lezione3 - Architettura
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Verso il 1300 la prosperità che aveva<br />
reso possibile le grandi costruzioni di<br />
Micene e Tirinto cominciò a declinare<br />
per ragioni non del tutto chiare. Alcuni<br />
suppongono l’invasione dei Dori abbia<br />
determinata la disgregazione della<br />
cultura micenea. Intorno al 1100 la<br />
cultura dell’età del bronzo era in rovina<br />
i suoi tesori dispersi i suoi palazzi<br />
saccheggiati. I quattro secoli successivi<br />
furono un oscuro periodo di barbarie, di<br />
povertà, di ignoranza.<br />
Nel IX secolo ebbe largo impiego il ferro<br />
la cui tecnologia era già nota dall’XI: più<br />
duro del bronzo il ferro si prestava ad<br />
un genere di vita fondato sulla spada e<br />
sull’aratro. Fu probabilmente nell’VIII<br />
secolo che Omero rimpiangeva la perduta<br />
civiltà del bronzo: l’inizio della cultura<br />
ellenica è databile all’800 a.C. quando la<br />
scrittura greca assorbendo alcune<br />
lettere dell’alfabeto fenicio il lineareB<br />
che nulla deve alla scrittura minoica nota<br />
come linea A, usata per le transazioni<br />
commerciali.<br />
La cultura greca non ebbe confini ben<br />
definiti, era diffusa dalla Grecia alle<br />
isole dell’Egeo, alle coste della Turchia e<br />
del Mar Nero, all’Italia Meridionale, alle<br />
coste mediterranee della Spagna.<br />
Il mondo cantato da Omero era<br />
caratterizzato da cittadelle dominate dal<br />
palazzo del signore, quello ellenico successivo<br />
all’800 aveva città con templi che accoglievano<br />
le statue degli dei.
L’acropoli di Atene con i<br />
suoi edifici il Partenone<br />
l’Eretteo, i Propilei viene<br />
considerato l’acme della<br />
cultura greca. Ovviamente<br />
lungi dalla cultura<br />
contemporanea l’adesione<br />
ad una interpretazione dei<br />
fatti storici in termini di<br />
sviluppo biologico dando<br />
per scontato un periodo di<br />
ascesa, maturità e declino.<br />
Negli anni di Pericle 450-<br />
429 a.C. verifichiamo<br />
tuttavia la nascita della<br />
prima cultura umanistica in<br />
quell’architettura che Zevi<br />
definisce a scala umana. Gli<br />
anni di Pericle sono quelli<br />
di una grande crescita<br />
economica dopo le guerre<br />
persiane:Ictino, Callicrate,<br />
Mnesicle e Fidia danno il<br />
loro contributo alla<br />
realizzazione di un’opera<br />
che doveva essere il<br />
manifesto della rinascita<br />
politica. La costruzione del<br />
Partenone rientra in un<br />
vasto programma politico.
L’acropoli di Atene con i suoi edifici il Partenone<br />
l’Eretteo , i Propilei viene considerato l’acme della<br />
cultura greca. Ovviamente lungi dalla cultura<br />
contemporanea l’adesione ad una interpretazione dei<br />
fatti storici in termini di sviluppo biologico dando per<br />
scontato un periodo di ascesa, maturità e declino.<br />
Negli anni di Pericle 450-429 a.C. verifichiamo tuttavia<br />
la nascita della prima cultura umanistica in<br />
quell’architettura che Zevi definisce a scala umana. Gli<br />
anni di Pericle sono quelli di una grande crescita<br />
economica dopo le guerre persiane: Ictino, Callicrate,<br />
Mnesicle e Fidia danno il loro contributo alla<br />
realizzazione di un’opera che doveva essere il<br />
manifesto della rinascita politica. La costruzione del<br />
Partenone rientra in un programma politico
Il tempio di Era è il più antico ha<br />
un numero inconsueto di<br />
colonne<br />
L’acropoli di Agrigento<br />
Il tempio è un edificio profondamente autonomo, autarchico,<br />
autosufficiente. Esso si erge in un luogo consacrato al dio, i<br />
suoi gradini lo estraniano dal suolo, la fitta serie di colonne<br />
determina un netto confine tra il suo corpo e quanto lo<br />
circonda. Come oggetto che porta in sé la perfezione esso<br />
rimane identico in qualsiasi luogo venga costruito: sui pendii<br />
montuosi, negli affossamenti paludosi, nelle strette contrade<br />
delle città, sulle rive del mare. Forse è un altro elemento che lo<br />
lega al paesaggio, quello mitico. Il tempio è autarchico anche<br />
perché non ha alcun rispetto degli edifici vicini, non si cura di<br />
chi lo osserva. La cella non è più grande di quanto fosse<br />
strettamente necessario a contenere l’immagine del culto ed<br />
era accessibile solo a pochi addetti al culto stesso. Riunioni,<br />
sacrifici e preghiere, tutto quanto prevedeva la<br />
partecipazione della comunità si svolgeva all’esterno, aveva<br />
luogo intono all’altare allestito a cielo aperto
Se si rifiuta al tempio quello che per noi rappresenta il concetto di architettura, cosa rimane? Come nell’uomo la misura<br />
delle cui membra è condizionata da regole interne, così le membrature del tempio crescono gradatamente secondo<br />
proporzioni determinate. E se nei piccoli edifici dei primi templi i gradini e le porte erano condizionati dal passo e dalla<br />
statura dell’uomo, nei monumentali templi del VI secolo i gradini non sono più agevolmente praticabili, le porte immense<br />
non sono più commisurate alla statura umana. Ciò rivela l’autonomia, l’autarchia di questa architettura le cui misure non<br />
dipendono dalla figura umana perché la sua struttura è condizionata da leggi immanenti e perciò più legata all’uomo.<br />
Quando nel 447 a.C. i cantieri del Partenone entrano in una fase di grande attività, il terreno è ben lungi dall’essere<br />
sgombro, numerose sono le costruzioni preesistenti. Dopo l’occupazione della roccia da parte dei Persiani l’immagine<br />
della desolazione configurata da Tucidide è eloquente “Delle mura ben poco restava e le case per la maggior parte<br />
erano state abbattute. Gli ateniesi fortificarono la città in breve tempo: e anche adesso è evidente che la<br />
ricostruzione delle mura avvenne in tutta fretta..“ Gli ateniesi si occuparono di far ricostruire la cerchia di mura e far<br />
installare il Pireo e il suo porto, indispensabili a riprendere i commerci e alla politica ateniese.<br />
La ricostruzione del Partenone iniziò in un<br />
cantiere aperto nel quale Ictino e<br />
Callicrate dovevano tener conto di quanto<br />
era già stato realizzato in quello che viene<br />
indicato come il Prepartenone. Il tempio<br />
corrispondeva alle strutture tradizionali<br />
con 6x16 colonne, cella a due camere e<br />
opistodomo con quattro colonne.<br />
Le esigenze di Fidia e della sua statua<br />
crisolelefantina sconvolsero i precedenti<br />
programmi affinchè si fosse realizzato una<br />
sala idonea ad ospitare la statua. Bisogna<br />
tener conto che l’architetto doveva<br />
utilizzare le colonne in parte già realizzate<br />
del vecchio Partenone perché solo un<br />
volume esterno più imponente avrebbe<br />
consentito uno spazio interno adeguato alla<br />
dimensione della statua
Esisteva un tempio esasitlo 6x16. Il nuovo Partenone si realizzò interamente in marmo pentelico. Il prepartenone aveva<br />
quattro colonne davanti alla cella invece delle consuete tra i muri della cella. Vano ovest e vestiboli prostili<br />
costituiscono la vera novità planimetrica del prepartenone. Ma perché allora costruirne uno nuovo? Ictino doveva<br />
adoperare i rocchi delle colonne esistenti del diametro di soli 1,90 mt.<br />
Guardando il tempio colpisce la fitta trama corposa del colonnato, che non ha<br />
l’eguale in nessun altro tempio dorico. Tale impressione è controbilanciata dalla<br />
snellezza svettante delle colonne che non ha l’uguale in nessun altro tempio<br />
dorico. Benché la linea evolutiva tendesse a diradare i colonnati, qui si ha il caso<br />
inverso di colonne eccezionalmente ravvicinate. La particolare strettezza dei<br />
deambulatori esterni accentua la compattezza della trama. Il rapporto tra<br />
diametro delle colonne e intercolunnio è di 1:2,25. Anche il deambulatorio<br />
frontale resta al di sotto della consueta profondità di un interasse e mezzo
Conflitto angolare. Un triglifo angolare,<br />
sviluppato sia nel lato frontale che nel lato<br />
longitudinale, occupa l’angolo del fregio. Se<br />
trigli e architrave fossero della stessa<br />
larghezza il triglifo cadrebbe esattamente<br />
sopra l’asse centrale della colonna<br />
angolare. Questo accdeva nei templi lignei.<br />
Quando i triglifi divennero più stretti<br />
dell’architrave, dovendo necessariamente il<br />
triglifo rimanere sull’angolo dell’architrave,<br />
esso dovette essere spostato dall’asse<br />
della colonna verso l’angolo – e<br />
precisamente di metà della differenza tra<br />
l’ampiezza del triglifo e quella<br />
dell’architrave – perché l’architrave doveva<br />
inevitabilmente per ragioni statiche<br />
poggiare sull’asse della colonna.<br />
Se si voleva lasciare gli altri triglifi al loro<br />
posto la metopa vicina doveva risultare più<br />
ampia. Una irregolarità così evidente fu<br />
sentita come elemento di disturbo, perciò<br />
in Grecia si preferì di regola contrarre<br />
l’interasse angolare per eliminare questa<br />
discrepanza del fregio in modo da poter<br />
condurre regolarmente tutti i triglifi.<br />
Nelle colonie occidentali gli architetti si<br />
dedicarono a questo problema con<br />
singolare ansia sperimentativa. Vengono<br />
messe alla prova tutte le possibili soluzioni,<br />
allargamento dei triglifi angolari,<br />
ampliamento delle metope angolari<br />
(Paestum), contrazione dell’interasse
Il Partenone
Nel Partenone la particolare strettezza<br />
dei deambulatori esterni accentua la<br />
compattezza della trama; la contrazione<br />
d’angolo teoricamente necessaria doveva<br />
essere di 30 cm, verifichiamo una<br />
contrazione doppia degli intercolunni (cm.<br />
61,5). Il portico si assottiglia<br />
enormemente e il tempio nel suo complesso<br />
si infittisce e solidifica, dall’altro agli<br />
angoli critici della peristasi, proprio dove<br />
viene a mancare lo sfondo della cella le<br />
forze portanti si infittiscono e si<br />
solidificano. Ad accentuare tale<br />
impressione , si aggiunge un ispessimento<br />
notevole delle colonne d’angolo. La<br />
differenza è di cm. 4,3 che annulla<br />
praticamente la contrazione d’angolo.<br />
Sicchè fu necessario restringere<br />
progressivamente le metope.<br />
Se si entra nella cella ci si trova<br />
immediatamente in presenza di movimenti<br />
contrapposti.: contro la corposa densità<br />
dell’esterno, l’ampiezza spaziale<br />
dell’interno ottenuta con l’allargamento<br />
della cella fino a cinque settimi la<br />
larghezza dell’intero tempio, ma anche con<br />
una distribuzione straordinariamente<br />
semplice e geniale delle colonne interne,<br />
poste su due piani. Queste non corrono<br />
semplicemente da una parete all’altra<br />
perché una terza fila collega le due file<br />
longitudinali sulla parete di fondo. Lo<br />
spazio acquista così una nuova dimensione.<br />
E’ evidente da queste immagini che sono<br />
associati due effetti: ampliamento e<br />
concentrazione dello spazio, il cui cuore<br />
continua ad essere il simulacro della<br />
divinità e non l’uomo.
La cella ha sicuramente le sue origini in quella del<br />
Partenone col suo doppio colonnato che continua anche<br />
lungo la parete di fondo; ma qui la tradizione è violata<br />
con libertà e ardimento maggiori in quanto il doppio<br />
ordine dorico con il suo architrave interposto che<br />
spezza l’unità dello spazio è sostituito dallo slancio<br />
ininterrotto delle colonne ioniche che, per dare più<br />
ampiezza alla piccola cella , sono accostate da ambo i lati<br />
alle pareti: Ictino dovette inventare un capitello ionico su<br />
tre lati. Rivoluzionaria per quei tempi l’idea di adottare<br />
per la colonna isolata sul fondo (e forse per le due vicine)<br />
un capitello nuovo, il corinzio che inizia la sua ‘marcia<br />
trionfale’ e in breve metterà in ombra sia il dorico che il<br />
corinzio. La maniera di Ictino di coniugare tradizione e<br />
innovazione lo ha fatto da alcuni archeologi accostare a<br />
Michelangelo.<br />
Apollo a Basse
L'intrusione dello stile ionico crea un netto contrasto fra i<br />
colonnati dorici esterni e gli ordinamenti interni, che diventano<br />
completamente autonomi e indipendenti. Il tempio di Apollo a<br />
Basse illustra questa nuova concezione. Secondo Pausania, essa<br />
va attribuito a Ictino. E, in effetti, l'idea nuova potrebbe<br />
essere stata dell'architetto ateniese, ma l'esecuzione fu<br />
lasciata a équipes locali, la cui tecnica rimane tradizionale e<br />
ancora incerta.<br />
La pianta porta i segni di un certo arcaismo per le sue<br />
proporzioni allungate (metri 14,48 per 38,24 e 6 colonne per<br />
15 invece che delle canoniche 6x13), per la profondità del<br />
pronao, e per lo stile un po' scarno dell'ordine esterno. Ma<br />
l'interno è improntato a una concezione completamente nuova;<br />
una disposizione di colonne ioniche e corinzie, che sostengono<br />
una trabeazione con fregio di marmo scolpito e cornice di<br />
calcare, non ha nessun rapporto architettonico con le<br />
strutture esterne, poiché il soffitto a doppio spiovente e<br />
l'ossatura non prendono appoggio che sui muri della cella; il<br />
sistema ionico è incastonato come un ornamento indipendente.<br />
Una prima sala viene così a essere delimitata sui lati da due<br />
semicolonne appoggiate alle estremità di muretti trasversali, e<br />
in fondo da due semicolonne e da una colonna intera di stile<br />
corinzio, il primo esempio che l'architettura greca presenta di<br />
quest'ordine. I capitelli ionici, dalle volute sviluppate con<br />
ampiezza, sono stati adattati alla loro funzione e alla loro<br />
posizione; il canale che collega le volute segue un'incurvatura<br />
abbastanza pronunciata, che accentua la funzione di supporto.<br />
L'architrave di calcare è adornata di modanature lisce (gola<br />
rovescia e guscio) e coronata da un fregio marmoreo scolpito,<br />
e quindi da una cornice di calcare. Di là dalle colonne corinzie si<br />
stende una seconda sala, più piccola, la cui funzione rimane<br />
incerta. I.a sua indipendenza è accentuata dall'inconsueta<br />
presenza di una porta aperta a nord; è forse la sopravvivenza<br />
dell'adyton primitivo o il segno di una cella trasformata nel<br />
corso della costruzione?<br />
Il tempio di Apollo a Basse
W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica. L’estetica antica, 1979<br />
1. Le idee degli artisti sull'arte. Noi conosciamo l'architettura greca del V e del IV secolo soprattutto dalle rovine, la scultura classica dalle<br />
copie e la pittura soltanto dalle descrizioni; ma queste rovine, queste copie e queste descrizioni sono sufficienti a convincerci che l'arte<br />
classica greca fu una grande arte. Età posteriori produssero un'arte diversa, ma è opinione generale, formatasi attraverso i secoli, che tale<br />
arte è rimasta insuperata.<br />
Parallelamente a questa grande arte si sviluppò, in stretta connessione, la teoria. Artista e teorico si identificavano persino nella stessa<br />
persona: infatti molti tra gli artisti di quel tempo, non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sull'arte. I loro<br />
trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principi fondati sull'esperienza pratica, ma anche in discussioni generali<br />
intorno «alle leggi e alla simmetria» e ai «canoni dell'arte » e contenevano principi estetici che servivano da guida agli artisti<br />
contemporanei.<br />
Tra gli architetti che scrissero intorno alla loro arte troviamo Sileno, autore di un libro dal titolo Sulla simmetria dorica , Ictino, l'artefice<br />
del Partenone, e molti altri. Il grande Policleto scrisse sulla scultura, al pari di Eufranore. Il celebre pittore Parrasio lasciò un trattato<br />
Sulla pittura e cosí pure il pittore Nicia. Il pittore Agatarco scrisse intorno alla pittura per le scene e sollevò al suo tempo grandi<br />
discussioni circa l'effetto scenico del trompe d’oeil. Come dice Filostrato, «i saggi dei tempi antichi scrissero intorno alla simmetria nella<br />
pittura», e per «saggi» egli intendeva gli artisti.<br />
Tutti questi scritti teorici sono andati perduti; alcune opere d'arte classiche sono però sopravvissute e permettono allo storico di scoprire<br />
le idee estetiche di quel periodo. Egli noterà che a) in linea di principio tali opere si conformano a canoni, b) in certi casi si allontanano<br />
consapevolmente da essi, e c) che abbandonano i modelli tradizionali piuttosto schematici, in favore di forme organiche. Dobbiamo ora<br />
analizzare separatamente ognuna di queste tre caratteristiche dell'arte classica, giacché esse hanno un significato estetico generale.<br />
Figg. 1.2. I disegni<br />
mostrano le proporzioni<br />
costanti degli antichi<br />
templi.Secondo Vitruvio<br />
erano determinate in modo<br />
che l’ampiezza del portico<br />
a 4 o a 6 colonne misurasse<br />
27 moduli (il modulo era<br />
pari al raggio di base della<br />
colonna
2. Il canone. L'arte classica dei Greci presumeva che in ogni opera<br />
esistesse un canone (kànon), cioè una forma a cui l'artista è vincolato. Il<br />
termine kànon è l'equivalente, nelle arti plastiche, del termine nómos nella<br />
musica; fondamentalmente entrambi i termini hanno lo stesso significato.<br />
Come i musicisti greci avevano fissato il loro nómos o legge, cosí gli artisti<br />
dediti alle arti plastiche fissarono il loro kanon o misura; lo cercarono, si<br />
convinsero di averlo trovato e lo applicarono alle loro opere.<br />
La storia dell'arte distingue tra periodi «canonici» e «non canonici», Ciò<br />
significa che in alcuni periodi gli artisti cercano e rispettano un canone,<br />
quale garanzia di perfezione, mentre in altri lo evitano, considerandolo un<br />
pericolo per l'arte, una limitazione della propria libertà. L'arte greca del<br />
periodo classico fu «canonica».<br />
3. Il canone nell'architettura. Tra gli artisti greci, gli architetti furono i<br />
primi a fissare delle forme canoniche. Nel v secolo le applicarono ai templi<br />
e le enunciarono in trattati; í frammenti che risalgono a questo periodo<br />
dimostrano come il canone fosse già allora comunemente applicato, sia agli<br />
edifici nel loro complesso, sia alle loro parti, quali colonne, capitelli,<br />
cornicioni, fregi e timpani. Le forme canoniche fisse conferirono<br />
all'architettura greca un aspetto oggettivo, impersonale e necessario. Le<br />
fonti di rado ci forniscono i nomi degli artisti, quasi essi fossero degli<br />
esecutori piuttosto che dei creatori, e le opere architettoniche seguissero<br />
leggi eterne indipendenti dall'individuo e dal tempo.<br />
Il canone dell'architettura greca classica aveva un carattere matematico.<br />
Il romano Vitruvio, che seguiva la tradizione degli architetti greci del<br />
periodo classico, scrive: «La composizione dipende dalla simmetria, le cui<br />
leggi gli architetti dovrebbero rigidamente osservare. La simmetria è<br />
creata dalle proporzioni... noi definiamo le proporzioni di un edificio per<br />
mezzo di calcoli relativi sia alle sue parti sia al tutto, conformemente a un<br />
modulo stabilito». (Gli archeologi non sono concordi sul fatto che il modulo<br />
del tempio dorico fosse il triglifo oppure il raggio di base di una colonna,<br />
ma entrambe le ipotesi rendono possibile la ricostruzione dell'intero<br />
edificio).<br />
Nel tempio greco ogni particolare si attiene a proporzioni stabilite. Se<br />
prendiamo come modulo il raggio di una colonna, il tempio di Teseo ad<br />
Atene ha una facciata a sei colonne di 27 moduli: le sei colonne misurano<br />
12 moduli, le tre navate centrali comprendono 3,2 moduli, le due navate<br />
laterali 2,7 ognuna e 27 in tutto. Il rapporto tra una colonna e la navata<br />
centrale è di 2: 3,2 oppure di 5: 8. Il triglifo ha la larghezza di un modulo e<br />
la metopa è 1,6, di modo che il loro rapporto è di nuovo di 5: 8. Gli stessi<br />
numeri si possono ritrovare in molti templi dorici (figg. 1 e 2).<br />
Fig. 3. L’architettura greca era regolata da un canone<br />
generale che definiva le proporzioni dei suoi vari elementi, ma<br />
entro la struttura di questo canone vi erano almeno tre ordini:<br />
il dorico, lo ionico e il corinzio. Queste proporzioni potevano<br />
risultare più pesanti o più leggere , producendo un effetto di<br />
maggiore rigidità o di maggiore scioltezza.
Vitruvio scrive: «Il modulo è la base di ogni calcolo.<br />
Il diametro di una colonna deve corrispondere a 2<br />
moduli, l'altezza della colonna, incluso il capitello, a<br />
14 moduli. L'altezza del capitello deve essere di 1<br />
modulo, la larghezza di 2 moduli e 1/6...<br />
L'architrave insieme al fregio e alle gocce deve<br />
avere l'altezza di 1 modulo... Sopra all'architrave<br />
devono essere posti i triglifi e le metope; i triglifi<br />
devono avere un'altezza di mezzo modulo e una<br />
larghezza di 1 modulo». Egli descrive in modo<br />
analogo altri elementi dell'ordine. I dati spiccioli<br />
presentano scarso interesse per lo storico<br />
dell'estetica, paragonati al fatto estremamente<br />
importante che tutti gli elementi erano<br />
determinati numericamente (fig. 3).<br />
Nell'antichità il canone era soprattutto applicato<br />
ai templi, ma da esso dipendeva anche la<br />
costruzione dei teatri (fig. 4).<br />
Il canone architettonico regolava anche dettagli<br />
quali le colonne (fig. 5), la trabeazione e persino le<br />
volute dei capitelli e le scanalature delle colonne.<br />
Col sussidio dei metodi matematici gli architetti<br />
applicavano il canone con accuratezza e<br />
meticolosità a tutti questi dettagli. Il canone<br />
prescriveva le volute nei capitelli ionici e gli<br />
architetti tracciavano geometricamente la curva di<br />
questa voluta (fig. 6). Il canone decretava non<br />
soltanto quale dovesse essere il numero delle<br />
scanalature della colonna (20 nelle doriche, 24<br />
nelle ioniche) ma anche la loro profondità.<br />
Fig.6. L’altezza e la disposizione delle colonne<br />
nei templi greci era generalmente in accordo<br />
con i cosiddetti triangoli pitagorici, i cui lati<br />
erano nella proporzione 3:4:5.<br />
Fig. 4. Un teatro romano costruito su principi<br />
geometrici. Il teatro greco è simile anche se si<br />
basa su quadrati invece che su triangoli<br />
Fig.5. L’altezza e la disposizione delle colonne<br />
nei templi greci era generalmente in accordo<br />
con i cosiddetti triangoli pitagorici, i cui lati<br />
erano nella proporzione 3:4:5.
4. Il canone nella scultura. Gli scultori greci tentarono di definire un canone anche per la loro arte. E’noto<br />
che Policleto ottenne i risultati più soddisfacenti in questo tentativo. Anche il canone della scultura era<br />
numerico e dipendeva da una proporzione fissa. Come attesta Galeno, la bellezza nasce «dall'esatta<br />
proporzione non degli elementi ma delle parti, di un dito rispetto a un altro dito, di tutte le dita rispetto<br />
al carpo e al metacarpo, di questi rispetto all'avambraccio, e insomma di tutte le parti tra di loro, com'è<br />
scritto nel Canone di Policleto». Vitruvio insiste nello stesso senso: «La natura ha disposto il cor-po<br />
umano cosí che il capo, dal mento alla parte superiore della fronte e alla radice dei capelli, corrisponde a<br />
un decimo dell'altezza del corpo» e prosegue definendo numericamente le proporzioni delle varie parti<br />
del corpo . Questo canone veniva strettamente rispettato dagli scultori classici.<br />
L'unico frammento rimasto del trattato di Policleto afferma che in un'opera d'arte «la perfezione [tó<br />
éu] dipende da vari rapporti numerici, e anche le piccole varianti sono decisive».<br />
Il canone degli scultori di fatto non riguardava l'arte ma la natura; misurava le proporzioni quali<br />
apparivano in natura, in particolare in un uomo ben fatto, piuttosto che quelle che avrebbero dovuto<br />
figurare in una statua. Era quindi, come lo definisce Panofsky un canone «antropometrico».<br />
Vitruvio continua: «Pittori e scultori celebri si valsero della loro conoscenza di queste proporzioni (che<br />
sono in realtà le proporzioni di un uomo ben fatto) ed acquistarono fama perenne». (I Greci davano per<br />
scontato che la natura, e in particolare il corpo umano, contenesse proporzioni matematicamente<br />
definite, e ne deducevano che la rappresentazione della natura nell'arte doveva conservare le stesse<br />
proporzioni).<br />
Durante il periodo greco classico si afferma anche l’idea secondo cui il corpo umano idealmente costruito<br />
può essere compreso entro semplici figure geometriche del cerchio o del quadrato. «Se distendiamo un<br />
uomo sul dorso con braccia e gambe allargate e disegniamo un cerchio avente per centro l’ombelico, la<br />
circonferenza del cerchio toccherà le punta delle dita delle mani e dei piedi».<br />
I Greci pensavano che il corpo umano potesse analogamente essere inscritto entro un quadrato e ciò<br />
diede origine all’idea dell’uomo quadrato, idea sopravvissuta nell’anatomia artistica sino ai tempi moderni.<br />
Gli artisti greci erano convinti di applicare e di rivelare nelle loro opere le leggi che governano la natura,<br />
di rappresentare non soltanto l'apparenza delle cose, ma anche la loro struttura eterna. Il concetto per<br />
loro fondamentale di simmetria designare proporzioni che non sono inventate dagli artisti ma sono una<br />
proprietà della natura stessa. Vista sotto questo aspetto, l'arte era una forma di scienza. Soprattutto la<br />
scuola di scultura di Sicione considerava la propria arte come scienza. Questa concezione era simile a<br />
quella assai diffusa in Grecia per cui i poeti, e Omero in particolare, erano «maestri di saggezza». Plinio<br />
ci racconta che il pittore Panfilo, maestro del grande Apelle e insigne matematico, asseriva che nessuno<br />
poteva essere un buon artista senza conoscere l'aritmetica e la geometria. Molti artisti greci, non<br />
soltanto scolpirono e dipinsero ma studiarono anche la teoria della loro arte. Il canone nell'arte era<br />
considerato una scoperta e non una invenzione, una verità obiettiva piuttosto che un espediente umano.
7. Il triplice fondamento dei canoni. Nel fissare i loro canoni i Greci tennero conto di parecchi principi:<br />
a) Anzitutto esisteva un fondamento filosofico generale. I Greci erano convinti che le proporzioni del cosmo fossero perfette, per cui le opere<br />
umane dovevano conformarsi a esse. Vitruvio scrive: «Poiché la Natura creò il corpo in modo che le sue membra fossero proporzionate al<br />
complesso della corporatura, gli antichi si attennero al principio per cui anche nelle costruzioni il rapporto tra le parti doveva<br />
corrispondere al tutto».<br />
Un altro fondamento dei canoni risiedeva nell'osservazione dei corpi organici, la quale aveva una funzione decisiva per la scultura e per il suo<br />
canone antropometrico.<br />
Un terzo fondamento, significativo nell'architettura, era rappresentato dalla conoscenza delle leggi della statica. Più alte erano le colonne, più<br />
pesante doveva essere la trabeazione, e maggiore il sostegno necessario: di conseguenza le colonne greche erano distanziate in modo<br />
diverso, a seconda dell'altezza (fig. I2). La struttura del tempio greco era il frutto dell'esperienza tecnica e della conoscenza delle<br />
proprietà dei materiali usati. Questi fattori erano in larga misura responsabili di quelle forme e proporzioni che i Greci e noi stessi<br />
sentiamo perfette.<br />
8. Arte ed esigenze visive. Sebbene i Greci eseguissero le loro opere in conformità alle proporzioni matematiche e alle forme geometriche, in<br />
certi casi se ne scostarono. Queste deviazioni sono troppo coerenti per non essere consapevoli, deliberate, ed effettuate con una chiara<br />
intenzione estetica. Alcune di queste irregolarità avevano lo scopo di adattare le forme alle esigenze della vista umana. Diodoro Siculo<br />
scrive che sotto questo aspetto l'arte greca differiva da quella degli Egizi, che calcolavano le proporzioni senza tener conto delle<br />
esigenze della vista. I Greci invece ne tenevano conto, cercando di compensare le deformazioni ottiche; essi davano alle figure dipinte o<br />
scolpite forme irregolari, consapevoli che proprio per mezzo di questo procedimento, esse sarebbero apparse regolari.<br />
Metodi simili erano usati nella pittura, in particolare nella pittura teatrale. Poiché questi dipinti dovevano essere visti da una certa distanza, si<br />
dovette adottare una tecnica specifica che tenesse conto della prospettiva.<br />
Gli architetti lavoravano con lo stesso sistema, e nel loro caso queste modificazioni assumevano un'importanza speciale. I templi dorici costruiti<br />
a partire dalla metà del v secolo in avanti, presentano un ampliamento delle parti centrali. Nei porticati le colonne laterali sono piú<br />
distanziate e leggermente inclinate verso l'interno, poiché con questo accorgimento sarebbero sembrate diritte. Giacché le colonne<br />
colpite dalla luce sembrano piú sottili di quelle in ombra, si correggeva questa illusione ottica con opportune rettifiche allo spessore delle<br />
colonne in questione (figg. 14-16). Gli architetti ricorsero a questi metodi perché, come Vitruvio avrebbe osservato piú tardi, «l'illusione<br />
ottica deve essere corretta per mezzo di calcoli».<br />
Fig. 12. Il disegno mostra come erano distanziate le colonne: più alte erano, più piccolo era lo spazio che le<br />
separava. Il disegno a mostra nel primo caso le colonne di altezza 10 moduli e l’intercolunnio di un modulo e mezzo;<br />
il disegno b l’altezza di 9 moduli e ½ e l’intercolunnio di 2 moduli; il disegno c l’altezza di 8 moduli e ½ e<br />
l’intercolunnio di 3 moduli; il disegno d l’altezza di 8 moduli e l’intercolunnio di 4 moduli
9. Le deviazioni. Gli architetti greci andarono anche oltre nello scostarsi dalle linee rette, e curvarono quelle linee che si<br />
presumerebbero rette. Nell'architettura classica i contorni di piedistalli, cornici e colonne, così come le linee verticali e<br />
orizzontali, sono lievemente incurvati. Lo si osserva nelle più belle costruzioni classiche quali il Partenone e i templi di<br />
Paestum. Queste deviazioni dalla linea retta sono lievi e sono state scoperte soltanto di recente. La scoperta risale al<br />
1837 ma non venne resa nota che nel 1851. Dapprima accolta con incredulità, è ora considerata un fatto indiscutibile,<br />
anche se ne rimane dubbia la spiegazione.<br />
Queste deviazioni possono essere interpretate come tentativi di correggere le deformazioni ottiche? La figura 18<br />
attesta questa possibilità. Era questo il caso di quegli edifici, la cui ubicazione determinava il punto da cui avrebbero<br />
dovuto essere guardati, in particolare quando — come per il Partenone — questo punto era a un livello diverso da quello<br />
dell'edificio stesso. Le deviazioni dalle linee e dagli angoli retti nelle costruzioni greche avevano senza dubbio un duplice<br />
scopo: evitare sia la deformazione ottica sia la rigidezza. Questo duplice scopo era particolarmente evidente nel caso<br />
delle linee verticali: gli architetti antichi davano alle colonne esterne una inclinazione verso il centro, per evitare che<br />
l'illusione ottica le facesse apparire divergenti dal centro. Tuttavia questo espediente aveva probabilmente anche lo<br />
scopo di rafforzare l'impressione di solidità e di stabilità dell'edificio. Tutto sommato, a questi architetti riusciva piú<br />
facile costruire piuttosto che spiegare perché le loro costruzioni erano perfette. Essi avevano sviluppato nella pratica la<br />
loro abilità, in modo empirico e intuitivo, piuttosto che sulla base di premesse scientifiche, e tuttavia formularono una<br />
teoria per fondare la loro prassi: questo era il modo di procedere tipico dei Greci.<br />
a. Mostra l’aspetto che un tempio deve avere: deve dare l’impressione di un<br />
rettangolo. Gli architetti greci osservarono però che se l’avessero costruito<br />
come un rettangolo dato il nostro tipo di percezione , le linee verticali<br />
sarebbero apparse divergenti, come mostra il disegno b, mentre le linee<br />
orizzontali si sarebbero incurvate come mostra il disegno c. Così per<br />
neutralizzare le deformazioni di b e di c e per raggiungere l’effetto a gli<br />
architetti dell’antichità costruivano nel modo illustrato dal disegno d.<br />
Modificavano le forme in modo che dessero l’impressione di non essere<br />
deformate.
10. L'elasticità dei canoni. Se è certo che gli architetti greci possedevano un canone e si conformavano a proporzioni semplici, è<br />
anche vero che non esistono due templi greci che siano uguali. Se il canone fosse stato applicato rigidamente, ce ne sarebbero. La<br />
varietà si spiega col fatto che gli architetti si permettevano una certa libertà nell'applicazione dei canoni e delle proporzioni; non li<br />
seguivano ciecamente, li consideravano piuttosto come indicazioni che come precetti. Il canone aveva un valore generale, e le<br />
deviazioni non erano soltanto permesse ma largamente praticate. Queste deviazioni dalla linea retta e dalla verticale, le curvature e<br />
le inclinazioni, diedero origine a delle varianti che, anche se lievissime, erano nondimeno sufficienti a dare libertà e individualità agli<br />
edifici, e a rendere perciò più libera la severa arte greca.<br />
L'arte classica ci dimostra che i suoi creatori erano consapevoli dell'importanza estetica sia della regolarità, sia della libertà e<br />
dell'individualità.<br />
L'arte greca approfondì la conoscenza delle forme organiche con incredibile rapidità. Il processo ha inizio nel v secolo a. C. e si<br />
completa verso la metà del secolo stesso. Mirone, il primo grande scultore del secolo, riesce a liberare la scultura dallo schema<br />
arcaico ed a portarla più vicina alla natura, mentre Policleto, che viene dopo di lui, ne stabilisce il canone, che già si fondava<br />
sull'osservazione della natura organica. Ben presto Fidia, un altro scultore del v secolo, avrebbe raggiunto il vertice della perfezione,<br />
secondo il consenso unanime dei Greci.<br />
Fig. 14. Il disegno a mostra come una colonna che si elevi in piena luce appaia più<br />
sottile di un’altra in ombra. Poiché si volle che tutte le colonne apparissero<br />
identiche, quelle esterne in piena luce erano più massicce, quelle interne in ombra<br />
più sottili.<br />
Questo era uno dei tanti accorgimenti impiegati dagli architetti antichi per<br />
neutralizzare le deformazioni ottiche. Un procedimento analogo è illustrato nel<br />
disegno b: le colonne esterne sono inclinate verso il centro perché appaiano dritte,<br />
altrimenti avrebbero dato l’impressione di divergere dal centro<br />
Fig. 15 Il principio di<br />
inclinare le colonne<br />
esterne per<br />
neutralizzare le<br />
deformazioni ottiche
I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella<br />
semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione più<br />
felice dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e<br />
trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della<br />
struttura del tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo<br />
centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfie<br />
arrotondati dei capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto<br />
dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di<br />
architrave, fregio e cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto<br />
equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura<br />
all'immagine vivente della casa-tempio" (F. Krauss). La perfetta compiutezza e<br />
l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel<br />
rivestimento policromo, che sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli<br />
elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale.<br />
In base a tali considerazioni è facilmente desumibile l'appartenenza<br />
all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a<br />
Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella metà del V sec. a.C. venne<br />
edificata la basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle<br />
colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e nelle scanalature, 24<br />
invece delle canoniche 20,1e quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po'<br />
tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione plastica e mai grafica<br />
della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i<br />
greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato una collina<br />
artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le<br />
fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata.<br />
leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno<br />
dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base<br />
alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera<br />
convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo<br />
stesso risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a<br />
Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma<br />
nelle soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A<br />
differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica<br />
sul frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza<br />
la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della<br />
travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne<br />
doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per<br />
ragioni di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle<br />
misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne<br />
interpretano liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non<br />
sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al<br />
frontone orientale del tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in<br />
epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al<br />
Foro.
A Paestum quando si decise di costruire il nuovo tempio lo si fece lasciando in situ il vecchio<br />
tempio di Era. La città, nonostante la grande distanza aveva preso parte ai giochi olimpici. Il suo<br />
artefice aveva avuto con ogni probabilità l’occasione di studiare il tempio Zeus di Olimpia e a far<br />
proprio quanto aveva visto.<br />
Il tempio è pervenuto a noi pressocché intatto con le sue 9x18 colonne
Un famoso gruppo di templi dorici<br />
sopravvive a sud di Napoli in quella che<br />
era una colonia greca divenuta poi<br />
romana Poseidonia, la romana Paestum.<br />
Il più antico dei tre templi, quello di Hera<br />
chiamato anche la basilica, della metà del<br />
secolo VI. Accanto ad esso quello di<br />
Poseidone costruito un secolo più tardi<br />
con l’imponente interno a due piani è il<br />
meglio conservato. Su un rilievo poco<br />
più a nord il tempio di Atena.<br />
I profili incurvati delle colonne del primo<br />
tempio Hera e del tempio di Atena, che<br />
conferiscono al loro fusto l’effetto di un<br />
rigonfiamento, propriamente detto entasi,<br />
sono i più vistosi di tutti i templi antichi.<br />
A Paestum i profili sono ripresi nelle<br />
sagome dilatate dei tozzi capitelli che le<br />
sorreggono. Questa pesantezza radicata<br />
alla terra, questo senso di vicinanza alla<br />
natura sono involontariamente<br />
sottolineati dalle grezze superfici porose<br />
del calcare locale.<br />
Tempio di Poseidone<br />
6x14 colonne
I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione più felice<br />
dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della struttura del<br />
tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfi e arrotondati dei<br />
capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di architrave, fregio e<br />
cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura all'immagine vivente della casatempio"<br />
(F. Krauss). La perfetta compiutezza e l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel rivestimento policromo, che<br />
sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale. In base a tali considerazioni è<br />
facilmente desumibile l'appartenenza all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella<br />
metà del V sec. a.C. venne edificata la Basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e<br />
nelle scanalature, 24 invece delle canoniche 20, le quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po' tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione<br />
plastica e mai grafica della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato<br />
una collina artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata.<br />
leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base<br />
alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo stesso<br />
risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma nelle<br />
soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica sul<br />
frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della<br />
travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per ragioni<br />
di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne interpretano<br />
liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al frontone orientale del<br />
tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al Foro.
Soltanto due facciate sensibilmente diverse l'una dall'altra e due<br />
contrastanti linee diagonali, potevano togliere la preminenza a<br />
quel proporzionato equilibrio di verticali ed orizzontali che,<br />
attraverso l'ininterrotto colonnato e la trabeazione continua,<br />
cingono il volume del tempio, conferendo così alla struttura un<br />
senso di maggiore compattezza. Alla base, tre gradini, privi di<br />
ombra e modellati in relazione alla loro collocazione ambientale<br />
e visiva, distaccano ed innalzano l'intera facciata dal terreno,<br />
esaltandone l'aggettante frontone. Mentre a scendere con lo<br />
sguardo dalla punta estrema del timpano, i gradini appaiono<br />
ricollegare complessivamente l'edificio al territorio. Come in<br />
tutta la costruzione ogni elemento diventa più ricco e raffinato<br />
verso l'alto, così anche la colorazione, che una volta rivestiva il<br />
tempio, cresceva d'intensità man mano che si raggiungeva<br />
l'estremità superiore dell'organismo architettonico, quasi ad<br />
esaltare e valorizzare cromaticamente le forme plastiche, su<br />
cui, tra l'altro, l'incidenza della luce creava già vibranti effetti<br />
Il tempio di Era è il più antico ha<br />
chiaroscurali. Bianchi erano quindi le colonne, l'architrave, le<br />
un numero inconsueto di<br />
metope, le parti della cella; rossi gli elementi divisori; neri i<br />
colonne<br />
triglifi, gli anelli sopra le colonne, i capitelli, il tenia e il fondo<br />
della parte sottostante del geison. Il tutto infine inglobava la<br />
complessa e ricca decorazione pittorica del frontone. Quasi a<br />
sottolineare che l'immutabilità dell'edificio è pura apparenza e<br />
che esso è, invece, una struttura animata, le facciate dopo un<br />
attento esame, ci appaiono diverse, e giustamente, perché<br />
differente è l'approccio al sito, differenti le funzioni da svolgervi.<br />
Ad est, dove si apre l'unico ingresso al naos, all'inclinazione<br />
apparente delle colonne d'angolo, corrisponde infatti una<br />
leggera curvatura verso l'alto degli elementi orizzontali del<br />
timpano, che in tal modo acquista un senso di allargamento in<br />
avanti e di ampliamento verso i lati. Tali correzioni, sebbene<br />
impercettibili (2 cm) in una lunghezza dell'architrave di 23,55 m,<br />
sono tuttavia chiaramente individuabili allorché ci si pone<br />
frontalmente al tempio. E mentre le colonne, tutte eguali della<br />
facciata orientale vengono ingrandite esclusivamente nel<br />
mezzo, in corrispondenza del diametro maggiore, in quella<br />
occidentale "i capitelli sono allargati gradualmente e si pensa<br />
con intenzione, poiché le misure crescono simmetricamente<br />
dall'angolo al centro" (Krauss). Ad ovest quindi prevalgono<br />
invece le linee orizzontali, che conferiscono all'architrave e alla<br />
fascia inferiore del geison, qui non incurvata, una maggiore<br />
compattezza di insieme.
Molteplici furono gli accorgimenti cui ricorse l’architettura greca per correggere le deformazioni prospettiche . Al leggero<br />
Molteplici furono gli accorgimenti cui ricorse l’architettura greca per correggere le deformazioni prospettiche . Al leggero<br />
andamento convesso degli elementi orizzontali quali stilobati, architravi e cornici … corrispondeva per analoghe esigenze<br />
ottiche una inclinazione verso l’interno e verso l’alto degli elementi verticali. Le colonne angolari inoltre , non solo<br />
risultavano più vicine a quelle adiacenti ma avevano anche dimensioni maggiori, in modo che il loro diametro venisse a<br />
coincidere, rispetto al punto di vista dell’osservatore , con quello delle colonne che avevano come fondale il muro della cella.<br />
Nel caso del tempio di Poseidone il conflitto angolare è risolto magistralmente , sebbene si apportino sensibili<br />
trasformazioni alle pur sofisticate soluzioni adottate in Grecia. Le colonne d’angolo sono infatti disposte secondo una<br />
perfetta verticale e solo le scanalature vengono fatte convergere leggermente verso l’interno, a partire dalla base: questa<br />
di conseguenza non risulta più in pianta perfettamente rotonda, ma di forma elissoidale, ricavata dall’accrescimento di uno<br />
dei due diametri. Viste frontalmente tali colonne appaiono identiche a quelle laterali con il diametro normmale, viste dal lato<br />
sembrano invece colonne della facciata. Si realizza così un equilibrio proporzionale che conferisce all’edificio un senso di<br />
unità sintattica sinora mai raggiunta. La soluzione del conflitto angolare implica, comunque, necessariamente il<br />
coinvolgimento della zona alta della struttura. Nel Partenone per ampliare l’effetto prospettico prodotto dalla diminuzione<br />
dell’intervallo tra le colonne angolari e quelle adiacenti, si avvicinarono i triglifi, l’un l’altro dal centro verso l’esterno, sui due<br />
lati brevi, in modo tale da non porli esattamente in asse sopra la colonna. A Paestum invece essi cadono esattamente al<br />
centro dell’intercolunnio, sebbene all’estremità bisognasse spostarli fuori , a causa dell’allungamento dell’architrave. A tal<br />
fine si sono allargate le due metope estreme e si è ridotto lo spazio dell’ultimo intercolunnio. Questa discordanza è<br />
avvertita per chi osserva il monumento da vicino, mentre sfugge a chi lo osserva nel suo insieme.
Il teatro di Segesta<br />
Il teatro di Epidauro