br />

facinorosos… Alibi falsos prophetas eos appellavit, a quibus<br />

monuit cavendum esse; multis quoque in locis hoc scelus admonet<br />

fugiendum, detestans hoc solum vitium divina sapientia tamquam<br />

illud quo nullum nequius neque magis nefarium reperitur, quod plurium<br />

malorum causam et originem secum ferat”. Di qui i toni profetici<br />

e apocalittici di un incontenibile furor: “Verum omnem religiosorum<br />

fecem ex infima abiectaque hominum conditione collectam,<br />

qui privata causa ambiunt et prensant curiam, homines ignavos,<br />

rudes, sordidos, sola ostentatione et vultus pallore conspicuos,<br />

hominibus inutiles neque acceptos Deo, versari continuo in frequentia<br />

omnium gentium, postes palatii observare, beneficia, immunitates,<br />

gratis, privilegia… Res quippe non culpanda solum, sed vendicanda<br />

est eiusmodi homines, veluti solutos legibus, quo velint evagari<br />

sub humilitatis et mundi contemptus simulatione, quo facilius<br />

suis cupiditatibus obsequantur…”. Grande letteratura, indubbiamente.<br />

Appunto: letteratura!<br />

(Salvatore Spera)


ERASMI MAURIZIO,<br />

Chiara d’Assisi.<br />

La fecondità storica di un carisma,<br />

Messaggero<br />

(“Studi francescani”16),<br />

Padova 2008,<br />

prefazione di Felice Accrocca,<br />

pp 299, cm 14x21, Euro 30.00.<br />

“Avendo frequentato<br />

per qualche<br />

tempo la Curia, mi<br />

sono imbattuto in molte<br />

realtà contrarie al mio<br />

spirito. Erano tutti così<br />

occupati nelle cose<br />

temporali e mondane,<br />

in questioni di re e di<br />

regni, in liti e processi,<br />

che appena permetteva-<br />

no che si parlasse di cose spirituali. Ho trovato però in quelle regioni<br />

una sola consolazione: persone, d’ambo i sessi, ricchi e laici,<br />

lasciata ogni cosa per Cristo, fuggivano il mondo. Si chiamavano<br />

frati minori e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione<br />

dal signor papa e dai cardinali… Costoro vivono secondo la forma<br />

della Chiesa primitiva…”. La lettera del 1216 di Jacques de Vitry<br />

descrive con vivacità ed esattezza il fenomeno della apostolica<br />

vivendi forma ben inquadrandola nelle sue componenti e nel contesto<br />

ecclesiale. Si intravvedono gli intrecci biografici e spirituali di<br />

Francesco e Chiara e il loro ruolo vitale di forma Minorum e forma<br />

Sororum. Un ruolo, documenta il volume, che, senza nulla togliere<br />

al carisma eccezionale di Francesco, non è meno rilevante in Chiara.<br />

Se Francesco si pone non solo come forma Minorum ma anche<br />

forma Sororum attraverso la cura, l’affetto, le premure e gli insegnamenti<br />

(documentati nelle testimonianze e negli scritti), Chiara non è<br />

da meno. Lei “indigna ancilla <strong>Christi</strong> et plantula beatissimi patris<br />

Francisci (RegCh I,3) tale rimane nella memoria collettiva:<br />

“Domina Clara, Ordinis sororum prima plantula, abbatissa sororum<br />

pauperum monasterii Sancti Damiani de Assisio, emulatrix sancti<br />

Francisci in conservando semper paupertatem Filii Dei”( CompAss<br />

13,1). Soprattutto dopo la morte di Francesco, Chiara è sicuro punto<br />

di riferimento anche per i frati, tra i quali, molto importante, frate<br />

Elia.<br />

La Bolla di canonizzazione è precisa nel definire chiaramente<br />

l’ispirazione di Francesco e il ruolo di Chiara nella fondazione delle<br />

recensioni<br />

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ecensioni<br />

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188<br />

pauperes sorores: “Qui Chiara, per esortazione dello stesso<br />

Francesco, diede principio a questa nuova e santa osservanza; ella fu<br />

il primo e stabile fondamento di questo grande Ordine; fu la pietra<br />

angolare di questo sublime edificio”. Il volume ricostruisce le complesse<br />

vicende, tanto note quanto ingarbugliate, attraverso le quali<br />

dall’Ordo sancti Damiani fortemente voluto dal cardinale Ugolino,<br />

poi papa Gregorio IX (1227-41), si giunse all’Ordo sanctae Clarae.<br />

Tanto determinato Ugolino nell’opera istituzionalizzatrice che doveva<br />

contemperare la clausura e la povertà , quanto “ostinata” Chiara<br />

nel difendere e nell’ottenere il privilegium paupertatis: “Il signor<br />

papa Gregorio… ancor più intensamente amava con affetto paterno<br />

questa santa. E si studiava di persuaderla che acconsentisse a possedere<br />

qualche proprietà, per far fronte ad ogni eventuale circostanza<br />

e ai pericoli del mondo… Ma ella si oppose con decisione incrollabile<br />

e in nessun modo si lasciò convincere”. Dunque, accettazione<br />

della forma vitae, ma con la deroga del privilegium paupertatis. A<br />

ragione la detta Bolla di canonizzazione recita: “Fu soprattutto<br />

un’innamorata e indefessa coltivatrice della povertà; e tanto fissò al<br />

suo cuore questa virtù, tanto fu avvinta dal desiderio di possederla<br />

che, amandola sempre fermamente e sempre più ardendo nell’abbracciarla,<br />

mai si scostò per nessuna ragione dalla sua stretta e piacevole<br />

unione” (17). Perciò, scrive Erasmi: “’Sorelle povere’ è il<br />

punto di arrivo della comprensione che Chiara ha del carisma della<br />

propria comunità” (p. 152), anche se, correttamente, deve scrivere:<br />

“Paradossalmente, a distanza di pochi anni, anche le sorelle di<br />

Chiara, quindi la comunità di San Damiano, persero la loro originale<br />

prerogativa e si assimilarono al resto delle clarisse adottando,<br />

appunto, la regola di Urbano”. La Beata Clara di Urbano IV (1261-<br />

64) è del 1263. In conclusione, una eterogenesi dei fini.<br />

Il quarto e ultimo capitolo “Chiara d’Assisi: l’attualizzazione di<br />

un carisma”, riprende, come si può facilmente intuire, alcuni capisaldi<br />

della spiritualità clariana (soprattutto dal Testamento), nella<br />

vita comunitaria nella chiesa e nella società di oggi.<br />

(Salvatore Spera)


1. Introduzione<br />

TEOLOGICO (53)<br />

Musulmani e cristiani di fronte al<br />

Crocifisso: tra scandalo e adesion di<br />

fede. Note di teologia delle religioni,<br />

di M. Di Tora,<br />

in Coda P. – Crociata M. edd.,<br />

Il Crocifisso e le religioni,<br />

Città Nuova, Roma 2002, pp. 281-298.<br />

Il tema della crocifissione di Gesù nella tradizione islamica,<br />

viene qui trattato solo alla luce della prospettiva teologicofondamentale,<br />

ossia secondo l’ottica della teologia delle religioni;<br />

affrontando quindi il problema della verità religiosa, e quello<br />

riguardante la credibilità della fede. Lo scopo è quello di riflettere,<br />

a partire dall’analisi dei capisaldi della fede islamica sulla negazione<br />

della crocifissione di Gesù, su alcune tendenze teologiche attuali<br />

nell’ambito della teologia delle religioni e di rilanciare all’attenzione<br />

della teologia fondamentale il tema della fondazione della fede.<br />

2. Rivelazione divina e messaggio islamico<br />

Uno degli attuali temi della teologia delle religioni riguarda<br />

il rapporto tra rivelazione cristiana e le altre manifestazioni<br />

del sacro. La posizione teologica attualmente più<br />

accreditata, sostenuta anche da proposizioni conciliari è quella di J.<br />

Dupuis che riconosce nelle altre tradizioni, e in particolare<br />

nell’Islam, una reale mediazione della salvezza e della rivelazione;<br />

sostenendo anche che i libri sacri di tali religioni sono ispirati e<br />

schede<br />

bibliografiche<br />

schede<br />

189


schede<br />

bibliografiche<br />

schede<br />

190<br />

costituiscono parola di Dio, divenendo così vie di salvezza per i credenti.<br />

Qui ci si propone di verificare la validità e la coerenza di tale<br />

affermazione teologica, consapevoli che la crocifissione di Gesù sia<br />

un formidabile banco di prova.<br />

Per quanto riguarda la crocifissione di Gesù, l’islam, si muove<br />

all’interno di alcune coordinate teologiche ben definite e, va detto<br />

con franchezza, che l’insegnamento coranico sulla vita di Gesù<br />

risulta molto preciso e fortemente polemico. I passi coranici 4, 157-<br />

158; 3,55 e 5,117;19,15.33, sono rivelati nel periodo medinese, in<br />

cui si cristallizza l’opposizione al cristianesimo. Non risulta chiaro<br />

su chi sia stata proiettata l’immagine di Gesù, se Giuda o Sergio,<br />

certo è che l’Islam nega che Gesù sia stato crocifisso ed ucciso. A<br />

ciò si aggiunge che per i musulmani i cardini del cristianesimo come<br />

la crocifissione, la redenzione portata da Cristo, la divinità di Gesù,<br />

la Trinità ed il culto alla Vergine Maria, sono da rigettare perché dottrine<br />

di origine pagana introdotte dall’apostolo Paolo.<br />

Ma le ragioni di fondo è che l’Islam non ammette che qualcuno<br />

muoia per gli altri, così come è indegno di Dio lasciar morire i suoi<br />

inviati nella sconfitta. Va segnalato anche che il Dio coranico è persona<br />

assolutamente libera e le sue azioni sono totalmente arbitrarie,<br />

nulla gli si può chiedere perché non è tenuto a dar ragione agli uomini…<br />

ciò gli permette anche di cambiare continuamente idea abrogando<br />

quanto aveva appena detto; non a caso ogni prescrizione<br />

coranica termina con: a meno che Dio non voglia altrimenti. Ne<br />

risulta una assoluta libertà di Dio e una totale dipendenza dell’uomo<br />

all’unico e vero motore dell’universo, tutto dipende dalla sua volontà:<br />

Allah cancella quello che vuole e conferma quello che vuole<br />

(Corano 13,39); ed ancora: Egli castiga chi vuole e perdona chi<br />

vuole (Corano,5,40).<br />

Nella rivelazione coranica per garantire l’assoluta libertà di Dio,<br />

ad esclusione del patto primordiale, non c’è alcuna alleanza con<br />

l’uomo, Dio piuttosto ordina agli uomini senza però né allearsi ad<br />

essi e senza neppure svelarsi, tanto che nel Corano Dio non rivela<br />

alcun tratto della sua identità come invece fa nella Bibbia. Già da<br />

qui si capisce come l’Islam non possa accogliere alcun patto di<br />

fedeltà di Dio verso l’uomo peccatore e bisognoso di salvezza, tanto<br />

più non può accettare un Dio che si lascia crocifiggere pur di rimanere<br />

fedele al suo progetto di amore e salvezza verso l’uomo. Oltre<br />

a ciò l’Islam, ha in sé una concezione più simile al monismo matematico<br />

che al monoteismo e perciò non è in grado di intravedere la


possibilità della Trinità. Per l’islam i cristiani credono in una trinità<br />

composta da Allha, da Maria sua compagna e da Gesù, loro figlio<br />

carnale. L’evento della crocifissione è negato anche perché l’Islam<br />

non concepisce l’essenza della natura di Dio come ricchezza di<br />

amore che si dona in vista di una comunione con Sé. Queste fondamentali<br />

note teologiche precludono all’Islam ogni possibile accettazione<br />

del mistero della croce e nello stesso tempo determinano la<br />

distanza teologica tra le due religioni. Da quanto detto fin d’ora scaturisce<br />

la prima doverosa precisazione e cioè che l’accezione religioni<br />

del libro sia da rigettare, in quanto, pur avendo esse un “libro”<br />

va rilevato come il contenuto teologico ed il ruolo del libro sia nelle<br />

tre religioni, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, ma molto diverso<br />

come diversissimo appare il volto del Dio rivelato nelle tre religioni<br />

ed in modo particolare nell’Islam. I due monoteismi infatti, ebraico-cristiano<br />

e islamico risultano profondamente distanti su molti<br />

punti essenziali che creano distanze abissali, che devono essere<br />

tenute presenti quando parliamo di religioni monoteiste, facendo<br />

riferimento alle tre citate, poiché conglobarle nel termine può dare il<br />

senso di tre amici o simili mentre non è affatto così.<br />

Sulla posizione teologica di J. Dupuis che riconosce nell’Islam<br />

una vera rivelazione e in Maometto un genuino profeta, va chiarito<br />

che al massimo qui si deve applicare il concetto di rivelazione<br />

naturale, ripresa con autorevolezza anche nelle Fides et ratio,<br />

che permette di riconoscere un bene nelle altre religioni e nello<br />

stesso tempo protegge dai rischi, quelle riflessioni che tendono<br />

a concedere ad ogni religione una valenza divina rivelativa e<br />

salvifica. Infatti le religioni naturali testimoniano il movimento<br />

dell’uomo verso Dio, mentre il cristianesimo è dato dal movimento<br />

di Dio verso l’uomo.<br />

3. La credibilità della rivelazione<br />

tra posizione islamica e cristiana<br />

Le lunghe puntualizzazioni sopra riportate erano necessarie al<br />

fine di introdurre il passaggio successivo, si tratta qui di un<br />

argomento che, per la gravità del suo contenuto, raramente è<br />

espresso chiaramente dalla teologia delle religioni, ma che nasce spontaneo<br />

quando si confrontano due posizioni contraddittorie, su un medesimo<br />

evento storico, e cioè la validità della verità religiosa.<br />

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bibliografiche<br />

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bibliografiche<br />

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192<br />

O Gesù è morto crocifisso, oppure no; non può esistere un tertium<br />

ad hoc, che tenda a salvaguardare parte di una verità e parte di<br />

un’altra. Il tema della verità dell’islam non può essere eluso, anche<br />

perché esso si presenta come la rivelazione che, dopo l’ebraismo e<br />

il cristianesimo, le autentica, le purifica e da loro compimento<br />

(Corano 5,48). Di fronte a ciò la teologia delle religioni non può non<br />

considerare seriamente la problematica relativa alla vera religione<br />

ed alla sua intrinseca credibilità. Anche lo studio relativo alla crocifissione<br />

di Gesù ed al suo senso rilancia tale tema e a sua volta ne<br />

solleva un altro altrettanto fondamentale: quello dei criteri di credibilità<br />

per la sua verifica razionale e ciò è inevitabile di fronte a due<br />

religioni che si presentano con la pretesa universalistica. Oltre al tertium<br />

ad hoc sopra citato, che certamente non regge dinnanzi alla<br />

verifica razionale, va fatto notare anche che la prova essenziale della<br />

missione profetica di Muhammad, il quale non compie miracoli, ma<br />

gli vengono poi attribuiti dalla tradizione posteriore 1 , è garantita dall’inimitabilità<br />

contenutistica e stilistica del testo sacro che attesterebbe<br />

l’incapacità umana a produrre qualcosa di simile. Dunque<br />

l’unico miracolo di Muhammad, che la tradizione dichiara analfabeta<br />

sarebbe quello di aver stilato il Corano quale parola divina assolutamente<br />

ineguagliabile.<br />

Se poi ci si chiedesse, come e a partire da quali premesse, quali<br />

motivazioni l’islam porti a sostegno del rifiuto della morte di Gesù<br />

in croce, dovremo concludere che essi si fondano esclusivamente su<br />

una posizione non tanto di fede ma fideista. Ma per una religione<br />

che avanza la pretesa salvifica universalistica, è sufficiente appoggiarsi<br />

in posizione fideista sulla parola del Corano?<br />

L’analisi della verifica della credibilità in seno al cristianesimo,<br />

che corrisponde alla storia della teologia cristiana, ha portato a<br />

distinguere tra criteri oggettivi (miracoli, profezie ecc.) e criteri soggettivi<br />

(con riferimento al soggetto credente). Se dunque l’inimitabilità<br />

del Corano è segno della sua fondatezza rivelativa, cosa<br />

dovremmo dire della croce di Gesù che la consapevolezza cristiana<br />

riconosce come scandalo per i giudei e ed anche per i musulmani e<br />

stoltezza per i pagani? Ma agli occhi di un teologo fondamentale<br />

non sfugge la considerazione che lo scandalo della croce evoca<br />

necessariamente la dimensione della credibilità della fede, in cui si<br />

1 Cfr. Corano, Sure 28,47-48; 29,51-52; 17,59.


gioca uno dei più convincenti motivi di credibilità, oggettivo ed<br />

intrinseco, dell’origine soprannaturale del cristianesimo. Se l’uomo<br />

e le religioni non riescono a comprendere come la morte possa essere<br />

fonte di vita e di amore, Dio ha scelto per rivelare il suo mistero<br />

di salvezza, proprio ciò che l’uomo non avrebbe mai potuto pensare.<br />

Egli sceglie non la sapienza delle parole ma la Parola della<br />

Sapienza, la croce, quale atto estremo del divino amore e che san<br />

Paolo pone come criterio di verità ed insieme di salvezza. E mentre<br />

l’islam nega la croce perché niente è più blasfemo di un Dio che ha<br />

un Figlio che muore sul patibolo, più la nega e più la rende credibile…<br />

la croce infatti è un evento assolutamente inatteso per la prospettiva<br />

ebraica e fuori da ogni concezione di fede pagana che si<br />

rende credibile solo attraverso una rivelazione in cui Dio stesso ne<br />

ha scritto il copione.<br />

Concludendo appare chiaro come l’islam all’analisi della credibilità<br />

della fede si presenti con degli evidenti buchi che lo rende difficilmente<br />

credibile. Alla fine possiamo dire con G.M. Salvati che<br />

solo la croce di Cristo apparendo credibile salva tutti e paradossalmente<br />

è proprio quella croce da molti negata che smonta e sconfigge<br />

tutti i tentativi non cristiani di giungere a Dio.<br />

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.<br />

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bibliografiche<br />

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bibliografiche<br />

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194<br />

1. Premessa<br />

TEOLOGICO (54)<br />

Per un dialogo etico tra le religioni<br />

all’ombra della croce,<br />

di Salvatore Privitera,<br />

in Coda P. – Crociata M. edd.,<br />

Il Crocifisso e le religioni,<br />

Città Nuova, Roma 2002,<br />

pp. 299-309.<br />

L’etica, che dovrebbe essere un oggetto privilegiato nel dialogo<br />

tra religioni, in realtà, a dire dell’A., è la grande<br />

assente, pur essendo un terreno ineliminabile nel dialogo<br />

interreligioso. Infatti, di fronte ad una qualsiasi divergenza etica, le<br />

diverse parti hanno sempre l’obbligo di confrontarsi per appurare la<br />

verità. Ma, ancora più assente, nel dialogo ecumenico fra le diverse<br />

culture, appare la croce, perché la tendenza attuale sembra essere<br />

quella di appianare le difficoltà, cercando di adattare la prospettiva<br />

etica alla situazione culturale piuttosto di conformare quest’ultima<br />

alle esigenze etiche. Va precisato, però, che con “croce” qui intendiamo<br />

non solo l’assunzione dell’evento finale della vita di Gesù,<br />

ma anche e soprattutto la dimensione del sacrificio, del rinnegamento<br />

di sé come veicoli indispensabili per la realizzazione della propria<br />

moralità. Così intesa, la dimensione staurica rende molto problematico<br />

il dialogo del cristianesimo, non solo con le altre culture e religioni,<br />

ma anche con la stessa cultura contemporanea. C’è da chiedersi,<br />

però, se nelle altre religioni, pur mancando l’evento storico<br />

della Croce di Gesù, manchi davvero anche la “croce” o non si tratti<br />

piuttosto di un modo diverso di impostare il discorso sulla “croce<br />

personale”.


2. La “croce” nell’etica cristiana<br />

L’immagine della via stretta accompagna la riflessione eticobiblica<br />

e tutta la vita della Chiesa, dal suo nascere fino ad<br />

oggi. Infatti, la “croce”, come evento che accompagna la vita<br />

terrena del credente è esperienza classica della spiritualità sia<br />

dell’Antico che del Nuovo Testamento, accomunando in qualche<br />

modo Giobbe e Paolo, il profeta ed il santo… perché, chi si pone alla<br />

sequela del Maestro non ha altra via, se non quella dell’imitazione<br />

di Cristo, ed il vivere moralmente significherà sempre il caricarsi<br />

sulle spalle la propria “croce”; al di là del modo di pensare della cultura<br />

contemporanea o delle altre religioni.<br />

3. La “croce” nell’etica qua talis<br />

La dimensione staurica è ineliminabile dall’etica, almeno<br />

finché con etica intendiamo l’assunzione del punto di vista<br />

dell’imparzialità 2 , poiché non si potrà mai avere tale<br />

assunzione e la tensione verso questo principio senza dover affrontare<br />

i sacrifici consequenziali.<br />

Appare chiaro che in ogni vita umana arriva il momento della<br />

scelta tra fare il male o subirlo, piccolo o grande che sia e quando si<br />

presenta tale condizione, chiunque voglia vivere secondo il principio<br />

morale dell’imparzialità, sarà chiamato più a subire che a compiere<br />

ingiustizia.<br />

Perciò, le religioni non cristiane non possano non conoscere la<br />

croce, come simbolo del sacrificio personale, a cui l’uomo morale deve<br />

sottoporsi nella sua tensione esistenziale verso l’imparzialità del bene.<br />

4. La “croce” nel dialogo tra le religioni<br />

Innanzitutto bisogna chiedersi se: ammessa la mancanza della<br />

Croce come evento storico, nella riflessione teologica di certe<br />

religioni, possiamo anche accettare automaticamente l’assenza<br />

della “croce”, intesa come condizione del soggetto morale che<br />

2 Per dirla con Socrate: “... se fossi costretto a scegliere, preferirei piuttosto<br />

patire che commettere ingiustizia”. Platone. Giorgia, 469c.<br />

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bibliografiche<br />

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bibliografiche<br />

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196<br />

tende verso la perfezione, nella sua riflessione etica? E che cosa è<br />

infatti, l’itinerario mistico delle religioni orientali se non un incamminarsi<br />

sulla via del dominio delle proprie reazioni emotivo-istintuali<br />

per giungere alla vera e piena serenità interiore?<br />

Diremo che è un cammino ascetico, eticamente orientato che si<br />

propone il superamento delle passioni, anche se non attraverso la<br />

lotta diretta, come nella cultura giudeo-cristiana, quanto piuttosto<br />

mediante la prevenzione e l’aggiramento. Ma non possiamo certamente<br />

dire che non sia eticamente orientato né che non conosca l’assunzione<br />

della dimensione della “croce” intesa come sacrificio e rinnegamento<br />

di sé. L’A. si rende conto delle difficoltà e dell’accurata<br />

analisi che si dovrà fare, prima di poter avviare un qualsiasi confronto<br />

fra la visione etica occidentale e quella orientale, ma si dice altrettanto<br />

convito della necessità di un tale confronto etico sulla dimensione<br />

della “croce” all’interno del dialogo tra le religioni. Un confronto<br />

ecumenico sulla dimensione staurica dell’etica è quanto mai<br />

necessario in quanto non possiamo pensare ad una religione senza<br />

etica, né tanto meno ad un etica senza “croce”.<br />

5. Progetto di un etica mondiale senza croce?<br />

Assistiamo già a diversi tentativi di dialogo tra religioni al<br />

fine di rielaborare un’etica a livello mondiale, ma la<br />

caratteristica di questi tentativi sembra essere il subdolo<br />

riduzionismo della prospettiva etica a ciò che di fatto costituisce una<br />

base da tutti condivisa. Ma se la prospettiva etica è quella che di<br />

fatto viene condivisa da tutti, significa che cambiando l’oggetto<br />

della condivisione, cambierà anche la prospettiva dell’etica. Così,<br />

nel progetto di un etica mondiale di Hans Küng o anche nella<br />

dichiarazione del parlamento delle religioni mondiali, la visione<br />

etica viene livellata a quelli che sono gli elementi fondamentali di<br />

qualsiasi prospettiva etica. Non è infatti, sul bonum faciendum et<br />

malum vitandum, né sul largo consenso che vanta questo principio<br />

che si potrà fare dei passi avanti per la ricerca etica nel dialogo ecumenico<br />

e fra le diverse religioni; ma piuttosto nell’affrontare le tante<br />

divergenze e nel risolvere i tanti problemi che si potrà trovare la via<br />

per l’elaborazione di un etica mondiale. Certamente, nel progetto di<br />

un etica mondiale non è direttamente presente la dimensione della<br />

croce, anche se il problema nasce nel momento stesso in cui la persona<br />

sceglie il principio di imparzialità.


6. Il riduzionismo staurico nell’etica contemporanea<br />

L’uomo di oggi non pensa tanto ad elevarsi fino a Dio,<br />

come ai tempi della Torre di Babele, ma pensa semplicemente<br />

di poterlo ridimensionare per condurlo maggiormente<br />

alla propria realtà. Così le religioni non sono più percepite<br />

come testimonianze della difficoltà dell’uomo di rappresentarsi Dio<br />

o della stessa difficoltà divina – per così dire – di rivelarsi all’uomo,<br />

ma piuttosto come modalità umane di riportare Dio entro la propria<br />

realtà. Anche la stessa teologia cattolica delle religioni, sotto tale<br />

influsso, a volte subisce la tentazione di ridimensionare l’unicità<br />

della stessa rivelazione. Così, anche la concezione dell’etica, filosofica<br />

e teologica, sotto un tale influsso rischia di non proporsi più<br />

come la ricerca di quella verità morale che sta sopra all’uomo, ma<br />

piuttosto come la costruzione umana di un quid che dipende solo<br />

dalle condizioni storico-culturali e geografico-ambientali in cui è<br />

stato creato o che condizionavano il suo creatore.<br />

Tutto questo rischia di ridurre la vita morale ad un puro atteggiamento<br />

interiore, staccato da un reale comportamento morale e quindi<br />

dalla fatica e dalla croce quotidiana, ma l’etica non è un semplice<br />

sentire, quanto piuttosto una spinta al bene operare. A tale<br />

proposito emblematica è la realtà della New Age, con il suo<br />

tentativo di appiattire le diversità, ammorbidendo le posizioni e<br />

livellando le asperità. Ma alla fine crea un unico calderone dove<br />

tutto si risolve sul piano del sentire personale più che su quello di un<br />

concreto agire morale corrispondente al sentire valoriale.<br />

7. Per un dialogo tra le religioni all’ombra della croce<br />

Per un vero dialogo tra le religioni s’impone la necessità di<br />

superare in etica il facile irenismo di cercare ciò che ci<br />

accomuna e ciò che già possiamo condividere, al fine di<br />

accettare la sfida del dialogo proprio su ciò che ci differenzia, e<br />

mossi dall’amore-ricerca della verità. Dovremmo sforzarci di cercare<br />

il perchè genetico ed argomentativo di certe diversità, per verificare<br />

se le proprie posizioni sono validamente fondate oppure no.<br />

Questo, però, presuppone una grandissima disponibilità a mettere in<br />

discussione il proprio modo di vedere le cose e di pensare, al fine di<br />

cercare sempre più la verità per poter aderire ad essa. Le divergen-<br />

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bibliografiche<br />

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bibliografiche<br />

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ze etiche, come quelle di tipo religioso, vanno profondamente analizzate,<br />

confrontate ed approfondite, poiché non può mai risultare<br />

vero in campo morale che due modi di pensare o di agire tra loro<br />

contraddittori, possano risultare contemporaneamente veri.<br />

Nel dialogo fra le diverse religioni è necessario un atteggiamento<br />

di totale imparzialità come piena disponibilità a rinunciare a ciò<br />

che si pensa nel caso in cui dovesse risultare falso, ed accettare ciò<br />

che dopo accurata riflessione dovesse risultare vero. Nel momento<br />

in cui, per la fede cristiana, ed anche per al rivelazione biblica, la<br />

croce assume una dimensione di fondamentale importanza, il cristiano<br />

si trova di fronte all’obbligo morale di sapere quello che è nelle<br />

sue facoltà intellettive di conoscere questo mistero, mentre il non<br />

cristiano avrà la necessita di confrontarsi con chi in questo mistero<br />

crede e vive, al fine di verificare le proprie posizioni. Se infatti, il<br />

fatto storico della croce non è un’invenzione dei vangeli, come noi<br />

crediamo, non possiamo fare a meno di cercare di capirne il significato,<br />

di spiegarlo e di dimostrarlo, almeno fin dove è possibile farlo.<br />

Le diverse religioni hanno quindi il dovere morale di dialogare,<br />

confrontandosi proprio sui contenuti teologici che le diversifica,<br />

come non potranno eludere dal loro dialogo quei contenuti etici tra<br />

loro più divergenti, confluiti in esse nel tempo attraverso la dimensione<br />

socio culturale.<br />

Se dunque l’evento “croce” risulta un evento specifico, realmente<br />

verificatosi nella fede cristiana, è nostro dovere il verificarne ed<br />

approfondirne la conoscenza attraverso il confronto dialogico con le<br />

altre religioni e con le varie culture e con la stessa cultura contemporanea,<br />

al fine di poterne presentare le caratteristiche specifiche, e<br />

ciò non per ridimensionare l’evento e la fede, ma piuttosto per permettere<br />

a chiunque, da qualunque punto di vista si collochi, un sereno<br />

incontro con l’evento “croce” e con il suo messaggio teologico<br />

ed etico.<br />

Fr. maximus a S.R.P. Cp.


PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE<br />

CATTEDRA GLORIA CRUCIS<br />

PRODUZIONE SCIENTIFICA<br />

DELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS<br />

AA.VV. Memoria <strong>Passio</strong>nis in Stanislas Breton, Edizioni<br />

Staurós, S. Gabriele Teramo, 2004.<br />

PIERO CODA Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni<br />

Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.<br />

LUIS DIEZ MERINO, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della <strong>Passio</strong>ne,<br />

Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre<br />

2004.<br />

MARIO COLLU, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,<br />

Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre<br />

2004.<br />

TITO DI STEFANO, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />

Teramo, dicembre 2004.<br />

CARLO CHENIS, SDB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />

Teramo, gennaio 2004.<br />

ANGELA MARIA LUPO, CP La Croce di Cristo segno definitivo<br />

FERNANDO TACCONE, CP (ed.)<br />

dell’Alleanza tra Dio e l’Uomo, Edizioni<br />

Staurós, S. Gabriele Teramo, febbraio 2004.<br />

Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, Edizioni<br />

OCD, Roma Morena, 2006.<br />

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto del<br />

Crocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.<br />

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, Roma<br />

Morena, 2008.<br />

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli,<br />

Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.<br />

L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passiochristi.org<br />

alla voce Cattedra Gloria Crucis.<br />

La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voce<br />

Sapienza della Croce.

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