RTAntis - Artantis.info

Da vedere.Viste 

le mostre in Italia 

A 

BIMESTRALE D’ARTE 5 

Un’Altra Storia. Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero 

Christo e Jeanne-Claude 

Maurizio Bottoni 

Alessio Vaccari 

Profili 

Hsiao Chin 

Antonella Mazzoni 

www.artantis.info 

RT Antis 

i n f o 

settembre ottobre duemilaundici distribuzione gratuita 

In copertina 

Achille Perilli

RENATO LIPARI 

Fondamenta S. Biagio 795 

Giudecca 30133 Venezia 

Tel 041.7241182 - 340.8798327 Fax 041.989614 

www.giudecca795.it 

Tre emersioni, 2011 

euro triturati su tela 

cm 50x50 

MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA 

CASTEL DELL’ARTE 

NAPOLI CASTEL DELL’OVO 

Emilia ALBANI 

David AMBROSIO 

Beatrice APPIERTO 

Barbara ARIOTA 

Aurora BAIANO 

Rossana BARTOLOZZI 

Raffaella BELTRAMI 

Luisa BERGAMINI 

Alfonso CACCAVALE 

Luciano CAMPITELLI 

Mira CANCELLI 

Gisele CARNEIRO (GICA) 

Giuseppe CASCELLA 

Elisa CASERINI 

Carmine CERBERA 

Carla COLOMBO 

Maya CONLEY 

Maria Grazia CONTE 

Vittorio CONTRADA 

Anna CRISTINA 

Mara D’ANGIOLO 

Lisbeth DAL POZZO D’ANNONE 

Maurizia D’IPPOLITO 

Antonio DE CHIARA 

Daniela DUMBRAVA 

Antonella ESPOSITO 

Salvatore FELLINO 

Francesco FILIPPELLI 

5 - 20 NOVEMBRE 2011 

INAUGURAZIONE 

SABATO 5 NOVEMBRE DALLE 16,30 ALLE 19,00 

Francesco FISCARDI 

Amelia GALLO 

Stelvio GAMBARDELLA 

Gianfranco GARGIVOLO 

Anna GATTO 

Marina GATTO 

Andrea GELICI 

Gianni GRASSO 

Maria Franca GRISOLIA 

Valerio IERMANO 

Angelo IULIANO 

Sara LOVARI 

Ornella LUONGO 

Immacolata MADDALUNO 

Maria Grazia MANCINO 

Teresa MARASCHI PILOTTI 

Nello MARSILIO 

Antonella MASON 

Cinzia MASTROPAOLO 

Nunzio MEO 

Enrica MIGLIOLI 

Wilma MILONE 

Maurizio MUSCETTOLA 

Daria MUSSO 

Babbo NATALE 

Luigi PACIFICO 

Massimo PACILIO 

Filomena PAGNANI 

ORARI LUNEDI’ / VENERDI’ ORE 10,00 - 17,30 

SABATO / DOMENICA ORE 10,00 - 13,00 

Francesca PANICO 

Gustavo POZZO 

Francesca PROTO 

Nanda RAGO 

Eugenio RATTA’ 

Salvatore RICCI 

Angela ROSINI 

Rita RUSSO 

Fulgen SABATIER 

Nazarena SACCONE 

Donatella SALADINO 

Lucia SANDRONI 

Alfredo SANSONE 

Lenci SARTORELLI 

Angela SARZANA 

Agostino SAVIANO 

Anita SCOLA 

Anna SEPE 

Vera SERI 

Arpinè SEVAGIAN 

Elia SEVERINO 

Imma SICUREZZA 

Franco SPACCIA (FRANCO’S) 

Giusto SUCATO 

Ada VALISENA 

Gino VENERUSO 

Rachele VERROCA (VERA) 

Silvia ZACCAGNINI 

Comune di Napoli 

EVENTI COLLATERALI 

ARTE E MODA FASHION DESIGNER / ANGELA GRECO 

VALERIO IERMANO PRESENTA “ARTE E SOLIDARIETA’” 

DOMENICO SEPE SCULTORE 

PRESENTAZIONE 

GIANFRANCO LABROSCIANO 

CRITICO D’ARTE 

DOMENICO RAIO 

GIORNALISTA 

INTERVENTI 

GIUSEPPINA TOMMASIELLI 

ASSESSORATO ALLO SPORT E ALLE POLITICHE GIOVANILI 

DOMENICO PALMIERI 

CONSIGLIERE COMUNALE, COMUNE DI NAPOLI 

organizzazione 

A 

RT Antis 

BIMESTRALE D’ARTE 


i n f o

A 

BIMESTRALE D’ARTE 5 

settembre ottobre duemilaundici 

Artantis.info 

Bimestrale d’arte 


info@artantis.info 

Direttore responsabile 

Beniamino Daniele 

Direttore artistico 

Vincenzo Silvano 

vincenzo@artantis.info 

Hanno collaborato a questo numero 

Nathalie Celen 

Martha Mary Friel 

Graziella Melania Geraci 

Giovanna Grossato 

Araxi Ipekjian 

Gianfranco Labrosciano 

Oswaldo Ignacio Ramirez 

Enrico Maria Sestante 


Paolo Tricase 

Emilia Valenza 

Luis Alej Valleio 

Giuseppe Viviano 

Progetto grafico e impaginazione 

www.zeroottounografica.it, Napoli 

artantis@zeroottounografica.it 

Editore 

Artantis.Associazione Culturale, Napoli 

www.associazioneartantis.org 

Stampa 

Officine Grafiche 

Francesco Giannini & Figli S.p.a, Napoli 

La collaborazione ad Artantis.info è da considerasi del tutto gratuita 

e non retribuita. In nessun caso si garantiscono la restituzione dei 

materiali giunti in redazione. Gli scritti pubblicati impegnano solo la 

responsabilità dell’autore. Senza preventiva autorizzazione è vietata 

ogni riproduzione integrale e parziale di testi ed immagini. 

Anno 2, Numero 5. Registrazione: Tribunale di Napoli 

© 2011 Artantis.Associazione Culturale, Napoli 


RT Antis 

i n f o 

EDITORIALE 

Zero, uno, due, tre, quattro, cinque ... Da un anno il bimestrale 

Artantis.info sfida le difficoltà che il mondo 

dell’arte (e non solo!) attraversa, nella convinzione che 

la cultura è l’unico riscatto possibile. Tantopiù in una 

nazione come la nostra che di arte dovrebbe vivere e 

nutrirsi. Ancora una volta dunque, il nostro interesse e il 

nostro sguardo, si orienta alla scoperta di mostre e artisti, 

libri e fatti d’arte. In questo numero rendiamo omaggio 

ad uno dei più grandi artisti italiani, maestro indiscusso 

dell’astrazione: Achille Perilli. Ed è per noi un onore che 

questo numero venga presentato in occasione di una 

sua importante mostra presso la Galleria Caffè Guerbois 

di Palermo, da tempo nostro sponsor e spalla in eventi 

espositivi ed editoriali. Come sempre, poi, Artantis.info 

dedica ad artisti di significativo interesse, profili di approfondimento 

che svelano il lavoro che è genesi di ogni 

opera. Da questo numero si segnala una importante e 

coraggiosa novità: una serie di interventi, svolti da giovanissimi 

e promettenti critici d’arte, che dicono la loro 

su alcuni “accadimenti” artistici. Un modo per aprire sinceri 

dibattiti con un pizzico di sana provocazione. Infine, 

come sempre, la vetrina degli artisti propone l’interessante 

lavoro degli ormai numerosissimi amici di Artantis. 

info, che non finiremo mai di ringraziare per il loro affettuoso 

supporto. 

Artantis.Associazione Culturale 


In copertina 

Achille Perilli 

Senza titolo, 1970 

acrilico su tela, cm 100x81 

courtesy Galleria Caffè Guerbois, Palermo 

Mostre 

a cura di AgendArte Studio.it 

www.agendartestudio.it 

4 

Pino Manzella 

Acquerelli dei conti che non tornano 

di Giuseppe Viviano 

11 

SelfMedia: il KitPaz 

Pazienza antesignano del medialismo 

di Luis Alej Valleio 

18 

Biblioteca del mercato 

A cosa serve Michelangelo? 

di Marta Mary Friel 

28 

Christo e Jeanne Claude 

Collezione Würth 

di Emilia Valenza 

6 

Un’Altra Storia 

Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero 

di Enrico Maria Sestante 

12 

In copertina 


di Gianfranco Labrosciano 

20 

Il dono dell’anafilosofia 

e il riconoscimento della Natura/Cultura 

di Oswaldo Ignacio Ramirez 

29 


Opere 1974-2011 

di Giovanna Grossato 

8 

La Galleria Caffè Guerbois 

Palermo 

di Graziella Melania Geraci 

15 


I paradossi mediali della pittura 

di Nathalie Celen 

22 


Galleria Ghelfi, Vincenza 


10 

Guida S“ragionata” della Biennale di Venezia 

Il Paese dei Balocchi dell’arte contemporanea 


16 

Profili 

Hsiao Chin 


26 

Artisti 

in vetrina 

Artantis.Associazione Culturale 

33 

Primo Piano 

Patricia Del Monaco 

di Paolo Tricase 

36 

Primo Piano 

Arpinè Sevagian 

di Araxi Ipekjian 

38 

SOMMARIO 

ARTA ntis.info 

3

ARTA ntis.info MOSTRE 

4 

a cura di AgendArte Studio.it 

www.agendartestudio.it 

BOLOGNA 

Arte Povera 

1968 

MAMbo - Museo d’Arte Moderna 

Via Don Minzoni, 14 

Fino al 26 dicembre 2011 

CASERTA 

1961 - 2011 

Cinquant’ anni d’arte in Italia 

Reggia di Caserta 

Viale Giulio Douhet 

fino al 13 novembre 2011 

FERRARA 

Gli anni folli. 1918-1933 

La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí 

Palazzo dei Diamanti 

Corso Ercole I d’Este, 21 

Fino all’8 gennaio 2012 

GENOVA 

Van Gogh 

e il viaggio di Gauguin 

Palazzo Ducale 

Piazza Matteotti, 9 

Fino al 15 aprile 2012 

MAMIANO DI TRAVERSETOLO (PR) 

Toulouse-Lautrec 

e la Parigi della Belle Époque 

Fondazione Magnani Rocca 

via Fondazione Magnani Rocca, 4 

Fino all’11 dicembre 2011 

| Henri de Toulouse-Lautrec 

MARSALA 

Ugo Attardi 

L’erede selvaggio. Opere 1944 - 2001 

Convento del Carmine-Pinacoteca Civica 

Piazza Carmine, 1 

Fino al 15 gennaio 2012 

| Ugo Attardi 

MILANO 

O’Clock 

Design del tempo, tempo del design 

Triennale Design Museum 

viale Alemagna 6 


NAPOLI 

Dèi 

Dèi 

MADRE Museo d’Arte Cont. Donna Regina 

Via Settembrini, 79 

Fino all’8 novembre 2011 

PALERMO 

Sotto quale cielo 

Sotto quale cielo 

RISO - Museo d’Arte Cont. della Sicilia 

Corso Vittorio Emanuele, 365 

Fino al 30 ottobre 2011 

PADOVA 

Il Simbolismo 

in Italia 

Fondazione Bano 

Via degli Zabarella, 14 

Fino al 12 febbraio 2012 

PASSARIANO DI CODROIPO (UD) 

Espressionismo 

Espressionismo 

Villa Manin 

Via di Passariano di Codroipo 

Fino al 4 marzo 2012 

| Amedeo Modigliani 

PESCARA 

Modigliani 

e il suo tempo 

Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna 

Via Gramsci, 1 

Fino al 20 novembre 2011 

ROMA 

Realismi Socialisti 

Grande pittura sovietica 1920-1970 

Palazzo delle Esposizioni 

Via Nazionale, 194 


ROVERETO 

Gino Severini 

1883-1966 

MART 

Piazza della Portela, 1 


VENEZIA 

Pier Paolo Calzolari 

Opere 

Cà Pesaro 

Santa Croce, 2076 

Fino al 30 ottobre 2011

DA VEDERE 


6 


Collezione Würth 

Christo e 

Jeanne Claude 

Occultare per esaltare, nascondere alla vista per stimolare 

la ricerca di una nuova identità, per suscitare una diversa 

percezione della forma e della natura: per Christo e Jeanne 

Claude “l’impacchettamento” non è mai servito a sottolineare 

l’entità di un oggetto o di un luogo negandone 

la vista, ma ha avuto il senso di “un’azione” compiuta per 

rintracciare nuove coordinate architettoniche, per ragionare 

intorno ad una “rifunzionalizzazione” della natura, per 

attribuire alle cose un significato alternativo a quello comune 

o trovare l’intima forma inespressa. La mostra “Christo 

e Jeanne Claude - Opere della Collezione Würth” a cura 

di Sylvia Weber, Direttrice del Museo Würth di Künzelsau, 

inaugurata lo scorso 7 luglio a Palazzo dei Normanni e in 

corso fino al prossimo 8 gennaio 2012, accoglie uno spaccato 

esauriente delle opere realizzate dai due artisti in oltre 

mezzo secolo di attività. Della collezione, che annovera 

oltre 100 lavori dei due artisti, troviamo in mostra oggetti 

impacchettati, fotografie, progetti e superbi disegni, testimonianze 

di una ricerca svolta all’insegna dello studio, 

dell’analisi, dell’indagine accurata dei luoghi dove intervenire 

e dei materiali usati. Ancora una volta Il mecenate e 

collezionista Würth porta a Palermo la storia del linguaggio 

contemporaneo, consentendo al pubblico siciliano un appuntamento 

con un artista singolare, creatore di interventi 

in tutto il mondo di assoluta pregnanza visiva, concettuale 

e formale. L’assenza di Jeanne, morta nel 2009, si avverte 

perché Christo è da solo a parlare dell’intero lavoro; per il 

resto lei è presente in ogni affermazione, in ogni ricordo, 

nelle fotografie che testimoniano i rilevamenti, gli studi, la 

mappatura dei luoghi. L’artista bulgaro parla sempre al 

plurale e Jeanne si ridisegna come una protagonista irrinunciabile 

dell’intero percorso. Era il 27 giugno del 1962, 

quando Christo, senza alcun permesso ufficiale, ostruisce 

rue Visconti a Parigi con duecentoquattro bidoni di benzina, 

accatastati a formare un muro invalicabile, un interven- 

Pavimenti e scale impacchettati e finestre coperte, 

progetto per il Museum Würth, Germania 1994 

disegno in due parti: matita, carboncino, gessetto, carta da pacchi marrone, 

fotografie di Wolfgang Volz, dati tecnici e nastro adesivo 

Collezione Würth, Inv. 2231, © 2011 Christo 

nella pagina a fianco 

Parlamento tedesco impacchettato, progetto per Berlino 1993 

disegno in due parti: matita, carboncino, gessetto e dati tecnici 

Collezione Würth, Inv. 2231, © 2011 Christo 

to urbano provocatorio che riconduceva alla costruzione 

del muro di Berlino, avvenuta l’anno precedente e, all’interno 

della poetica del Nouveau Réalisme, si inquadrava 

nell’idea di un “nuovo umanesimo industriale”. Ma la chiusura 

della strada significava anche dare forma al vuoto, 

con lo stesso principio con cui Yves Klein, amico di Christo 

a Parigi, aveva ragionato intorno allo spazio vuoto alla galleria 

Le Clerc. Gli interventi della coppia si sono susseguiti 

in tutte le parti del mondo dando voce a quelle istanze 

artistiche di riprogettazione dello spazio utilizzando tanto il 

paesaggio quanto le architetture, sempre con l’obiettivo 

di determinare la visione di una nuova realtà. Grandi opere 

sono rimaste nella memoria dei luoghi: del 1969 è “Wrapped 

Coast”, l’impacchettamento della Little Bay di Sidney; 

del 1972 è “Valley Curtain”, un telone arancione di 72.000 

metri quadrati in una valle del Colorado; “Running Fence” 

fu montata nel 1976 in California: un interminabile nastro 

bianco che, come notò lo stesso Christo, aveva dato forma 

al vento. E ancora: “Surrounded Islands” del 1982 in Flo- 

rida, ”The Umbrellas” - 1991 - in Giappone e Stati Uniti, “The 

Gates” 1992 - 2005 a New York, “Wrapped Pont Neuf” 1985, 

“Wrapped Reichstag” 1971-1995. Due mastodontici progetti 

sono in fase di realizzazione: “Il mastaba” un’enorme 

piramide tagliata, realizzata con barili di olio, per gli Emirati 

Arabi e “Over the river”, un lunghissimo telone, stesso lungo 

una fetta del fiume Arkansas in Colorado. Le colossali 

opere di Christo hanno sempre comportato un intervento 

finanziario colossale (l’artista sottolinea come le sue opere 

sono auto sorrette dal punto di vista economico, con la 

vendita dei progetti, dei disegni, dei modelli in scala) e faldoni 

di carte relative ai permessi per operare sui luoghi, non 

omettendo le difficoltà e gli ostacoli che spesso sono giunti 

da parte delle amministrazioni coinvolte nelle azioni. Due 

aspetti che rendono ancora più complesso il ragionamento 

intorno all’arte ambientale, alla sua funzione e alla sua 

fruizione. I progetti esposti nella mostra, composti da una 

pianta topografica, fotografie aeree e disegno del risultato 

finale dell’intervento, descrivono esattamente le modalità 

ideative e progettuali dei lavori. Ogni opera è il frutto di un 

contatto intimo con la natura del luogo, secondo un’idea 

dell’arte che diventa anch’essa sistema ecologico, dove 

la fisionomia dello spazio da un lato e la reazione dell’uomo, 

inteso in chiave antropologica, diventano le chiavi di 

accesso alla creazione artistica. 

fino all’8 gennaio 2012 

Palazzo dei Normanni 

Piazza Indipendenza - 90129 Palermo 


7

DA VEDERE 


8 



opere 1974-2011 

Asiago Museo delle Carceri 

Saper dipingere il vero nella flagranza del suo darsi 

all’occhio è un’abilità ammirata fin dall’antichità, come 

ci tramanda l’aneddoto dei due pittori greci rivali, nel V 

secolo a.C., Parrasio e Zeusi che decisero di disputarsi 

il primato di abilità con una gara. Uno dipinse dell’uva 

matura con tale realismo che alcuni uccelli, ingannati 

dall’immagine, tentarono di beccarne gli acini; l’altro 

però, quando gli venne richiesto di togliere il drappo 

che nascondeva la propria opera, dichiarò che proprio 

il drappo costituiva l’opera da lui dipinta aggiudicandosi 

così la vittoria per aver saputo ingannare l’attenta 

giuria con la finezza della sua esecuzione. Poi, molti 

secoli più tardi, vennero alcuni straordinari maestri del 

‘600: italiani, come Caravaggio o Evaristo Baschenis 

ma anche spagnoli come Francisco Zurbaràn o tedeschi 

come Dürer, fiamminghi e soprattutto olandesi che, 

con la loro pittura di realtà, fecero del XVII secolo un 

“secolo d’oro”. Maurizio Bottoni con il suo moderno 

“realismo radicale” dalla tecnica perfetta, ottenuta in 

anni di studio non solo dello stile ma anche delle pratiche 

dei maestri antichi, compie un analogo percorso 

di sapienza pittorica, utilizzando strategie esecutive e 

conoscenze scientifiche che vanno dal comportamento 

dei pigmenti, alla prospettiva, all’ottica, alla chimica. 

Naturalmente “l’idea di artisticità” non può risiedere solo 

in questo, che non è comunque poco. La presenza di 

un’ironia sottile, di una retrospezione classica interpretata 

con sensibilità contemporanea sono anche parte del 

fascino e dell’originalità dell’opera di Maurizio Bottoni. 

Con la sua poesia estetica egli sembra pronunciare la 

parola definitiva sull’antica ed irrisolta diatriba aperta 

nel campo dell’arte tra reale e apparenza del reale. La 

filosofia, la storia, la letteratura sciolgono ciascuna con i 

propri mezzi e linguaggi questa dualità; attraverso i suoi 

dipinti Bottoni, pur riaffermando la diversità tra ciò che 

esiste veramente e la sua apparenza, lascia tuttavia un 

piccolo margine al dubbio, uno spazio sottile e lancinante 

di lucida, irridente follia. Sulla natura magistralmente 

rappresentata l’artista si diverte ad intervenire sconvolgendo 

talora il gioco dei ruoli vero/falso (=dipinto) e far 

scoprire l’inganno dell’occhio. Come in certa letteratura 

realista interviene nella narrazione la presenza implicita 

del giudizio o del registro linguistico dell’autore. Un’etichetta 

apposta sopra il ritratto perfetto di una mucca 

Piatto con aringhe 2004 

olio su tavola incamottata, cm 36x45 

Uccellini nell’erba 1986-1987 

tempera su pergamena, cm 24x29,5 

Interno di bosco con figure e rovine 1996 


Grande mucca 2001-2002 


recita: “cosi volevo essere ritratta: le tette gonfie di latte 

e il mio peso specifico”; mentre la natura morta “Piatto 

con aringhe”, di un realismo trompe l’oeil, reca un simile 

cartiglio, con la data: “domenica 1 maggio 1950”, scritto 

a macchina che doppiamente insiste sulla vanitas 

del tempo costruita sul gap tra l’era pre e post tecnologica. 

Così gli “Uccellini nell’erba”, una tempera su pergamena 

del 1986/87, citazione dalla “Grande zolla” di 

Dürer, però vista dall’alto, a volo d’uccello, sintetizza con 

un ossimoro la fragile vita dei piccoli volatili. “Interno di 

bosco con figura e rovine”, un olio su tavola del 1996, 

combina invece il tema romantico/pittoresco del bosco 

con la presenza irridente di un uomo che approfitta della 

sublime solitudine bucolica per espletare i propri bisogni 

corporali. Nato a Milano nel 1950, Bottoni si era avvicinato 

da giovanissimo alla pittura e fondamentale fu per 

lui l’incontro con l’opera di Giorgio de Chirico che lo indusse 

approfondire non solo la storia dell’arte attraverso 

le opere dei maestri, ma anche i trattati relativi alle 

pratiche pittoriche e alla preparazione artigianale dei 

materiali. Tra le preferite la pittura a tempera o ad olio su 

tavola e su pergamena. Anche l’incisione offre a Bottoni 

un campo d’indagine di grande interesse, specialmente 

l’acquaforte e il bulino dei quali cura personalmente la 

stampa di prove e tirature nel proprio studio milanese. 

Per la prima volta in Italia una sua importante antologica, 

“Maurizio Bottoni. Opere 1974-2011”, a cura di Alberto 

Buffetti e Nino Sindoni, ha corso fino al 9 ottobre ad Asiago 

(VI) al Museo delle Carceri. Vi si trovano esposte 80 

opere tra oli, tempere, disegni ed alcune incisioni a bulino. 

fino al 9 ottobre 

Museo delle Carceri 

Via Benedetto Cairoli, 13 - 36012 Asiago (VI)

VISTE 


10 


Galleria Ghelfi Vicenza 


Si è protratta con successo fino alla fine di agosto presso la 

Galleria Ghelfi di Vicenza la bella mostra di Alessio Vaccari, 

giovane artista pisano (1977) formatosi all’Accademia di 

Belle Arti di Roma ed ora notevolmente affermato a livello 

nazionale. Già nel 2000 Vaccari viene selezionato al Premio 

Arte Mondadori e nel 2010 allestisce con suoi dipinti una sala 

nel Centro per l’Arte “Diego Martelli” di Castiglioncello in occasione 

della mostra “Coincidenze allievo/maestro”. Sempre 

al 2007 risale la personale “Intime Armonie” presso la 

Galleria le Opere di Roma e l’avvio di un’attività espositiva 

piuttosto intensa, soprattutto presso la Gagliardi Gallery, una 

delle più antiche gallerie londinesi per l’arte contemporanea. 

Dotato di una grande sensibilità per gli elementi formali 

e di una straordinaria capacità di tradurre sulla tela il mondo 

circostante, Vaccari ne cristallizza l’attimo in una sorta di reportage 

fotografico che fissa gli aspetti vitali più caratterizzanti 

di persone e cose. La sua pittura, soffusa di atmosfere 

rarefatte e senza tempo, immette in una situazione oggettiva 

costruita però secondo canoni ideali, assimilabili a quelli 

che dal primo Rinascimento, soprattutto da Piero della Francesca, 

attraversando il realismo europeo secentesco, giungono 

alla metà dell’Ottocento fino a Georges Seurat e, nel 

Novecento, a Balthus. Schematizzando s’intende - e tuttavia 

con poche differenze di metodo rispetto a quegli autori 

“classici” -, anche la classicità di Vaccari mira ad individuare 

la purezza delle linee e delle forme geometriche insite nella 

comune quotidianità, organizzandole nella tela secondo un 

valore assoluto del tempo. Si crea così una sorta di gabbia 

entro la quale gli elementi naturali, semplificati e mondati 

dagli accessori occasionali o irrilevanti di persone e cose, 

rimangono fissati in un assoluto spazio-temporale denso di 

atmosfere quanto sottilmente inquietante. E’- una successione 

di istanti che vengono intrappolati, o meglio, convinti 

con la seduzione della pittura a rimanere per sempre dentro 

il quadro, assecondando la composizione e spezzando 

volontariamente la relazione con quella realtà che sembra 

a tutti gli effetti essere protagonista della rappresentazione. 

Alessio Vaccari attua quello che Federico Fellini definirebbe 

“quell’universo di segni in cui si concentra la memoria pittorica” 

secondo modalità ricche di un’energia intensa che 

utilizzano un linguaggio attuale, confutando sia certi “ritorni” 

contemporanei al figurativo, sia cert’altri atteggiamenti di 

reazione nei confronti del linguaggio astratto degli anni Ottanta. 

E’ lo stesso artista a dichiarare il suo metodo di lavoro 

e di pensiero con precisa scansione dei percorsi attraverso 

i quali vi è giunto: “La mia ricerca - scrive - è fondata su 

Crocefissione 2009 

olio su tavola, cm 56x35x1 

un’attenta osservazione del veduto. Dopo anni di studio e 

confronto con la tradizione, ho scelto come mezzo espressivo 

prediletto il disegno e la pittura ad olio, impiegati con 

una tecnica attenta e lenta nella ricostruzione della trama 

luministica delle “cose” osservate. I soggetti sui quali concentro 

l’attenzione sono il ritratto e soprattutto gli spazi del 

mio studio, assieme agli oggetti che lo abitano.” Un universo 

privato solo apparentemente circoscritto, ma che in realtà 

spazia nell’esperienza e nella memoria del mondo riconosciuto 

e rappresentato non solo come l’artista lo vede e ma 

anche e soprattutto come egli sa che è. Oltre alla ventina 

di “interni” e ritratti, non mancano poi nella mostra alla Galleria 

Ghelfi alcuni paesaggi costruiti con lo stesso puntiglioso 

impegno ma, ovviamente, con una maggiore e diversa 

estensione spaziale, in cui l’orizzonte vaporizza i confini tra le 

colline, i boschi, il cielo e l’acqua. 

Nero su nero 2006 

china acquarellata su documento originale del XIX secolo, cm 30x42 

Visitare una mostra di opere in una pinacoteca, un museo, 

uno spazio dedicato, è alquanto ovvio e naturale. Ma gli spazi 

espositivi propriamente detti, quelli dei centri istituzionali e delle 

gallerie d’arte, non sono sempre facilmente accessibili al grande 

pubblico; così sempre più spesso accade di imbattersi in 

iniziative espositive nei luoghi più impensati, per le vie e per le 

piazze, in pub e caffè letterari, librerie, sale congressi, strutture 

ricettive, e perfino stazioni e aeroporti che, seppure luoghi di 

transito o “nonluoghi”, hanno il vantaggio di essere frequentati 

da una grande moltitudine di persone. Non estraneo a esposizioni 

in gallerie d’arte e siti istituzionali, il percorso espositivo di 

Pino Manzella lo scorso agosto è approdato al Tus’Hotel, nella 

ridente località marinara della costa messinese, Tusa, con “Acquerelli 

dei conti che non tornano”, una panoramica significativa 

di opere realizzate in un trentennio di attività pittorica. 

Venti opere tratte dai principali cicli tematici, dagli “Alberi” agli 

“Scrittori”, o realizzate in occasione di mostre a tema, tracciano 

le linee guida di un discorso artistico coerente da cui emerge 

una cifra stilistica originale, facilmente riconoscibile, che si 

manifesta attraverso un personale codice espressivo di segni e 

simboli, tracce e cromie, sapientemente disposti e giustapposti 

su supporti informali. Pino Manzella è un artista dal tratto elegante, 

raffinato, socialmente impegnato. La sua è una pittura 

colta, simbolica, allusiva, mai fine a se stessa, spesso di denuncia, 

che racconta sommessamente per analogie e metafore, 

o lascia intuire verità scomode che le coscienze perbeniste 

rinnegano. Una pittura acquosa, di velature a tinte tenui, attraverso 

cui i concetti e le emozioni si materializzano in cose e persone, 

animali e paesaggi: alberi, farfalle, libri, limoni, serpenti, 

rinoceronti, poeti, scrittori. Leggendo tra le tinte pastello e le 

righe sbiadite si possono rintracciare suggestioni letterarie che 

il pittore desume dalle pagine dei suoi autori preferiti, anzitutto 

quelli che hanno fatto grande la Sicilia, Sciascia e Giovanni 

Meli, Consolo Pirandello Camilleri ... , ma anche Borges, Picasso 

e molti altri. Un giardino con un grande ficus e uno scorcio 

marino con la torre Molinazzo (località del comune di Cinisi, in 

provincia di Palermo, dove l’artista vive ed opera). Il giallo dei 

limoni roso da muffe verdognole e il monte Pecoraro (anch’esso 

a Cinisi) nelle sembianze di un bassotto in quella che si appalesa 

come una trasposizione figurativa di un’impressione del 

critico d’arte Francesco Carbone. Un omaggio a Guttuso e un 

riferimento a Dϋrer. Una pittura preziosa, ricercata nel segno, 

nel simbolo, nel concetto, e anche nel supporto. Perché Pino 

Manzella non stende i suoi colori su supporti convenzionali, tele 

o tavole, non si accontenta di semplici fogli di carta tirati in 

Acquerelli dei conti che non tornano 

Pino Manzella 

di Giuseppe Viviano 

serie. Le sue opere sono, con un’espressione dell’artista, “chine 

acquerellate”, ossia dipinti su documenti originali del XVII, XVIII 

e XIX secolo, fortunosamente recuperati e adoperati come 

supporto materico del racconto pittorico e talvolta anche 

come spunto creativo o come appiglio figurativo al quale associare 

il contenuto del dipinto. Forte dell’esperienza maturata 

negli anni, lente di ingrandimento alla mano, il pittore si trasforma 

in studioso, veste i panni del filologo, ricerca alla maniera 

di un archeologo, legge i reperti cartacei ingialliti, tarlati, dai 

margini sdruciti, mantiene ed esalta i segni del tempo, le imperfezioni 

casuali dell’incuria, interpreta le grafie approssimative 

di “carte” comuni come i tratti eleganti di atti ufficiali nobilitati 

da bolli, stemmi e sigle svolazzanti, lasciandosi suggestionare 

dal sottile filo di china nera tracciato a mano nei secoli passati, 

una frase, un inciso, un appunto a margine, da cui talvolta 

origina l’intervento pittorico. Manzella comunica messaggi attuali, 

contemporanei, spesso facendosi interprete di un sentimento 

collettivo, e lo fa guardando al passato, alla piccola 

storia, alla realtà quotidiana, avvalendosi di materiali della cultura 

umana che, rivisitati attraverso l’intervento creativo nello 

stile dei ready-made, divengono opere d’arte. L’impiego degli 

acquerelli, anche quando l’artista ricorre alla tecnica del 

collage, è una scelta operativa che consente al contenuto 

originale dei documenti di affiorare in un gioco di velature e 

trasparenze in cui il passato rivive in una dimensione altra e 

si propone come memoria del presente. Il risultato è un prodotto 

nuovo che coniuga il pregio estetico con una spiccata 

connotazione concettuale, un’opera in cui due piani materici, 

semantici e temporali, quello antico in cui il documento è stato 

creato e quello più recente dell’intervento creativo, convivono 

e dialogano in una sintesi di segni, disegni e valori simbolici. 

da sinistra 

Picasso visita il Trionfo della Morte a Palermo 1992 

china acquarellata su documento originale del XIX secolo, cm 30x42 

Il poeta cieco. Omaggio a Borges 2005 

china acquarellata su documento originale del XX secolo, cm 30x42 

ARTA ntis.info VISTE 

11

IMPRONTE 


12 

UN’ALTRA STORIA 

Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero 

di Enrico Maria Sestante 

Il libro Un’altra storia raccoglie le mostre omonime che si 

sono tenute a Como, a Milano e a Torino, curate e ideate 

da Eduardo Di Mauro e con un contributo di Alessandro 

Carrer. Il volume raccoglie 84 schede fotografiche e documentative 

e una trentina di interventi critici. Di Mauro è protagonista 

di primo piano del dibattito curatoriale contemporaneo, 

sia per l’originale proposta, nota come 

“italianissimo molteplicismo” (titolo di una lunga ricerca 

scaturita dalla collaborazione con Renato Barilli), sia per la 

riflessione sviluppata intorno alle tematiche del postmoderno 

e sia la sistemazione del materiale in esposizione. Di 

Mauro è critico d’arte e soprattutto organizzatore culturale, 

dal 1994 al 1997 è stato condirettore artistico della Galleria 

d’Arte Moderna e dei Musei Civici Torinesi. Attualmente 

è Direttore Artistico del Museo d’Arte Urbana del 

capoluogo piemontese e, nella stessa città, condirettore 

dello Spazio Sansovino, dove alla fine di quest’anno approderà 

Un’altra storia. Il pregio del volume in esame risiede 

proprio nell’offrire spunti per approfondimenti di un modello 

curatoriale italiano e delle tematiche ad esso legate, 

con l’accessibilità di contenuto e linguaggio propri del format 

espositivo. I cataloghi delle mostre di Di Mauro sono un 

buon esempio della discussione sulla possibilità di un ‘metodo’ 

della curatorialità e dell’utilità di una sua applicazione 

in ambito artistico: “Nuove tendenze in Italia”, “Ge Mi 

To: l’ultima generazione artistica del triangolo industriale”, 

“Sotto osservazione: arte e poesia di fine secolo”, “Eclettismo”, 

“Carpe diem … una generazione italiana”, “Va’pensiero. 

Arte Italiana 1984/1996”, “Art Fiction” e, in questo decennio, 

“Una Babele postmoderna: realtà ed allegoria 

nell’arte italiana degli anni ‘90”, “Punto e a capo: nuova 

contemporaneità italiana”, “Interni Italiani”, “Anni Zero. 

Arte Italiana del nuovo decennio”. Fortunatamente, l’intento 

del libro di Di Mauro non è quello di aggiungere un 

mattone alla costruzione di una ‘scolastica postmodernista’ 

e nemmeno quello di parlare direttamente di critica 

ed estetica, ma di riaprire una riflessione intorno alle sue 

stesse competenze, che riguardano l’arte Ottanta/2000, 

tentando di riordinare con grande difficoltà le tracce del 

pensiero ‘postmodernistico italiano’ nei Critical Studies, illuminando 

i legami con la teoria dei sistemi artistici contemporanei 

e ricostruendo il confronto tra il contributo di ABO, 

Germano Celant, Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Enrico 

Crispolti e Gabriele Perretta. Come Di Mauro ci ricorda: 

“Un’Altra Storia ... è una rassegna che si pone l’obiettivo di 

proporre una visione diversa dell’arte italiana dell’ultimo 

quarto di secolo rispetto a quella che ci è stata imposta da 

un sistema ed un’informazione artistica i cui limiti sono evidenziabili 

dal ruolo subalterno della nostra scena recente 

nel panorama internazionale”. Detto ciò, secondo i ludici 

criteri curatoriali, gli 84 artisti, selezionati da Di Mauro, saranno 

dislocati nelle tre sedi in maniera da unificare site 

specific e pratica del circuito semi-Establishment. Il pensiero 

di Di Mauro, debole di una “teoresi curatoriale”, cerca di 

dispiegarsi nei campi suddetti con ragguardevole lucidità 

critica, non abbandonando mai quel sostegno post-modernista 

proprio degli anni ‘80. Partendo dalle considerazioni 

barilliane sulla problematicità del superamento della 

metafisica artistica, Di Mauro cerca di far vedere come 

una radicale assunzione della propria condizione di abitanti 

del “sistema artistico italiano al tramonto” è l’unica 

via per affrontare la situazione visuale italiana: “L’obiettivo 

è una rilettura, fuori dagli schemi e dalle convenzioni tipiche 

degli ultimi anni ... L’arte italiana all’estero è generalmente 

rappresentata da singole individualità spesso avulse 

dal contesto di un territorio variegato, quindi è importante 

lavorare per diffondere aspetti poco approfonditi della nostra 

scena, considerato che la percezione dell’arte italiana 

dell’ultimo trentennio al di fuori dei nostri confini è talvolta 

assai diversa da quella che viene divulgata da ambiti comunicativi 

e di sistema predominanti. Per parlare degli ultimi 

trent’anni circa non si può non partire da un inequivocabile, 

quasi scontato, dato di fatto, cioè che gli ultimi due 

movimenti innalzatisi ad un riconoscimento internazionale, 

sono stati l’Arte Povera e la Transavanguardia, con percorsi 

diversi che di recente si sono intrecciati in una sorta di 

reciproco riconoscimento, da cui non era difficile prevedere 

l’attuazione di una sottile logica di esclusione di quanto 

sta al di fuori di quel recinto. La fascia generazionale maggiormente 

penalizzata ..., è stata quella, di non indifferente 

qualità, emersa subito dopo la Transavanguardia, tra la 

metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90, periodo nel quale è, 

tra l’altro, avvenuta la mia formazione critica ... Il fatto di 

Bruno Zanichelli 

Nebbia brina morde il radiatore durante l’Intifada, 1987 


avere sostanzialmente ‘saltato’ una generazione sta all’origine, 

a mio modo di vedere, della sostanziale irrisolutezza 

dell’arte italiana lungo tutto il corso degli anni ’90”. Demistificare 

le ideologie di queste prospettive, svelandone l’arcaismo 

o l’esotismo italianistico, e mettere in evidenza il 

disprezzo per l’internazionalismo che si cela dietro la loro 

demagogia, sarebbe un approccio noioso, considerata la 

moltitudine di organizzazioni e di tendenze esistenti nella 

pratica artistica italiana degli anni 80, ciascuna delle quali 

rivendica una propria originalità ideologica, politica e culturale. 

Più che le idee, conviene criticare il tipo di attività, 

come il fatuo militantismo, che si è visto arrancare ai tempi 

di una mostra di pochi mesi e poi dissolto in quella successiva. 

Nella situazione post-Ottanta lo spazio dell’arte non 

sempre è un luogo, non sempre accoglie la presenza del 

vivente e se ne fa dimora. Bisogna quindi ricostruire i luoghi 

e le opere, creare comunanza, farsi tana. Di Mauro non 

ammette che l’arte, italiana o straniera che sia, nel dominio 

totalitario del capitale, ha perso importanza, perché 

essa, ormai da tempo, non è più riconoscibile. L’artista non 

è più una garanzia, non crea luoghi per sé, per la propria 

unicità, bensì depositi per le merci e modi di circolazione 

intensiva per il valore di scambio. Le sue case sono sedi per 

stoccare la merce-opera, la sua mente è ormai un ubuesco 

ipermercato. Forma e sostanza della merce sono le 

due facce della distopia generalizzata, dove la morte che 

neghiamo, dopo aver negato dapprincipio vita e passione, 

è solo un paravento per nasconderci la morte che è 

già qui, che è già nelle relazioni col mondo che manchiamo. 

Parafrasando Debord, che a sua volta citava i trattatisti 

del seicento, potrei dire che l’arte Italiana ha fondato la 

propria causa sul volto anonimo della globalizzazione, poiché 

per creare la necessità di un’arte non ha bisogno del 

proprio volto. Ciò che appare difficile è chiudere gli occhi 

e far fiorire il mondo, toccare l’altro e magari farne poesia, 

attraversare la soglia e magari non ritrovarsi imminente nello 

stesso mondo. E’ un ‘male di esserci’, una dannazione al 

malinteso, una difficoltà di spiegarsi che si fa male di vivere: 

credo di conoscerla ormai fino al punto di estenuazione, 

di averla conosciuta sin dai tempi di Nuove tendenze 

... Non appena si esce da un terreno di lotta direttamente 

generazionale, in cui nella localizzazione il rapporto sociale, 

i soggetti siano chiari, in cui si possa concepire un’azione 

comune indipendente, diretta, senza alcuna possibilità 

di sovradeterminazioni, ‘transfert’, alienazione, la definizio- 

Nello Teodori 

Compagno di classe, 2008 

tecnica mista (manuale e digitale), cm 40x30 

Ernesto Jannini 

Progetti di guerra, 2007-2008 

installazione (Fusion Art, Torino) 

ne di un punto di vista e di una linea di condotta diventa 

esercizio di estrema complessità. Ogni asserto, infatti, rischia 

di essere soggetto a deformarsi, degradarsi, a conoscere 

una contraddittorietà continua, una concatenazione 

di effetti secondari, confusioni semantiche e concettuali tra 

smentite, auto-confutazioni, rinvii continui a piani meta-discorsivi, 

imponendo sottigliezze e incessanti sfumature incomunicabili. 

“Transavanguardia” o “arte povera”, come 

parlare d’altro! Ci riempiono pagine, scaffali e adesso anche 

il web con i personaggini di Celant e ABO. Ma, caro Di 

Mauro, è ovvio che in giro c’è di meglio. La pigrizia e la 

neghittosità di critici e di lettori non ci obbligano ad adeguarci. 

E’ chiaro che tutta l’arte della neo e post è un gioco 

di mera imitazione. Duchamp e Picasso lasciano tracce; 

il mercato si contenta di poco, ci si può campare 

sopra. Nell’epoca della totale globalizzazione, mi pare che 

ha lavorato meglio Perretta, che con il suo medialismo dà 

la paga ad ABO e a Celant ad ogni pagina. Questo napoletano, 

con totale consapevolezza, usa il romanzo nero 

dell’arte italiana per parlare d’altro ed ha il coraggio di 

farvi vedere gli artisti che ha seguito fuori da qualsiasi dialettica 

nostrano/internazionale! Perretta può cadere nel 

romanticume, Perretta è dottore in niente (come osava 

definirsi Debord), cerca la pagina difficile e sfiora il baratro 

del ridicolo mediale, Perretta è il filosofo che si trasforma in 

scrittore e critico e che si lascia trascinare dal testo, da tutto 

quello che fino ai cinquant’anni non ha potuto raccontare, 

ed ora magari esagera, si lascia prendere la mano. 

Ma c’è vera rabbia e vera dolcezza nelle sue pagine, vero 

coraggio. Mette tutto in gioco. Cita senza ritegno rovesciandoci 

addosso le sue letture semiologiche, sonore. Poi 

c’è la ricostruzione di una medialità riscattata dal sogno di 

una generazione che si voleva sentire libera: esagerazione 

emozionale, ricostruzione mitica, città sfavillante, ventre 

oscuro ma forse proprio per questo più protettivo di una 

criticità neo-moderna in grado di anticipare tutte le favole 

del mediale, del tecnologico e del virtuale. E c’è soprattutto 

la sua cifra più significativa, quel modo personale di parlare 

duramente di politica e di fare critica radicale al sistema 

attraverso la poesia. Il romanzo critico come 

elaborazione del lutto e, al tempo stesso, come testimonianza 

di una generazione post-77 che non ha niente a 

che vedere con i sulfamidici tiratigli addosso da Luca Beatrice. 

Perché la narrazione non è mai pura, ma ci vuole coraggio, 

ci vuole condizione, e si devono sentire con forza 


13


14 

certe idee per piegare così il racconto, senza che appaia 

forzato il discorso “a tesi”. A onore di Perretta va proprio 

questo, scrive perché ne ha bisogno e perché ha qualcosa 

da dire. All’opposto degli altri critici che hai indicato 

- caro Di Mauro - lui, che ci parli di medialità, o degli 

occhi della dissidenza a/spettacolare, o della lingua del 

virtuale, o di qualsiasi altra sciocchezza, non scende mai 

dalla tribuna dell’intellettuale dis/organico. Perretta parla 

sempre a qualcuno, da pari a pari. Le prime pagine 

dei saggi mediali sono scritti come lettera a curatori della 

sua/tua stessa genesi. Le pagine di Medialismo ci prendono 

per mano e ci impongono il loro tema, la vita quotidiana 

degli artisti di una generazione, sans domicile fixe. 

Barboni e immigrati dell’arte e del sistema che non solo 

vivono un loro mondo, ma hanno una loro visione del nostro 

mondo. Perretta ci sbatte in faccia questo suo punto 

di vista. Si discute molto e spesso della medialità e tutti, 

ormai, sanno che «chi trova un artista trova un tesoro». 

Ma come fare a custodire questo tesoro? Come alimentare, 

giorno dopo giorno, questo rapporto? Uno dei mezzi 

fondamentali per riuscire a preservare questo splendido 

“fiore” potrebbe essere la scrittura, visto che la curatela 

è pronta a consumarli. Scrivere è, infatti, un modo per relazionarsi 

all’artista ma, prima di tutto, per conoscere se 

stessi. È un modo per mettere nero su bianco la propria 

vita, perché la parole diventino “portatrici sane” dei nostri 

sdegni neo-moderni e illuministi. Ogni teoria artistica, 

ogni poetica, dura nel tempo ed è quella carta scritta, 

apparentemente semplice, che parla di noi e dice veramente 

chi siamo. Perché dentro c’è la disapprovazione e 

le sensazioni più varie, perché scrivere spinge a dar voce 

ai sommessi impulsi dell’animo illuministico che tenta di 

sconfiggere questo piattume post-moderno. Perretta potrebbe 

dire: «Sine medialità nihil criticità», perché anche 

la vita dell’attuale sistema diventerebbe monotona, priva 

di quegli argomenti essenziali, che solo la scrittura valutativa 

ci permette di trovare. Avremmo bisogno di parole 

che riescano a scaldare critica, ontologia e politica, 

parole che siano dolci o severe, ma eternamente “vere” 

e che soprattutto non denuncino il presupposto di ignorare 

la nostra generazione per poi nei fatti emarginarla e 

considerarla alla stregua del niente. Se ci si lamenta del 

pericolo del Salon des Refusès, allora si trovi il coraggio di 

dire cosa è veramente stato il medialismo e che prospettiva 

ha veramente aperto nell’arte italiana e internazionale. 

Una saggio critico sull’arte italiana, caro Di Mauro, 

andrebbe scritto solo se quello che viene messo nero su 

bianco è vero almeno per le successive quattro settimane 

del tuo rapporto col sistema. Altrimenti diventa una prova 

schiacciante contro di te e una fonte di ricatto. E’ indubbio 

il fascino delle frasi fissate sulla carta, della busta che 

si schiude pian piano e della sorpresa di chi legge. Con 

un saggio vero sull’Altra Storia potresti scegliere il colore 

del foglio e delle tue idee, mettere a nudo la tua calligrafica 

criticità (più che curatorialità) e magari completare 

l’opera con due gocce di profumo radicale e rivoluzionario. 

Questo una mail non te lo permetterà mai. Ma il vero 

motivo, per cui una missiva radicale quanto un saggio in 

carta è da preferire, è la perdita della maledetta immediatezza 

e l’esercizio del pensiero su ciò che viene detto. 

Perché, parliamoci chiaro, con cataloghi e-mail a costo 

zero si rischia di scrivere all’altro dell’Altra Storia delle veloci, 

assurde, irreversibili scemenze. 

Gli artisti di Un’Altra Storia: Gianantonio Abate, Salvatore 

Anelli, Francesca Arri, Cornelia Badelita, Angelo Barile, 

Enzo Bersezio, Ennio Bertrand, Corrado Bonomi, Domenico 

Borrelli, Walter Bortolossi, Paolo Brenzini, Alessandro Bulgini, 

Carmine Calvanese, Cinzia Ceccarelli, Daniele Contavalli, 

Francesco Correggia, Giorgio Cutini, Ferruccio D’Angelo, 

Aldo Damioli, Domenico David, Nebojsa Despotovic, 

Matilde Domestico, Attilio Esposito, Roberta Fanti, Raffaello 

Ferrazzi, Francesca Ferreri, Octavio Floreal, Silvia Fubini, 

Enzo Gagliardino, Luciano Gaglio, Michelangelo Galliani, 

Theo Gallino, Francesca Maranetto Gay, Tea Giobbio, Carlo 

Gloria, Paolo Grassino, Gaetano Grillo, Ale Guzzetti, Enrico 

Iuliano, Ernesto Jannini, Gabriele Lamberti, Marco Lavagetto, 

Paolo Leonardo, Paolo Maggi, Bruno Mangiaterra, 

Stefano Martino, Jill Mathis, Antonella Mazzoni, Iler Melioli, 

Mercurio, Paolo Minioni, Vinicio Momoli, Roberto Morone, 

Giordano Montorsi, Sandra Moss, Amira Munteanu, Pietro 

Mussini, Barbara Nahmad, Gianluca Nibbi, Leonardo Pivi, 

Plumcake, Pierluigi Pusole, Francesca Renolfi, Paola Risoli, 

Alessandro Rivoir, Gianluca Rosso, Alessandro Russo, Gianluca 

Russo, Bruno Sacchetto, Gianfranco Sergio, Francesco 

Sena, Massimo Spada, Vania Elettra Tam, Valerio Tedeschi, 

Silvano Tessarollo, Nello Teodori, Adrian Tranquilli, Vittorio 

Valente, Walter Vallini, Federico Vescovo, Mario Vespasiani, 

Bruno Zanichelli, Roberto Zizzo, Natale Zoppis. 

Silvano Tessarollo 

Preferisco guardare il cielo, 2002 

installazione, scultura in cera 

courtesy La Giarina Arte Contemporanea, Verona 

Vinicio Momoli 

Frasi di primavera, 2009 

gomma, cm 103x163 

Locandine di alcune mostre curate dalla Galleria negli ultimi anni 

Arrivata quasi al suo decimo anno di attività, la Galleria 

Caffè Guerbois appare ormai come un punto di riferimento 

per la variegata e qualitativa offerta artistica che il suo 

fondatore e direttore, Alessandro Ammirata, programma 

con piglio battagliero. Supportato da curatori di primo piano, 

nel corso degli anni, la Galleria ha ampliato le proprie 

vedute verso panorami nazionali e internazionali senza 

mai abbandonare la specificità territoriale, la ricerca e 

la sperimentazione. Di particolare rilevanza le mostre allestite 

per Ugo Nespolo (2003, a cura di Francesco Gallo), 

Arman (2005, con testi in catalogo di Demetrio Paparoni e 

Marcello Palminteri) e, ancora, quelle più recenti (a cura 

di Marcello Palminteri) dedicate a Cesare Berlingeri, Marco 

Lodola, Enrico Manera. L’alternarsi della promozione di 

giovani artisti ai grandi maestri ha visto svilupparsi progetti 

interessanti e stimolanti che indagano la realtà contestuale 

siciliana come Da Capaci a Palermo, Desolazione e Speranza, 

dei fotografi Eduardo Di Miceli e Benedetto Tarantino. 

La mostra, omaggio a Giovanni Falcone, é stata una 

riflessione visiva raffinata e originale che prendeva spunto 

dai luoghi della strage per mostrarne il lato oscuro e quello 

estetico. Meraviglie e contraddizioni della terra siciliana 

che si esplicitavano anche nelle opere dei maggiori artisti 

isolani dal Novecento ad oggi, nella mostra Sicilia. Figura e 

paesaggio nella pittura siciliana, con nomi come Alfonso 

Amorelli, Totò Bonanno, Salvatore Fiume, Renato Guttuso, 

Piero Guccione, Gianbecchina, Gigi Martorelli, Vincenzo 

Nucci, Tino Signorini, Saverio Terruso e molti altri artisti. Così è 

venuto nel tempo a delinearsi il lavoro della Galleria Caffè 

Guerbois che offre una prospettiva allargata sulle ricerche 

figurative, spaziando tra astrazione e figurazione, segnalando 

ora le novità linguistiche, ora gli influssi, che offre la 

cultura artistica. Le collettive dedicate al Novecento (2009, 

Novecento2000) sembrano infatti quasi voler mappare un 

percorso in cui si intrecciano stili e tecniche differenti con le 

presenze di artisti come Carla Accardi, Agostino Bonalumi, 

Hermann Nitsch, Andy Wharol, Hans Hartung, nomi di cui la 

galleria dispone con opere in permanenza. Tra le opere in 

La Galleria 

Guerbois 

Caffè 

dall’alto e da sinistra 

Le sale espositive della galleria 

Mostra di Marco Lodola 2010 

Inaugurazione della mostra di Cesare Berlingeri 2011 

Palermo 


permanenza dei più giovani, si segnalano: Nicola Busacca, 

Giuseppe Cuccio, Maria Giovanna Peri, Fabio Marabello. 

La diffusione della cultura prosegue per la Galleria con le 

mostre di alcuni dei maggiori protagonisti della pittura contemporanea: 

Achille Perilli, l’astrattista geometrico, e, per il 

decennale dell’attività nel 2012, Mimmo Rotella. 

Galleria Caffè Guerbois 

Via Valdemone, 35 ABC - 90143 Palermo 

Tel. 091305004 Cell. 3394204529 

galleria.caffeguerbois@gmail.com 

www.galleriacaffeguerbois.com 

ARTA ntis.info GALLERIE 

15

BIENNALE 2011 

Guida S“ragionata” della Biennale di Venezia 

il Paese dei Balocchi dell’arte contemporanea 

E’ impossibile catalogare e incasellare entro determinati linguaggi 

o generi artistici tutto ciò che è visibile alla 54. Biennale 

di Venezia. È un paradiso, un mondo coloratissimo e 

vario che si apre al visitatore, e dopo 4 mesi dalla sua apertura 

sembra corretto fare il punto della situazione segnalando 

opere, artisti e scelte meritevoli o al contrario poco 

apprezzabili. Da dove partire? Ovviamente dai Giardini, 

prima che cali il sole e l’umidità della laguna prenda il sopravvento. 

Il Padiglione centrale ospita la mostra curata da 

Bice Curiger dal titolo ILLUMInazioni a testimoniare l’apertura 

verso l’internazionale. La luce che dovrebbe guidare il 

percorso è la stessa che caratterizza le tre tele del Tintoretto 

all’interno del Padiglione. I quadri, concessi in prestito dalla 

Soprintendenza per il Polo Museale Veneziano, sono posti 

in un salone, distaccati dalle altre opere contemporanee 

con le quali invece avrebbero potuto dialogare. Sembra 

di entrare in una sala museale posta per caso in un contenitore 

diverso da quello naturale. Peccato, un’occasione 

mancata per dimostrare l’eternità del maestro veneto attraverso 

un confronto ragionato e ravvicinato (magari nella 

stessa sala) con i colleghi di oggi. Ritorno apprezzato (ma 

non dagli animalisti) è quello di Maurizio Cattelan con i suoi 

piccioni, gli stessi del 1997, duplicatisi per l’occasione e con 

un titolo diverso: Gli altri (nel ‘97 erano I turisti). Cresce, con 

il numero delle presenze dei volatili, anche l’inquietudine 

dell’installazione che incombe sui visitatori ignari, aumenta 

l’ansia per più attenti che, sgomenti, cercano riparo da 


foto di Giuliana Laportella 

eventuali “ricordi” naturali de Gli altri. Da segnalare la moneta 

di 25 euro del 2036 di Ryan Gander, incollata al pavimento 

e il cui valore secondo le attese di svalutazione sarà 

di un euro. L’ilarità dovuta alla ricerca dell’opera dopo aver 

letto solo la targhetta (impresa non facile), viene sostituita 

dalla triste riflessione sull’economia e sul potere d’acquisto 

futuro. Notevoli per perizia tecnica e per lo straripante decorativismo, 

sono le opere su carta dell’etiope Gedewon, 

coloratissimi talismani dal potere esorcizzante. Da non perdere 

la scultura animatronica di Nathaniel Mellors, due teste 

parlanti collegate da una lunga ciocca di capelli e dai 

dialoghi assurdi come quelli dei video, opera dello stesso 

artista, che ricordano i serial tv. Sempre interessante Cindy 

Sherman che giganteggia in una sala del Padiglione con i 

suoi travestimenti simbolo della condizione femminile, mentre 

appare un gioco banale quello di Norma Jeane che 

propone un cubo in plastilina con i colori della bandiera 

egiziana e con cui si può disegnare scrivere e plasmare. Illuminante 

è sicuramente l’opera di Urs Fischer, all’Arsenale, 

dove continua ILLUMInazioni, che riproduce il Ratto delle 

Sabine del Giambologna, l’artista Rudolf Stingel e una sedia, 

a grandezza naturale, il tutto fatto in cera che si liquefa 

come una gigantesca candela, testimonianza della caducità 

della vita e della bellezza. Sempre all’Arsenale, coinvolgente 

la presenza nazionale dell’Argentina con il giardino 

in argilla di Adrian Villar Rojas. Gigantesche piante che 

sembrano pietrificate trasformano il visitatore in un piccolo 

visionario che si aggira in un universo parallelo e lontano 

nel tempo, in uno strano e silenzioso sogno. L’India con Gigi 

Scaria, invita a far un giro in ascensore in una interattiva 

installazione che funge da copia del quotidiano. Pigiando 

un bottone del finto e un po’ claustrofobico ascensore si è 

trasportati direttamente nell’intimità delle case borghesi un 

po’ tutte uguali e un po’ tutte anonime. Ai giardini alcuni 

dei padiglioni nazionali, prodotto di un pop-barocco ultra 

contemporaneo, appaiono testimoni di un’epoca che urla 

la propria essenza e colma l’universo di infinite immagini. Il 

Venezuela con Francisco Bassim (e non solo) attinge dalle 

posture della storia dell’arte e presenta personaggi da cultura 

di massa, eroi fittizi e politici reali per un fantasmagorico 

affresco fumettistico. Di tutt’altra materia l’horror vacui 

dell’ insallazione svizzera Crystall of resistatance di Thomas 

Hirschhorn che rasenta (e forse tocca in più punti) il kitsch. In 

questo Padiglione l’occhio si perde studiando ogni piccolo 

sopra, da sinistra 

Urs Fischer 

This office seat is a candle (Part.) 

Thomas Hirschhorn 

Crystal of resistance (Part.) 

a sinistra 

Nathaniel Mellors 

Hippy dialectics (Part.) 

messaggio lasciato dall’artista attraverso l’accumulo di oggetti 

e ci si meraviglia dinanzi alle finte costruzioni naturali 

che mostrano l’atrocità della società consumista. Su tutti 

vince il Padiglione coreano con le opere di Lee Yongbaek 

dove soldati armati si mimetizzano con i fiori, dove spari 

immaginari rompono con rumore assordante vetri virtuali e 

dove i capolavori della scultura classica sono reinterpretati 

dai manichini usati per le simulazioni degli incidenti. Perfetta 

e ipnotica la visione dei video di Yael Bartana per il Padiglione 

polacco. Sulla scia dei film di propaganda, l’artista israeliana 

inventa un movimento politico che auspica il ritorno 

in Polonia di 3 milioni di ebrei, narrandone visivamente le teorie 

e la sua fine con il rituale assassinio del leader. É difficile 

una valutazione complessiva, ma per chi si sente Lucignolo 

quando entra alla Biennale, il Paese dei Balocchi è questo, 

anche se una tale overdose di arte (il tutto continua anche 

fuori, in giro a Venezia) richiede impegno e almeno 4 giorni. 


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DUE & TREPUNTI 


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SelfMedia: il KitPaz 

… fu mai detto che Pazienza 

è un antesignano del medialismo? 

di Luis Alej Vallejo 

“MI CHIAMO Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza ... 

disegno da quando avevo 18 mesi, so disegnare qualsiasi 

cosa in qualunque modo ... Ho fatto il liceo artistico, 

una decina di personali e nel ‘74 sono divenuto socio di una 

galleria d’arte a Pescara ... Dal ‘75 vivo a Bologna. 

Sono stato tesserato dal ‘71 al ‘73 ai marxisti-leninisti. 

Io sono il più bravo disegnatore vivente. 

Morirò il sei gennaio 1984”. 

Era tutto vero ciò che Pazienza scriveva sulla sua chimerica 

autobiografia, eccetto il presagio finale che invece lo vede 

morire a soli 32 anni, appena compiuti, nel giugno 1988. Infatti, 

come ci racconta chi l’ha conosciuto ed è sopravvissuto a 

quella breve ma intensa stagione dei ’70-’80, Andrea Pazienza 

è stato una scheggia di vita, che ha lasciato una traccia 

indelebile nella storia dell’arte italiana della fine del ‘900, 

quella che Gabriele Perretta, anche grazie all’alter ego di 

Penthotal, definirà come prodromi dell’avventura medialista. 

Per ricordare Pazienza oggi basta poco, ovvero basta procurarsi 

quella ventina di volumi editi e riediti con le storie pubblicate 

nella stagione d’oro della satira italiana (da Linus al 

Male, Frigidaire, Tango). Ogni anno, in Italia, si riparla di Pazienza: 

siti, mostre, film, convegni, video, spettacoli teatrali, 

omaggi, tributi musicali, editoria, cartoline, manifesti e 

quant’altro alimentano l’amore che i fans mostrano per il lavoro 

di Paz. E così fu anche quando spuntarono le 17 tavole 

disegnate a 16 anni, tra il terzo e il quarto anno del liceo artistico 

a Pescara, ispirate a Prévert e raccolte da Fandango in 

un volume di pregio. Andrea Pazienza, il più clandestino e visionario 

dei “fumettari” ribelli degli anni Settanta, incontra sui 

banchi di scuola Jacques Prévert, poeta antiborghese del 

mitico Gruppo Ottobre. Come ben diceva la Pivano nell’introduzione 

al volume, il ragazzo deve aver scelto Prévert “per 

lo stesso desiderio di libertà che tutti e due hanno vissuto”. Nel 

campo pittorico, visto che Pazienza non aveva mai abbandonato 

la tecnica del dipingere, pur preferendo il fumetto, 

per non rischiare di trovare una sua opera “nel salotto di un 

farmacista”, se ne usciva dicendo “E ringraziate che ci sono 

io, che sono una moltitudine”. Infatti, in un supplemento al 

Male dell’81, Andrea scrive con una grafia quasi impersonale: 

“Dopo la pittura si è dedicato al fumetto mietendo successi 

e grano. ... nulla gli è impossibile, solo che non ha molta 

voglia. Il suo hobby è andare in bicicletta, anche perché non 

ha la macchina e gli hanno fregato il vespino. Ha collaborato 

ad Alter, e al Male. È stato tra i fondatori della rivista Cannibale 

e attualmente è redattore del mensile Frigidaire. Essendo 

così giovane, 24 anni, la sua carriera può definirsi senz’altro 

folgorante. Sotto l’aspetto fauto e salottiero nasconde abilmente 

torbidi legami con il movimento del ‘77 e con altri movimenti 

analoghi”. In effetti, se si prova a raffrontare un testo 

tedioso come Fuori cornice. L’arte oltre l’arte di Alessandro 

Dal Lago e Serena Giordano, uscito nel 2008, per i nuovi tipi 

dell’Einaudi, presto ci si accorge che Paz, sin dalla seconda 

metà degli anni ’70, con quella strana partecipazione alla 

generazione dei settantasettini, era riuscito ad anticipare ciò 

che ormai già da lungo tempo nella tribù delle talpe era 

all’esterno di “qualsiasi industria tardo artistica” e di qualsiasi 

quadro sistemico. Dal Lago e Giordano, nell’epoca in cui si è 

visto un grande processo di integrazione dei mercati e del 

collasso delle idee socialiste, hanno scoperto che il mondo 

dell’arte è circondato da esperienze artistiche non ufficiali, 

popolari, religiose, marginali di cui raramente la critica e la 

storia dell’arte si interessano. In un volume che scimmiotta i 

lavori di Bourdieu et altri, si analizzano opere ed esperienze 

creative che potrebbero tranquillamente essere collocate in 

quel mondo. Tre sono i casi studiati: l’arte votiva, l’outsider art 

e la street art. Secondo l’ex-debolista, all’arte degli outsider è 

sempre negata la consapevolezza del proprio lavoro, e questo 

li separa definitivamente dai colleghi cosiddetti sani e liberi 

e la street art è spesso compromessa con la dimensione 

dell’arte ufficiale. Per contro, come mai a nessuno di questi 

sociologi della cultura viene in mente di ricordare che Paz 

diede vita ad un’abile e critica rimozione del sistema dell’arte? 

Il volume di Dal Lago riconosce e discute le potenzialità 

dei campi limitrofi all’arte, al fine di rendere più ricca la discussione 

tra arte ed espressione umana, ma non dedica neanche 

una riga alla vicenda antropica ed al profilo underground 

del Paz-Zanardi più agguerrito! Una figura totalmente 

’77, che somiglierebbe più al percorso di un Jeff Beckley ,che 

a quello delle fotografie antropo-demonologiche di Enrico 

Giliberti, Lello Mazzacane o del nobile Franco Pinna. Diciamo 

che sia l’arte interna che quella al di fuori del sistema spesso 

non sottostà a delle categorie così rigide e a delle recinzioni 

così convenzionali! Paz, in tempi non sospetti, da buon “indiano 

metropolitano” ante litteram, ha pensato bene di 

sfuggire a questo come a qualsiasi altro approccio che lo 

volesse vedere tra i due o tre pop-artisti o neo-pop italiani 

della seconda metà del ‘900, magari annoverandolo al fianco 

di Schifano e poi ancora di Paladino. Un errore del genere, 

naturalmente da destra, anzi direi dall’estrema destra, 

che spara a zero contro il ’68 ed il suo portato rivoluzionario, 

giungendo sino alla generazione di Pazienza e di Perretta, è 

commesso dal libro di Luca Beatrice Da che arte stai (uscito 

di recente per un noto editore milanese), poi confluito nelle 

idee della mostra TRAFFIC ART: Paladino, Pazienza, Schifano 

(dal 6 al 16 luglio 2011, presso l’Accademia Albertina di Belle 

Arti di Torino), oppure nell’introduzione al Manuale di zoologia 

pazzesca allo spazio Art.Comix di Torino. Il traffichino Beatrice 

(profuso nella speculazione caotica della cultura italiana della 

seconda metà del ‘900, passando tra alti e bassi, pop e 

spop), sostiene che questa mostra a tre mani sarebbe una 

contaminazione fra arte e musica che prende avvio negli 

anni Sessanta coi dipinti di Schifano, per svilupparsi attraverso 

il fumetto di Paz dalla seconda metà del decennio seguente, 

momento in cui debutta Paladino. Ma cosa c’entra il popism 

di Schifano, col fatto che Pazienza s’iscrive nel ‘74 al DAMS di 

Bologna e con alcuni compagni di strada dà vita alla corrente 

del Nuovo Fumetto Italiano? Cosa c’entra lo stile di Paz col 

puro pittoricismo di cui parla Beatrice? Semmai, come ha 

ampiamente sostenuto Gabriele Perretta nella sua proposta 

di riscrittura della storia della pittura mediale italiana, Paz con 

molti dei suoi compagni di strada rappresenta uno degli indizi 

sostanziali della discorsività visiva medialista, che sin dall’inizio 

si muove con una forte carica esistenziale e politica (diremmo 

desiderante) fuori dalla cornice e da qualsiasi 

intelaiatura istituzionale, offrendo alle teorie del medialismo la 

sponda per spostare il discorso sulle aporie tra il fuori e il dentro 

del sistema. È vero che le collaborazioni in ambito cinematografico 

e musicale di Paz, come la copertina della PFM di 

Passpartù e i manifesti per il film La città delle donne di Fellini 

è intensa, ma ciò non mostra né un’apologia della cultura 

prog, né un panegirico o una sediziosa vicinanza di Paz alle 

occasioni di Snaporaz! L’energia creativa di Paz non deve 

fare i conti con la tardità della cultura e la crisi del boom economico 

e né con quella dimensione onirico-fiabesca che documenta 

i conflitti della condizione della donna italiana. 

Come ricorda lo stesso Andrea, la sua mobilità fuori e dentro 

l’industria culturale si attrezza alla ricerca di un’autonomia 

dell’user media, una flessibilità che nasconde legami con il 

’77 e con altri movimenti analoghi. Paz non c’entra niente 

con l’epigonismo-tardo concettuale di artisti come Paladino 

che nel 1977 si calano nel rassegnato “Silenzioso, mi ritiro a 

dipingere un quadro”. Altro che tardo manierismo fauves 

etc…, Paz nel ’77 coerente con la furia punk post-concettuale, 

che non è solo quella di Rotten, o quella disagiata dei Joy 

Division, realizza insieme a Stefano, Massimo, Marco, Filippo e 

Tanino, in omaggio all’omonima rivista diretta negli anni Venti 

da F. Picabia, Cannibale! Qui i media, per assurdo, sono visti 

dalla parte dei nuovi indiani Anasazi, che fanno avanti il loro 

disagio e conflitto relazionale nei confronti di una società dello 

spettacolo che si trova in una fase ormai matura di potere, 

oppressione e legittimazione. Paz con la serie de “Il Bestiario” 

è certo che “Ama gli animali ma non sopporta di accudirli” 

(scrive su Paese Sera nel gennaio 1981). I quasi 100 disegni di 

vario formato (dai piccoli 10x10 cm ai 40x30) testimoniano la 

sua grande passione per la medialità della natura e una 

vena disorientante nel catturare espressioni discordi, come 

era già nella tradizione europea di Balzac, Baude, La Bedolliere, 

Bernard, Stahl e soprattutto Grandville. Potremmo dire 

Nouveaux scène de la vie privée et publique des animaux 

con le vignettes di Paz, invece che di Jean-Ignace-Isidore 

Gérard. Si tratta di insetti, mammiferi, pesci, volatili che si donano 

in espressioni media-morfiche. Pazienza stesso è stato 

reso animale nel racconto di Stefano Benni “Paz e la carpa 

Nan Ch’ai” (1991). Anche il Paz di Benni è armato di block 

notes e pastelli, un medium popolare che ha in serbo il progetto 

di arrivare molto lontano; a Paz della carpa forse non 

gliene frega proprio niente, così come a Toulouse Lautrec interessava 

solo quel mediamorfismo allevato nell’universo del 

cartellone e dell’illustrazione popolare. In questo senso, per 

Paz è meglio la rilettura del ’77 offertaci da Gabriele Perretta 

nel ’97, grazie a Laboratorio Politico di Fine Secolo, lavoro che 

Beatrice in coppia con la Perrella nel ’98 (con Nuova arte 

italiana) hanno saccheggiato e assorbito e poi - com’è costume 

dell’Italia dei redattori di Libero e de Il Giornale - c’hanno 

ampiamente sputato sopra! Comunque, rispetto al medialismo 

di Paz, vale di più il recente Tribute di Siculiana (Ag). 

Il 29 aprile, nei locali del Centro sociale, è stato celebrato 

“Verdematematico”, un evento organizzato dal comitato 

provinciale Acsi di Agrigento. Si è trattato di una mostra “fumettara” 

dedicata a Paz, alle sue tavole e alla sua arte rivalutata 

enormemente solo dopo la sua morte. Sono stati esposti 

fumetti del Paz ed altri di natura satirica di autori locali. Si è 

potuto anche far visita ad una estemporanea di pittura ed 

assistere ad un concerto live di Cesare Basile con “Le Bizzarre 

Avventure”. Una volta, al tempo di Paz, c’erano gli Skiantos, 

oggi per Beatrice ci sono i sorcini e i neo-sorcini. Non c’è nulla 

che assomigli alla stagione primo mediale di Paz e dei Cannibali. 

“La marcia della merce marcia” è un calypso postindustriale, 

che si perde in mille rivoli e giustificazionismi per ribadire 

che tra “il Sublime e l’idiota” Luca Beatrice sceglie 

semplicemente Berlusconi! Cosa vuole essere la generazione 

dei Banali epigoni: distor-tori della storia? No. Irriverenti? Si. 

Demenziali? Abbastanza. Sicuramente falsati e s/pop! Sicuramente 

gli opportunisti o i revisionisti dell’arte italiana! Fate un 

po’ voi! In questo modo si presentano i figli dell’amplesso berlusconiano 

che da juventini e sorcino-dipendenti, non hanno 

nessun sodapop da spartire con Andrea! Andrea era e resta 

un preavvertimento dell’anti-oclocrazia mediale! 


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IN COPERTINA 


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Palermo. Galleria Caffè Guerbois 

P 

A c h i l l e 

e r i l l i 

di Gianfranco Labrosciano 

L’irrompere di una geometria irrazionale, dell’ambiguità, o 

dell’irrazionale geometrico nella scena dell’arte moderna 

e contemporanea, con tutta la forza di un accadimento 

necessario quanto il destino stesso dell’arte, intesa come 

rottura e avanzamento di un nuovo che si proclama e si 

dichiara come ineliminabile, è la forza dell’opera di Achille 

Perilli, certamente uno degli artisti più originali e autonomi 

dello Zeitgeist, lo Spirito del Tempo, del nostro tempo, che ha 

saputo raccogliere le istanze dell’arte moderna e traghettarle 

nel postmoderno in un viaggio che ancora dura o che 

perlomeno non ha del tutto esaurito la sua spinta propulsiva 

e liberatoria. Teorico di una forma pura, incentrata su una 

dimensione semanticamente ambigua, chiusa e aperta al 

contempo, fondatamente astratta, estende la sua ricerca 

fino agli esiti più sorprendenti dell’arte contemporanea, riuscendo, 

anzi, a spostarla e a sospingerla in avanti. Le sue 

costruzioni sghembe, irregolari, inaspettate e assolutamente 

imprevedibili, sono il frutto di una ristrutturazione e revisione 

non solo della forma nei suoi elementi analitici, ma anche 

di una sua implementazione all’interno di uno spazio che si 

supervisiona e si autoregolamenta quasi per germinazione 

spontanea in un universo in cui si plasma, direi, e si consolida 

autodefinendosi come alterità. Tutto, allora, nella sua 

opera, raggiunge i livelli di una presenza straneante e improbabile 

che, però, si palesa come un soggetto del mondo 

assolutamente possibile, verosimile, probabile e addirittura 

necessario. Sono i corpi, o soggetti, o le cose di Perilli, che 

si appellano tali secondo le varie percezioni tattili o epidermiche 

che esse stesse restituiscono al riguardante, che non 

cessa di stupirsi e di accoglierle nella sfera del proprio vissuto. 

Ciò che meraviglia, tuttavia, è la capacità dell’artista 

di tradurre in forma una sorta di archetipo collettivo che si 

manifesta come luogo, come sintesi emozionale di un immaginario 

che trova sostanza nell’apparire e nel rivelarsi così 

scopertamente solo e unitario. La presenza di Perilli nel percorso 

artistico della seconda metà del Novecento, la sua 

centralità nel dibattito culturale dell’arte e la persistenza dei 

motivi fondanti la sua tematica nell’alveo della critica e della 

teoria dell’arte contemporanea, ne fanno uno dei protagonisti 

indiscussi nel panorama artistico europeo, un maestro 

di rara sensibilità che ha saputo coniugare la tradizione e la 

modernità e unificarle nel valore universale dell’arte. 

Una interessante mostra di Achille Perilli si terrà, dal 5 novembre 

al 4 dicembre 2011, presso la Galleria Caffè Guerbois di 

Palermo. La mostra, dal titolo Cinquanta Duemila, è a cura 

di Alessandro Ammirata ed è realizzata in collaborazione 

con la Galleria Accademia di Torino. 

Senza titolo 1967 

tecnica mista su tela, cm 60x40 

Amour bel oiseau 1992 


a fianco 


acrilico su tela, cm 81x65

PROFILI 


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I paradossi mediali della pittura 

e del suo oltre 

Antonella 

di Nathalie Celen 

MAZZONI 

«La singolarità della pittura mediale - ha osservato Gabriele 

Perretta - è di cominciare con qualcosa di così evidente 

da non sembrare neanche degno di essere affermato, e di 

finire con qualcosa di così paradossale che nessuno ci crederebbe». 

I paradossi, in effetti, sono sempre stati uno degli 

strumenti preferiti della Pittura Mediale e di chiunque voglia 

praticare un approccio critico al sapere ed alla costruibilità 

visiva. La loro tradizione è così lunga e fiorente che si può 

dire che essi siano nati insieme al linguaggio stesso dell’arte. 

Lungi dall’essere un’aberrazione della mente o comunque 

qualcosa da rifuggire, come ha fatto notare il teorico del 

medialismo, «più di una volta nella pittura la scoperta di un 

paradosso ha rappresentato l’occasione per una rilevante 

ricostruzione dei fondamenti del pensiero visivo», uno strumento 

per migliorare un segno o per consentire di formularne 

nuovi e più potenti contributi comunicazionali. E’ stato 

così, tanto per citare alcuni esempi, per lo sviluppo dell’analisi 

artistica e mediale nel XX secolo, che si giovò grandemente 

dei paradossi di Zenone, ed è così, anche per l’inizio 

del XXI secolo, per la teoria degli insiemi mediali, fondata sul 

celebre paradosso di Perretta, grazie ad Antonella Mazzoni. 

Ma cos’è esattamente un paradosso mediale? Ci aiuta 

a rispondere a questa domanda una frase scritta di recente 

dalla Mazzoni stessa, che serve a giustificare il senso di 

tutta la sua poetica: “la pittura è il corpo fisico di un pensiero, 

di una intuizione da offrire e condividere con gli altri”. 

Con questo statement l’artista delinea il suo profilo che di 

recente ha trovato immediato riscontro nel concetto e nelle 

opere realizzate per la personale “POST-dolomIT”, alla 

galleria Antonella Cattani contemporary Art di Bolzano. Durante 

il suo ventennio di attività, Antonella Mazzoni ha esposto 

in gallerie private di diverse città italiane e straniere e in 

alcuni musei, ma una buona parte del suo percorso è noto 

per aver fatto parte di quell’area di ricerca che sin dalla 

fine degli anni ’80 Perretta definì medialismo. L’idea che 

motiva il suo percorso storico è realizzata attraverso la pittura 

acrilica con aerografo su tela. Questo perché, secondo 

la Mazzoni, la pittura è un linguaggio universale, che non ha 

bisogno di un’esperienza indiretta, ma che grazie ad una 

possibilità diretta di organizzazione e traduzione della medialità 

verbosisiva riesce a trattenere una consapevolezza 

che tutti possono aver vissuto in prima persona. L’immagine 

della Mazzoni, sin dall’inizio dell’esperienza mediale è realiz- 

Serie “Via col vento”: Banderuola e uccellini 2003 


zata in modo “figurativo”, per rendere espliciti i riferimenti 

metaforici e per giocare sulle forme sintagmatiche del paradosso. 

La sua investigazione mediale è tra il non detto 

dell’immagine e il non detto della parola. Ogni progetto è 

composto da un numero chiuso di opere, da un testo scritto 

sulle opere stesse e dal titolo. Questo offre una visione complessa, 

leggibile a vari livelli, ma che soprattutto Perretta ha 

annoverato tra le esperienze cardine dell’immagine concettuale 

e neo-mediale degli anni ‘90. La necessità è quella 

di condividere con lo spettatore l’intuizione dell’arte perché 

le cose possano continuare ad accadere. Infatti il 

percorso della Mazzoni rasenta persino la congiunzione tra 

pittura e originarie forme interattive. Sotto il profilo etimologico 

un paradosso è un’asserzione che va contro (in greco 

parà) l’opinione comune (doxa). Ma la sua definizione più 

esauriente e più largamente accettata è quella secondo 

cui un paradosso è «una conclusione apparentemente 

inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente 

accettabili, mediante un ragionamento apparentemente 

accettabile». A questa definizione rispondono anche i paradossi 

elencati dalle opere della Mazzoni, che con i suoi 

statementent e i suoi testi che accompagnano i lavori sembra 

che riportino, in ordine alfabetico, tutti i più celebri 

“rompicapi” che hanno accompagnato la storia della pittura 

mediale da Achille e la tartaruga sino a Perretta. Poiché 

Achille corre più velocemente della tartaruga, le concede 

un vantaggio iniziale; ma quel vantaggio non lo 

recupererà più. Nel tempo in cui egli copre il suo svantaggio 

rispetto alla concorrente, infatti, anche questa si è mossa, 

acquisendo di nuovo un piccolo vantaggio; e quando 

Achille avrà coperto anche questo svantaggio, la tartaruga 

si sarà spostata ulteriormente in avanti, acquisendo un 

altro, seppur minimo, vantaggio. Il ragionamento può essere 

iterato all’infinito, così che Achille non raggiungerà mai la 

tartaruga, perché per farlo dovrebbe colmare gli infiniti 

frammenti di spazio e intervalli di tempo che lo separano 

dalla tartaruga. Nella realtà, ovviamente, sappiamo che 

l’eroe non solo raggiungerà la rivale, ma la supererà senza 

sforzo. Lo scopo di questo paradosso, tuttavia, è di mettere 

in luce i limiti degli strumenti con cui siamo soliti affrontare la 

realtà, in particolare per quanto concerne le concezioni di 

spazio e di tempo. È questo il compito dei paradossi: mettere 

in discussione le nostre convinzioni, denunciare la fallacia 

dei ragionamenti intuitivi con i quali spesso cerchiamo di 

decifrare i fenomeni che ci circondano. Basta pensare, ad 

esempio, al cosiddetto dilemma degli Haiku di Basho, che 

la Mazzoni ha recentemente messo al centro di un suo progetto 

di mostra davvero molto curioso ed enigmatico. “Ho 

attinto alle foto personali e di amici scattate nei luoghi delle 

sopra 

Serie “L’illusione dell’innocenza”: 

Bolivia e fascia di contenzione del psichiatra 2009 


Borsa del pompiere ed un suo pennello 2009 


Dolomiti durante le vacanze: non foto artistiche o cartoline 

dunque, ma foto ... vere, scegliendo quelle meno riconducibili 

allo skyline più riconoscibile. Ma l’immanenza della natura 

si confronta con la presenza effimera dell’uomo! Su 

ogni tela ho dipinto il trompe l’oeil di un post it, in dimensioni 

originali, su cui ho trascritto una haiku di Matsuo Basho, 

poeta giapponese 1644/1694.”L’haiku è una poesia dai 

toni semplici, senza alcun titolo, che elimina fronzoli lessicali 

e congiunzioni, traendo la sua forza dalle suggestioni della 

natura e delle stagioni e avviando un’esperienza di sintesi 

premedialista. L’estrema brevità della composizione richiede 

una sommario di pensiero e di immagine che viene riscoperto 

e tessuto dalla pittura mediale. La mancanza di 

nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di 

suggestioni, quasi come una traccia che il lettore può seguire 

e completare. Incisività e brevità sono inoltre caratteristiche 

comuni ai messaggi o annotazioni che lasciamo su 

un post it; da qui l’idea di impiegare questo supporto, abitualmente 

utilizzato per richiamare la nostra attenzione e 

ricordarci che ..., con fini diversi possiamo fare esercizio di 

memoria e di traduzione. In un’altra mostra realizzata di recente 

alla Galleria Steccata e che portava il titolo emblematico: 

“L’illusione dell’innocenza”, la Mazzoni ha potenziato 

ancora di più il paradosso medialista. Con la sua 

consueta ostinazione, ha trasformato in esperienza mediale 

arti e mestieri, mettendo insieme da un lato una concettualità 

eclettica e dall’altro costruendo l’iperbole dello 

scambio con la realtà. La Mazzoni dimostra di saper recuperare 

una manualità e una forza della tradizione impeccabile, 

ma apre anche ad una sottile intellettualità come 

gioco e scoperta. Qui l’idea, direbbe Perretta, rimane il discrimine 

del vedere e del dimenticare. La parola tradotta in 

pittura e in visione sottende all’immagine e crea una zona 

interrogativa in cui si inseriscono nuovi significati, nuove potenziali 

declinazioni del senso e dell’esercizio stesso del vedere. 

La parola mediale è fondamentale, essa agisce 


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Serie “Post it”: Post it e Basho-il cavallo mi porta lentamente, mi vedo come in un quadro in un campo d’estate 2010 


come elemento di comunicazione strutturale, sviscera significanti 

corporei e stimolando possibilità dialogiche, nell’infinito 

rapporto con le immagini, si dà come sovraesposizione 

congenita alla forma iconica. Nei lavori dell’artista è costante 

il rapporto tra l’opera e la vita e nelle sue fusioni 

riesce a creare quegli intercodici che lasciano allo spettatore 

lo spazio e il tempo per una sua presenza. Antonella 

Mazzoni ripensa il significato della medialità (teorizzata da 

Perretta) in modo visivo, rileggendo l’elaborazione estetica 

del Novecento. L’artista distribuisce con piacere e talvolta 

con qualche esagerazione incisiva la dimensione dell’enigma. 

Per l’artista parmense l’obiettivo resta non solo riflettere 

sull’arte, ma - attraverso la risignificazione costruttiva 

dell’immagine - fare il gioco speculativo dell’arte! Un lavoro 

di sintesi, dominio assoluto non solo di una concettualità 

che la pittura ha sempre posseduto, ma anche di un checkup 

tecnico intero. Le capacità pittoriche della Mazzoni 

pur nell’uso dei mixed media, o anche talvolta dell’assemblage, 

sono sempre sovrastanti. La sua pittura mediale è 

veramente il punto di equilibrio tra Novecento e digitalità. 

I lavori della Mazzoni, soprattutto gli ultimi che coinvolgono 

pc e interattività, dimostrano come i paradossi siano uno 

strumento davvero prezioso per la pittura mediale: essi consentono 

di arrivare al fulcro delle costruzioni visive, gettare 

un fascio di luce là dove l’intreccio tra concetti, apparenza, 

rappresentazioni formali e aspetti intuitivi si fa tanto fitto 

da mostrarsi quasi inestricabile. Ma i paradossi sono anche 

motori fondamentali per la curiosità del senso. «Ciò che un 

tempo sembrava paradossale - nota Perretta - potrebbe 

cessare di esserlo». Così, ad esempio, se non molto tempo 

fa Perretta considerava ancora il primo teorema d’incompletezza 

di Kurt Gödel un paradosso, oggi esso non ci appare 

più tale poiché proprio le difficoltà che ha messo in 

evidenza ci hanno permesso di cogliere la distinzione tra 

verità e dimostrabilità. Possiamo dunque dire che i paradossi 

pittorici della Mazzoni sono strumenti che permettono di 

mostrare la visività simbolica ed allegorica delle cose. Una 

verità che d’altronde, come diceva già il filosofo cinese Lao 

Tzu, tradotto da Perretta: «spesso suona assurda e stravagante 

come le leggi stesse della comunicazione». 


vive ed opera a Parma 

Serie “Autoritratti”: 

Canon e scoiattolo londinese 2006 


Serie “L’illusione dell’innocenza”: 

Autoritratto con risonanza fatta dal neuro scienziato del San Raffaele di Milano 2008 


www.maciacartgallery.it 

info@maciacartgallery.it 

Ishtar, 2011 

olio su tela, cm 100x150 

Extasy, 2011 


Andy, 2011 


Marylin, 2011 


Maciac Art Gallery 

Castello, 2422 - 30122 Venezia 

Cell. 345.6869640 

AlexandraMACIAC

PROFILI 


26 

C 

H s i a o 

H I N 


Sono trascorsi oltre due decenni dall’esplosione dell’arte 

cinese in occidente, un fenomeno che ha via via assunto 

i contorni di un dilagante fiume in piena. Fin dall’inizio si 

è assistito ad un’accettazione entusiastica da parte degli 

operatori del settore e persino del mercato, osservatori per 

certi versi attoniti di questa progressiva e determinante invasione 

pacifica dall’est, testimonianza inconfutabile del 

cambiamento radicale che gli artisti cinesi avevano compiuto 

nell’ambito delle arti visive e risultato evidente della 

globalizzazione ormai imperante. Nel tempo il fenomeno 

è stato analizzato e indagato nei diversi aspetti storicoantropologici, 

psicologici ed economici producendo una 

maggiore consapevolezza del fenomeno stesso per la 

comprensione del rapporto, ad esempio, tra le modalità 

figurative orientali e le pratiche occidentali. Questo snodo 

concettuale sembra essere la “chiave di volta” per meglio 

collocare esteticamente la vasta produzione cinese 

spesso accusata, anche a causa di un’insufficiente informazione 

e di un pregiudizio aprioristico, di asservimento a 

formalismi e assunti teorici americani ed europei. La storia 

biografica e artistica di Hsiao Chin (Shangai, 1935) si ritaglia 

una pagina autonoma all’interno di questo fenomeno 

di migrazione tarda verso le sponde occidentali; l’artista 

cinese sarà già in Europa, a Madrid, nel 1956, grazie ad 

una borsa di studio ottenuta dal governo spagnolo e ritornerà 

in Cina, a Taiwan, solo dopo 22 anni. La pittura di 

Hsiao, dopo i primi tentativi improntati a un realismo memore 

della lezione fauve matissiana, ben presto abbandonati, 

si risolve sin dalle prime esperienze europee in una 

formula che coniuga l’incipiente informale segnico con la 

tradizione calligrafica orientale, lezione che nessun cinese 

può disconoscere, e con il grafismo lirico ed originario di 

Paul Klee. La calligrafia è in Cina una forma d’arte vera e 

propria, che nel Novecento è andata vieppiù fondendosi 

con il segno, acquisendo libertà semantica e formale. Per 

alcuni grandi cinesi la calligrafia è stata il punto di partenza 

di un percorso quasi “demistificatorio”, nell’opera di Xu 

Bing o di Qiu Zhijie ad esempio, ma in Hsiao Chin il ritmo 

Onde magnetiche 25 

inchiostro su carta, cm 46x72 

calligrafico è subito reso metafora, fonte di segni che sulle 

sue tele diventavano singoli protagonisti: una linea curva, 

un cerchio, una macchia, la traccia di un movimento interiore 

che acquisirà nel tempo la pienezza di un discorso 

puramente astratto, nel solco della Field Painting di 

Rothko. Nei dipinti degli anni Sessanta i colori si fanno più 

vividi, penetrano gli aranci e i verdi, l’azzurro e il viola; il 

linearismo sposta il suo interesse dalla tradizione orientale 

al segno occidentale, dall’ideogramma al simbolo mediatico, 

dalla linea onda alla linea-segnale, traccia verticale 

di bandiera, simbolo indicatore, sfera alla maniera di Jasper 

Johns e poi sempre più reso minimalista, come nelle 

pitture di Frank Stella. In quasi cinquant’anni di carriera, 

Hsiao Chin ha esposto in tutto il mondo e le sue opere sono 

presenti nei musei occidentali e cinesi. Agli inizi degli anni 

sessanta fonda il movimento “Punto”; nel 1978, a Milano, 

è il momento del secondo movimento “Surya” (sole) e nel 

1989 fonda a Copenhagen il movimento “Shakti” (energia). 

L’essenzialità formale e cromatica, Leitmotiv di tutti 

i cicli formali sin’ora realizzati, costituisce il fil rouge di una 

produzione che ha saputo coniugare, nell’attesa di una 

dimensione spirituale e di comunione trascendente con 

l’universo-natura, l’eleganza del segno calligrafico orientale 

con la passionalità e la gestualità informali, la grande 

tradizione della cultura pittorica cinese con l’innovazione 

avanguardista occidentale. A partire dagli anni Novanta, 

nel pieno della sua maturità creativa e poetica, Hsiao porta 

a compimento quattro grandi cicli e ancora il cerchio 

vita- morte, gioia e sofferenza, energia cosmica e armonia 

interiore, torna a formarsi in opere dai titoli emblematici: 

“L’inizio della rinascita”, “la pace in blu”, “La gioia della 

vita”, “massima energia”. Il superamento sofferto di una 

fase oscura puntellata da tragiche vicende personali e 

storiche, la morte della giovane figlia e i fatti di Piazza Tienamen, 

è affidato ad una cromia urlata, dove la potenza 

del dolore trova sfogo in un’accensione di aranci e rossi, 

in ampie campiture delimitate da una linea che segna il 

passaggio verso l’aldilà, un passaggio di luce, dove la ma- 

teria si scioglie in liquido denso, non trasparente ma pieno 

di speranza. “Ascensione verso l’Infinito” e poi “Il giardino 

eterno” sono le tappe di un viaggio che condurrà ancora 

una volta verso la quiete di un altrove ultraterreno dove 

regna il Colore, reso puro Spirito. Il concetto tempo di Hsiao 

Chin nella serie “evoluzione cosmica”, opere datate 2005- 

2008, sembra essere quello di un viaggio a velocità della 

luce, dentro un grande cerchio che cattura verso l’imponderabile, 

l’assoluto astratto, l’origine della luce, appunto, 

la fonte della vita. Quella stessa fonte diventa un cuore, 

“Un cuore nell’universo” (2006-07), che batte al ritmo del 

tempo, in uno spazio aereo, dove la visione è estatica, è 

comunione con la grandezza e l’armonia del Tutto. Testimone 

d’eccezione del Padiglione italiano “le città dell’uomo” 

in occasione dell’Esposizione Universale a Shanghai 

nel 2010, Hsiao Chin ha stretto con l’Italia un rapporto quasi 

esclusivo: ha insegnato Teoria Visiva all’Istituto europeo 


inchiostro su carta a mano, cm 70x52,5 

Hsiao Chin con Ezio Pagano 2002 

Museum, Bagheria (Pa) 

a sinistra, dall’alto 


inchiostri su tela, cm 34x40,5 

Campo verde 1999 

acrilici su tela, cm 50x80 

Onde magnetiche 19 2002 

acrilici su carta, cm 97x170 


inchiostro su juta, cm 55x38 

del design di Milano e Anatomia Artistica all’Accademia di 

Belle Arti di Urbino e Torino; dall’85 al 1997 è stato docente 

di incisione a Brera. La sua prima personale è nel 1967 presso 

lo Studio Marconi di Milano. Le sue opere raggiungono 

il sud Italia nei primi anni Ottanta grazie al lavoro di ricognizione 

avviato dalla Galleria Ezio Pagano, oggi Museum, 

Osservatorio d’arte contemporanea in Sicilia. L’ultima sua 

grande mostra italiana è stata ospitata alla Triennale Bovisa 

di Milano nel 2009, “Viaggio in-finito. 1955-2008”. Cittadino 

del mondo. 

Hsiao Chin 

www.hsiaochin.it 


27

LIBRI 

LA BIBLIOTECA 

DEL MERCATO 


28 

A cosa serve Michelangelo ? 

In un recente convegno dal tema “Fame d’arte e valore 

della cultura” organizzato dalla fondazione PLEF a Milano, 

Michele Trimarchi, docente di Cultural Economics all’Università 

di Bologna poneva una domanda interessante (e 

la risposta lo è ancora di più): quale fosse il significato della 

cultura nel nuovo sistema di valori. La tesi era che, si tratti di 

domanda o di offerta culturale, sembra ormai necessario 

abbandonare la prospettiva in cui “le dimensioni muscolari 

sono sintomo di capacità e intelligenza” per tornare a una 

concezione più condivisa e meno istituzionalizzata e strumentale 

del nostro patrimonio culturale. Basta dunque con 

gli slogan, più che abusati dalla politica degli ultimi anni, 

sulla consistenza del patrimonio culturale italiano (che alcuni 

vogliono i tre quarti, altri addirittura i nove decimi del 

patrimonio mondiale, come se questo potesse essere contabilizzato!), 

basta con le politiche culturali assoggettate 

a quelle turistiche, basta con le mostre blockbuster da un 

lato e con la “casta” della cultura dall’altro. Importante 

invece il riavvicinamento a una concezione della cultura 

intesa come bene comune che non deve “servire” a 

nulla e a nessuno perché il suo compito è far crescere gli 

individui e la collettività. Questo sembra essere anche il 

senso del libro di Tomaso Montanari da poco pubblicato 

da Einaudi per la collana Vele, “A cosa serve Michelangelo” 

che, attraverso la storia del crocifisso attribuito a Michelangelo 

e comprato dallo Stato nel 2008 per 3 milioni 

di euro, costituisce una dolorosa testimonianza di come 

l’attuale sistema di intendere e gestire la cultura in Italia 

non solo si presti alle speculazioni di lobby commerciali e di 

altri influenti “gatekeeper” ma sia sostanzialmente causa 

del degrado del ruolo del patrimonio storico artistico nella 

società. Montanari, infatti, raccontando tutti i particolari 

dello scandaloso iter che, dalla mostra del 2004 del Museo 

Horne di Firenze “Proposta per Michelangelo giovane. Un 

crocifisso ligneo in tiglio” al 20 novembre del 2008, giorno in 

cui il crocifisso diventò formalmente di proprietà dello Stato 

italiano (prima di quel giorno era dell’antiquario torinese 

Giancarlo Gallino), mette a nudo il cinismo del potere politico, 

la complicità del sistema dell’informazione ma anche 

e soprattutto la compiacenza e l’inadeguatezza del 

mondo scientifico e accademico. Sull’analisi delle colpe 

di Martha Mary Friel 

di quest’ultimo Montanari si sofferma a lungo, puntando 

il dito su come l’università abbia da tempo aperto le porte 

al nemico istituendo “settantacinque corsi di laurea in 

gestione, amministrazione e organizzazione (e altro ancora) 

di Beni culturali” un concetto, quello di Bene culturale, 

che può “forse funzionare come categoria amministrativa, 

ma non certo come una realtà intellettuale”. Lo studioso 

(Montanari è professore di Storia dell’arte moderna presso 

la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Federico II” 

di Napoli) cita Huizinga: “una scienza storica che si poggia 

esclusivamente su un’associazione esoterica di eruditi non 

è sicura; deve invece affrontare le sue radici in una cultura 

storica posseduta da tutte le persone civili”. Correi del 

concetto deviato di “bene culturale” e del conseguente 

possibile (probabile) degrado del patrimonio artistico/paesistico 

così “utilizzato” sono dunque anche gli stessi che 

meglio ne conoscono il valore e che dunque dovrebbero 

saperlo proteggere; non solo politici, amministratori pubblici, 

organizzatori di “eventi”, critici ma proprio gli stessi studiosi 

e gli storici dell’arte. 

Tomaso Montanari 

A cosa serve Michelangelo 

Einaudi, Vele 

isbn 9788806207052 

Euro 10,00 

Il dono dell’anafilosofia 

e il riconoscimento della Natura/Cultura 

Il n.2- 2011 (Serie 96-97) della Rivista Internazionale Zeta dedicata 

alla Poesia e alla Ricerca, diretta da Carlo Marcello 

Conti, per i tipi della Campanotto editore, ci offre un numero 

al quanto ricco e programmato con interventi di M. 

C. Crespo, V. Morassutti, F. Milani, lo stesso Marcello Conti, 

con le sue poesie e le sue critiche all’ultima Biennale di Venezia 

e di Gabriele Perretta. Come evidenziano i curatori 

del numero, la sintesi di questo sommario è motivata da un 

tema comune e molto sentito che si specchia nel ricordo 

di Giorgio Celli e di Martino Oberto. Nel momento in cui 

gli attuali sistemi di pensiero totalizzanti, iperazionalistici e 

ipertecnologici, soprattutto quando nella esasperata versione 

analitica, si dimostrano incapaci di fornire risposte 

adeguate ai problemi concreti degli individui che si interrogano 

sulla loro provenienza e sul loro destino, come di 

recente ha ricordato Perretta in un convegno internazionale 

sui media, si impone la riscoperta di un pensiero, concentrato 

sullo studio dell’uomo ad impatto transdisciplinare. 

E in effetti, ripensando a Giorgio Celli, oggi riusciamo 

a cogliere innegabili affinità tra la sua ricerca scientifica 

e letteraria, nella pressante, reiterata attenzione e osservazione 

attraverso l’uomo e alcuni tratti di critica al postmoderno. 

Nell’inserto di Zeta in ricordo di Celli e Oberto 

- tra gli interventi di M. Osti, C. Negri, M. Bini, C. Beghelli, 

C. Savini - difatti spiccano i due saggi di Perretta: Lo spazio 

del Prof. Deposito Figure: le leggi naturali non sono che 

regole stilistiche e “Per Anna e Martino ...”. I testi, di varia 

lunghezza, segnati dall’occasione in cui sono stati scritti, 

composti in un lasso di tempo che va dalla primavera 

all’estate di quest’anno, (per inciso alcuni riportano l’atmosfera 

e lo spirito che ha animato il dibattito sull’attualità 

e l’inattualità di Celli e di Oberto nell’area della scrittura 

letteraria e visiva contemporanea, caratterizzato da vivacità 

e immediatezza), ruotano intorno al paradigma scienza/letteratura, 

poesia/rottura dello spazio poetico in confronto 

al pensiero darwinistico e linguistico. Nella ricorsiva 

ispirazione ai classici, nel socratico interrogare e conversare, 

spostandosi nel labirinto della civiltà occidentale, da 

Omero a Socrate, da Dante a Darwin, a una lunga teoria 

di scrittori e filosofi, Gabriele Perretta privilegia il riferimento 

fugace, rapido, leggero, il dialogo aperto e pensoso con 

di Oswaldo Ignacio Ramirez 

un sottilissimo tocco d’ironia, quel tanto che basta a non 

appesantire la prosa, a cercare, soprattutto, l’incontro 

mediale con il lettore e, nel contempo, lasciarlo perfettamente 

libero nelle sue valutazioni. I testi di Gabriele Perretta, 

inscrivendosi nell’esclusivo catalogo delle monografie 

dedicate a Celli e Oberto, pur presentandosi sotto una 

veste ridotta e maneggevole, ma rivelandosi di una densità 

che rispecchia l’imponente mole e le molteplici deviazioni 

dell’opera dei due artisti/intellettuali, recentemente 

scomparsi, si propongono di fornire un contributo critico 

alle diverse prospettive interpretative sulla riflessione della 

scrittura/lingua e sulla scrittura/poesia. L’intento di Perretta 

è di fare emergere la cifra stessa dei due artisti, secondo 

una linea di lettura che esibisca la possibilità di ritracciare 

l’opera letteraria e visiva a partire da un’esperienza 

dell’evento come pensiero, come tema guida che, costituendo 

lo snodo concettuale che tesse lo sviluppo di tutta 

l’argomentazione, ci immerge nella riflessione poetica metamediale. 

Nell’introduzione, Perretta dichiara il suo intento 

di presentare in forma sintetica la riflessione di Celli, con 

Martino Oberto 

Anaphilosophia 

Campanotto Editore 

Giorgio Celli 

Il parafossile 

Feltrinelli 

ARTA ntis.info DISCUSSANT 

29


30 

ferendo al termine sintetico sia il senso di parziale, dal momento 

che si presterà più attenzione ad alcuni temi, tralasciandone 

altri, sia quello del raccogliersi attorno a ciò che 

nel testo viene individuato come l’essenziale che si agita 

al fondo dell’intera riflessione. Quest’avvertenza si fonda 

sulla convinzione che la filosofia di Celli non sia una forma 

di problematicismo, né espressione del nichilismo contemporaneo 

ma contributo alla ripresa di un criticismo neomoderno. 

La lettura dell’opera di Celli, tenendo conto del 

movimento di riapertura e rilancio proprio del confronto 

tra biologia e letteratura, si propone di rispondere alle domande 

sollevate dalla stessa riflessione celliana: quali sono 

le conseguenze che un concetto come quello di «animalità» 

prescrive? O anche: che cosa significa e come è 

possibile essere rigorosi con un concetto come quello di 

«animalità, ecologia e comunicazione»? Il primo capitolo, 

orientandoci a una lettura della vita e di alcune opere 

dello studioso italiano, è il tentativo di attraversare l’intera 

parabola esistenziale di Celli, rivelandone il movimento 

dehors/dedans rispetto ad un milieu di formazione quanto 

mai eclettico, tanto che Perretta non ha potuto fare a 

meno di prendere in considerazione aspetti decisivi della 

riflessione celliana, identificati come “temi importanti” 

per un’adeguata comprensione dell’opera. Nel secondo 

capitolo viene messo in risalto il tema della scrittura come 

risultato dell’analisi incrociata di essere e segno. A partire 

dalla “complicazione originaria dell’origine”, che guida 

l’intera opera del poeta, Perretta traduce in domanda 

l’affermazione celliana secondo cui “il segno è all’inizio”. 

Attraverso il concetto di segno, indagato da Celli si giunge 

all’affermazione che non esiste nessuna idealità senza 

iterabilità e quindi nessuna presenza ideale al di fuori 

del raddoppiamento/ripetizione della traccia mediale 

dell’animalità. Questo significa che la ragione non potrà 

più essere pensata (forse non ha potuto mai esserlo) come 

pura e che “fra i gatti” ci si muove tra due principi: “quello 

del lucido riconoscimento della necessità di fatto del rinvio 

al linguaggio e più precisamente all’iscrizione mondana, 

e quello della decisa affermazione di diritto della non 

essenzialità del segno”. Ma allora, come si fa esperienza 

del linguaggio? Celli avrebbe risposto: nella parola della 

poesia/natura; secondo Perretta, fin dal principio, nella 

contaminazione della scrittura. Tale prospettiva esibisce la 

possibilità di pensare l’esperienza reale a partire dal piano 

cui dà vita la scrittura, orizzonte in cui si fa esperienza 

dell’esercizio del pensiero. Allora il segno, e dunque il 

linguaggio, si configura come lo spazio dell’istituzione, ovvero 

come luogo della (im)posizione della differenza che 

si fa spazio come condizione della possibilità del segno e 

quindi dell’espressione tutta. La scrittura, infatti, custodisce 

le due caratteristiche della dinamica differenziale: il luogo, 

la permanenza del tratto e il suo superamento, il testo. 

Allora l’annotazione letteraria dovrebbe essere riscritta 

come “archi-scrittura” cioè movimento della letteratura/ 

natura, per marcarne il carattere istitutivo e quindi imprescindibile 

per l’esperienza in quanto testo. Ecco perché 

“non c’è fuori-testo”. Il terzo capitolo, leggendo la storia 

dell’opera-teatrale di Celli come logocentrismo, ovvero in 

quanto alterazione cosciente, secondo la determinazione 

dell’essere come presenza, denuncia ogni forma di dominio 

(politico) da parte del soggetto su questo ente fino a 

renderlo un oggetto animale. Tale atteggiamento implica 

sempre un doppio: da un lato la fase del rovesciamen- 

to e dall’altro quella dell’irrompente emergenza di una 

nuova immagine che non si lascia annoverare nel regime 

anteriore. Non è un metodo, ma una pratica propria del 

pensiero che se è, lo è solo operativamente. Il quarto e ultimo 

capitolo si concentra sulle tematiche etico-politiche 

(preponderanti a partire dalla metà degli anni Ottanta) 

della riflessione celliana, nelle quali Perretta rinviene il segno 

della recita. Il rinvio a Celli/Darwin è in relazione al 

concetto di finitezza che Perretta così trasforma: “solo un 

essere finito e mortale può essere responsabile, solo un essere 

definito da una «finitezza infinita» può compiere una 

decisione autenticamente responsabile; al tempo stesso: 

laddove vi è decisione e responsabilità vi è sempre un soggetto 

finito e mortale . Il testo, secondo il percorso intessuto 

da Perretta, articola abilmente gli snodi concettuali 

che modulano la riflessione di Celli seguendo il tema della 

scienza/cultura, ritagliando uno spazio di riflessione teoretico 

e insieme etico-politico del versante evenemenziale 

come sottotraccia di un cammino marcato dal rapporto 

irriducibile con l’alterità. Alla questione, ancor più complessa, 

della connessione tra l’identità e il riconoscimento 

è dedicato un altro saggio del volume, intitolato a Martino 

Oberto, una tessitura complessa, che ripercorre il cammino 

del primo e dell’ultimo anafilosofo, che va dal riconoscimento 

di sé al riconoscimento reciproco, fino alla testimonianza 

del dono della scrittura, a confronto con aporie 

costitutive, tra le quali in primo luogo la dissimmetria originale. 

La domanda centrale è se sia possibile una forma di 

riconoscimento sociale al di fuori della scrittura filosofica, 

al di fuori del classico schema della dialettica tra linguaggio 

filosofico scritto e decostruzione del testo visivo. A tal 

proposito Perretta individua alcune esperienze particolari, 

che definisce “stati di medialità” e che identifica in tre 

modalità: interazione, relazione e concettualità. Il momento 

del dono mediale sorge proprio a questo punto. C’è 

quasi un filo teso che unisce la sintesi dell’anafilosofia alle 

riflessioni sul dono e sullo scambio linguistico che chiudono 

la memoria, la storia, l’oblio e i testimoni della scrittura costruttiva 

dell’architesto. Il dono dell’anafilosofia - sottolinea 

Perretta - è il vertice del riconoscimento, dell’attestazione, 

della singolarità. 

TINA LUPO 

L’Ardito, 1995 

metallo bianco brunito, 40x43x8 

SCULTURE 

www.kultrunmuseum.it

I premi 

1° Premio 

2° Premio 

3° Premio 

4° Premio 

5° Premio 

6° al 15 Premio 

I luoghi 

60.000 $ 

30.000 $ 

10.000 $ 

5.000 $ 

3.000 $ 

2.000 $ 

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Quindici artisti finalisti saranno esposti e premiati 

in due prestigiosissime sedi: 

Broadway Gallery, Soho, New York - USA | Aprile 2012 

Ca’ dei Carraresi, Treviso - Italy | Maggio 2012 

Premio Speciale “ITALY 150° ART FAIR” 

150 artisti selezionati esporranno 

in una Fiera d’Arte Nazionale in Italia | 2012 

Tutti gli artisti premiati saranno inseriti nel catalogo 

edito da New Space Edition e New Arts Magazine NY 

ART IN THE CITY_NEW YORK 

ART IN THE CITY_NEW YORK 

1° PREMIO INTERNAZIONALE 

PITTURA_SCULTURA_FOTOGRAFIA 

Termine iscrizioni: 31 gennaio 2012 

Premio Vacanza Iperclub 

Premio Vacanza a tutti gli artisti 

selezionati, offerto da 

Per partecipare alla selezione completare l’iscrizione sul sito www.art-inthecity.it oppure inviare due foto professionali (cm 20x30) di 

due differenti opere (le cui dimensioni non dovranno essere superiori ai cm 120x100 per la prima e di cm 80x80 per la seconda) 

unitamente ad un curriculum aggiornato a: 

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Via Roma, 11 - 31020 Villorba (TV) 

Tel. +39 0422 1781460 - +39 340 3356420 

www.art-inthecity.it - info@art-inthecity.it 

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Via dell’Università, 8 - TRIESTE (ITALIA) 

Inaugurazione: 19 novembre 2011 

Palazzo dei Congressi 

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dicembre 2011 

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Contatti 

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Via Del Lavoro, 30 B - 72100 Brindisi 

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Segni diVersi 

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Stefania Vassura 

Valentina Majer 

Torretta Valadier 

Piazzale di Ponte Milvio, 48 - Roma 

Vernissage sabato 29 ottobre 2011, ore 18,00 

27 ottobre - 3 novembre 2011 

orario: 10,00 - 14,00 

15,00 - 19,00 


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Orizzonte di fuoco 

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Tel. 059.280737 - Cell. 333.8317227 

mariarosascalco@libero.it

ARTA ntis.info PRIMO PIANO 

di Paolo Tricase 

Tra fiabesco e surreale 

Patricia 

Del Monaco 

Viva e intensa, l’intera opera di Patricia Del Monaco, si 

manifesta attraverso un fare pittorico sicuro e personale, 

capace di emergere e differenziarsi anche quando 

eventuali “citazioni” fanno capolino dalle intricate tele 

della pittrice romana. I “rimandi” naturali all’opera di artisti 

della storia dell’arte (pensiamo ad un Antonio Bueno, 

a Botero) o di alcune correnti, sono il territorio, anzi uno 

dei territori, su cui Patricia Del Monaco riesce a far fiorire 

una cifra stilistica chiara e riconoscibilissima, che la vede 

impegnata non soltanto sul fronte squisitamente pittorico 

(e potremmo dire, decorativo) ma anche su quello concettuale: 

ogni sua opera contiene un messaggio, ora poetico, 

ora di denuncia, Si veda per esempio l’ultimo ciclo 

di dipinti: “Venditrici d’amore”. Un titolo che è un ossimoro: 

rivela non la felicità ma l’intima tragedia di una pratica 

che nasconde necessità e solitudine, sopraffazione, 

annullamento della dignità umana a favore degli istinti 

più bassi di chi non conosce altro che il danaro e crede 

che esso sia la lancetta del tempo. Ci piace riportare, a 

commento di queste opere, un breve scritto dell’autrice 

(che è anche una valente poetessa): 

“Richiami nella notte, 

vestiti di soli corpi 

fragili sinuose creature, 

mercificate dall’odio 

di mercanti e compratori di lussuria” 

(Patricia Del Monaco, “Ladri di anime”) 

Parimenti ricche di decorazioni, di volute, di magnifici colori, 

oro e argento, sono le opere degli altri cicli pittorici 

di Patricia Del Monaco; quelle dedicate all’Endometriosi 

(ancora una volta si tratta di pittura “impegnata”), una 

malattia “al femminile” che colpisce l’apparato riproduttivo, 

rivela in chiave fiabesca sogni e desideri spezzati, 

un mondo uterino (letteralmente, dentro l’utero) che 

vive nel sogno e non approderà mai alla realtà, spezzato 

dall’infamia del male. Quelle dedicate agli alberi, vivono 

e si nutrono di poesia: del resto, si sa, l’albero da sempre 

è sinonimo di metafore, allegorie e sempre si è prestato, 

dai tempi biblici sino ai giorni nostri, a mille interpretazioni. 

In Patricia Del Monaco l’albero è la forza e il dono più 

grande della natura: luogo di bellezza e luogo misterioso 

insieme, riparo per uomini e animali, rifugio e antro del 

riposo nelle calde giornate estive, l’albero della nostra 

pittrice si rivela in tutta la sua magniloquenza e ricchezza, 

attraverso una trasfigurazione immaginifica del tutto personale. 

Ancora, le altre opere, ci suggeriscono luoghi surreali 

pervasi da una speciale quiete: una quiete che non 

è sterile cristallizzazione (la quale sarebbe morte come 

fine di tutto) ma un territorio fantastico carico di moralità. 

L’albero del Tempo 2011 


Serie Endometriosi: La ricerca 2010 


Venditrici d’amore: Virginia 2011 


L’albero dell’umanità 2009 


Serie Endometriosi: La speranza 2010 


Venditrici d’amore: Chloe 2011 


Patricia Del Monaco 

Tel. 06.5010066 - Cell. 389.9886133 

patriciadmart@libero.it - www.patriciadmart.it 





orario: 10,00 - 14,00 

15,00 - 19,00 

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www.borrelli.biz

ARTA ntis.info PRIMO PIANO 

Il colore rosso del melograno 


omaggia Sayat Nova 

di Araxi Ipekjian 

Il “Colore rosso del Melograno” ciclo pittorico dell’artista 

armena Arpinè Sevagian è la rappresentazione 

fantastica di un menestrello di corte nell’Armenia del 

XVII secolo. Ricordi, illuminazioni metafisiche, pantomime, 

simboli religiosi del folklore caucasico. A cavallo 

tra l’arte dell’occidente cristiano e quella dell’oriente 

islamico. Visionaria interpretazione dei più significativi 

fotogrammi del film di Serghiej Paradjanov Il colore 

delle melagrane. Omaggio fatto ad un poeta considerato 

il Dante della letteratura armena, da parte di 

un’artista profondamente appassionata di poesia ed 

essa stessa poetessa, innamorata del suo paese d’origine. 

La vita del trovatore armeno Sayat Nova, vissuto 

nel Seicento, dall’infanzia alla corte regale, dal ritiro 

in un convento alla morte, è esplicata attraverso una 

serie di opere, statiche come quadri che non raccontano, 

ma mostrano, evocano, suggeriscono per via di 

metafore, analogie, estri surrealisti, paesaggi onirici, 

pause liturgiche. Tributo che conta di pittorica sensualità. 

Ermetico, ma allo stesso tempo abbagliante. Sayat- 

Nova, diventa, in questo modo, non solo il nome di un 

trovatore armeno del XVII secolo, ma soprattutto fonte 

primaria d’ispirazione artistica. Il “Colore rosso del Melograno” 

non è, quindi, un racconto della vita di Sayat 

Nova, ma utilizzandone gli episodi principali, le sue diverse 

fasi: infanzia, adolescenza, servizio del principe, 

convento, morte, è una illustrazione che rifugge i limiti 

ristretti dell’avventura individuale. Si tratta meno di Sayat-Nova 

che di un poeta, anzi dell’artista fra gli uomini. 

Ecco la sua infanzia e la scoperta del mondo; l’adolescenza 

e il risveglio dei sensi all’amore; il servizio reale e 

le sue servitù; il convento e le sue miserie; la morte e la 

sua vertigine mistica. Tanti pretesti per delle immagini 

che rappresentano non delle scene realistiche, ma delle 

sublimazioni pittoriche del reale. Gli avvenimenti svaniscono 

a vantaggio della meditazione sui fatti. Come 

se attraverso l’illustrazione dei diversi periodi della vita 

di Sayat-Nova, Arpinè Sevagian ci trascinasse molto al 

di là, verso il mondo delle idee pure, una specie di universum 

platonico, il cui approccio trova nella poesia e 

nella sua pratica più che degli alleati: una voce e una 

via. Si abolisce la storia. È la vita di un poeta del XVII 

secolo? La “presenza” del tempo si intuisce solo perché 

Sayat-Nova è incarnato da persone di età diversa: un 

monello, un adolescente, un adulto nella forza dell’età, 


arpynukka@alice.it 

www.equilibriarte.net/arpysevagian 

Passione e Tormento 2011 

processualità miste su carta, cm 25x35 

un uomo che sta invecchiando. Niente ordine cronologico 

per meglio obbedire agli imperativi esoterici di 

un discorso simbolico. Esoterici per chi non è armeno 

perché si tratta di un simbolismo in profondo accordo 

con quello della Chiesa Armena. Festival di immagini 

sontuose, immobili, costrette dalla scena, lente, ieratiche, 

dai visi impassibili. Bellezza strana, malefica, anche 

se la leggibilità del simbolo non è sempre di una 

chiarezza immediata. Sebbene, sul simbolismo proprio, 

alla chiesa armena, si innesti un barocchismo di tipo 

surrealista. “Mistico-estetico-cristiano-armeno” ancorato 

a una cultura che non ha niente a che vedere 

con la cultura occidentale, poco in comune con la 

religione apostolica, assolutamente niente a che fare 

col materialismo storico e sociale ... 

La tua voce, il mio tormento 

La tua voce è giunta a me attraverso i secoli. 

Le tue parole sono arrivate a me 

grazie all’inchiostro e alla carta. 

La tua anima è approdata in me 

come una nave colma di passione 

che fa scalo in un porto pronto 

ad accoglierla senza alcuna riserva. 

Grazie a te io ritrovo la mia voce, 

il mio grido di dolore, 

la mia sofferenza, il mio tormento. 

In questa esistenza effimera, 

dove ogni cosa è momentanea, 

provvisoria, incerta. 

Io nel mezzo della mia destabilizzazione, 

cerco una risposta consolidante nel mio talento 

ma non la vedo, non la sento. 

E con faticosa accettazione penso: 

“avrò quello che con strazio aspetto 

in un altro luogo, in un altro momento”. 

(Arpinè Sevagian, 2007) Dialogando con Sayat Nova 





orario: 10,00 - 14,00 

15,00 - 19,00 

Segni diVersi 



Miro Gabriele 

miro.gabriele@libero.it 

www.sitohd.com/mirogabriele 

GIULIAFERRETTI 

Acqua frizzante, 2011 


Cell. 334.9310740 

giuliaferrettimicio@alice.it 

www.giuliaferrettimicio.it 

Miro Gabriele 



LUCIA ROSADELLA VALENTINA 

Ugola d’oro, 2011 


Tel. 0434.923052 - Cell. 349.053.2285 

luciadellavalentina@alice.it 

www.bottegangeli.com

SOFIABUCCI 

Il freddo è uno stato mentale, 2010 

fotografia digitale, cm 45x30 

Via Colle Pigna, 37 - 04010 Giulianello (LT) 

Tel. 06.9665156 - Cell. 340.6411717 

fiffa28@hotmail.it 

www.flickr.com/photos/sofiabucci 

ALDOMIGGIANO 

Profumo d’estate, 2009 


Via G. M. Danieli, 14 A - 96100 Siracusa 

Cell. 329.0480624 

aldomiggiano@yahoo.it 

aldomiggiano.webartgallery.it 

IRYNAANDARALO 


olio su pannello trattato, cm 40x60 

igraphic.lab@gmail.com 

www.equilibriarte.net/andaraloiryna 

CLAUDIOSCANDURA 

Qipao rosso, 2011 


Claudio Scandura c/o Dieei Università Di Catania 

Viale Andrea Doria, 6 - 95125 Catania 

Cell. 320.7979304 

claudio.scandura@dieei.unict.it 

www.artexxisecolo.com 

www.viviarteviva.it 

Galleria 

ViviArteViva 

ANGELA POLICASTRO 

Caval’ ed bronz 


E-mail: angelapolicastro@virgilio.it 

Via Madonna delle Rose, 34 - 10134 Torino 

Tel. 347.9453075 Fax 011.3114769 

viviarteviva@libero.it 



LINA MARANDO MIRANDOLINA 

Verde Bianco Rosso 

fotografia 

Via Madonna delle Rose, 34 

10134 Torino 

Cell. 347.9453075 Fax 011.3114769 

viviarteviva@libero.it 


www.viviarteviva.it

ANNA CERVELLERA 

Riflessi sul mare 


Via G. Puccini, 11 

10040 Rivalta di Torino (TO) 

Cell. 347.4622341 

E-mail: anna.cervellera@libero.it 

www.annacervellera.it 

LAURA MOSCA 

Anelli di Storia - La Storia ad Anelli 


E-mail: lmosca.al@tiscali.it 



PAOLA DI ROSA 

Composizione 

elaborazione digitale su tela, cm 60x75 

Cell. 339.3226076 

E-mail: drpaola@alice.it 

ROSELLA QUINTINI 


Pensiero geometrico: “Ritorno a casa” 

tecnica mista con carta realizzata a mano e acrilici, cm 60x60 

E’ allora che il pensiero, senza limiti di sorta, può diventare, come accade 

ora, “anche geometrico” e immagina di raccontare il rientro di ognuno nella 

propria casa “contenitore di nascoste verità” ... (Rosella Quintini) 

E-mail: rquintini@tiscali.it 


PAOLO PIRRONE 

Chiaro Scuro 

olio su tavola, cm 68x54 

Via Scoffone 12 B 

10095 Grugliasco (TO) 

E-mail: marapirrone@libero.it 

SAVINO LETIZIA 

Battaglia Ponte dell’Ammiraglio (R. Guttuso) 

tecnica mista, ritaglio a mano libera su PVC, cm 70x100 

E-mail: savino.letizia@libero.it 



CLAUDIO BELLINO 

Una mattina 


E-mail: bellino_claudio@yahoo.it 

MARCO SCALETTI 

Beautiful Italy 

acrilico su tela e tavola, cm 60x83 

Cell. 338.9214394 

E-mail: marco@virgilio.it 


www.viviarteviva.it

GIUSEPPE MANOLIO 

Forma 2 

bronzo, cm 40x35x10 

Via Galimberti, 62 

10095 Grugliasco (TO) 

Tel. 011.7802897 

E-mail: angelapolicastro@virgilio.it 

MARIA LO DUCA 

Dignità e libertà 


Contrada Gibli, 278 D 

91018 Salemi (TP) 



GIUSEPPINA CARUSO 

Il verde il bianco e il rosso 


Via Matteotti, 103 

91018 Salemi (TP) 

VERA GABRIELLA OCCHETTI 

Una bandiera ideale 

acrilico su carta, cm 100x70 

E-mail: info@vgocchetti.com 

www.vgocchetti.com 



MARINA TABACCO 

Movimento 


E-mail: mari.taba@libero.it 

www.marinatabacco.it 

TAMIA ZATORRI 

Tasselli della memoria 

tecnica mista su carta, cm 70x100 

E-mail: tamiazatorri@libero.it 



ANTONIO CANNATA 

Fullonica Mundi 

materiali misti, cm 170x67x15 

Via delle Magnolie, 16 

10151 Torino 

E-mail: danilocannata@alice.it 

NICOLA MANGINO 

Povera Italia 

marmo, cm 43x13x26 

Cell. 338.6782916 


www.viviarteviva.it

LUCIO BOSCARDIN 

Cara Italia 


Il quadro contiene sopra, un supporto materico girevole che permette di movimentare 

il quadro. Un dispositivo incorporato sul retro della tela che permette di ascoltare un 

brano musicale realizzato appositamente per l’opera stessa con un testo indicativo 

della durata di 100 secondi. 

Cell. 338.3106249 

E-mail: lucciobo@libero.it 

MARIO MAFFUCCI 

Una bandiera per 150 

materiali misti, cm 40x35x15 

E-mail: calitri49@hotmail.com 



RENATA FERRARI 

150 


ferrari_renata@libero.it 

GUALTIERO TARENZI “TELO” 

Vento fecondo 2 


Cell. 338.2015796 



RENZOTONELLO Via Riva di Mezzodì, 2 - 13881 Cavaglià (BL) 

Cell. +39 349.8313833 

www.renzotonello.it 

Controluce | 2011 


Vecchia libreria | 2010 


Natura stupenda | 2009 


Libero | 2010 

olio su tela, cm 100x70

www.associazioneartantis.org/itinera.html 

ITINERA 2011.2012 

NOVE CITTÀ D’ARTE NOVE GALLERIE VENTI ARTISTI CONTEMPORANEI 

agrigento.arezzo.faenza.firenze.napoli.palermo.roma.torino.venezia 

A 

RT Antis 

BIMESTRALE D’ARTE 


i n f o 

DAVID AMBROSIO 

ALBERTO BESSON 

MARIA ELENA BOSCHI 

GISELE CARNEIRO GICA 

ELISABETTA FONTANA 

GIUSEPPE LETTERE 

RENATO LIPARI 

PINO MANZELLA 

SIMONA MARIGLIANO 

MAURIZIO MUSCETTOLA 

LUIGI PACIFICO 

TIZIANA PANNUNZIO 

CINZIA QUADRI 

MARGHERITA RANCURA 

FRANCESCO RUSSO 

DONATELLA SALADINO 

HANNA SCHERIAU 

BETTY SEMINARIO 

ARPINÈ SEVAGIAN 

DOMENICO ZORA 

w w w. a s s o c i a z i o n e a r t a n t i s . o r g 

w w w . a r t a n t i s . i n f o


cinquanta duemila 

a cura di alessandro ammirata presentazione di marcello palminteri 

sopra Senza titolo, 1957, tempera e pastelli su carta, cm 70x100 

a fianco, dall’alto Senza titolo, 1972, acrilico su tela, cm 81x65 

La lettura del complesso bianco, 1987, acrilico su tela, cm 120x120 

5 novembre 4 dicembre 2011 

inaugurazione sabato 5 novembre 2011 ore 18,00 

galleria caffè guerbois 

galleria caffè guerbois 

via valdemone 35 abc 90144 palermo 

091.305004 - 339.4204529 

www.galleriacaffeguerbois.it 

in permanenza opere di 

enrico baj 

nicola busacca 

sandro chia 

giuseppe chiari 

roberto crippa 

giuseppe cuccio 

nicola de maria 

sam francis 

renato guttuso 

mark kostaby 

renato lipari 

renato mambor 

roberto masia 

mattia moreni 

hermann nitsch 

maria giovanna peri 

mimmo rotella 

giuseppe santomaso 

mario schifano 

giulio turcato 

emilio vedova

RTAntis - Artantis.info

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