Dallari & Figlio - Gioventù Musicale d'Italia sede di Modena

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Martedì 19 gennaio 2010 ore 21.00 Teatro Comunale Luciano Pavarotti In collaborazione con Fondazione Teatro Comunale di Modena Fazil Say pianoforte J. S. Bach / Ferruccio Busoni (1866-1924) Ciaccona Franz Joseph Haydn (1732-1809) Variazioni Hob XVII n. 6 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) Ah vous dirais-je, maman K. 265 Robert Schumann (1810-1856) Variazioni Abegg op. 1 Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata n.32 in do minore op. 111 Maestoso Allegro con brio ed appassionato Arietta: Adagio molto, semplice e cantabile concerti per la mostra “Fotografia contemporanea dall’Est Europa” Fondazione Gioventù musicale d’Italia Sede di Modena Critica e pubblico sono divisi nel giudizio su Say, ma unanimi almeno in ciò: un recital di Fazil Say non si dimentica, per l’approccio assolutamente originale al più grande repertorio, la strabiliante facilità improvvisativa che si mostra non solo nei virtuosistici bis, e insieme l’impossibilità di dire che il suo pianismo non sia in rapporto con la tradizione. Che non vuol dire Accademia. Ed è anche con la voluta provocazione che Say stimola un ascolto critico, che richiede comunque di prendere partito. Fazil Say, nato ad Ankara nel 1970, ha studiato pianoforte presso il conservatorio della sua città, dove si è diplomato in pianoforte e composizione nel 1987. A 17 anni, grazie a una borsa di studio, si è perfezionato con David Levine all'Istituto Robert Schumann di Düsseldorf, diplomandosi nel 1991 come “concertista solista”; l’anno successivo gli è stata assegnata la cattedra di pianoforte e musica da camera presso la Berlin Performing Art and Music Academy e nel 1994 ha vinto il Premio Young Concert Artists International Auditions di New York, riconoscimento che gli ha aperto immediatamente le porte della carriera internazionale. All’attività di pianista, Fazil Say affianca quella di compositore: ha scritto oratori, concerti per pianoforte, musica da camera e opere orchestrali. Tra le opere principali, gli oratori Nazim e Requiem for Metin Altiok,quattro Concerti per pianoforte, Albert Einstein per orchestra commissionato dall’Orchestra di Zurigo. La città di Vienna gli ha commissionato un balletto per celebrare l’anniversario di Mozart: Patara è stato eseguito per la prima volta nel febbraio 2006. Con i concerti tenuti in tutto il mondo e le straordinarie incisioni disco- grafiche, Fazil Say, oggi pianista di chiara fama, si è guadagnato più di 20 premi internazionali. Suona regolarmente con la New York Philharmonic, la Israel Philharmonic Orchestra, la Baltimore Symphony, le Filarmoniche di San Pietroburgo e della BBC, l'Orchestre National de France e molte altre importanti compagini orchestrali. È stato ospite dei Festival di Salisburgo, di Lucerna, di Verbier, di Montpellier, del Klavierfestival Ruhr, del Rheingau Music Festival, del Beethoven Festival Bonn, di Roque d’Anthéron, del Lincoln Center Festival New York. Ha dato récital in tutte le più importanti sale del mondo, tra le quali il Concertgebouw di Amsterdam, la Philharmonie di Berlino, la Suntory Hall di Tokyo, il Musikverein di Vienna, la Carnegie Hall e l’Avery Fisher Hall di New York, la Wigmore Hall di Londra, il Théâtre des Champs Elysées di Parigi. Ha suonato nel gala di chiusura del 70° Maggio Musicale Fiorentino, diretto da Zubin Mehta, davanti a più di venti mila spettatori. Nel 2007 è stato presidente della giuria per il Montreaux Jazz Festival; nel 2008 Fazil Say è stato scelto come “ambasciatore della cultura” dall’Unione Europea e mira a creare un ponte tra cultura orientale e occidentale.
Johann Sebastian Bach / Ferruccio Busoni Ciaccona «Ogni notazione è la trascrizione di un’idea astratta … L’esecuzione di un’opera è una trascrizione. Poiché un’opera d’arte musicale … sta allo stesso tempo dentro e fuori dal tempo». Sono frasi tratte dall’Abbozzo di una nuova estetica musicale (1909) che testimoniano con estrema chiarezza quale fosse la poetica di Ferruccio Busoni in quanto virtuoso del pianoforte, compositore e trascrittore d’eccezione. O meglio, compositore in quanto trascrittore e viceversa, visto che il suo approccio alle opere di Bach si poneva all’insegna della viva ri-creazione di capolavori musicali che – nell’intento di Busoni – dovevano essere riportati a nuova luce mediante una riscrittura che ne esplicitasse i significati più reconditi alle orecchie degli ascoltatori contemporanei. La Ciaccona dalla seconda Partita BWV 1004, di Johann Sebastian Bach, col suo caratteristico basso cromatico forte di una tradizione secolare, viene così rielaborata attorno al 1893 e riletta alla luce del pianismo ‘sinfonico’ di marca lisztiana di cui Busoni era erede a pieno titolo. È dedicata al pianista e compositore scozzese Eugen d’Albert, allievo diretto di Liszt, come Busoni innamorato e imbevuto della cultura musicale tedesca. (tb) Franz Joseph Haydn Variazioni Hob XVII:6 Non è certo quale dovesse essere l’esito compositivo di quelle che oggi sono le Variazioni in fa minore Hob. XVII:6 di Franz Joseph Haydn. Composte a Vienna nel 1793 tra i due soggiorni londinesi del compositore, dedicate a Maria Anna Barbara (Babette) Ployer – l’allieva di Mozart per la quale il Salisburghese aveva composto i Concerti K 449 e K 453), le Variazioni figurano come “Sonata” nell’autografo haydniano, e come “Piccolo divertimento” in una copia autentica. Probabilmente il brano giunto sino a noi avrebbe dovuto fungere da primo tempo di una sonata mai portata a termine: lo si evince sia da alcune evidenze del già citato manoscritto autografo, sia dal fatto che Haydn concepisce il brano come una serie di doppie variazioni. I temi di partenza sono infatti due: un malinconico Andante in fa minore seguito a mo’ di trio da un secondo tema in tonalità maggiore, entrambi alternativamente variati per due volte e seguiti da un Finale che funge da ripresa del materiale di partenza. (tb) Wolfgang Amadeus Mozart 12 variazioni su “Ah vous dirais-je, maman” K 265 Con molta probabilità, non c’è pianista in fasce che non si sia cimentato almeno una volta col tema per variazioni più famoso al mondo. Composte a Vienna tra il 1781 e il 1782 (anni che vedono nascere opere del calibro di Idomeneo e del Ratto dal serraglio), destinate con molta probabilità all’uso didattico, le dodici variazioni K 265 si basano su una canzone francese in circolazione da almeno vent’anni prima che Mozart la rendesse immortale: la più antica attestazione conosciuta risale al 1761, in una pubblicazione francese intitolata Les amusements d’une heure et demi (I divertimenti di un’ora e mezza). dieci anni dopo Mozart, anche Haydn avrebbe citato la stessa melodia nella propria Sinfonia n. 94, “La sorpresa”; all’inizio dell’Ottocento, le note della canzone avrebbero accolto anche i versi della poetessa inglese Jane Taylor, diventando così l’arciceleberrima – nei paesi anglosassoni – Twinkle, twinkle, little star. Stante la destinazione didattica, Mozart utiliz- za il tema di partenza in maniera assai lineare, ideando nei fatti una serie di variazioni ‘ornamentali’ che abbelliscono e arricchiscono il materiale di partenza senza mai celarlo del tutto alle orecchie dell’ascoltatore, e concedendogli al massimo un breve fremito nella più cromatica e contrappuntistica – ma non troppo – variazione VIII, in modo minore. (tb) Robert Schuman Variazioni sul nome Abegg op. 1 Nel 1830 Robert Schumann ha giusto vent’anni (nel 2010 cade quindi il secondo centenario della sua nascita), ha alle spalle una tumultuosa educazione musicale svolta in pratica da autodidatta, e negli anni immediatamente precedenti si è dedicato agli studi di giurisprudenza, in obbedienza a un consiglio materno accolto dopo la morte del padre nel 1826. Accade però che a Lipsia e a Heidelberg il giovane Schumann frequenti i cenacoli musicali di Friedich Wieck (che diventerà poi suo suocero) e del giurista e musicologo Anton Friedrich Justus Thibaut: Schumann si dedica con sempre maggior foga alla composizione, e dà infine alle stampe il primo numero ufficiale del proprio catalogo, le Variazioni sul nome Abegg. Nel titolo – e nel nucleo musicale dell’opera – c’è in nuce il mondo musicale dello Schumann a venire: le suggestioni letterarie, l’interesse per i giochi simbolici semantico-musicali, la devozione verso l’eredità musicale dei grandi classici. Dedicataria dell’opera è una fantomatica contessa Pauline von Abegg, ma la reale ispiratrice dell’opera si dice essere tal Meta Abegg, se mai sia esistita una fanciulla con questo nome (“Meta” è l’anagramma di “Tema”). Ciò che conta è che il cognome ABEGG è interamente musicabile: nella notazione tedesca corrisponde alle note La Si bemolle Re Sol Sol. Su questo spunto tematico (erede di una lunga tradizione compositiva che risaliva alla Missa Hercules Dux Ferrariae di Josquin passando per L’arte della fuga di Bach), udibile chiaramente ad apertura di brano e – riunito in un lungo accordo – nel Finale, Schumann imbastisce la propria serie di tre variazioni seguite da un intermezzo e da una brillante ronda conclusiva in 6/8. (tb) Ludwig van Beethoven Sonata n. 32 in do minore op. 111 Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per l’ultima delle trentadue sonate beethoveniane, molte delle quali per un problema in apparenza banale: la Sonata op. 111 si compone di due soli movimenti; perché? Anton Schindler sosteneva, citando come fonte lo stesso Beethoven, che il compositore non aveva avuto il tempo di scrivere il finale dell’opera (frutto di almeno tre anni di lavoro, dal 1820 al 1822), o che, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto radicalmente cambiare la struttura dell’Arietta con variazioni che costituisce il secondo movimento. Altri (anche personaggi del calibro di Hans von Bülow e Richard Wagner) misero in campo teorie karmiche e filosofiche della più svariata natura. In realtà, gli anni dal 1820 in giù, ovvero gli anni delle ultime tre sonate per pianoforte (si potrebbe anche risalire al 1817, quando il compositore comincia ad abbozzare la Sonata op. 106 “Hammerklavier”), Beethoven aveva perfezionato un lavorìo sempre più disgregante tra le pieghe della ‘classica’ forma sonata, di portata tale da generare, alla fine, forme musicali che dal genere sonata sembravano allontanarsi drasticamente. L’interesse di Beethoven era sempre più rivolto non tanto al ‘riempimento’ di grandi schemi formali, quanto alla loro generazione attraverso una continua e persino esasperante ricerca ed elaborazione tematica: si giustificavano così, ad esempio, lo sconcertante Largo e la “Fuga a tre voci con alcune licenze” dell’op. 106, o le fughe che chiudono l’op. 110, e ancora le variazioni dell’op. 109 e della 111. E il medesimo senso ha – benché sembri una trovata d’altri tempi, la lenta introduzione in Maestoso che apre l’ultima sonata beethoveniana. Dopo l’op. 111, la Sonata sarebbe diventata un terreno fin troppo ristretto per Beethoven: dopo sarebbero nati capolavori tanto monumentali quanto lontani tra loro negli esiti sonori come le ciclopiche Trentatré variazioni su un tema di Diabelli op. 120, e le ultime serie di Bagatelle, op. 119 e 126. (tb) 19
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