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IMPRONTE<br />

ARTA ntis.<strong>info</strong><br />

12<br />

UN’ALTRA STORIA<br />

Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero<br />

di Enrico Maria Sestante<br />

Il libro Un’altra storia raccoglie le mostre omonime che si<br />

sono tenute a Como, a Milano e a Torino, curate e ideate<br />

da Eduardo Di Mauro e con un contributo di Alessandro<br />

Carrer. Il volume raccoglie 84 schede fotografiche e documentative<br />

e una trentina di interventi critici. Di Mauro è protagonista<br />

di primo piano del dibattito curatoriale contemporaneo,<br />

sia per l’originale proposta, nota come<br />

“italianissimo molteplicismo” (titolo di una lunga ricerca<br />

scaturita dalla collaborazione con Renato Barilli), sia per la<br />

riflessione sviluppata intorno alle tematiche del postmoderno<br />

e sia la sistemazione del materiale in esposizione. Di<br />

Mauro è critico d’arte e soprattutto organizzatore culturale,<br />

dal 1994 al 1997 è stato condirettore artistico della Galleria<br />

d’Arte Moderna e dei Musei Civici Torinesi. Attualmente<br />

è Direttore Artistico del Museo d’Arte Urbana del<br />

capoluogo piemontese e, nella stessa città, condirettore<br />

dello Spazio Sansovino, dove alla fine di quest’anno approderà<br />

Un’altra storia. Il pregio del volume in esame risiede<br />

proprio nell’offrire spunti per approfondimenti di un modello<br />

curatoriale italiano e delle tematiche ad esso legate,<br />

con l’accessibilità di contenuto e linguaggio propri del format<br />

espositivo. I cataloghi delle mostre di Di Mauro sono un<br />

buon esempio della discussione sulla possibilità di un ‘metodo’<br />

della curatorialità e dell’utilità di una sua applicazione<br />

in ambito artistico: “Nuove tendenze in Italia”, “Ge Mi<br />

To: l’ultima generazione artistica del triangolo industriale”,<br />

“Sotto osservazione: arte e poesia di fine secolo”, “Eclettismo”,<br />

“Carpe diem … una generazione italiana”, “Va’pensiero.<br />

Arte Italiana 1984/1996”, “Art Fiction” e, in questo decennio,<br />

“Una Babele postmoderna: realtà ed allegoria<br />

nell’arte italiana degli anni ‘90”, “Punto e a capo: nuova<br />

contemporaneità italiana”, “Interni Italiani”, “Anni Zero.<br />

Arte Italiana del nuovo decennio”. Fortunatamente, l’intento<br />

del libro di Di Mauro non è quello di aggiungere un<br />

mattone alla costruzione di una ‘scolastica postmodernista’<br />

e nemmeno quello di parlare direttamente di critica<br />

ed estetica, ma di riaprire una riflessione intorno alle sue<br />

stesse competenze, che riguardano l’arte Ottanta/2000,<br />

tentando di riordinare con grande difficoltà le tracce del<br />

pensiero ‘postmodernistico italiano’ nei Critical Studies, illuminando<br />

i legami con la teoria dei sistemi artistici contemporanei<br />

e ricostruendo il confronto tra il contributo di ABO,<br />

Germano Celant, Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Enrico<br />

Crispolti e Gabriele Perretta. Come Di Mauro ci ricorda:<br />

“Un’Altra Storia ... è una rassegna che si pone l’obiettivo di<br />

proporre una visione diversa dell’arte italiana dell’ultimo<br />

quarto di secolo rispetto a quella che ci è stata imposta da<br />

un sistema ed un’<strong>info</strong>rmazione artistica i cui limiti sono evidenziabili<br />

dal ruolo subalterno della nostra scena recente<br />

nel panorama internazionale”. Detto ciò, secondo i ludici<br />

criteri curatoriali, gli 84 artisti, selezionati da Di Mauro, saranno<br />

dislocati nelle tre sedi in maniera da unificare site<br />

specific e pratica del circuito semi-Establishment. Il pensiero<br />

di Di Mauro, debole di una “teoresi curatoriale”, cerca di<br />

dispiegarsi nei campi suddetti con ragguardevole lucidità<br />

critica, non abbandonando mai quel sostegno post-modernista<br />

proprio degli anni ‘80. Partendo dalle considerazioni<br />

barilliane sulla problematicità del superamento della<br />

metafisica artistica, Di Mauro cerca di far vedere come<br />

una radicale assunzione della propria condizione di abitanti<br />

del “sistema artistico italiano al tramonto” è l’unica<br />

via per affrontare la situazione visuale italiana: “L’obiettivo<br />

è una rilettura, fuori dagli schemi e dalle convenzioni tipiche<br />

degli ultimi anni ... L’arte italiana all’estero è generalmente<br />

rappresentata da singole individualità spesso avulse<br />

dal contesto di un territorio variegato, quindi è importante<br />

lavorare per diffondere aspetti poco approfonditi della nostra<br />

scena, considerato che la percezione dell’arte italiana<br />

dell’ultimo trentennio al di fuori dei nostri confini è talvolta<br />

assai diversa da quella che viene divulgata da ambiti comunicativi<br />

e di sistema predominanti. Per parlare degli ultimi<br />

trent’anni circa non si può non partire da un inequivocabile,<br />

quasi scontato, dato di fatto, cioè che gli ultimi due<br />

movimenti innalzatisi ad un riconoscimento internazionale,<br />

sono stati l’Arte Povera e la Transavanguardia, con percorsi<br />

diversi che di recente si sono intrecciati in una sorta di<br />

reciproco riconoscimento, da cui non era difficile prevedere<br />

l’attuazione di una sottile logica di esclusione di quanto<br />

sta al di fuori di quel recinto. La fascia generazionale maggiormente<br />

penalizzata ..., è stata quella, di non indifferente<br />

qualità, emersa subito dopo la Transavanguardia, tra la<br />

metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90, periodo nel quale è,<br />

tra l’altro, avvenuta la mia formazione critica ... Il fatto di<br />

Bruno Zanichelli<br />

Nebbia brina morde il radiatore durante l’Intifada, 1987<br />

acrilico su tela, cm 70x100<br />

avere sostanzialmente ‘saltato’ una generazione sta all’origine,<br />

a mio modo di vedere, della sostanziale irrisolutezza<br />

dell’arte italiana lungo tutto il corso degli anni ’90”. Demistificare<br />

le ideologie di queste prospettive, svelandone l’arcaismo<br />

o l’esotismo italianistico, e mettere in evidenza il<br />

disprezzo per l’internazionalismo che si cela dietro la loro<br />

demagogia, sarebbe un approccio noioso, considerata la<br />

moltitudine di organizzazioni e di tendenze esistenti nella<br />

pratica artistica italiana degli anni 80, ciascuna delle quali<br />

rivendica una propria originalità ideologica, politica e culturale.<br />

Più che le idee, conviene criticare il tipo di attività,<br />

come il fatuo militantismo, che si è visto arrancare ai tempi<br />

di una mostra di pochi mesi e poi dissolto in quella successiva.<br />

Nella situazione post-Ottanta lo spazio dell’arte non<br />

sempre è un luogo, non sempre accoglie la presenza del<br />

vivente e se ne fa dimora. Bisogna quindi ricostruire i luoghi<br />

e le opere, creare comunanza, farsi tana. Di Mauro non<br />

ammette che l’arte, italiana o straniera che sia, nel dominio<br />

totalitario del capitale, ha perso importanza, perché<br />

essa, ormai da tempo, non è più riconoscibile. L’artista non<br />

è più una garanzia, non crea luoghi per sé, per la propria<br />

unicità, bensì depositi per le merci e modi di circolazione<br />

intensiva per il valore di scambio. Le sue case sono sedi per<br />

stoccare la merce-opera, la sua mente è ormai un ubuesco<br />

ipermercato. Forma e sostanza della merce sono le<br />

due facce della distopia generalizzata, dove la morte che<br />

neghiamo, dopo aver negato dapprincipio vita e passione,<br />

è solo un paravento per nasconderci la morte che è<br />

già qui, che è già nelle relazioni col mondo che manchiamo.<br />

Parafrasando Debord, che a sua volta citava i trattatisti<br />

del seicento, potrei dire che l’arte Italiana ha fondato la<br />

propria causa sul volto anonimo della globalizzazione, poiché<br />

per creare la necessità di un’arte non ha bisogno del<br />

proprio volto. Ciò che appare difficile è chiudere gli occhi<br />

e far fiorire il mondo, toccare l’altro e magari farne poesia,<br />

attraversare la soglia e magari non ritrovarsi imminente nello<br />

stesso mondo. E’ un ‘male di esserci’, una dannazione al<br />

malinteso, una difficoltà di spiegarsi che si fa male di vivere:<br />

credo di conoscerla ormai fino al punto di estenuazione,<br />

di averla conosciuta sin dai tempi di Nuove tendenze<br />

... Non appena si esce da un terreno di lotta direttamente<br />

generazionale, in cui nella localizzazione il rapporto sociale,<br />

i soggetti siano chiari, in cui si possa concepire un’azione<br />

comune indipendente, diretta, senza alcuna possibilità<br />

di sovradeterminazioni, ‘transfert’, alienazione, la definizio-<br />

Nello Teodori<br />

Compagno di classe, 2008<br />

tecnica mista (manuale e digitale), cm 40x30<br />

Ernesto Jannini<br />

Progetti di guerra, 2007-2008<br />

installazione (Fusion Art, Torino)<br />

ne di un punto di vista e di una linea di condotta diventa<br />

esercizio di estrema complessità. Ogni asserto, infatti, rischia<br />

di essere soggetto a deformarsi, degradarsi, a conoscere<br />

una contraddittorietà continua, una concatenazione<br />

di effetti secondari, confusioni semantiche e concettuali tra<br />

smentite, auto-confutazioni, rinvii continui a piani meta-discorsivi,<br />

imponendo sottigliezze e incessanti sfumature incomunicabili.<br />

“Transavanguardia” o “arte povera”, come<br />

parlare d’altro! Ci riempiono pagine, scaffali e adesso anche<br />

il web con i personaggini di Celant e ABO. Ma, caro Di<br />

Mauro, è ovvio che in giro c’è di meglio. La pigrizia e la<br />

neghittosità di critici e di lettori non ci obbligano ad adeguarci.<br />

E’ chiaro che tutta l’arte della neo e post è un gioco<br />

di mera imitazione. Duchamp e Picasso lasciano tracce;<br />

il mercato si contenta di poco, ci si può campare<br />

sopra. Nell’epoca della totale globalizzazione, mi pare che<br />

ha lavorato meglio Perretta, che con il suo medialismo dà<br />

la paga ad ABO e a Celant ad ogni pagina. Questo napoletano,<br />

con totale consapevolezza, usa il romanzo nero<br />

dell’arte italiana per parlare d’altro ed ha il coraggio di<br />

farvi vedere gli artisti che ha seguito fuori da qualsiasi dialettica<br />

nostrano/internazionale! Perretta può cadere nel<br />

romanticume, Perretta è dottore in niente (come osava<br />

definirsi Debord), cerca la pagina difficile e sfiora il baratro<br />

del ridicolo mediale, Perretta è il filosofo che si trasforma in<br />

scrittore e critico e che si lascia trascinare dal testo, da tutto<br />

quello che fino ai cinquant’anni non ha potuto raccontare,<br />

ed ora magari esagera, si lascia prendere la mano.<br />

Ma c’è vera rabbia e vera dolcezza nelle sue pagine, vero<br />

coraggio. Mette tutto in gioco. Cita senza ritegno rovesciandoci<br />

addosso le sue letture semiologiche, sonore. Poi<br />

c’è la ricostruzione di una medialità riscattata dal sogno di<br />

una generazione che si voleva sentire libera: esagerazione<br />

emozionale, ricostruzione mitica, città sfavillante, ventre<br />

oscuro ma forse proprio per questo più protettivo di una<br />

criticità neo-moderna in grado di anticipare tutte le favole<br />

del mediale, del tecnologico e del virtuale. E c’è soprattutto<br />

la sua cifra più significativa, quel modo personale di parlare<br />

duramente di politica e di fare critica radicale al sistema<br />

attraverso la poesia. Il romanzo critico come<br />

elaborazione del lutto e, al tempo stesso, come testimonianza<br />

di una generazione post-77 che non ha niente a<br />

che vedere con i sulfamidici tiratigli addosso da Luca Beatrice.<br />

Perché la narrazione non è mai pura, ma ci vuole coraggio,<br />

ci vuole condizione, e si devono sentire con forza<br />

ARTA ntis.<strong>info</strong><br />

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