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Il caposaldo Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul ...

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appollaiato <strong>nel</strong>la sua nicchia vicino alla stufa. Moreschi si rammendava le calze. Quelli <strong>che</strong> avevano<br />

fatto gli ultimi turni di vedetta dormivano. C’era un odore forte lí dentro: odore di caffè, di maglie e<br />

mutande spor<strong>che</strong> <strong>che</strong> bollivano con i pidocchi, e di tante altre cose. A mezzogiorno Moreschi<br />

mandò per i viveri. Ma siccome quel rancio non era da Natale si decise di fare la polenta. Meschini<br />

ravvivò <strong>il</strong> fuoco, Bodei andò a lavare <strong>il</strong> pentolone in cui aveva bollito i pidocchi. Tourn e io si<br />

voleva sempre stacciare la farina e, chissà dove e come, un giorno Tourn riuscí a trovare uno<br />

staccio. Ma quello <strong>che</strong> restava <strong>nel</strong>lo staccio, tra crusca e grano appena spezzato, era piú di metà e<br />

allora si decise a maggioranza di non stacciarla piú. La polenta era dura e buona. Era <strong>il</strong> pomeriggio<br />

di Natale. <strong>Il</strong> sole incominciava ad andarsene per i fatti suoi dietro la mug<strong>il</strong>a e noi si stava <strong>nel</strong>la tana<br />

attorno alla stufa fumando e chiacchierando. Venne poi dentro <strong>il</strong> cappellano del Vestone: ‑ Buon<br />

Natale, figlioli, buon Natale! ‑ E si appoggiò con la schiena ad un palo di sostegno. ‑ Sono stanco, ‑<br />

disse, ‑ ho fatto tutti i bunker del battaglione. Quanti ce ne sono <strong>ancora</strong> dopo <strong>il</strong> vostro? ‑ Una<br />

squadra sola, ‑ dissi. ‑ Dopo viene <strong>il</strong> Morbegno.<br />

‑ Dite <strong>il</strong> rosario stasera e poi scrivete a casa. State allegri e sereni e scrivete a casa. Ora vado dagli<br />

altri. Arrivederci. ‑ Non ha nean<strong>che</strong> un pac<strong>che</strong>tto di M<strong>il</strong>it da darci, padre? ‑ Ah, si! Prendete. E ci<br />

butta due pac<strong>che</strong>tti di Macedonia e va fuori. Meschini bestemmia. Bodei bestemmia. Giuanin dalla<br />

sua nicchia dice: ‑ Zitti, è Natale oggi! ‑ Meschini bestemmia <strong>ancora</strong> piú fiorito: ‑ Sempre<br />

Macedonia, ‑ dice, ‑ e mai trinciato forte o Popolari o M<strong>il</strong>it. Questa è paglia per signorine. ‑ Boia<br />

faus, ‑ dice Tourn, ‑ Macedonia. ‑ Porca la mula, ‑ dice Moreschi, ‑ Macedonia. Poi mandai fuori la<br />

prima coppia di vedette perché era buio. Ero lí <strong>che</strong> mi grattavo la schiena vicino alla stufa quando<br />

entrò Chizzarri a chiamarmi: ‑ Sergentmagiú, ‑ disse, ‑ ti vogliono al telefono. È <strong>il</strong> capitano ‑. Mi<br />

inf<strong>il</strong>ai <strong>il</strong> pastrano e presi <strong>il</strong> mos<strong>che</strong>tto domandandomi cosa potessi aver fatto di male. <strong>Il</strong> telefono era<br />

<strong>nel</strong>la tana del tenente. <strong>il</strong> tenente era fuori, forse a passeggiare lungo la riva del fiume per sentire gli<br />

starnuti delle vedette russe. Era proprio Beppo, <strong>il</strong> capitano, <strong>che</strong> mi voleva su a Valstagna, al<br />

comando di compagnia. Aveva qualcosa da dirmi. « Che sarà? » pensavo, mentre andavo su alla<br />

chiesa diroccata. Con la faccia tonda e rossa <strong>il</strong> capitano mi aspettava <strong>nel</strong>la sua tana <strong>che</strong> era larga e<br />

comoda. Aveva <strong>il</strong> cappello <strong>sul</strong>le ventitre con la penna diritta come un coscritto, le mani in tasca. ‑<br />

Buon Natale! ‑ disse. E poi mi tese la mano e poi un bicchiere di latta con dentro cognac. Mi chiese<br />

come andava al mio paese e come al <strong>caposaldo</strong>. Mi cacciò tra le braccia un fiasco di vino e due<br />

pacchi di pasta. Ritornai giú alla mia tana saltando fra la neve come un capretto a primavera. Nella<br />

furia scivolai e caddi ma non ruppi <strong>il</strong> fiasco né mollai la pasta. Bisogna saper cadere. Una volta<br />

sono scivolato <strong>sul</strong> ghiaccio con quattro gavette di vino e non versai una goccia: io ero giú per terra<br />

ma le gavette le avevo salde in mano con le braccia tese a livello. Ma era successo in Italia di aver<br />

quattro gavette di vino, al corso sciatori. Quando arrivai al <strong>caposaldo</strong> le vedette mi diedero l’alt‑<br />

chi‑va‑là‑parola‑d’ordine e gridai, forte <strong>che</strong> mi sentirono an<strong>che</strong> i russi: ‑ Pastasciutta e vino! Un<br />

giorno <strong>che</strong>, sdraiato <strong>sul</strong>la paglia, guardavo i pali di sostegno e pensavo <strong>che</strong> parole nuove dovevo<br />

scrivere alla ragazza, venne Chizzarri a dirmi <strong>che</strong> <strong>il</strong> tenente Cenci aveva telefonato <strong>che</strong> andassi da<br />

lui a fare due chiacchiere. Inf<strong>il</strong>ai <strong>il</strong> camminamento <strong>che</strong> portava al suo <strong>caposaldo</strong>. Mi pareva di<br />

essere al paese come quando si va da una contrada all’altra per trovare un amico e far due

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