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PROFILI<br />

ARTA ntis.<strong>info</strong><br />

26<br />

C<br />

H s i a o<br />

H I N<br />

di Emilia Valenza<br />

Sono trascorsi oltre due decenni dall’esplosione dell’arte<br />

cinese in occidente, un fenomeno che ha via via assunto<br />

i contorni di un dilagante fiume in piena. Fin dall’inizio si<br />

è assistito ad un’accettazione entusiastica da parte degli<br />

operatori del settore e persino del mercato, osservatori per<br />

certi versi attoniti di questa progressiva e determinante invasione<br />

pacifica dall’est, testimonianza inconfutabile del<br />

cambiamento radicale che gli artisti cinesi avevano compiuto<br />

nell’ambito delle arti visive e risultato evidente della<br />

globalizzazione ormai imperante. Nel tempo il fenomeno<br />

è stato analizzato e indagato nei diversi aspetti storicoantropologici,<br />

psicologici ed economici producendo una<br />

maggiore consapevolezza del fenomeno stesso per la<br />

comprensione del rapporto, ad esempio, tra le modalità<br />

figurative orientali e le pratiche occidentali. Questo snodo<br />

concettuale sembra essere la “chiave di volta” per meglio<br />

collocare esteticamente la vasta produzione cinese<br />

spesso accusata, anche a causa di un’insufficiente <strong>info</strong>rmazione<br />

e di un pregiudizio aprioristico, di asservimento a<br />

formalismi e assunti teorici americani ed europei. La storia<br />

biografica e artistica di Hsiao Chin (Shangai, 1935) si ritaglia<br />

una pagina autonoma all’interno di questo fenomeno<br />

di migrazione tarda verso le sponde occidentali; l’artista<br />

cinese sarà già in Europa, a Madrid, nel 1956, grazie ad<br />

una borsa di studio ottenuta dal governo spagnolo e ritornerà<br />

in Cina, a Taiwan, solo dopo 22 anni. La pittura di<br />

Hsiao, dopo i primi tentativi improntati a un realismo memore<br />

della lezione fauve matissiana, ben presto abbandonati,<br />

si risolve sin dalle prime esperienze europee in una<br />

formula che coniuga l’incipiente <strong>info</strong>rmale segnico con la<br />

tradizione calligrafica orientale, lezione che nessun cinese<br />

può disconoscere, e con il grafismo lirico ed originario di<br />

Paul Klee. La calligrafia è in Cina una forma d’arte vera e<br />

propria, che nel Novecento è andata vieppiù fondendosi<br />

con il segno, acquisendo libertà semantica e formale. Per<br />

alcuni grandi cinesi la calligrafia è stata il punto di partenza<br />

di un percorso quasi “demistificatorio”, nell’opera di Xu<br />

Bing o di Qiu Zhijie ad esempio, ma in Hsiao Chin il ritmo<br />

Onde magnetiche 25<br />

inchiostro su carta, cm 46x72<br />

calligrafico è subito reso metafora, fonte di segni che sulle<br />

sue tele diventavano singoli protagonisti: una linea curva,<br />

un cerchio, una macchia, la traccia di un movimento interiore<br />

che acquisirà nel tempo la pienezza di un discorso<br />

puramente astratto, nel solco della Field Painting di<br />

Rothko. Nei dipinti degli anni Sessanta i colori si fanno più<br />

vividi, penetrano gli aranci e i verdi, l’azzurro e il viola; il<br />

linearismo sposta il suo interesse dalla tradizione orientale<br />

al segno occidentale, dall’ideogramma al simbolo mediatico,<br />

dalla linea onda alla linea-segnale, traccia verticale<br />

di bandiera, simbolo indicatore, sfera alla maniera di Jasper<br />

Johns e poi sempre più reso minimalista, come nelle<br />

pitture di Frank Stella. In quasi cinquant’anni di carriera,<br />

Hsiao Chin ha esposto in tutto il mondo e le sue opere sono<br />

presenti nei musei occidentali e cinesi. Agli inizi degli anni<br />

sessanta fonda il movimento “Punto”; nel 1978, a Milano,<br />

è il momento del secondo movimento “Surya” (sole) e nel<br />

1989 fonda a Copenhagen il movimento “Shakti” (energia).<br />

L’essenzialità formale e cromatica, Leitmotiv di tutti<br />

i cicli formali sin’ora realizzati, costituisce il fil rouge di una<br />

produzione che ha saputo coniugare, nell’attesa di una<br />

dimensione spirituale e di comunione trascendente con<br />

l’universo-natura, l’eleganza del segno calligrafico orientale<br />

con la passionalità e la gestualità <strong>info</strong>rmali, la grande<br />

tradizione della cultura pittorica cinese con l’innovazione<br />

avanguardista occidentale. A partire dagli anni Novanta,<br />

nel pieno della sua maturità creativa e poetica, Hsiao porta<br />

a compimento quattro grandi cicli e ancora il cerchio<br />

vita- morte, gioia e sofferenza, energia cosmica e armonia<br />

interiore, torna a formarsi in opere dai titoli emblematici:<br />

“L’inizio della rinascita”, “la pace in blu”, “La gioia della<br />

vita”, “massima energia”. Il superamento sofferto di una<br />

fase oscura puntellata da tragiche vicende personali e<br />

storiche, la morte della giovane figlia e i fatti di Piazza Tienamen,<br />

è affidato ad una cromia urlata, dove la potenza<br />

del dolore trova sfogo in un’accensione di aranci e rossi,<br />

in ampie campiture delimitate da una linea che segna il<br />

passaggio verso l’aldilà, un passaggio di luce, dove la ma-<br />

teria si scioglie in liquido denso, non trasparente ma pieno<br />

di speranza. “Ascensione verso l’Infinito” e poi “Il giardino<br />

eterno” sono le tappe di un viaggio che condurrà ancora<br />

una volta verso la quiete di un altrove ultraterreno dove<br />

regna il Colore, reso puro Spirito. Il concetto tempo di Hsiao<br />

Chin nella serie “evoluzione cosmica”, opere datate 2005-<br />

2008, sembra essere quello di un viaggio a velocità della<br />

luce, dentro un grande cerchio che cattura verso l’imponderabile,<br />

l’assoluto astratto, l’origine della luce, appunto,<br />

la fonte della vita. Quella stessa fonte diventa un cuore,<br />

“Un cuore nell’universo” (2006-07), che batte al ritmo del<br />

tempo, in uno spazio aereo, dove la visione è estatica, è<br />

comunione con la grandezza e l’armonia del Tutto. Testimone<br />

d’eccezione del Padiglione italiano “le città dell’uomo”<br />

in occasione dell’Esposizione Universale a Shanghai<br />

nel 2010, Hsiao Chin ha stretto con l’Italia un rapporto quasi<br />

esclusivo: ha insegnato Teoria Visiva all’Istituto europeo<br />

Senza titolo 1979<br />

inchiostro su carta a mano, cm 70x52,5<br />

Hsiao Chin con Ezio Pagano 2002<br />

Museum, Bagheria (Pa)<br />

a sinistra, dall’alto<br />

Senza titolo 1989<br />

inchiostri su tela, cm 34x40,5<br />

Campo verde 1999<br />

acrilici su tela, cm 50x80<br />

Onde magnetiche 19 2002<br />

acrilici su carta, cm 97x170<br />

Senza titolo 1977<br />

inchiostro su juta, cm 55x38<br />

del design di Milano e Anatomia Artistica all’Accademia di<br />

Belle Arti di Urbino e Torino; dall’85 al 1997 è stato docente<br />

di incisione a Brera. La sua prima personale è nel 1967 presso<br />

lo Studio Marconi di Milano. Le sue opere raggiungono<br />

il sud Italia nei primi anni Ottanta grazie al lavoro di ricognizione<br />

avviato dalla Galleria Ezio Pagano, oggi Museum,<br />

Osservatorio d’arte contemporanea in Sicilia. L’ultima sua<br />

grande mostra italiana è stata ospitata alla Triennale Bovisa<br />

di Milano nel 2009, “Viaggio in-finito. 1955-2008”. Cittadino<br />

del mondo.<br />

Hsiao Chin<br />

www.hsiaochin.it<br />

ARTA ntis.<strong>info</strong><br />

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