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VISTE<br />
ARTA ntis.<strong>info</strong><br />
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Alessio Vaccari<br />
Galleria Ghelfi Vicenza<br />
di Giovanna Grossato<br />
Si è protratta con successo fino alla fine di agosto presso la<br />
Galleria Ghelfi di Vicenza la bella mostra di Alessio Vaccari,<br />
giovane artista pisano (1977) formatosi all’Accademia di<br />
Belle Arti di Roma ed ora notevolmente affermato a livello<br />
nazionale. Già nel 2000 Vaccari viene selezionato al Premio<br />
Arte Mondadori e nel 2010 allestisce con suoi dipinti una sala<br />
nel Centro per l’Arte “Diego Martelli” di Castiglioncello in occasione<br />
della mostra “Coincidenze allievo/maestro”. Sempre<br />
al 2007 risale la personale “Intime Armonie” presso la<br />
Galleria le Opere di Roma e l’avvio di un’attività espositiva<br />
piuttosto intensa, soprattutto presso la Gagliardi Gallery, una<br />
delle più antiche gallerie londinesi per l’arte contemporanea.<br />
Dotato di una grande sensibilità per gli elementi formali<br />
e di una straordinaria capacità di tradurre sulla tela il mondo<br />
circostante, Vaccari ne cristallizza l’attimo in una sorta di reportage<br />
fotografico che fissa gli aspetti vitali più caratterizzanti<br />
di persone e cose. La sua pittura, soffusa di atmosfere<br />
rarefatte e senza tempo, immette in una situazione oggettiva<br />
costruita però secondo canoni ideali, assimilabili a quelli<br />
che dal primo Rinascimento, soprattutto da Piero della Francesca,<br />
attraversando il realismo europeo secentesco, giungono<br />
alla metà dell’Ottocento fino a Georges Seurat e, nel<br />
Novecento, a Balthus. Schematizzando s’intende - e tuttavia<br />
con poche differenze di metodo rispetto a quegli autori<br />
“classici” -, anche la classicità di Vaccari mira ad individuare<br />
la purezza delle linee e delle forme geometriche insite nella<br />
comune quotidianità, organizzandole nella tela secondo un<br />
valore assoluto del tempo. Si crea così una sorta di gabbia<br />
entro la quale gli elementi naturali, semplificati e mondati<br />
dagli accessori occasionali o irrilevanti di persone e cose,<br />
rimangono fissati in un assoluto spazio-temporale denso di<br />
atmosfere quanto sottilmente inquietante. E’- una successione<br />
di istanti che vengono intrappolati, o meglio, convinti<br />
con la seduzione della pittura a rimanere per sempre dentro<br />
il quadro, assecondando la composizione e spezzando<br />
volontariamente la relazione con quella realtà che sembra<br />
a tutti gli effetti essere protagonista della rappresentazione.<br />
Alessio Vaccari attua quello che Federico Fellini definirebbe<br />
“quell’universo di segni in cui si concentra la memoria pittorica”<br />
secondo modalità ricche di un’energia intensa che<br />
utilizzano un linguaggio attuale, confutando sia certi “ritorni”<br />
contemporanei al figurativo, sia cert’altri atteggiamenti di<br />
reazione nei confronti del linguaggio astratto degli anni Ottanta.<br />
E’ lo stesso artista a dichiarare il suo metodo di lavoro<br />
e di pensiero con precisa scansione dei percorsi attraverso<br />
i quali vi è giunto: “La mia ricerca - scrive - è fondata su<br />
Crocefissione 2009<br />
olio su tavola, cm 56x35x1<br />
un’attenta osservazione del veduto. Dopo anni di studio e<br />
confronto con la tradizione, ho scelto come mezzo espressivo<br />
prediletto il disegno e la pittura ad olio, impiegati con<br />
una tecnica attenta e lenta nella ricostruzione della trama<br />
luministica delle “cose” osservate. I soggetti sui quali concentro<br />
l’attenzione sono il ritratto e soprattutto gli spazi del<br />
mio studio, assieme agli oggetti che lo abitano.” Un universo<br />
privato solo apparentemente circoscritto, ma che in realtà<br />
spazia nell’esperienza e nella memoria del mondo riconosciuto<br />
e rappresentato non solo come l’artista lo vede e ma<br />
anche e soprattutto come egli sa che è. Oltre alla ventina<br />
di “interni” e ritratti, non mancano poi nella mostra alla Galleria<br />
Ghelfi alcuni paesaggi costruiti con lo stesso puntiglioso<br />
impegno ma, ovviamente, con una maggiore e diversa<br />
estensione spaziale, in cui l’orizzonte vaporizza i confini tra le<br />
colline, i boschi, il cielo e l’acqua.<br />
Nero su nero 2006<br />
china acquarellata su documento originale del XIX secolo, cm 30x42<br />
Visitare una mostra di opere in una pinacoteca, un museo,<br />
uno spazio dedicato, è alquanto ovvio e naturale. Ma gli spazi<br />
espositivi propriamente detti, quelli dei centri istituzionali e delle<br />
gallerie d’arte, non sono sempre facilmente accessibili al grande<br />
pubblico; così sempre più spesso accade di imbattersi in<br />
iniziative espositive nei luoghi più impensati, per le vie e per le<br />
piazze, in pub e caffè letterari, librerie, sale congressi, strutture<br />
ricettive, e perfino stazioni e aeroporti che, seppure luoghi di<br />
transito o “nonluoghi”, hanno il vantaggio di essere frequentati<br />
da una grande moltitudine di persone. Non estraneo a esposizioni<br />
in gallerie d’arte e siti istituzionali, il percorso espositivo di<br />
Pino Manzella lo scorso agosto è approdato al Tus’Hotel, nella<br />
ridente località marinara della costa messinese, Tusa, con “Acquerelli<br />
dei conti che non tornano”, una panoramica significativa<br />
di opere realizzate in un trentennio di attività pittorica.<br />
Venti opere tratte dai principali cicli tematici, dagli “Alberi” agli<br />
“Scrittori”, o realizzate in occasione di mostre a tema, tracciano<br />
le linee guida di un discorso artistico coerente da cui emerge<br />
una cifra stilistica originale, facilmente riconoscibile, che si<br />
manifesta attraverso un personale codice espressivo di segni e<br />
simboli, tracce e cromie, sapientemente disposti e giustapposti<br />
su supporti <strong>info</strong>rmali. Pino Manzella è un artista dal tratto elegante,<br />
raffinato, socialmente impegnato. La sua è una pittura<br />
colta, simbolica, allusiva, mai fine a se stessa, spesso di denuncia,<br />
che racconta sommessamente per analogie e metafore,<br />
o lascia intuire verità scomode che le coscienze perbeniste<br />
rinnegano. Una pittura acquosa, di velature a tinte tenui, attraverso<br />
cui i concetti e le emozioni si materializzano in cose e persone,<br />
animali e paesaggi: alberi, farfalle, libri, limoni, serpenti,<br />
rinoceronti, poeti, scrittori. Leggendo tra le tinte pastello e le<br />
righe sbiadite si possono rintracciare suggestioni letterarie che<br />
il pittore desume dalle pagine dei suoi autori preferiti, anzitutto<br />
quelli che hanno fatto grande la Sicilia, Sciascia e Giovanni<br />
Meli, Consolo Pirandello Camilleri ... , ma anche Borges, Picasso<br />
e molti altri. Un giardino con un grande ficus e uno scorcio<br />
marino con la torre Molinazzo (località del comune di Cinisi, in<br />
provincia di Palermo, dove l’artista vive ed opera). Il giallo dei<br />
limoni roso da muffe verdognole e il monte Pecoraro (anch’esso<br />
a Cinisi) nelle sembianze di un bassotto in quella che si appalesa<br />
come una trasposizione figurativa di un’impressione del<br />
critico d’arte Francesco Carbone. Un omaggio a Guttuso e un<br />
riferimento a Dϋrer. Una pittura preziosa, ricercata nel segno,<br />
nel simbolo, nel concetto, e anche nel supporto. Perché Pino<br />
Manzella non stende i suoi colori su supporti convenzionali, tele<br />
o tavole, non si accontenta di semplici fogli di carta tirati in<br />
Acquerelli dei conti che non tornano<br />
Pino Manzella<br />
di Giuseppe Viviano<br />
serie. Le sue opere sono, con un’espressione dell’artista, “chine<br />
acquerellate”, ossia dipinti su documenti originali del XVII, XVIII<br />
e XIX secolo, fortunosamente recuperati e adoperati come<br />
supporto materico del racconto pittorico e talvolta anche<br />
come spunto creativo o come appiglio figurativo al quale associare<br />
il contenuto del dipinto. Forte dell’esperienza maturata<br />
negli anni, lente di ingrandimento alla mano, il pittore si trasforma<br />
in studioso, veste i panni del filologo, ricerca alla maniera<br />
di un archeologo, legge i reperti cartacei ingialliti, tarlati, dai<br />
margini sdruciti, mantiene ed esalta i segni del tempo, le imperfezioni<br />
casuali dell’incuria, interpreta le grafie approssimative<br />
di “carte” comuni come i tratti eleganti di atti ufficiali nobilitati<br />
da bolli, stemmi e sigle svolazzanti, lasciandosi suggestionare<br />
dal sottile filo di china nera tracciato a mano nei secoli passati,<br />
una frase, un inciso, un appunto a margine, da cui talvolta<br />
origina l’intervento pittorico. Manzella comunica messaggi attuali,<br />
contemporanei, spesso facendosi interprete di un sentimento<br />
collettivo, e lo fa guardando al passato, alla piccola<br />
storia, alla realtà quotidiana, avvalendosi di materiali della cultura<br />
umana che, rivisitati attraverso l’intervento creativo nello<br />
stile dei ready-made, divengono opere d’arte. L’impiego degli<br />
acquerelli, anche quando l’artista ricorre alla tecnica del<br />
collage, è una scelta operativa che consente al contenuto<br />
originale dei documenti di affiorare in un gioco di velature e<br />
trasparenze in cui il passato rivive in una dimensione altra e<br />
si propone come memoria del presente. Il risultato è un prodotto<br />
nuovo che coniuga il pregio estetico con una spiccata<br />
connotazione concettuale, un’opera in cui due piani materici,<br />
semantici e temporali, quello antico in cui il documento è stato<br />
creato e quello più recente dell’intervento creativo, convivono<br />
e dialogano in una sintesi di segni, disegni e valori simbolici.<br />
da sinistra<br />
Picasso visita il Trionfo della Morte a Palermo 1992<br />
china acquarellata su documento originale del XIX secolo, cm 30x42<br />
Il poeta cieco. Omaggio a Borges 2005<br />
china acquarellata su documento originale del XX secolo, cm 30x42<br />
ARTA ntis.<strong>info</strong> VISTE<br />
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