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I Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della ...

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<strong>un</strong> solo giorno. Muoversi <strong>nel</strong>la casa è come <strong>un</strong>a ricerca faticosa, paziente. Non c’è gesto o<br />

<strong>in</strong>tervento nostro che non si misuri con la nudità aggressiva di <strong>un</strong>a parete, con l’arresto o la svolta<br />

imprevista di <strong>un</strong> corridoio, con la cavità di <strong>un</strong> andito che ci si para davanti a sorpresa e ci costr<strong>in</strong>ge<br />

a cambiare it<strong>in</strong>erario o a fermarci improvvisamente. Le maggiori difficoltà nascono dai bisogni piú<br />

ovvi: dove sistemarci per mangiare, dove dormire, dove trascorrere le serate d’<strong>in</strong>verno. Non<br />

manchiamo, certo, di senso di adattamento, e tanto meno di spazio; ma proprio la vastità degli<br />

ambienti ci <strong>in</strong>vita a soluzioni di volta <strong>in</strong> volta diverse. Percorriamo <strong>in</strong> l<strong>un</strong>go e <strong>in</strong> largo la casa, ne<br />

saggiamo l’ampiezza, ci fermiamo <strong>in</strong> zone che ci sembrano, per qualche tempo, confortevoli e<br />

adatte; poi ripartiamo. Non c’è limite, <strong>in</strong> questo, alle nostre possibilità esplorative. È come se<br />

fossimo <strong>in</strong>dotti a riconoscere cose e luoghi già noti smontando la f<strong>in</strong>zione di cont<strong>in</strong>ui travestimenti:<br />

per quanto conosciamo palmo a palmo la casa, c’è sempre <strong>un</strong> angolo, <strong>un</strong>a f<strong>in</strong>estra, <strong>un</strong>a porta da<br />

<strong>in</strong>terrogare ancora, <strong>un</strong> ennesimo oggetto di cui constatiamo con meraviglia la novità o la stranezza,<br />

se lo guardiamo da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di osservazione diverso dall’abituale. A volte ci illudiamo di utilizzare<br />

a nostro agio le <strong>in</strong>numerevoli stanze; le occupiamo a turno, spostiamo i letti e gli armadi,<br />

sparpagliamo da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to all’altro le poche anticaglie. Ma <strong>un</strong>a volta realizzato questo piano di<br />

occupazione totale, ci sentiamo all’improvviso affaticati e dispersi; le pareti ci sembrano ancora piú<br />

nude, la com<strong>un</strong>icazione fra noi dispendiosa; allora rifacciamo alla svelta il camm<strong>in</strong>o <strong>in</strong>verso, che è<br />

quello di raggruppare ogni cosa nostra nei pochi vani <strong>in</strong>torno alla grande cuc<strong>in</strong>a, per vivere là,<br />

dov’è piú forte il calore, lasciando tutto il resto deserto. Lottiamo, anche, con problemi di identità<br />

materiale. Entro i conf<strong>in</strong>i precisi ma potenzialmente <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti <strong>in</strong> cui ci muoviamo, siamo costretti a<br />

riconoscere noi stessi, il piú delle volte, <strong>in</strong> base ad alc<strong>un</strong>e regole di prossimità e di distanza. Piú che<br />

dal rapporto di parentela, ci sentiamo <strong>un</strong>iti dall’essere vic<strong>in</strong>i o lontani <strong>in</strong> due p<strong>un</strong>ti di quello spazio,<br />

dal poter confrontare i nostri passi e riesumarne i r<strong>in</strong>tocchi fra le pareti, aspettando l’arrivo, il<br />

passaggio o la temporanea scomparsa dell’altro. Ci è familiare (ed è <strong>in</strong>evitabile) tutta <strong>un</strong>a casistica<br />

di <strong>in</strong>tervalli, presentimenti, avvisi a distanza, rumori e odori particolari. Si direbbe che il nostro<br />

esserci consista, piú che <strong>nel</strong>la presenza dei nostri corpi, <strong>in</strong> <strong>un</strong> allentarsi e ricongi<strong>un</strong>gersi, cont<strong>in</strong>uo,<br />

di lontananze e di vuoti. Ma è anche vero il contrario: proprio l’ampiezza di ciò che non si vede e<br />

non è <strong>in</strong> mezzo a noi la fascia <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile delle assenze dà alle nostre due figure <strong>un</strong> risalto<br />

meticoloso e compatto, s<strong>in</strong>o ad acuire nei nostri sensi la previsione dell’imm<strong>in</strong>enza d’<strong>un</strong>a di esse e a<br />

prol<strong>un</strong>garne subito dopo, smisuratamente, gli effetti. Nei luoghi <strong>in</strong> cui fissiamo di volta <strong>in</strong> volta la<br />

nostra dimora, tentiamo di organizzarci alla meglio. I nostri compiti <strong>sono</strong> diversi per <strong>in</strong>tensità, ma<br />

cont<strong>in</strong>uamente abb<strong>in</strong>ati. Io devo assistere mio fratello, aiutarlo a lavarsi e a vestirsi, provvedere al<br />

suo nutrimento; lui mi aiuta, per quanto può, <strong>nel</strong>le faccende domestiche. Co<strong>in</strong>volti da tempo <strong>nel</strong>la<br />

lenta tir<strong>anni</strong>a <strong>della</strong> coppia, cerchiamo di sfruttarne anche i piú piccoli suggerimenti, gli effetti<br />

materiali meno gravosi. Un severo ord<strong>in</strong>amento b<strong>in</strong>ario regola le nostre azioni. Ciasc<strong>un</strong>o dei due<br />

rappresenta, per l’altro, secondo i casi, il compagno di giochi, l’<strong>in</strong>terlocutore paziente, l’oppositore<br />

imprevedibile. Ci scrutiamo. I movimenti dei nostri corpi soggiacciono a <strong>un</strong> confronto obbligatorio<br />

e cont<strong>in</strong>uo; le nostre volontà si fronteggiano; comb<strong>in</strong>azioni diverse, simili, spesso, a l<strong>un</strong>ghi e<br />

complicati rituali, nascono dalla coscienza di essere <strong>in</strong> due. Nell’attesa, l<strong>un</strong>ga o piú raramente<br />

istantanea, che il gesto dell’<strong>un</strong>o si riproduca o si smonti <strong>nel</strong>le reazioni dell’altro, fasi di

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