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I Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della ...

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I<br />

<strong>Vivo</strong>, <strong>ormai</strong> <strong>sono</strong> <strong>anni</strong>, <strong>in</strong> <strong>un</strong> <strong>vecchio</strong> <strong>appartamento</strong> <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> <strong>della</strong> città, con <strong>un</strong> fratello ammalato.<br />

Ness<strong>un</strong> altro abita con noi, e le visite si fanno rare. Ultimi rimasti di <strong>un</strong>a famiglia che fu numerosa<br />

al tempo <strong>della</strong> mia giov<strong>in</strong>ezza, ci muoviamo, ora, <strong>in</strong> <strong>un</strong>a complicata gerarchia di silenzi. L’altezza<br />

dell’<strong>appartamento</strong> sulla città, che si stende <strong>in</strong>visibile ai nostri piedi, la vastità delle terrazze<br />

adiacenti (alle quali non abbiamo accesso, ma che scorgiamo da ogni parte, al nostro livello,<br />

guardando dalle f<strong>in</strong>estre) ci assicurano <strong>un</strong>a quiete raccolta e <strong>un</strong> po’ falsa. Percepiamo, a distanza, <strong>un</strong><br />

debole impasto <strong>sono</strong>ro: leggeri tonfi di cortili e di strade, tramestii di appartamenti vic<strong>in</strong>i che<br />

rimbalzano f<strong>in</strong>o a noi. Ma <strong>sono</strong> voci sfocate: piú che turbare i nostri silenzi, giocano a renderli piú<br />

compatti, <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uandovi dentro confuse vibrazioni vitali, lembi di esistenza che rimangono, però,<br />

senza storia. L’<strong>in</strong>terno <strong>della</strong> casa è di <strong>un</strong>’ampiezza afona, assorta, nobilmente <strong>in</strong>adeguata ai suoi<br />

scopi. Da quando, morto mio padre, i miei fratelli maggiori <strong>sono</strong> partiti <strong>un</strong>o alla volta lasciando<br />

<strong>in</strong>utili tracce <strong>della</strong> loro esistenza, le misure dei luoghi e le necessità <strong>della</strong> vita non combaciano piú.<br />

Circola, attorno a noi, <strong>un</strong>’aria da trasloco imm<strong>in</strong>ente: le poltrone <strong>sono</strong> ricoperte di teli, le f<strong>in</strong>estre<br />

spoglie dei loro tendaggi, i letti numerosi, astrattamente all<strong>in</strong>eati e ridotti all’umiltà di brande. Non<br />

succede nulla, però, che rassomigli a <strong>un</strong> moto verso l’esterno. I viaggi, i trasferimenti, pers<strong>in</strong>o i<br />

contatti con la città si presentano ai nostri occhi come avventure laboriose ed <strong>in</strong>certe. Anche il<br />

ricovero <strong>in</strong> ospedale di mio fratello, che pure ho predisposto da <strong>anni</strong>, sembra di là da venire: la<br />

lentezza delle pratiche necessarie non ci consente di far previsioni al riguardo, né tanto meno<br />

preparativi <strong>in</strong> vista di <strong>un</strong> mutamento; ogni mese potrebbe essere l’ultimo: ma <strong>in</strong>tanto cont<strong>in</strong>uiamo a<br />

vivere qui, costruendo giorno per giorno, da soli, abitud<strong>in</strong>i che non sembrano sottostare ad alc<strong>un</strong>a<br />

scadenza. Non è stato facile adattarci alle strane leggi <strong>della</strong> casa disabitata. Le stanze <strong>sono</strong> troppo<br />

ampie per i nostri bisogni, le suppellettili rare. Arnesi dall’uso <strong>in</strong>certo <strong>in</strong>terrompono, di tanto <strong>in</strong><br />

tanto, la sequenza dei vuoti: penombre di velluti, strani pezzi d’argento, m<strong>in</strong>iature <strong>in</strong> legno e <strong>in</strong><br />

avorio, bracieri, armature di latta, porcellane. Sono, probabilmente, residui di <strong>un</strong>’<strong>in</strong>timità familiare<br />

che è difficile, per noi, r<strong>in</strong>viare a <strong>un</strong>’epoca esatta; oggi non servono ad altro che a scandire le<br />

superfici, a delimitare e separare i percorsi. Mio fratello ed io, <strong>in</strong>certi sul loro impiego, ignari spesso<br />

del nome e dell’orig<strong>in</strong>e casal<strong>in</strong>ga di ciasc<strong>un</strong>o di essi, godiamo però <strong>della</strong> loro vista; passando, li<br />

tocchiamo e segniamo a dito nei corridoi, fra spazi <strong>ormai</strong> <strong>in</strong>utilmente profondi, l<strong>un</strong>go pareti che<br />

ostentano, a <strong>in</strong>tervalli, macchie ancora umide di quadri tirati via, tracce, percepite solo da noi, di<br />

decorose mobilie scomparse. Qualche volta cerchiamo di rammentare episodi lontani attraverso <strong>un</strong><br />

s<strong>in</strong>golo oggetto: <strong>un</strong>a specchiera, ad esempio, <strong>un</strong> <strong>vecchio</strong> braciere, <strong>un</strong>a brocca. Ma senza riuscirvi.<br />

La nostra memoria si è allentata col progressivo svuotarsi dei luoghi. Riducendosi la mobilia da <strong>un</strong><br />

anno all’altro, modificandosi via via il profilo dei vari ambienti <strong>in</strong> seguito alle vendite e alle<br />

partenze, non troviamo cose su cui far leva cosí saldamente da ricostruire <strong>un</strong> passato. Perciò<br />

abbiamo, coi pochi oggetti rimasti, <strong>un</strong> rapporto privo di risonanze affettive; piú di verifica e di<br />

orientamento, direi, che di memoria. Ne teniamo a mente le forme e il collocamento, li utilizziamo<br />

per gli svaghi e le fantasie delle giornate piú l<strong>un</strong>ghe; ma r<strong>in</strong>noviamo su di essi, malgrado le loro<br />

fogge antiquate e bizzarre, l’illusione di <strong>un</strong> ost<strong>in</strong>ato presente: di <strong>un</strong> tempo, cioè , non annullato, ma<br />

raggomitolato e contratto per <strong>anni</strong> <strong>nel</strong>la dimensione pratica e sbrigativa, cont<strong>in</strong>uamente ripetuta, di


<strong>un</strong> solo giorno. Muoversi <strong>nel</strong>la casa è come <strong>un</strong>a ricerca faticosa, paziente. Non c’è gesto o<br />

<strong>in</strong>tervento nostro che non si misuri con la nudità aggressiva di <strong>un</strong>a parete, con l’arresto o la svolta<br />

imprevista di <strong>un</strong> corridoio, con la cavità di <strong>un</strong> andito che ci si para davanti a sorpresa e ci costr<strong>in</strong>ge<br />

a cambiare it<strong>in</strong>erario o a fermarci improvvisamente. Le maggiori difficoltà nascono dai bisogni piú<br />

ovvi: dove sistemarci per mangiare, dove dormire, dove trascorrere le serate d’<strong>in</strong>verno. Non<br />

manchiamo, certo, di senso di adattamento, e tanto meno di spazio; ma proprio la vastità degli<br />

ambienti ci <strong>in</strong>vita a soluzioni di volta <strong>in</strong> volta diverse. Percorriamo <strong>in</strong> l<strong>un</strong>go e <strong>in</strong> largo la casa, ne<br />

saggiamo l’ampiezza, ci fermiamo <strong>in</strong> zone che ci sembrano, per qualche tempo, confortevoli e<br />

adatte; poi ripartiamo. Non c’è limite, <strong>in</strong> questo, alle nostre possibilità esplorative. È come se<br />

fossimo <strong>in</strong>dotti a riconoscere cose e luoghi già noti smontando la f<strong>in</strong>zione di cont<strong>in</strong>ui travestimenti:<br />

per quanto conosciamo palmo a palmo la casa, c’è sempre <strong>un</strong> angolo, <strong>un</strong>a f<strong>in</strong>estra, <strong>un</strong>a porta da<br />

<strong>in</strong>terrogare ancora, <strong>un</strong> ennesimo oggetto di cui constatiamo con meraviglia la novità o la stranezza,<br />

se lo guardiamo da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di osservazione diverso dall’abituale. A volte ci illudiamo di utilizzare<br />

a nostro agio le <strong>in</strong>numerevoli stanze; le occupiamo a turno, spostiamo i letti e gli armadi,<br />

sparpagliamo da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to all’altro le poche anticaglie. Ma <strong>un</strong>a volta realizzato questo piano di<br />

occupazione totale, ci sentiamo all’improvviso affaticati e dispersi; le pareti ci sembrano ancora piú<br />

nude, la com<strong>un</strong>icazione fra noi dispendiosa; allora rifacciamo alla svelta il camm<strong>in</strong>o <strong>in</strong>verso, che è<br />

quello di raggruppare ogni cosa nostra nei pochi vani <strong>in</strong>torno alla grande cuc<strong>in</strong>a, per vivere là,<br />

dov’è piú forte il calore, lasciando tutto il resto deserto. Lottiamo, anche, con problemi di identità<br />

materiale. Entro i conf<strong>in</strong>i precisi ma potenzialmente <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti <strong>in</strong> cui ci muoviamo, siamo costretti a<br />

riconoscere noi stessi, il piú delle volte, <strong>in</strong> base ad alc<strong>un</strong>e regole di prossimità e di distanza. Piú che<br />

dal rapporto di parentela, ci sentiamo <strong>un</strong>iti dall’essere vic<strong>in</strong>i o lontani <strong>in</strong> due p<strong>un</strong>ti di quello spazio,<br />

dal poter confrontare i nostri passi e riesumarne i r<strong>in</strong>tocchi fra le pareti, aspettando l’arrivo, il<br />

passaggio o la temporanea scomparsa dell’altro. Ci è familiare (ed è <strong>in</strong>evitabile) tutta <strong>un</strong>a casistica<br />

di <strong>in</strong>tervalli, presentimenti, avvisi a distanza, rumori e odori particolari. Si direbbe che il nostro<br />

esserci consista, piú che <strong>nel</strong>la presenza dei nostri corpi, <strong>in</strong> <strong>un</strong> allentarsi e ricongi<strong>un</strong>gersi, cont<strong>in</strong>uo,<br />

di lontananze e di vuoti. Ma è anche vero il contrario: proprio l’ampiezza di ciò che non si vede e<br />

non è <strong>in</strong> mezzo a noi la fascia <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile delle assenze dà alle nostre due figure <strong>un</strong> risalto<br />

meticoloso e compatto, s<strong>in</strong>o ad acuire nei nostri sensi la previsione dell’imm<strong>in</strong>enza d’<strong>un</strong>a di esse e a<br />

prol<strong>un</strong>garne subito dopo, smisuratamente, gli effetti. Nei luoghi <strong>in</strong> cui fissiamo di volta <strong>in</strong> volta la<br />

nostra dimora, tentiamo di organizzarci alla meglio. I nostri compiti <strong>sono</strong> diversi per <strong>in</strong>tensità, ma<br />

cont<strong>in</strong>uamente abb<strong>in</strong>ati. Io devo assistere mio fratello, aiutarlo a lavarsi e a vestirsi, provvedere al<br />

suo nutrimento; lui mi aiuta, per quanto può, <strong>nel</strong>le faccende domestiche. Co<strong>in</strong>volti da tempo <strong>nel</strong>la<br />

lenta tir<strong>anni</strong>a <strong>della</strong> coppia, cerchiamo di sfruttarne anche i piú piccoli suggerimenti, gli effetti<br />

materiali meno gravosi. Un severo ord<strong>in</strong>amento b<strong>in</strong>ario regola le nostre azioni. Ciasc<strong>un</strong>o dei due<br />

rappresenta, per l’altro, secondo i casi, il compagno di giochi, l’<strong>in</strong>terlocutore paziente, l’oppositore<br />

imprevedibile. Ci scrutiamo. I movimenti dei nostri corpi soggiacciono a <strong>un</strong> confronto obbligatorio<br />

e cont<strong>in</strong>uo; le nostre volontà si fronteggiano; comb<strong>in</strong>azioni diverse, simili, spesso, a l<strong>un</strong>ghi e<br />

complicati rituali, nascono dalla coscienza di essere <strong>in</strong> due. Nell’attesa, l<strong>un</strong>ga o piú raramente<br />

istantanea, che il gesto dell’<strong>un</strong>o si riproduca o si smonti <strong>nel</strong>le reazioni dell’altro, fasi di


accomodamento e di tolleranza, attimi di speranza, ammicchi, brevi contemplazioni si alternano a<br />

momenti di <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e, di sofferenza e di opaca stanchezza. La vic<strong>in</strong>anza dei corpi, la conquista di<br />

<strong>un</strong>a pur breve <strong>in</strong>tesa fra noi ci dà, ogni tanto, l’illusione di poter ricostruire da qualche parte <strong>un</strong><br />

nucleo familiare con caratteri simili a quello di <strong>un</strong> tempo: <strong>un</strong> focolare domestico. Ma <strong>sono</strong> proprio i<br />

momenti <strong>in</strong> cui ci sentiamo piú disarmati, e d<strong>un</strong>que <strong>in</strong>difesi, di fronte alla malattia di mio fratello.<br />

Come tutte le affezioni <strong>della</strong> sua specie, questa ha, <strong>in</strong>fatti, alc<strong>un</strong>e proprietà irriducibili e, almeno <strong>in</strong><br />

apparenza, contraddittorie fra loro. Da <strong>un</strong> lato è senza dubbio la causa dei nostri spostamenti<br />

cont<strong>in</strong>ui, dall’altro diventa la conseguenza immediata di ogni tentativo nostro di fermarci, come<br />

coppia, <strong>in</strong> <strong>un</strong>’area che favorisca e delimiti i nostri affetti. Da fermi, d<strong>un</strong>que, ci pare che tutto il peso<br />

<strong>della</strong> malattia <strong>in</strong>comba, soffocante, sui nostri corpi; se andiamo su e giú per le stanze <strong>in</strong> cerca di<br />

novità, f<strong>in</strong>iamo per regolare sempre i nostri passi sui suoi. In ogni caso non possiamo sfuggirle. E<br />

sentiamo allontanarsi sempre piú, di anno <strong>in</strong> anno, l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong> assetto def<strong>in</strong>itivo.<br />

II<br />

Non le darò <strong>un</strong> nome. La malattia rappresenta, <strong>nel</strong> nostro peregr<strong>in</strong>are, l’<strong>in</strong>cognita permanente: <strong>un</strong>a<br />

specie di oggetto <strong>in</strong>visibile prima ancora che <strong>un</strong>a forza ostile. Ogni giorno ne constatiamo gli effetti,<br />

ne studiamo e fronteggiamo l’ubiquità e la destrezza. Benché i disturbi di mio fratello riguard<strong>in</strong>o<br />

soprattutto l’attività del pensiero, e solo di riflesso il suo corpo, la loro azione si rivela sempre<br />

materialmente. Ed è <strong>in</strong> via di cont<strong>in</strong>ua espansione. Non siamo mai certi di poter dire: questa cosa<br />

deriva dalla malattia, quest’altra <strong>in</strong>vece ne è imm<strong>un</strong>e; giacché la malattia, impalpabile e lenta,<br />

percorre di soppiatto ogni luogo senza lasciar prevedere dove, esattamente, né <strong>in</strong> quale momento,<br />

sorprenderà i nostri passi imbrogliandoli o modificandone il corso. Da quando, <strong>un</strong>ico tra i miei<br />

familiari, ho accettato di assistere mio fratello e di abitare con lui <strong>nel</strong>la grande casa, non ho mai<br />

r<strong>in</strong><strong>un</strong>ciato all’idea di combattere con ogni mezzo questa calamità. La seguo da vic<strong>in</strong>o come se<br />

avesse <strong>un</strong>a forma, la spio, ne annoto con cura i s<strong>in</strong>tomi e li metto <strong>in</strong> relazione fra loro. Ho <strong>un</strong> tale<br />

accanimento <strong>nel</strong> darle la caccia, perseguirla e snidarla, che a volte può sembrare anche che io la<br />

corteggi. Ma bisogna calcolare gli effetti di <strong>un</strong>a convivenza coatta. Come <strong>in</strong> tutte le l<strong>un</strong>ghe contese,<br />

non c’è da meravigliarsi se il mio modo di lottare si è fatto, col tempo, complicato e contraddittorio,<br />

e se qualche volta rassomiglia a <strong>un</strong>a trattativa molto piú che a <strong>un</strong>a guerra. In realtà il mio<br />

comportamento non ha nulla che non rientri <strong>in</strong> <strong>un</strong>a strategia attenta e meticolosa. Ho imparato che<br />

bisogna f<strong>in</strong>gere di accettare la malattia come qualcosa che ci <strong>in</strong>tegra e ci appartiene, alla stregua di<br />

<strong>un</strong> prol<strong>un</strong>gamento <strong>in</strong>sano dei nostri corpi: <strong>un</strong>a cerimonia consacrata, d<strong>un</strong>que, capillare e <strong>in</strong>cessante,<br />

<strong>un</strong> codice casal<strong>in</strong>go radicato nei nostri gesti. E i risultati <strong>sono</strong> anche apprezzabili. Oso dire che<br />

questa familiarità, assicurandomi <strong>un</strong>a conoscenza piú <strong>in</strong>tima e agguerrita del mio antagonista, mi<br />

mette, paradossalmente, <strong>in</strong> <strong>un</strong>a situazione di vantaggio rispetto ad esso. S’<strong>in</strong>tende: per quanto io<br />

sappia immedesimarmi, il mio modo di agire, di camm<strong>in</strong>are e parlare è sempre assai diverso da<br />

quello di mio fratello, che <strong>della</strong> malattia è l’emissario e <strong>nel</strong>lo stesso tempo, simmetricamente,<br />

l’oggetto. Ne nascono problemi di adattamento complessi, che adombrano scompensi articolati,<br />

piccole guerre di posizione durante le quali ci troviamo, <strong>in</strong> fasi alterne, a spiarci da campi opposti o,<br />

al contrario, perfettamente all<strong>in</strong>eati e, forse, illusoriamente complici <strong>in</strong> vista di <strong>un</strong> solo scopo. A


volte, sollecitato da me, mio fratello si mette al mio fianco <strong>nel</strong>la lotta contro il nemico che lui stesso<br />

alimenta e mi tiene dietro abilmente eseguendo con scrupolo, sia pure per breve tempo, le mie<br />

istruzioni; altre volte <strong>sono</strong> io che riesco a mimare perfettamente i suoi gesti. In quei momenti<br />

sembriamo simili. Ma si tratta di <strong>un</strong>’aff<strong>in</strong>ità limitata, spesso solo apparente. Ciò che mi dist<strong>in</strong>gue da<br />

lui è, <strong>in</strong> ogni caso, la possibilità di sottrarmi quando voglio alla lotta, alla cerimonia e, d<strong>un</strong>que, di<br />

controllarla da fuori. Io posso, se lo desidero, imitare la malattia; lui è costretto a viverla. Lui,<br />

<strong>in</strong>somma, è malato; io <strong>sono</strong> sano; potrei, se mi stancassi, estraniarmi, chiudermi <strong>in</strong> <strong>un</strong>a stanza, e<br />

pers<strong>in</strong>o partire; potrei piantare tutto, lasciare mio fratello al suo dest<strong>in</strong>o e fuggire. Se non faccio<br />

nulla di simile è perché ho scelto liberamente di vivere qui; ma <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea teorica potrei farlo. Ed è<br />

importante che possa pensarlo; è importante che possa fantasticare di vivere altrove, preparandomi<br />

alla partenza, anche, nei piú m<strong>in</strong>uti dettagli, raffigurandomi case limpide e sobriamente addobbate,<br />

oggetti f<strong>un</strong>zionali, ampi giard<strong>in</strong>i erbosi ricchi di alberi secolari. Naturalmente rimango. Non mi<br />

resta che trarre profitto dalla superiorità dei miei mezzi, pur sapendo a quali difficoltà vado<br />

<strong>in</strong>contro. Mentre mi adopero a strappare mio fratello allo stato <strong>in</strong> cui si trova, sento che egli compie<br />

su di me <strong>un</strong>’azione <strong>in</strong> qualche modo uguale e <strong>in</strong>versa alla mia: braccato da me, mi segue a sua volta<br />

<strong>in</strong>cessantemente, visitato, mi sorprende e mi costr<strong>in</strong>ge a ribadirne le mosse. La nostra storia è tutta<br />

<strong>in</strong> queste violazioni di territorio che si susseguono da <strong>un</strong>a parte e dall’altra s<strong>in</strong>o a confondere i nomi<br />

e i volti dei rispettivi <strong>in</strong>vasori. I disagi derivanti da questo scompiglio si <strong>in</strong>tricano spesso a tal p<strong>un</strong>to<br />

che non basta a consolarmi neanche la conv<strong>in</strong>zione d’essere io, <strong>in</strong> tanta <strong>in</strong>certezza, il piú costante e<br />

il piú forte.<br />

III<br />

Tutto com<strong>in</strong>cia dal modo di spostarsi e di collocarsi nei luoghi dove abitiamo. Quando mio fratello<br />

si muove, gli spazi ne risultano ulteriormente ampliati e sordi, le stanze scandite da ritmi <strong>in</strong>certi:<br />

qualsiasi vano può sembrargli <strong>un</strong> deserto <strong>in</strong> cui rischia di perdersi o, viceversa, <strong>un</strong>a prigione troppo<br />

stretta <strong>in</strong> cui annaspa come <strong>un</strong> volatile zoppo. Autore di impulsi a prima vista discordi, va soggetto<br />

a sbalzi di umore che lo colgono all’improvviso e altrettanto rapidamente lo abbandonano e si<br />

sciolgono <strong>in</strong> <strong>in</strong>tervalli di strana quiete. Sono due tempi, e due comportamenti, dist<strong>in</strong>ti. Nel primo<br />

riesce a spiccare grandi salti dal basso <strong>in</strong> alto, gira a vortice su se stesso o percorre a l<strong>un</strong>go <strong>un</strong>a<br />

stanza lambendone le pareti sempre <strong>in</strong> <strong>un</strong> senso, f<strong>in</strong>o a descriverne il perimetro cento e piú volte,<br />

mentre col dorso delle mani o con le p<strong>un</strong>te dei polpastrelli compie attenti rituali su alc<strong>un</strong>e parti del<br />

viso, specialmente sugli occhi. Nel secondo appare piú concentrato ed astratto: ma, com<strong>un</strong>que, si<br />

muove, prediligendo per lo piú <strong>un</strong> solo oggetto (quasi sempre <strong>in</strong>significante per me) sul quale<br />

r<strong>in</strong>nova impercettibili prove di ispezione tattile, olfattiva e visiva. In apparenza non c’è regola <strong>in</strong><br />

questo moto: mio fratello sembra la vittima occasionale di <strong>un</strong>a presenza estranea di cui subisce<br />

pazientemente, e al tempo stesso <strong>in</strong>terpreta col proprio corpo, i capricci. Guardandolo meglio, però,<br />

<strong>in</strong>travedo nei suoi gesti <strong>un</strong> misterioso a<strong>nel</strong>ito produttivo; ho il sospetto che le <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite ripetizioni, i<br />

salti, gli avvitamenti del corpo, le rare parole tracc<strong>in</strong>o <strong>nel</strong>l’aria <strong>un</strong> disegno animato di cui lui stesso,<br />

e non altri, è il regista: forse è lui che possiede il controllo <strong>della</strong> malattia, la piega ai suoi voleri e la<br />

costr<strong>in</strong>ge a rappresentare umilmente <strong>un</strong>o spettacolo <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto. Sembra esservi, <strong>in</strong> questo, <strong>un</strong>a


ferma, febbrile volontà di risarcimento. Il rifiuto delle cose che hanno concretezza ai miei occhi<br />

corrisponde all’elaborazione, da parte sua, di verità alternative. Dal suo corpo affiorano, suscitati da<br />

<strong>un</strong> attimo di rapimento o da <strong>un</strong>a breve concentrazione, piccoli <strong>un</strong>iversi aleatori, nei quali si<br />

trasferisce anche per l<strong>un</strong>ghi periodi, e dove a me è dato il privilegio di entrare, ogni tanto, e di<br />

abitare con lui. Li chiamiamo, di solito, i Grandi Viaggi (per dist<strong>in</strong>guerli dagli spostamenti abituali<br />

fra <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to e <strong>un</strong> altro <strong>della</strong> casa, che <strong>sono</strong> i Piccoli Viaggi ed hanno, a differenza dei Grandi, <strong>un</strong><br />

utile immediato, <strong>un</strong> profitto). Anche se i percorsi e le relative dest<strong>in</strong>azioni non cambiano molto,<br />

<strong>sono</strong> imprevedibili le varianti e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti i modi di realizzarle. Prevalgono le fantasie di dimore<br />

sotterranee o volanti. Non macch<strong>in</strong>e aeree, però, o elaborate sepolture; ma capanne sospese <strong>nel</strong><br />

vuoto, stanze allestite alla meglio fra cieli immag<strong>in</strong>ari, c<strong>un</strong>icoli e buche che si suppongono scavati<br />

tenacemente, a forza di <strong>un</strong>ghie, sotto di noi. Si direbbe che mio fratello non possegga, almeno<br />

f<strong>in</strong>ché dura il suo viaggio, la nozione dell’orizzontale e del piatto su cui ci muoviamo, ma solo<br />

quella di <strong>un</strong> sopra e di <strong>un</strong> sotto conquistati verticalmente, tracciando l<strong>in</strong>ee di precipizio e di<br />

elevazione <strong>in</strong> certi p<strong>un</strong>ti del pavimento, o <strong>nel</strong>l’aria. In questi nuovi spazi viviamo, a <strong>in</strong>tervalli,<br />

immersi <strong>in</strong> <strong>un</strong>a solitud<strong>in</strong>e laboriosa. È come <strong>un</strong>a casa dentro la casa, <strong>un</strong> tempo dentro il tempo. Non<br />

vi <strong>sono</strong> <strong>un</strong>ità di misura com<strong>un</strong>i, né brevità né l<strong>un</strong>ghezza, né m<strong>in</strong>uti né ore; non abbiamo <strong>in</strong>tese<br />

calcolate fra noi. Procediamo <strong>un</strong>iti, ma i nostri gesti si ispirano, naturalmente, a <strong>in</strong>tenzioni diverse.<br />

Mio fratello si muove <strong>in</strong> <strong>un</strong> cont<strong>in</strong>uo sforzo di aderire alla terra per penetrarla, di agitare l’aria per<br />

raggi<strong>un</strong>gere le nuove sedi <strong>in</strong> cui ha deciso di collocarsi. Io f<strong>in</strong>go di assecondarlo per studiarne da<br />

vic<strong>in</strong>o il comportamento; osservo la successione dei suoi movimenti, lo ped<strong>in</strong>o a distanza, talvolta<br />

lo fermo bruscamente e gli propongo soluzioni concrete con la speranza che ritorni di nuovo con<br />

me, <strong>nel</strong> mio mondo orizzontale, stabile e piatto. Non vedi che non riesci a volare? gli dico, ma con<br />

<strong>un</strong>a p<strong>un</strong>ta di esitazione e quasi di colpevole allarme, come chi è costretto a svegliare <strong>un</strong> compagno<br />

fuori dell’ora prevista. Non ti accorgi che il pavimento è scorrevole e liscio e non ci <strong>sono</strong> buche?<br />

Adesso camm<strong>in</strong>iamo <strong>in</strong>sieme. Tu guardi dove metti i piedi e com<strong>in</strong>ci a contare <strong>un</strong>o per <strong>un</strong>o gli<br />

oggetti veri che <strong>in</strong>contriamo al nostro passaggio. Oggetti veri? mi ribatte con meraviglia profonda,<br />

guardandomi obliquamente, come se fossi io a <strong>in</strong>dicargli fantasmi, mentre, rigido sulle p<strong>un</strong>te dei<br />

piedi, sembra contrastare ogni <strong>in</strong>iziativa che non sia quella (ovviamente affidata a me) di fargli<br />

violenza. Qualche volta, con <strong>un</strong> cedimento improvviso di tutto il corpo, <strong>un</strong> precipitoso allentarsi di<br />

muscoli e resistenze, mi obbedisce, docile ma disperato. Lam-pa-da-rio... bra-cie-re... sussurra<br />

camm<strong>in</strong>ando al mio fianco passivamente, come <strong>un</strong> cane randagio appena agguantato, che non<br />

prevede ancora la morte o si illude di evitarla accettando umilmente gli strattoni <strong>della</strong> guardia<br />

m<strong>un</strong>icipale. È difficile, però, che riesca a distrarlo con argomenti concreti. Piú spesso mi resiste o<br />

mi ignora, e <strong>sono</strong> costretto a ricorrere a <strong>un</strong>a strategia piú complessa: accettando la logica di quel<br />

doppio livello ne approfitto per <strong>in</strong>durlo a organizzare diversamente i suoi stessi impulsi. Giochiamo<br />

al volo di Icaro, <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uo, sperando di rammentargli, al momento <strong>della</strong> caduta, l’idea <strong>della</strong> terra.<br />

Oppure mi metto <strong>nel</strong>la posizione di chi sta per spiccare <strong>un</strong>a corsa, e alzando il bavero <strong>della</strong> giacca<br />

lo guardo furtivamente: Facciamo che io ero il prigioniero fuggito dalla cella, e tu l’<strong>in</strong>seguitore, gli<br />

dico. In pochi istanti ci immergiamo <strong>in</strong> <strong>un</strong>a trama piú conseguente: è la dimensione teatrale, <strong>nel</strong>la<br />

quale sta a me, f<strong>in</strong>almente, scegliere il repertorio. Mio fratello deve cambiare comportamento <strong>in</strong> <strong>un</strong>


lampo, accettando di recitare <strong>un</strong>a parte e assumendone subito con coerenza le parole e le azioni; ma<br />

proprio questo l’attrae irresistibilmente e lo trasc<strong>in</strong>a, da <strong>un</strong> attimo all’altro, fuori del suo l<strong>in</strong>guaggio.<br />

Non solo è capace di <strong>in</strong>teressarsi a qualsiasi <strong>in</strong>treccio ben congegnato, ma vi penetra dentro<br />

felicemente, e la sua l<strong>in</strong>gua si avvantaggia del travestimento f<strong>in</strong>o a cambiare, <strong>in</strong> pochi secondi,<br />

lessico e <strong>in</strong>tonazione e a costr<strong>in</strong>gere il corpo a <strong>un</strong>’economia di gesti che sembrava irrealizzabile<br />

poco prima. Un tale spostamento fulm<strong>in</strong>eo ha tutt’ora, per me, del miracoloso. Anche se non posso<br />

ricorrervi spesso (ed è per non comprometterne il risultato) ne faccio uso a <strong>in</strong>tervalli abbastanza<br />

frequenti da risolvere, grazie ad esso, situazioni precarie. Da <strong>anni</strong>, con poca fatica, brevi sp<strong>un</strong>ti di<br />

commedie e di favole, semplici storie di <strong>in</strong>seguimenti, agnizioni e persecuzioni rivivono <strong>in</strong><br />

improvvisati scenari senza che mio fratello ne perda <strong>un</strong>a sola battuta. Io gli tengo dietro, lo<br />

<strong>in</strong>coraggio, mi colloco nei p<strong>un</strong>ti di osservazione piú vantaggiosi. Di là, giocando d’astuzia e usando<br />

come <strong>un</strong>’esca il suo stesso divertimento, provvedo a smontare con pazienza, <strong>un</strong>a per <strong>un</strong>a, le sue<br />

stranezze. Ci serviamo, durante il gioco, di tutti i mezzi che ci sembrano adatti: suppellettili e arnesi<br />

di provenienza diversa, porte, quadri, rumori lontani, f<strong>in</strong>estre, pareti spoglie, silenzi. Anche la<br />

nudità <strong>della</strong> casa presenta, <strong>in</strong> questo, <strong>un</strong> s<strong>in</strong>golare vantaggio. Col suo mosaico di vuoti, spiegando<br />

attorno a noi l’<strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto volteggiare degli echi e dei tramestii, ci <strong>in</strong>vita a immag<strong>in</strong>arla piena,<br />

agibile e rigogliosa di luci. La sua vastità sconnessa si presta a riguadagnare <strong>in</strong> spettacolo quello che<br />

ha perduto <strong>in</strong> economia di spazi e <strong>in</strong> f<strong>un</strong>zioni. Non è raro che da <strong>un</strong>a stanza all’altra mio fratello ed<br />

io ci trasmettiamo messaggi, f<strong>in</strong>giamo di perderci e di ritrovarci, percorriamo it<strong>in</strong>erari l<strong>un</strong>go i quali<br />

immag<strong>in</strong>iamo di vivere, ancora bamb<strong>in</strong>i, avventure eccitanti. Siamo <strong>in</strong> grado di trasformare di volta<br />

<strong>in</strong> volta le stanze, le pareti, gli <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abili corridoi, <strong>in</strong> pianure sconf<strong>in</strong>ate, dense muraglie, corsi di<br />

fiumi nei quali navighiamo verso lontane dest<strong>in</strong>azioni. Sono io che organizzo con cura i<br />

meccanismi del gioco, dispongo i ruoli e i percorsi, cambio nome agli oggetti: tutto, s’<strong>in</strong>tende, per<br />

dar modo a mio fratello di cogliere certi nessi e di porre <strong>un</strong> freno alle sue repent<strong>in</strong>e evasioni.<br />

Naturalmente <strong>sono</strong> costretto a simulare con lui <strong>un</strong>a partecipazione completa, giacché egli accetta di<br />

vivere la f<strong>in</strong>zione che gli propongo solo a condizione che io, per primo, ne rispetti f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo le<br />

regole. Ingannarlo sarebbe difficile; è dotato di facoltà sensoriali altrettanto acute quanto è labile e<br />

<strong>in</strong>costante la sua ragione. Può rompere i miei silenzi con domande improvvise, avendo colto, anche<br />

senza guardarmi, certe m<strong>in</strong>ime esitazioni, certi attimi di impazienza che credevo, magari, di avergli<br />

abilmente nascosto. Qualche volta mi raggi<strong>un</strong>ge <strong>nel</strong>la stanza che ho scelto, stanco del gioco, per<br />

sfuggirgli e riposare lontano da lui. Ha seguito il calpestio dei miei passi, ne ha collocato <strong>in</strong> <strong>un</strong><br />

p<strong>un</strong>to esatto l’arrivo e il conseguente silenzio; ed ha come <strong>un</strong> radar <strong>in</strong>fallibile dentro di sé: non<br />

ricordo che abbia mai esitato o sbagliato porta. Vedendolo arrivare, corro a chiudere la f<strong>in</strong>estra<br />

perché i vic<strong>in</strong>i non sentano le grida acute e gioiose che manda, <strong>in</strong> questi casi, per la felicità di<br />

avermi trovato.

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