Katalog NERONE Violina
KUNSTAUSSTELLUNG - MOSTRA D'ARTE - ART EXHIBITION
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PROF. VITTORIO SGARBI
San Severino, Marche (MC)
Roma, 10 Giugno 2021
“Io faccio quel che voglio”
“I conti li tireranno alla fine gli altri”, diceva
di sé Sergio Terzi, per noi tutti Nerone, in una
lucida, ancora vivissima intervista rilasciata a
Nazareno Giusti nel 2018. Non doveva immaginare
che appena tre anni dopo ci saremmo trovati,
orbi della sua carne, ma non dei lasciti della
sua anima, a cominciare a tirarli per davvero,
questi conti. O forse lo immaginava, ma non gliene
importava niente. Perché Nerone, ed è questo
un primo conto da saldare, ha sempre voluto rispondere
solo a sè stesso. In prima persona, senza
ossequiare o assecondare
nulla che non fosse percepito
come cosa propria, provenendo
direttamente dalla sfera più
intima e personale. Nulla da
mediare con altri o con altro,
nulla da condividere, prendere
o lasciare. E non per eccesso di
orgoglio o smania sfrenata di
individualismo, ma, semplicemente,
per onestà. Se l’arte è
un processo di estrinsecazione
materiale del proprio io attraverso
cui potere pervenire
all’identificazione con sé stessi,
è doveroso che venga affrontata
nel modo più franco e
diretto che si possa concepire. Non si mente con
l’arte, è uno specchio in cui ci si deve vedere così
come si è, senza nascondersi, senza confondere,
né mistificare. In quello specchio, Nerone non
vedeva certo un’anima pia. Al contrario, vedeva
ciò che un’infanzia negata, brutale e anaffettiva
(l’odiato padre manesco che “dava da mangiare
prima ai cani”), passata a ridosso della Luzzara di
Zavattini, aveva finito per determinare irrimediabilmente,
facendogli nascere dentro il “mostro”,
così come Nerone stesso lo chiamava. Uno
spirito offeso subito educatosi, parimenti alle
bestie, ad offendere a sua volta per reazione, unico
sfogo possibile alla presa di coscienza su qualcosa
- l’ingiustizia - che avvertirà sempre come
costante non solo della sua vicenda, ma di quella
della maggior parte dell’umanità. Violenza chiama
violenza, e Nerone di violenza addosso ne
sentiva tanta, accumulata, ma anche pronta a essere
scatenata senza controllo. Quando diceva
Io faccio
quel che
voglio
che con le stesse mani con cui creava poteva uccidere
c’era da credergli fino in fondo. Chi lo vedeva
in azione davanti a una tela, che pure diceva
concedergli troppo rispetto alla materia
tridimensionale, permettendogli di interrompersi,
prendere fiato, perfino di assaporare l’immancabile
sigaretta, rimaneva impressionato dalla
feroce risolutezza dei gesti con cui la seviziava,
da vero serial killer in potenza, roba al cui confronto
il celebrato Jackson Pollock sembrerebbe
prodursi in arte da educanda. Non c’è dubbio, era
il “mostro” ciò che muoveva questo incendiario