Applicazioni della teoria del minimax a problemi ... - Portale Posta DMI
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Coordinatore:<br />
Università degli Studi di Catania<br />
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali<br />
Dottorato di Ricerca in Matematica<br />
Antonio Iannizzotto<br />
<strong>Applicazioni</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong><br />
a <strong>problemi</strong> variazionali<br />
Chiar.mo Prof. Alfio Ragusa<br />
Tesi di Dottorato<br />
XIX Ciclo 2003–2007<br />
Tutor:<br />
Chiar.mo Prof. Biagio Ricceri
Ringraziamenti<br />
La prima persona da ringraziare è il Professor Biagio Ricceri, al quale sono debitore <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
maggior parte <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica che conosco e di un esempio luminoso di dedizione alla<br />
scienza.<br />
Ho svolto quasi tutta la mia attività di ricerca in collaborazione con la Dottoressa<br />
Francesca Faraci, avvantaggiandomi <strong>del</strong> suo talento e <strong><strong>del</strong>la</strong> sua pazienza, e anche verso di<br />
lei ho un grande debito di gratitudine.<br />
Un ringraziamento va anche ai matematici <strong><strong>del</strong>la</strong> Universitatea Babe¸s–Bolyai di Cluj–<br />
Napoca con cui ho collaborato, e in particolare al Professor Csaba Varga, al quale devo<br />
l’introduzione all’analisi non–smooth e diversi interessanti spunti di ricerca.<br />
A tutti i miei colleghi devo l’atmosfera sempre lieta e amichevole che mi ha circondato<br />
durante questi anni di Dottorato, contribuendo a farne un periodo indimenticabile.<br />
Questo lavoro è dedicato ai miei genitori, ai quali devo tutto il resto.<br />
iii
Introduzione<br />
Nihil certi habemus in nostra scientia, nisi nostram mathematicam.<br />
Nicola Cusano, De Possest (1460).<br />
Il problema <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> si può formulare come segue.<br />
Siano X, Y due insiemi non vuoti, ψ : X ×Y → R una funzione: determinare condizioni<br />
sotto le quali è verificata l’eguaglianza<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, y) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, y).<br />
Originariamente collegato alla <strong>teoria</strong> dei giuochi strategici di Von Neumann, il problema<br />
precedente presenta alcune caratteristiche che lo rendono estremamente affascinante<br />
agli occhi dei matematici: in primo luogo la sua formulazione, semplice ed elegante benché<br />
molto generale; quindi l’importanza <strong>del</strong>le applicazioni, che spaziano dalla <strong>teoria</strong> economica<br />
<strong>del</strong>l’equilibrio alle equazioni differenziali; infine la varietà <strong>del</strong>le possibili soluzioni, che impiegano<br />
metodi basati sull’analisi convessa, sulla topologia, sui teoremi di punto fisso, sulle<br />
discipline computazionali o sulle multifunzioni (per non menzionare che alcuni approcci).<br />
La letteratura degli ultimi decenni offre un numero impressionante di teoremi di <strong>minimax</strong>,<br />
ovvero di risultati che, sotto convenienti ipotesi relative agli insiemi X e Y e alla<br />
funzione ψ, assicurano che l’eguaglianza sopra (detta, prevedibilmente, eguaglianza <strong>del</strong><br />
<strong>minimax</strong>) sia verificata: questi risultati differiscono per i metodi dimostrativi e per le ipotesi<br />
adottate, che nel corso degli anni si sono fatte via via più raffinate; la loro varietà è<br />
tale da far considerare il complesso dei risultati relativi a questo problema una <strong>teoria</strong> a sé<br />
stante nell’àmbito <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica pura, detta <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>.<br />
In particolare, un’idea ricorrente nella <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, sulla quale è basato il celebre<br />
teorema di M. Sion, è la seguente: se X e Y sono sottoinsiemi convessi e compatti di<br />
spazi vettoriali topologici e la funzione ψ è <strong>del</strong> tipo convesso–concavo (ovvero è convessa<br />
rispetto alla prima variabile e concava rispetto alla seconda), oltre a soddisfare opportune<br />
condizioni di semicontinuità, l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> è verificata.<br />
In effetti, le ipotesi di convessità e concavità espresse sopra sono ridondanti, e H.<br />
König le ha sostituite con sofisticate condizioni topologiche sulla connessione di certe<br />
intersezioni di sopralivelli e sottolivelli di ψ: rimuovendo l’idea di convessità a favore di<br />
quella di connessione, si realizza un notevole progresso nella generalizzazione <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong>,<br />
v<br />
y∈Y
vi<br />
in quanto, mentre la convessità ha senso solo in una struttura vettoriale, la connessione<br />
richiede solo una topologia.<br />
Fra i teoremi di <strong>minimax</strong> topologici, particolarmente interessanti si sono rivelati quelli<br />
formulati per il caso in cui l’insieme X è uno spazio topologico e l’insieme Y è un intervallo<br />
reale: in particolare, B. Ricceri ha studiato questo caso impiegando sottili tecniche<br />
di analisi multivoca (principalmente, un principio di alternativa per le multifunzioni) e<br />
stabilendo alcuni teoremi di <strong>minimax</strong> che richiedono ipotesi molto tenui sull’insieme X e<br />
sulla dipendenza di ψ dalla prima variabile.<br />
Non intendiamo addentrarci nei particolari tecnici, ma anticipiamo che le ipotesi di<br />
Ricceri riguardano essenzialmente i punti di minimo locale che la funzione ψ(·, y) (o una<br />
ad essa collegata) ammette in X, al variare di y nell’intervallo reale Y : questo stabilisce<br />
un collegamento fecondo fra la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> e l’analisi funzionale non lineare.<br />
Difatti, è possibile applicare (di solito in maniera “inversa”, cioè supponendo che l’eguaglianza<br />
<strong>del</strong> <strong>minimax</strong> non sia verificata) questi teoremi di <strong>minimax</strong> per ottenere risultati<br />
di esistenza e di molteplicità per i punti di minimo locale di funzioni a valori reali definite<br />
su uno spazio topologico e dipendenti da un parametro reale; quando poi si scelga come<br />
X uno spazio di Banach e le funzioni in esame siano differenziabili secondo Gâteaux, ci<br />
si colloca nel contesto proprio <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei punti critici per funzionali non lineari, e<br />
i risultati precedenti interagiscono in modo fruttuoso con il classico Teorema <strong>del</strong> passo<br />
di montagna di P. Pucci e J. Serrin, consentendo di provare teoremi di molteplicità per<br />
i punti critici di un funzionale dipendente da un parametro reale: un’applicazione molto<br />
distante da quelle usuali <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>.<br />
Questo metodo è stato impiegato con successo da diversi autori, che hanno stabilito<br />
teoremi di molteplicità per le soluzioni di vari <strong>problemi</strong> legati alle equazioni differenziali<br />
non lineari, sia ordinarie che alle derivate parziali.<br />
Tuttavia, la generalità dei risultati astratti ne consente un uso più ampio, non necessariamente<br />
limitato ai funzionali differenziabili in senso classico: in particolare, S.A. Marano<br />
e D. Motreanu hanno applicato per primi il metodo sopra accennato nel campo <strong>del</strong>l’analisi<br />
non–smooth, estendendo il risultato di Ricceri a una più vasta classe di funzionali.<br />
A questo punto s’impone una breve digressione: come la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, anche<br />
l’analisi non–smooth è una branca complessa e stimolante <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica pura, le<br />
cui origini sono però riconducibili alle scienze applicate, e precisamente alla meccanica<br />
e all’ingegneria.<br />
In generale, i <strong>problemi</strong> di equilibrio in meccanica classica conducono a disequazioni<br />
variazionali, che l’analisi convessa interpreta variazionalmente come la ricerca di punti critici<br />
per funzionali convessi, detti potenziali, definiti su opportuni spazi funzionali; tuttavia,<br />
accade di frequente nei fenomeni meccanici reali che, a causa di comportamenti non omogenei<br />
<strong>del</strong>le grandezze in giuoco (che si esprimono matematicamente con funzioni definite<br />
in modi diversi su aree diverse), non è sempre possibile definire un potenziale convesso.<br />
In tale contesto, si rende necessario il ricorso a una <strong>teoria</strong> più generale <strong><strong>del</strong>la</strong> derivazione,<br />
quale quella sviluppata da F.H. Clarke per i funzionali localmente lipschitziani:<br />
i <strong>problemi</strong> studiati da questa <strong>teoria</strong>, che generalizzano le disequazioni variazionali,
Introduzione vii<br />
sono noti in letteratura come disequazioni emivariazionali (senza vincoli) o disequazioni<br />
variazionali–emivariazionali (con vincoli), e sono stati introdotti da P.D. Panagiotopoulos.<br />
Per studiare queste disequazioni secondo un approccio variazionale, sono stati definiti<br />
i cosiddetti funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos, per i quali è stata sviluppata una<br />
<strong>teoria</strong> generalizzata dei punti critici che combina aspetti <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> di F.H. Clarke e <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
più tradizionale analisi convessa: tale <strong>teoria</strong>, benché piuttosto recente, ha già raggiunto una<br />
notevole estensione, che comprende versioni generalizzate di risultati classici <strong>del</strong>l’analisi<br />
non lineare come il già citato Teorema <strong>del</strong> passo di montagna e il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità<br />
simmetrica di R.S. Palais.<br />
Un elemento di grande interesse, anche dal punto di vista astratto, <strong>del</strong>le disequazioni<br />
variazionali–emivariazionali risiede nel fatto che esse rappresentano uno “schema” molto<br />
generale, cui si possono ricondurre <strong>problemi</strong> variazionali di diversa natura, quali le equazioni<br />
differenziali ellittiche non lineari anche con nonlinearità fortemente discontinue (K.C.<br />
Chang), le inclusioni differenziali (S.Th. Kyritsi, N.S. Papageorgiou) e vari tipi di <strong>problemi</strong><br />
al contorno.<br />
Per questa ragione è utile disporre di teoremi sui punti critici di funzionali di Motreanu–<br />
Panagiotopoulos: da essi si possono far discendere (talvolta, in verità, incontrando difficoltà<br />
tecniche considerevoli) risultati di esistenza e di molteplicità per le soluzioni che valgono<br />
simultaneamente per <strong>problemi</strong> all’apparenza molto diversi fra loro, come se la speculazione<br />
astratta cogliesse l’essenza comune di tali <strong>problemi</strong>.<br />
Tornando alla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, va ricordato che, in séguito, B. Ricceri ha migliorato<br />
il suo teorema, trasferendo le ipotesi di tipo variazionale dalla funzione ψ(·, y) a<br />
un’altra funzione che differisce da essa per una piccola perturbazione: questa nuova versione<br />
<strong>del</strong> risultato astratto permette di dedurre teoremi di molteplicità per i punti critici<br />
di un funzionale perturbato definito su uno spazio di Banach, dipendente da due parametri<br />
reali; usando in modo accorto il metodo <strong>del</strong> passo di montagna, è altresì possibile<br />
fornire una stima <strong>del</strong>le norme di tali punti critici uniforme (vale a dire, indipendente dalla<br />
perturbazione).<br />
Le conseguenze di questi teoremi di <strong>minimax</strong> nella <strong>teoria</strong> dei punti critici e numerose<br />
applicazioni a <strong>problemi</strong> differenziali sono state esplorate in una copiosa e interessante<br />
letteratura basata sul metodo <strong><strong>del</strong>la</strong> diseguaglianza di <strong>minimax</strong>, ad opera, oltre che <strong>del</strong>lo<br />
stesso B. Ricceri, di G. Barletta, G. Bonanno, F. Cammaroto, P. Candito, A. Chinnì,<br />
G. Cordaro, B. Di Bella, A. Kristály, H. Lisei, R. Livrea, S.A. Marano, D. Motreanu, V.<br />
Rădulescu, J. Saint Raymond, Cs. Varga (fra gli altri).<br />
L’autore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi, in collaborazione con F. Faraci, P. Kupán e Cs. Varga, si è<br />
occupato <strong><strong>del</strong>la</strong> questione applicando il metodo a una classe di disequazioni emivariazionali<br />
su dominî illimitati.<br />
Qui ci si spingerà un po’ oltre, stabilendo, sulla base <strong><strong>del</strong>la</strong> nuova versione <strong>del</strong> teorema<br />
di <strong>minimax</strong> di B. Ricceri, l’esistenza di almeno due punti di minimo locale per una classe di<br />
funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos perturbati; da tale risultato sarà possibile dedurre<br />
l’esistenza di due (o tre) soluzioni per alcuni <strong>problemi</strong> variazionali dipendenti da due<br />
parametri reali e coinvolgenti una perturbazione in qualche misura arbitraria, fornendo
viii<br />
anche una stima uniforme <strong>del</strong>le norme <strong>del</strong>le soluzioni: precisamente, saranno presi in esame<br />
un’inclusione differenziale con un vincolo di positività <strong>del</strong>le soluzioni; un problema di<br />
Dirichlet con condizioni al contorno omogenee e nonlinearità discontinue su un dominio<br />
illimitato; una disequazione variazionale–emivariazionale che estende il classico problema<br />
<strong>del</strong>l’ostacolo.<br />
Vi è un’altra “famiglia” di risultati legati alla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, e all’inedita congiunzione<br />
fra questa e certi aspetti <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong>l’approssimazione metrica: è ancora B.<br />
Ricceri a segnare il punto di partenza di questo filone di ricerca, applicando il suo teorema<br />
topologico di <strong>minimax</strong>, insieme a un risultato di I.G. Tsar’kov relativo alle proiezioni<br />
metriche su certi insiemi, per dedurne un teorema di molteplicità per le soluzioni di una<br />
certa equazione astratta in uno spazio di Hilbert.<br />
Si tratta di un risultato altamente tecnico, che è impensabile descrivere in questa sede:<br />
basti sapere che esso si inquadra nella <strong>teoria</strong> classica dei punti critici e consente, sotto<br />
comuni ipotesi di crescita e una condizione di non–convessità estremamente generale, di<br />
stabilire l’esistenza di almeno tre soluzioni per <strong>problemi</strong> differenziali di tipo semi–lineare<br />
dipendenti da un parametro reale e da una funzione (che rappresenta una perturbazione<br />
interna <strong>del</strong> problema); alcune applicazioni sono state sviluppate da B.E. Breckner, A.<br />
Horváth, A. Kristály, Cs. Varga.<br />
L’autore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi si è dedicato a lungo allo studio <strong>del</strong>le conseguenze di questo<br />
risultato di B. Ricceri: in collaborazione con F. Faraci, ha esteso il teorema originale a una<br />
classe più ampia di spazi di Banach, consentendo alle applicazioni in campo variazionale di<br />
abbracciare anche <strong>problemi</strong> al contorno su equazioni quasi–lineari; quindi, in collaborazione<br />
ancora con F. Faraci e con H. Lisei e Cs. Varga, ha esteso ulteriormente il risultato generale<br />
ai funzionali localmente lipschitziani, impiegando l’analisi non–smooth.<br />
In questo lavoro troveranno posto la versione perfezionata di tale risultato generale e<br />
applicazioni a <strong>problemi</strong> variazionali specifici, dipendenti da un parametro reale e da una<br />
perturbazione interna: un problema di Dirichlet con condizioni al contorno omogenee e<br />
nonlinearità discontinua su un dominio limitato, e una disequazione variazionale su una<br />
striscia illimitata.<br />
Il teorema di molteplicità basato sulla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> e su quella <strong>del</strong>l’approssimazione<br />
metrica permette anche un’applicazione di natura completamente diversa: lo stesso<br />
B. Ricceri ha stabilito, servendosi di quel risultato, un originale teorema di struttura per<br />
l’insieme dei punti singolari di certi operatori non lineari fra spazi di Hilbert.<br />
Anche in questo caso, il risultato astratto ha importanti conseguenze nello studio di<br />
<strong>problemi</strong> differenziali: recentemente, F. Faraci e l’autore di questa tesi hanno provato,<br />
applicando quest’ultimo risultato di B. Ricceri, un teorema di struttura per l’insieme dei<br />
punti di biforcazione di un sistema non lineare di equazioni differenziali <strong>del</strong> secondo ordine<br />
ordinarie con condizioni agli estremi periodiche; così, attraverso la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, è<br />
stato portato un nuovo contributo alla <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> biforcazione, uno dei settori più vitali<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> moderna analisi non lineare.<br />
Infine, va segnalato un ulteriore collegamento stabilito fra la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> e un<br />
classico argomento <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong>l’ottimizzazione: servendosi di un noto teorema di punto
Introduzione ix<br />
di sella (un tipo di risultati che appartiene, per legami diretti, alla specie dei teoremi di<br />
<strong>minimax</strong>), B. Ricceri ha dimostrato un risultato di buona posizione per certi <strong>problemi</strong><br />
di minimizzazione per funzionali derivabili secondo Gâteaux con derivata lipschitziana<br />
definiti su spazi di Hilbert.<br />
La portata <strong>del</strong> metodo basato sui punti di sella, tuttavia, eccede i limiti <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> classica<br />
<strong>del</strong>l’ottimizzazione, per lambire un argomento, in apparenza, <strong>del</strong> tutto indipendente:<br />
si apre qui una nuova, breve digressione.<br />
Si è fatto cenno <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong>l’approssimazione metrica: il più celebre problema studiato<br />
da questa disciplina è certamente quello <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev,<br />
vale dire di quei sottoinsiemi di uno spazio normato che possiedono, per ogni punto esterno,<br />
esattamente un punto di miglior approssimazione (o proiezione metrica); tale problema,<br />
oggetto di uno studio decennale inaugurato da N.V. Efimov e S.B. Stečkin e proseguito<br />
soprattutto da numerosi matematici russi (anche il teorema di I.G. Tsar’kov citato sopra<br />
si colloca lungo questa linea di ricerca), è tuttora insoluto, benché siano state individuate<br />
alcune interessanti soluzioni parziali.<br />
In particolare, attende risposta la seguente questione: esiste uno spazio di Hilbert di<br />
dimensione infinita che contenga un insieme di Chebyshev non convesso?<br />
Seguendo un metodo basato sui punti di sella simile a quello ideato da B. Ricceri (ma<br />
studiando in questo caso funzionali non derivabili), F. Faraci e l’autore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi<br />
hanno stabilito un teorema di buona posizione per il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> miglior approssimazione<br />
relativo a certi sottoinsiemi di uno spazio di Hilbert; tale risultato schiude una<br />
prospettiva inedita sul problema sopra esposto, e in base a esso è motivata una congettura<br />
intesa a risolvere il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev in uno spazio di<br />
Hilbert.<br />
Come si vede, la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> è posta al centro di una fitta rete che collega<br />
fra loro, in modi talora inaspettati, aree differenti <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica quali i metodi variazionali,<br />
l’analisi non–smooth, i <strong>problemi</strong> differenziali, la <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> biforcazione e quella<br />
<strong>del</strong>l’approssimazione metrica; inoltre, tutte queste discipline, che nella presente tesi saranno<br />
sempre considerate nell’ottica propria <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica pura, hanno relazioni profonde<br />
anche con le scienze applicate.<br />
Pertanto, la natura multiforme dei risultati esposti in questo lavoro, negli auspici<br />
<strong>del</strong>l’autore, può forse essere considerata un valore.<br />
La tesi si articola in otto Capitoli, dei quali i primi quattro sono di natura generale e<br />
introduttiva, mentre gli altri quattro contengono i risultati originali (talvolta inediti, più<br />
spesso già pubblicati in diversi articoli):<br />
• nel Capitolo 1 sono raccolti alcuni dei risultati classici <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>,<br />
insieme ai più recenti teoremi topologici di <strong>minimax</strong> dovuti a B. Ricceri;<br />
• nel Capitolo 2 sono richiamate alcune utili nozioni sugli spazi di Banach ed è <strong>del</strong>ineata<br />
un’introduzione al problema <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev;
x<br />
• nel Capitolo 3 sono esposti gli elementi fondamentali <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei punti critici per<br />
funzionali localmente lipschitziani e per funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos;<br />
• nel Capitolo 4 è tracciata una descrizione sintetica di alcuni <strong>problemi</strong> variazionali<br />
che possono essere affrontati con gli strumenti concettuali <strong>del</strong>l’analisi non–smooth;<br />
• nel Capitolo 5 sono presi in esame alcuni <strong>problemi</strong> variazionali dipendenti da due<br />
parametri, per i quali sono provati teoremi di molteplicità <strong>del</strong>le soluzioni mediante<br />
il metodo <strong><strong>del</strong>la</strong> diseguaglianza di <strong>minimax</strong>;<br />
• nel Capitolo 6 è presentato un teorema generale di molteplicità per i punti critici di<br />
una classe di funzionali localmente lipschitziani, insieme alle sue conseguenze relative<br />
ad alcuni <strong>problemi</strong> variazionali;<br />
• nel Capitolo 7 sono stabiliti un teorema di struttura sull’insieme dei punti di biforcazione<br />
di certi sistemi di equazioni differenziali non lineari e un teorema di esistenza<br />
di soluzioni non banali per certi sistemi lineari;<br />
• nel Capitolo 8 il metodo <strong>del</strong> punto di sella è applicato per provare la buona posizione<br />
di un problema di miglior approssimazione, collegato a una congettura sull’esistenza<br />
di insiemi di Chebyshev non convessi in spazi di Hilbert.
Notazioni<br />
Introduciamo alcune notazioni che saranno adottate nella presente tesi.<br />
Insiemi e spazi topologici<br />
Siano X, Y due insiemi e S ⊆ X × Y : si pone per ogni x ∈ X, y ∈ Y<br />
Sx = {y ∈ Y : (x, y) ∈ S}, S y = {x ∈ X : (x, y) ∈ S}.<br />
Sia Φ : X → R ∪ {+∞}: per ogni ρ ∈ R si pone<br />
Φ ρ = {x ∈ X : Φ(x) < ρ}, Φρ = {x ∈ X : Φ(x) > ρ},<br />
Φ ρ = {x ∈ X : Φ(x) ≤ ρ}, Φρ = {x ∈ X : Φ(x) ≥ ρ},<br />
dom(Φ) = {x ∈ X : Φ(x) ∈ R}.<br />
Siano (X, τ) uno spazio topologico, S ⊆ X: cl(S), int(S), ∂S denotano rispettivamente<br />
la chiusura, l’interno e la frontiera di S.<br />
Sia Φ : X → R ∪ {+∞}: τΦ è la meno fine topologia su X che include τ e gli insiemi<br />
Φ ρ per ogni ρ ∈ R.<br />
Rammentiamo che Φ è detto semi–continuo inferiormente (s.c.i.) se Φρ è aperto per<br />
ogni ρ ∈ R, e semi–continuo superiormente (s.c.s.) se Φ ρ è aperto per ogni ρ ∈ R; inoltre,<br />
Φ è sequenzialmente s.c.i. se per ogni successione {xn} in X convergente a x ∈ X si ha<br />
lim inf<br />
n<br />
Φ(xn) ≥ Φ(x),<br />
e sequenzialmente s.c.s. se per ogni successione {xn} in X convergente a x ∈ X si ha<br />
Spazi di Banach<br />
lim sup Φ(xn) ≤ Φ(x).<br />
n<br />
Con (X, · ) s’indica sempre uno spazio di Banach reale, e con (X ∗ , · ∗) il suo duale<br />
topologico; la dualità fra X ∗ e X è denotata 〈·, ·〉; la dimensione di X è dim(X) ∈ N∪{∞}.<br />
Si pone per ogni u ∈ X, R > 0<br />
B(u, R) = {v ∈ X : v − u < R}, S(u, R) = {v ∈ X : v − u = R},<br />
xi
xii<br />
inoltre, per ogni u, v ∈ X si pone<br />
B(u, R) = B(u, R) ∪ S(u, R);<br />
[u, v] = {τu + (1 − τ)v : τ ∈ [0, 1]} .<br />
Se X è uno spazio di Hilbert, si identifica X ∗ = X e 〈·, ·〉 indica il prodotto scalare.<br />
Se X, Y sono due spazi di Banach, L(X, Y ) è lo spazio degli operatori lineari continui<br />
da X in Y ; per ogni k ∈ N, C k (X, Y ) è lo spazio <strong>del</strong>le mappe derivabili secondo Gâteaux<br />
k volte con derivate continue e<br />
C ∞ (X, Y ) =<br />
∞<br />
C k (X, Y ).<br />
L’immersione X ↩→ Y è continua se esistono un operatore iniettivo T ∈ L(X, Y ) e<br />
c > 0 tali che per ogni u ∈ X<br />
T (u)Y ≤ cuX;<br />
è compatta se è continua e per ogni successione limitata {un} in X esiste una sottosuccessione<br />
{unk } tale che {T (unk )} converge in Y .<br />
In ogni caso, X si identifica con il sottospazio T (X) di Y .<br />
Spazi di Lebesgue e di Sobolev<br />
Per ogni N ∈ N, m(·) denota la misura secondo Lebesgue in R N .<br />
k=1<br />
Sia Ω un dominio (cioè un aperto connesso) in R N con frontiera regolare (cioè di classe<br />
C 1 , anche se nella maggior parte dei casi trattati una regolarità inferiore è sufficiente):<br />
C ∞ 0 (Ω) è lo spazio <strong>del</strong>le funzioni di C∞ (Ω, R) a supporto compatto; (L ∞ (Ω), · ∞) è lo<br />
spazio <strong>del</strong>le funzioni essenzialmente limitate; per ogni p > 0, si denota (L p (Ω), · p) lo<br />
spazio (di Lebesgue) <strong>del</strong>le funzioni di potenza p–ma sommabile.<br />
Sullo spazio di Sobolev W 1,p (Ω) è adottata la norma<br />
e su W 1,p<br />
0 (Ω) la norma<br />
<br />
u =<br />
[|∇u(x)|<br />
Ω<br />
p + |u(x)| p 1<br />
p<br />
] dx<br />
<br />
u =<br />
Per ogni p > 1 denotiamo p ′ = p<br />
p − 1<br />
p ∗ = Np<br />
N − p<br />
l’esponente critico (di Sobolev).<br />
|∇u(x)|<br />
Ω<br />
p dx<br />
1<br />
p<br />
.<br />
,<br />
l’esponente coniugato e, se p < N, denotiamo
Indice<br />
Ringraziamenti iii<br />
Introduzione v<br />
Notazioni xi<br />
1 Teoremi di <strong>minimax</strong> 1<br />
1.1 Teoremi classici di <strong>minimax</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1<br />
1.2 Un teorema di <strong>minimax</strong> basato sui minimi locali . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />
1.3 Un teorema di <strong>minimax</strong> per funzioni perturbate e le sue conseguenze . . . . 4<br />
1.4 Punti di sella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />
2 Alcuni richiami sugli spazi di Banach 7<br />
2.1 Nozioni di convessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7<br />
2.2 Mappe di dualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8<br />
2.3 Gli insiemi di Chebyshev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />
3 Teoria dei punti critici per funzionali non differenziabili 13<br />
3.1 Calcolo differenziale per funzionali localmente<br />
lipschitziani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14<br />
3.2 Punti critici per funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos . . . . . . . . . . 16<br />
3.3 Il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19<br />
3.4 Il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22<br />
4 Problemi variazionali: uno sguardo d’insieme 25<br />
4.1 Disequazioni emivariazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25<br />
4.2 Disequazioni variazionali–emivariazionali in dimensione maggiore di uno . . 28<br />
4.3 Disequazioni variazionali–emivariazionali in dimensione uno . . . . . . . . . 31<br />
4.4 Problemi al contorno con nonlinearità discontinue . . . . . . . . . . . . . . . 33<br />
5 Teoremi di molteplicità per <strong>problemi</strong> con due parametri 37<br />
5.1 Due minimi locali per funzionali di<br />
Motreanu–Panagiotopoulos perturbati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39<br />
5.2 Tre soluzioni positive per un’inclusione differenziale . . . . . . . . . . . . . . 42<br />
xiii
xiv<br />
5.3 Tre soluzioni per un problema di Dirichlet con nonlinearità discontinue e<br />
simmetriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51<br />
5.4 Tre soluzioni per il problema <strong>del</strong>l’ostacolo su una disequazione emivariazionale 61<br />
6 Un teorema di molteplicità per <strong>problemi</strong> con perturbazione interna 69<br />
6.1 Il risultato generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70<br />
6.2 Un problema di Dirichlet con nonlinearità discontinua . . . . . . . . . . . . 73<br />
6.3 Un’inclusione differenziale su una striscia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77<br />
7 Punti di biforcazione per sistemi hamiltoniani 81<br />
7.1 Punti singolari di operatori non lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82<br />
7.2 Alcuni richiami sui sistemi <strong>del</strong> secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . 84<br />
7.3 Biforcazione per sistemi non lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85<br />
7.4 Esistenza per sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91<br />
8 Buona posizione e insiemi di Chebyshev non convessi 95<br />
8.1 Buona posizione per un problema di miglior approssimazione . . . . . . . . 95<br />
8.2 Una congettura sugli insiemi di Chebyshev non convessi . . . . . . . . . . . 99<br />
Bibliografia 101
Capitolo 1<br />
Teoremi di <strong>minimax</strong><br />
La <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> è nata da una costola <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei giuochi strategici di Von<br />
Neumann, per poi svilupparsi come un oggetto di studio a sé stante: lo scopo originario<br />
di quella che sarebbe divenuta una vasta e raffinata disciplina, con ramificazioni in diversi<br />
settori <strong><strong>del</strong>la</strong> matematica, era la risoluzione di un problema sorto nello studio <strong>del</strong>le funzioni<br />
di decisione, che può essere enunciato nella seguente forma generale.<br />
Siano X, Y due insiemi non vuoti, ψ : X ×Y → R una funzione: determinare condizioni<br />
sotto le quali è verificata l’eguaglianza<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, y) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, y).<br />
Un teorema di <strong>minimax</strong> è dunque un risultato che, sotto opportune ipotesi riferite ai<br />
dati X, Y e ψ, garantisca la validità <strong>del</strong>l’eguaglianza sopra, detta eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>.<br />
(Molti autori designano con la locuzione “teorema di <strong>minimax</strong>” risultati di analisi<br />
funzionale non lineare di natura completamente diversa, <strong>del</strong> tipo <strong>del</strong> Teorema <strong>del</strong> passo di<br />
montagna: nel presente lavoro cercheremo di evitare ogni ambiguità in merito.)<br />
y∈Y<br />
Notiamo che, nella situazione esposta sopra, si ha sempre<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, y) ≤ inf<br />
x∈X sup ψ(x, y),<br />
come si verifica facilmente; pertanto, è sufficiente dimostrare la diseguaglianza inversa per<br />
ottenere l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>.<br />
In questo Capitolo esporremo alcuni classici teoremi di <strong>minimax</strong> (Sezione 1.1), rimandando<br />
il lettore ai volumi curati da Du e Pardalos [36] e da Ricceri e Simons [102] per una<br />
più ampia trattazione <strong>del</strong>l’argomento; quindi ci soffermeremo su certi risultati più recenti<br />
di Ricceri (Sezioni 1.2 e 1.3), e infine introdurremo rapidamente la nozione di punto di<br />
sella e un risultato ad essa relativo (Sezione 1.4).<br />
1.1 Teoremi classici di <strong>minimax</strong><br />
In questa Sezione forniremo un quadro molto sintetico degli sviluppi classici <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, basandoci sull’articolo [106] di Simons.<br />
1<br />
y∈Y
2 Capitolo 1. Teoremi di <strong>minimax</strong><br />
Il primo teorema di <strong>minimax</strong>, stabilito da Von Neumann in [84], studia una situazione<br />
che, col senno di poi, definiremmo assai semplice.<br />
Teorema 1.1. ([106], Theorem 1) Siano N, M ∈ N, A una matrice N × M, gli insiemi<br />
X, Y e la funzione ψ : X × Y → R definiti da<br />
<br />
X = x ∈ R N N<br />
<br />
: xi ≥ 0, xi = 1 ,<br />
Allora,<br />
i=1<br />
⎧<br />
⎨<br />
Y =<br />
⎩ y ∈ RM ⎫<br />
M ⎬<br />
: yj ≥ 0, yj = 1<br />
⎭ ,<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
j=1<br />
ψ(x, y) = x · (Ay).<br />
ψ(x, y) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, y).<br />
Osserviamo che nel precedente risultato gli insiemi X, Y sono sottoinsiemi convessi e<br />
compatti di spazi vettoriali di dimensione finita, e la funzione ψ è bilineare e continua: la<br />
<strong>teoria</strong> classica <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> tende essenzialmente all’alleggerimento di queste ipotesi; noi<br />
prenderemo ora in esame solo due dei risultati più celebri, particolarmente significativi per<br />
il discorso che intendiamo sviluppare.<br />
Il seguente teorema di <strong>minimax</strong>, dovuto a Sion, estende il Teorema 1.1 in più di un<br />
senso: gli spazi vettoriali topologici in esame possono avere dimensione infinita, è richiesta<br />
la compattezza <strong>del</strong> solo insieme X, mentre la funzione ψ è <strong>del</strong> tipo quasi–convesso–concavo<br />
e non necessariamente continua.<br />
Teorema 1.2. ([107], Theorem 3.4) Siano V , W spazi vettoriali topologici di Hausdorff,<br />
X ⊂ V convesso compatto, Y ⊆ W convesso, ψ : X × Y → R verificante le seguenti<br />
condizioni:<br />
(1.2.1) ψ(·, y) è s.c.i. per ogni y ∈ Y ;<br />
(1.2.2) ψ(x, ·) è s.c.s. per ogni x ∈ X;<br />
(1.2.3) ψ(·, y) ρ è convesso per ogni y ∈ Y , ρ ∈ R;<br />
(1.2.4) ψ(x, ·) ρ è convesso per ogni x ∈ X, ρ ∈ R.<br />
Allora,<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
y∈Y<br />
ψ(x, y) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, y).<br />
Una successiva generalizzazione conduce ai teoremi di <strong>minimax</strong> topologici, nei quali<br />
è rimossa la struttura lineare e, tipicamente, le ipotesi di convessità sono sostituite da<br />
ipotesi di connessione; tuttavia, non è in generale sufficiente richiedere la connessione<br />
dei singoli sottolivelli e sopralivelli <strong>del</strong>le restrizioni di ψ per ottenere l’eguaglianza <strong>del</strong><br />
<strong>minimax</strong>, bisogna bensì richiedere la connessione di opportune intersezioni di tali insiemi:<br />
il più generale dei classici teoremi di <strong>minimax</strong> topologici è quello di König, <strong>del</strong> quale di<br />
séguito riportiamo una <strong>del</strong>le versioni.<br />
y∈Y
Minimax e minimi locali 3<br />
Teorema 1.3. ([62], Theorem 1.2) Siano X uno spazio di Hausdorff compatto, Y uno<br />
spazio topologico, ψ : X × Y → R una funzione verificante le seguenti condizioni:<br />
(1.3.1) ψ(·, y) è s.c.i. per ogni y ∈ Y ;<br />
(1.3.2) ψ(x, ·) è s.c.s. per ogni x ∈ X;<br />
(1.3.3) <br />
y∈H<br />
(1.3.4) <br />
Allora,<br />
x∈K<br />
ψ(·, y) ρ è connesso per ogni H ⊆ Y finito, ρ > sup<br />
y∈Y<br />
ψ(·, y)ρ è connesso per ogni K ⊆ X, ρ > sup<br />
y∈Y<br />
sup<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, y) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, y).<br />
y∈Y<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, y).<br />
ψ(x, y);<br />
Richiamiamo l’attenzione <strong>del</strong> lettore sulle “asimmetrie” <strong>del</strong>le ipotesi rispetto alle due<br />
variabili, rimandando a [62] per altre versioni <strong>del</strong> teorema; osserviamo anche che, nel<br />
confronto fra il Teorema 1.2 e il Teorema 1.3, il progresso è più che altro di natura teorica:<br />
difatti, poiché la connessione non è conservata nell’intersezione di insiemi, le ipotesi (1.3.3)<br />
e (1.3.4) sono di assai difficile verifica all’infuori <strong>del</strong> caso in cui ψ sia <strong>del</strong> tipo quasi–<br />
convesso–concavo.<br />
Nelle prossime Sezioni, introdurremo invece alcuni risultati accomunati dall’ipotesi che<br />
l’insieme Y sia un intervallo reale, il che ovviamente semplifica alquanto le cose: difatti, i<br />
sottoinsiemi connessi di R hanno intersezioni connesse.<br />
1.2 Un teorema di <strong>minimax</strong> basato sui minimi locali<br />
In questa Sezione richiamiamo un teorema di <strong>minimax</strong> topologico stabilito da Ricceri, la<br />
cui dimostrazione fa uso di tecniche di analisi multivoca.<br />
Teorema 1.4. ([95], Theorem 1, Remark 1) Siano X uno spazio topologico, Λ ⊆ R<br />
un intervallo, ψ : X × Λ → R una funzione verificante le seguenti condizioni:<br />
(1.4.1) ψ(x, ·) è continua e quasi–concava per ogni u ∈ X;<br />
(1.4.2) esistono ρ0 > sup inf<br />
x∈X ψ(x, λ) e λ0 ∈ Λ tali che l’insieme ψ(·, λ0) ρ0<br />
è compatto;<br />
λ∈Λ<br />
(1.4.3) ψ(·, λ) è s.c.i. e non ammette minimi locali non globali per ogni λ ∈ Λ.<br />
Allora,<br />
sup inf ψ(x, λ) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, λ).<br />
λ∈Λ x∈X<br />
Il Teorema 1.4 migliora un precedente risultato di Borenshtein e Shul’man [15], nel<br />
quale si richiede fra l’altro che ψ sia continua su X × Λ. Come si vedrà in séguito (Capitolo<br />
6), la condizione di sola semicontinuità inferiore rispetto alla variabile x consente<br />
applicazioni altrimenti impossibili.<br />
λ∈Λ
4 Capitolo 1. Teoremi di <strong>minimax</strong><br />
1.3 Un teorema di <strong>minimax</strong> per funzioni perturbate e le sue<br />
conseguenze<br />
I risultati esposti in questa Sezione, dovuti ancora a Ricceri, coronano (per ora) un lungo<br />
processo di raffinamento; l’inizio di tale processo può essere rintracciato in [90], in cui è<br />
presentato un teorema topologico di <strong>minimax</strong> basato su un principio di alternativa sulle<br />
multifunzioni: come nella Sezione precedente, si studia una funzione ψ : X × Λ → R, dove<br />
X è uno spazio topologico e Λ un intervallo reale; l’ipotesi cruciale di quel risultato è una<br />
condizione di unicità <strong>del</strong> minimo locale di ψ(·, λ) per ogni λ ∈ Λ.<br />
Successivamente, Ricceri è tornato sull’argomento, migliorando in [96] e in [98] i precedenti<br />
risultati: nella nuova versione, l’ipotesi cruciale non è riferita a ψ(·, λ), bensì a una<br />
funzione che differisce da essa per una piccola perturbazione.<br />
Teorema 1.5. ([98], Theorem 1) Siano (X, τ) uno spazio di Hausdorff, Λ ⊆ R un<br />
intervallo, ψ : X × Λ → R ∪ {+∞} una funzione propria, tale che ψ(x, ·) sia continua per<br />
ogni x ∈ X. Siano inoltre Λ0 un sottoinsieme denso di Λ, ρ0 > sup inf ψ(x, λ) verificanti<br />
le seguenti condizioni:<br />
(1.5.1) ψ(x, ·)ρ è un intervallo per ogni x ∈ X, ρ < ρ0;<br />
λ∈Λ x∈X<br />
(1.5.2) ψ(·, λ) ρ è compatto e sequenzialmente compatto per ogni λ ∈ Λ0, ρ < ρ0;<br />
(1.5.3) per ogni λ ∈ Λ0 esistono una funzione Φ : X → R, µ0 > 0 e una successione<br />
Φ(x) > −∞, per ogni µ ∈]0, µ0[ la<br />
Allora,<br />
infinitesima {¯µn} in ]0, +∞[ tali che inf<br />
x∈ψ(·,λ) ρ 0<br />
funzione ψ(·, λ) + µΦ(·) è s.c.i. e per ogni n ∈ N la funzione ψ(·, λ) + ¯µnΦ(·) ha al<br />
più un punto di minimo locale rispetto alla topologia τ ψ(·,λ) nell’insieme ψ(·, λ) ρ0 .<br />
sup inf ψ(x, λ) = inf<br />
x∈X sup ψ(x, λ).<br />
λ∈Λ x∈X<br />
Non affermeremo che il Teorema 1.5 sia di facile lettura, tuttavia questa è la forma di<br />
tale risultato che più si presta alle applicazioni che seguiranno: in particolare, segnaliamo<br />
un’importante conseguenza <strong>del</strong> Teorema 1.5, <strong><strong>del</strong>la</strong> quale faremo largo uso nel Capitolo 5.<br />
Teorema 1.6. ([98], Theorem 4) Siano (X, τ) uno spazio di Hausdorff, Λ ⊆ R un<br />
intervallo, ψ : X × Λ → R ∪ {+∞} una funzione propria, tale che ψ(x, ·) sia continua per<br />
ogni x ∈ X. Siano inoltre Λ1 un sottoinsieme aperto e denso di Λ, ρ0 > sup inf ψ(u, λ)<br />
verificanti le seguenti condizioni:<br />
(1.6.1) sup inf ψ(x, λ) < inf<br />
x∈X sup ψ(x, λ);<br />
λ∈Λ x∈X<br />
λ∈Λ<br />
λ∈Λ<br />
(1.6.2) ψ(x, ·)ρ è un intervallo per ogni x ∈ X, ρ < ρ0;<br />
λ∈Λ u∈X<br />
(1.6.3) ψ(·, λ) ρ è compatto, sequenzialmente compatto per ogni λ ∈ Λ1, ρ < ρ0.
Punti di sella 5<br />
Allora, esistono λ0, λ1 ∈ Λ tali che λ0 < λ1 e che per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni Φ : X → R,<br />
µ0 > 0 verificanti<br />
(1.6.4) inf<br />
x∈ψ(·,λ) ρ Φ(x) > −∞;<br />
0<br />
(1.6.5) ψ(·, λ) + µΦ(·) è s.c.i. per ogni µ ∈]0, µ0[,<br />
esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[ la funzione ψ(·, λ) + µΦ(·) ha almeno due punti<br />
di minimo locale rispetto alla topologia τ ψ(·,λ) nell’insieme ψ(·, λ) ρ0 .<br />
Dimostrazione. Definiamo l’insieme Λ2 degli elementi λ ∈ Λ tali che esistano Φ, µ0 e<br />
una successione {¯µn} come nella condizione (1.5.3): l’insieme Λ2 non è denso in Λ, come<br />
dimostriamo per assurdo.<br />
Supponendo Λ2 denso in Λ, anche l’insieme Λ0 := Λ1∩Λ2 risulta denso in Λ (ricordiamo<br />
che Λ1 è aperto): dunque sono verificate le condizioni (1.5.1), (1.5.2), (1.5.3); dal Teorema<br />
1.5 segue allora l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, contro l’ipotesi (1.6.1): una contraddizione.<br />
Siano allora λ0, λ1 ∈ Λ tali che λ0 < λ1 e [λ0, λ1] ⊆ Λ \ Λ2: per la definizione di Λ2, la<br />
tesi è provata. <br />
1.4 Punti di sella<br />
Una nozione strettamente legata a quella di <strong>minimax</strong> è quella di punto di sella, che<br />
formalizziamo come segue:<br />
Definizione 1.7. Siano X, Y insiemi non vuoti, ψ : X × Y → R. Un punto di sella è<br />
una coppia (¯x, ¯y) ∈ X × Y verificante le seguenti eguaglianze:<br />
inf<br />
x∈X<br />
ψ(x, ¯y) = ψ(¯x, ¯y) = sup ψ(¯x, y).<br />
y∈Y<br />
Un teorema di punto di sella è ovviamente un risultato che, sotto opportune ipotesi su<br />
X, Y e ψ, garantisce l’esistenza di un punto di sella.<br />
Osserviamo come, nella situazione descritta sopra, l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> sia sempre<br />
verificata, sicché ogni teorema di punto di sella diventa un teorema di <strong>minimax</strong>: non<br />
è quindi inappropriato riportare in questo Capitolo il seguente risultato, di cui si farà uso<br />
nel Capitolo 8.<br />
Teorema 1.8. ([118], Theorem 49.A) Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert, Λ ⊆ R un<br />
intervallo compatto, ψ : X × Λ → R una funzione verificante le seguenti condizioni:<br />
(1.8.1) ψ(·, λ) è continua e convessa per ogni λ ∈ Λ;<br />
(1.8.2) ψ(u, ·) è continua e concava per ogni u ∈ X;<br />
(1.8.3) esiste λ0 ∈ Λ tale che<br />
lim<br />
u→+∞ ψ(u, λ0) = +∞.
6 Capitolo 1. Teoremi di <strong>minimax</strong><br />
Allora esiste (ū, ¯ λ) ∈ X × Λ tale che<br />
inf<br />
u∈X ψ(u, ¯ λ) = ψ(ū, ¯ λ) = sup ψ(ū, λ).<br />
λ∈Λ
Capitolo 2<br />
Alcuni richiami sugli spazi di<br />
Banach<br />
Gli spazi di Banach sono l’ambiente naturale di tutta l’analisi funzionale, e le proprietà<br />
astratte di questi spazi rivestono grande importanza anche nello studio di <strong>problemi</strong> variazionali<br />
come quelli che in questa tesi intendiamo affrontare.<br />
In questo Capitolo, la cui funzione è solo quella di fornire un glossario per gli sviluppi<br />
successivi, richiameremo alcune nozioni astratte relative agli spazi di Banach: dapprima<br />
forniremo alcune definizioni di convessità (Sezione 2.1), quindi introdurremo le mappe di<br />
dualità (Sezione 2.2), e infine esamineremo gli insiemi di Chebyshev e i <strong>problemi</strong> ad essi<br />
legati, concedendoci qualche dettaglio (Sezione 2.3).<br />
2.1 Nozioni di convessità<br />
Nello studio degli spazi di Banach è di grande importanza la nozione di convessità, che<br />
collega la struttura lineare <strong>del</strong>lo spazio alla sua struttura metrica: in termini un poco<br />
vaghi, possiamo dire che questo concetto corrisponde a quello <strong><strong>del</strong>la</strong> “rotondità” <strong>del</strong>le sfere.<br />
Esistono varie definizioni di convessità per uno spazio di Banach; qui citeremo solo<br />
quelle che saranno impiegate nelle applicazioni, rimandando il lettore alla monografia di<br />
Diestel [34] per una trattazione esaustiva <strong>del</strong>l’argomento.<br />
Introduciamo dapprima la definizione di stretta convessità, che corrisponde alla condizione<br />
che le sfere non contengano segmenti:<br />
Definizione 2.1. Sia (X, · ) uno spazio di Banach: esso è strettamente convesso se<br />
per ogni u, v ∈ S(0, 1) esiste τ ∈]0, 1[ tale che τu + (1 − τ)v /∈ S(0, 1).<br />
Più nota è la seguente definizione di uniforme convessità:<br />
Definizione 2.2. Sia (X, · ) uno spazio di Banach: esso è uniformemente convesso<br />
se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni u, v ∈ S(0, 1) con u − v ≥ ε si ha<br />
u + v ≤ 2(1 − δ).<br />
Ovviamente, uno spazio di Banach uniformemente convesso è a fortiori strettamente<br />
convesso.<br />
7
8 Capitolo 2. Spazi di Banach<br />
Altra nozione importante, nella classificazione degli spazi di Banach, è quella di séguito<br />
definita:<br />
Definizione 2.3. Sia (X, ·) uno spazio di Banach con duale (X ∗ , ·∗): esso è liscio<br />
(smooth) se per ogni u ∈ S(0, 1) esiste u ∗ ∈ X ∗ con u ∗ ∗ = 1 tale che 〈u ∗ , u〉 = 1.<br />
Le definizioni sopra sono collegate dal seguente risultato di Klee:<br />
Teorema 2.4. ([34], Theorem 2, p. 23) Sia (X, · ) uno spazio di Banach con duale<br />
(X ∗ , · ∗) strettamente convesso. Allora, X è liscio.<br />
Concludiamo questa Sezione osservando che uno spazio di Hilbert gode di tutte queste<br />
proprietà, come è facile verificare.<br />
2.2 Mappe di dualità<br />
Una domanda piuttosto naturale che ci si può porre in merito agli spazi di Banach è<br />
quella relativa alla derivabilità <strong><strong>del</strong>la</strong> norma, qui considerata come un funzionale a valori<br />
reali: la risposta è in generale negativa, poiché la norma non è derivabile secondo Gâteaux<br />
nell’origine.<br />
Tuttavia, aggiungendo un esponente maggiore di uno e restringendo l’indagine a una<br />
famiglia di spazi sufficientemente regolari, la derivabilità è facilmente acquisita: seguendo<br />
l’impostazione di Chabrowski [21], definiamo di séguito le mappe di dualità fra lo spazio<br />
e il suo duale, come strumento di questa operazione.<br />
Definizione 2.5. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, (X∗ , · ∗) il suo duale, p > 1.<br />
Una mappa di dualità, indotta dalla funzione peso t ↦→ tp<br />
, è un’applicazione A : X → X∗<br />
p<br />
verificante<br />
(2.5.1) A(u)∗ = u p−1 per ogni u ∈ X;<br />
(2.5.2) 〈A(u), u〉 = A(u)∗u per ogni u ∈ X.<br />
L’esistenza di una siffatta applicazione e il suo legame con la derivabilità <strong><strong>del</strong>la</strong> norma<br />
sono esaminati nel seguente risultato:<br />
Lemma 2.6. ([21], Proposition 2.2.2 e Proposition 2.2.4) Siano (X, · ) uno spazio di<br />
Banach con duale (X ∗ , · ∗) strettamente convesso, p > 1. Allora, esiste un’unica mappa<br />
di dualità A : X → X ∗ ; inoltre, essa verifica<br />
〈A(u) − A(v), u − v〉 ≥ u p−1 − v p−1 (u − v)<br />
per ogni u, v ∈ X; infine, il funzionale u ↦→ up<br />
è derivabile secondo Gâteaux in X con<br />
p<br />
derivata A.<br />
Osserviamo che in generale una mappa di dualità è emicontinua (ovvero continua sui<br />
segmenti), ma non continua: pertanto, il funzionale u ↦→ up<br />
non ha derivata continua.<br />
p<br />
Ovviamente, nel caso di uno spazio di Hilbert (che identifichiamo col suo duale in virtù<br />
<strong>del</strong> teorema di Riesz) e per p = 2, l’unica mappa di dualità è l’identità.
Insiemi di Chebyshev 9<br />
2.3 Gli insiemi di Chebyshev<br />
In questa Sezione introdurremo i lineamenti fondamentali <strong>del</strong> celebre problema <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità<br />
degli insiemi di Chebyshev: si tratta di un problema studiato dalla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong>l’approssimazione<br />
metrica, che da decenni resiste agli sforzi dei ricercatori; per una trattazione<br />
estesa di questo e altri temi legati alle proprietà metriche dei sottoinsiemi di spazi normati,<br />
rimandiamo alle monografie redatte da Vlasov [115], da Balaganskĭ e Vlasov [6] e da<br />
Cobza¸s [28], da cui traiamo la maggior parte dei contenuti <strong><strong>del</strong>la</strong> Sezione.<br />
Benché l’argomento non rientri stricto sensu nella <strong>teoria</strong> dei punti critici o in quella<br />
dei <strong>problemi</strong> variazionali, esso ha importanti collegamenti con i temi trattati in questa<br />
tesi: nel Capitolo 6 dedurremo un teorema di molteplicità per le soluzioni di <strong>problemi</strong><br />
variazionali da una proprietà degli insiemi di Chebyshev, e nel Capitolo 8 avanzeremo una<br />
congettura per la soluzione <strong>del</strong> problema <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità di tali insiemi partendo proprio<br />
da un’ipotesi di tipo variazionale.<br />
Preliminarmente stabiliamo la seguente definizione:<br />
Definizione 2.7. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, M un sottoinsieme non vuoto<br />
di X e u ∈ X: la distanza di u da M è<br />
d(u, M) = inf u − v;<br />
v∈M<br />
la proiezione metrica su M è una multifunzione PM : X → 2 M definita per ogni u ∈ X da<br />
PM(u) = {v ∈ M : u − v = d(u, M)} .<br />
È facile verificare che, se PM ha valori non vuoti, M è chiuso.<br />
Introduciamo ora la nozione fondamentale di questa Sezione, individuando la classe<br />
degli insiemi le cui proiezioni metriche sono ben definite come funzioni univoche:<br />
Definizione 2.8. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, M un sottoinsieme non vuoto<br />
di X: M è un insieme di Chebyshev se PM(u) è un singoletto per ogni u ∈ X.<br />
L’idea di insieme di Chebyshev è più antica <strong><strong>del</strong>la</strong> sua definizione ufficiale: già nel XIX<br />
Secolo, infatti, Chebyshev provò che, nello spazio C 0 ([0, 1], R), l’insieme dei polinomî di<br />
grado minore o uguale a n è un insieme di Chebyshev per ogni n ∈ N (ovviamente non<br />
con queste parole); tuttavia, una <strong>teoria</strong> sistematica di questi insiemi e <strong>del</strong>le loro proprietà<br />
non appare fino a una serie di articoli composti da Efimov e Stečkin.<br />
Chiaramente ogni insieme di Chebyshev è chiuso, mentre è più elusivo il rapporto di<br />
questa proprietà con la convessità: in uno spazio sufficientemente regolare, un insieme<br />
chiuso e convesso è un insieme di Chebyshev, come stabilisce il seguente basilare risultato.<br />
Teorema 2.9. ([115], Theorem 0.6) Sia (X, · ) uno spazio di Banach. Le seguenti<br />
condizioni sono equivalenti:<br />
(2.9.1) X è riflessivo e strettamente convesso;<br />
(2.9.2) ogni sottoinsieme chiuso e convesso di X è un insieme di Chebyshev.
10 Capitolo 2. Spazi di Banach<br />
Esaminiamo ora il problema inverso, che si può formulare al modo seguente: esiste uno<br />
spazio di Banach contenente un insieme di Chebyshev non convesso?<br />
L’ipotesi di completezza <strong>del</strong>lo spazio è qui cruciale: in [58], Johnson ha dimostrato che<br />
lo spazio pre–hilbertiano<br />
X := {xk} ∈ ℓ 2 : xk = 0 per k sufficientemente grande <br />
(che non è completo) contiene un insieme di Chebyshev non convesso (si veda [6] per una<br />
costruzione equivalente a quella di Johnson, ma più chiara).<br />
La questione <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev in spazi di Banach è tuttora<br />
un problema aperto, in generale; esistono tuttavia risposte parziali, alcune <strong>del</strong>le quali<br />
richiedono ipotesi aggiuntive sullo spazio, come nel seguente risultato, stabilito da Efimov<br />
e Stečkin in [38], che chiude il discorso relativo agli spazi di dimensione finita.<br />
Teorema 2.10. ([115], Theorem 4.29) Sia (X, ·) uno spazio di Banach di dimensione<br />
finita. Le seguenti condizioni sono equivalenti:<br />
(2.10.1) X è liscio e strettamente convesso;<br />
(2.10.2) ogni insieme di Chebyshev in X è chiuso e convesso.<br />
Un’altra risposta parziale si può dare restringendo lo studio a un’opportuna classe di<br />
insiemi, caratterizzati dalla seguente proprietà:<br />
Definizione 2.11. Siano (X, ·) uno spazio di Banach, M un sottoinsieme non vuoto<br />
di X, u ∈ X: una successione minimizzante per u in M è una successione {vn} tale che<br />
lim<br />
n→∞ u − vn = d(u, M);<br />
l’insieme M è approssimativamente compatto se, per ogni u ∈ X, ogni successione minimizzante<br />
per u in M ha una sottosuccessione convergente a un elemento di M.<br />
Anche il seguente risultato si deve a Efimov e Stečkin [39]:<br />
Teorema 2.12. ([115], Theorem 4.31) Siano (X, · ) uno spazio di Banach liscio e<br />
uniformemente convesso, M ⊂ X un insieme di Chebyshev. Le seguenti condizioni sono<br />
equivalenti:<br />
(2.12.1) M è convesso;<br />
(2.12.2) M è approssimativamente compatto;<br />
(2.12.3) M è sequenzialmente debolmente chiuso.<br />
Sarà utile nel séguito (segnatamente, nel Capitolo 8) la proprietà espressa dal seguente<br />
lemma:<br />
Lemma 2.13. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, M ⊂ X un insieme di Chebyshev<br />
approssimativamente compatto, u ∈ X. Allora, ogni successione minimizzante per u in M<br />
converge all’unico elemento di PM(u).
Insiemi di Chebyshev 11<br />
Dimostrazione. Sia {vn} una successione minimizzante per u in M, e sia PM(u) = {v}:<br />
proveremo che vn → v.<br />
Procediamo per assurdo, supponendo che esistano ε > 0 e una sottosuccessione, denotata<br />
ancora {vn}, tale che vn − v ≥ ε per ogni n ∈ N: poiché M è approssimativamente<br />
compatto, questa ammette un’estratta, che denotiamo nuovamente {vn}, convergente a un<br />
elemento w ∈ M.<br />
Si ha dunque w − v ≥ ε, mentre<br />
w − u = d(u, M),<br />
da cui segue w ∈ PM(u) ossia w = v, una contraddizione. <br />
Se un insieme sequenzialmente debolmente chiuso M non ha la proprietà di Chebyshev,<br />
esiste un punto <strong>del</strong>lo spazio che ammette una proiezione metrica su M formata da almeno<br />
due punti: in generale, tuttavia, non è possibile stabilire dove si trovi questo punto.<br />
Una risposta a questa domanda è offerta dal seguente risultato di Tsar’kov, che sotto<br />
opportune ipotesi migliora il Teorema 2.12: esso costituirà uno strumento fondamentale<br />
per il metodo che svilupperemo nel Capitolo 6.<br />
Teorema 2.14. ([113], Theorem 2) Siano (X, · ) uno spazio di Banach uniformemente<br />
convesso con duale (X ∗ , · ∗) strettamente convesso, S un sottoinsieme denso e<br />
convesso di X, M un sottoinsieme sequenzialmente debolmente chiuso e non convesso.<br />
Allora, esiste ū ∈ S tale che PM(ū) contiene almeno due punti.<br />
Nel Capitolo 8 ritorneremo sul problema <strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev,<br />
esaminando in particolare il caso degli spazi di Hilbert.
12 Capitolo 2. Spazi di Banach
Capitolo 3<br />
Teoria dei punti critici per<br />
funzionali non differenziabili<br />
Molti interessanti <strong>problemi</strong> possono essere formalizzati, seguendo l’approccio variazionale,<br />
al modo seguente: trovare i punti critici di un funzionale Φ definito su uno spazio di Banach<br />
X.<br />
Nella <strong>teoria</strong> classica, il significato <strong>del</strong> precedente problema è chiaro: si considera un<br />
funzionale Φ che ammetta derivata secondo Gâteaux Φ ′ : X → X ∗ (magari continua), e si<br />
cerca di risolvere l’equazione di Eulero<br />
Φ ′ (u) = 0.<br />
Tuttavia, la portata <strong>del</strong> metodo variazionale è ben più ampia: per esempio, nel campo<br />
<strong>del</strong>l’ottimizzazione (vale a dire la ricerca degli estremi relativi e assoluti di un funzionale)<br />
i funzionali trattati non sono tutti derivabili secondo Gâteaux.<br />
Emerge quindi la necessità di elaborare nozioni di punto critico adatte a classi di<br />
funzionali non abbastanza regolari per rientrare nella <strong>teoria</strong> classica: l’analisi convessa<br />
ha sviluppato una <strong>teoria</strong> organica <strong><strong>del</strong>la</strong> differenziazione e dei punti critici per funzionali<br />
convessi (si veda il lavoro di Ioffe e Levin [57] o, per un’impostazione molto generale,<br />
la monografia di Zălinescu [116]); anche per i funzionali localmente lipschitziani è sorta,<br />
soprattutto grazie alle idee di Clarke (si veda per esempio [27]), una <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> derivazione<br />
generalizzata e dei punti critici.<br />
Tuttavia, molti <strong>problemi</strong> che sorgono in meccanica richiedono un uso congiunto <strong>del</strong>le<br />
due tecniche: nasce così la classe dei funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos, per i quali<br />
esiste una definizione di punto critico senza che si definisca una vera e propria derivata.<br />
Alcuni risultati esposti in questa tesi (segnatamente nei Capitoli 5 e 6) sono di tipo<br />
variazionale: teoremi di esistenza e di molteplicità per i punti critici di certi funzionali<br />
di Motreanu–Panagiotopoulos (o localmente lipschitziani) definiti su spazi di Banach, dai<br />
quali si deducono poi risultati relativi alle soluzioni di <strong>problemi</strong> differenziali di varia natura.<br />
Pertanto, non ci è parso superfluo dedicare un Capitolo all’esposizione di alcuni lineamenti<br />
fondamentali <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei punti critici per funzionali non differenziabili: nella<br />
13
14 Capitolo 3. Teoria dei punti critici<br />
Sezione 3.1 introdurremo i concetti di derivata e gradiente generalizzato per funzionali<br />
localmente lipschitziani; nella Sezione 3.2 definiremo i punti critici per funzionali di<br />
Motreanu–Panagiotopoulos; nelle Sezioni 3.3 e 3.4 riporteremo versioni generalizzate di<br />
due fondamentali elementi <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> (classica) dei punti critici quali il Teorema <strong>del</strong><br />
passo di montagna e il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica.<br />
3.1 Calcolo differenziale per funzionali localmente<br />
lipschitziani<br />
L’origine <strong>del</strong> calcolo differenziale per funzionali localmente lipschitziani è da cercare nell’opera<br />
di Clarke, in particolare negli articoli [24], [25], [26] e nel volume [27]; un importante<br />
contributo alla <strong>teoria</strong> è inoltre rappresentato dal lavoro di Chang [22]; ma la nostra fonte<br />
principale sull’argomento è la monografia di Motreanu e Panagiotopoulos [81], alla quale<br />
attingiamo largamente nella presente Sezione.<br />
Presentiamo ora alcuni lineamenti fondamentali <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> derivazione generalizzata<br />
di Clarke, a cominciare dalla seguente definizione:<br />
Definizione 3.1. Siano (X; · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R un funzionale: Φ<br />
è localmente lipschitziano se per ogni u ∈ X esistono un intorno U di u e una costante<br />
L > 0 tali che per ogni v, w ∈ U<br />
|Φ(v) − Φ(w)| ≤ Lv − w.<br />
Un funzionale localmente lipschitziano non è, in generale, derivabile secondo Gâteaux;<br />
tuttavia, se ne possono definire una derivata direzionale e un gradiente (sotto forma di<br />
multifunzione dallo spazio X nel suo duale) al modo seguente:<br />
Definizione 3.2. Siano (X; · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R un funzionale<br />
localmente lipschitziano, u ∈ X: la derivata generalizzata di Φ nel punto u lungo la<br />
direzione v ∈ X è il numero<br />
Φ ◦ (u; v) = lim sup<br />
w→u, τ→0 +<br />
il gradiente generalizzato di Φ nel punto u è l’insieme<br />
Φ(w + τv) − Φ(w)<br />
;<br />
τ<br />
∂Φ(u) = {u ∗ ∈ X ∗ : 〈u ∗ , v〉 ≤ Φ ◦ (u; v) per ogni v ∈ X} .<br />
È naturale porsi il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> compatibilità di queste definizioni con quelle consuete<br />
di derivata e gradiente: il prossimo Lemma stabilisce tale compatibilità per il caso di<br />
funzionali derivabili secondo Gâteaux con derivata continua.<br />
Lemma 3.3. ([81], Proposition 1.1) Siano (X; ·) uno spazio di Banach, Φ ∈ C 1 (X, R).<br />
Allora, Φ è localmente lipschitziano e per ogni u, v ∈ X si ha<br />
Φ ◦ (u; v) = 〈Φ ′ (u), v〉, ∂Φ(u) = {Φ ′ (u)}.
Funzionali localmente lipschitziani 15<br />
Anche nel caso di funzionali continui e convessi, le definizioni introdotte sopra sono<br />
compatibili con quelle <strong>del</strong>l’analisi convessa:<br />
Lemma 3.4. ([81], Proposition 1.2) Siano (X; · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R<br />
un funzionale continuo e convesso. Allora, Φ è localmente lipschitziano e per ogni u, v ∈ X<br />
si ha<br />
Φ ◦ (u; v) = Φ ′ (u; v).<br />
La derivata di Clarke gode di alcune proprietà intrinseche: riportiamo quelle che<br />
saranno sfruttate nelle successive applicazioni.<br />
Lemma 3.5. ([81], Chapter 1 passim) Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ, Ψ :<br />
X → R funzionali localmente lipschitziani. Allora, per ogni u, v ∈ X valgono le seguenti<br />
condizioni:<br />
(3.5.1) Φ ◦ (u; ·) : X → R è subadditiva e positivamente omogenea con esponente 1;<br />
(3.5.2) (Φ + Ψ) ◦ (u; v) ≤ Φ ◦ (u; v) + Ψ ◦ (u; v);<br />
(3.5.3) (λΦ) ◦ (u; v) = λΦ ◦ (u; v) per ogni λ > 0;<br />
(3.5.4) (−Φ) ◦ (u; v) = Φ ◦ (u; −v);<br />
(3.5.5) |Φ ◦ (u; v)| ≤ Lu, dove L è come nella Definizione 3.1.<br />
Osserviamo che da (3.5.1), per il Teorema di Hahn–Banach, segue che ∂Φ(u) = ∅ per<br />
ogni u ∈ X. Alcune proprietà intrinseche <strong>del</strong> gradiente di Clarke sono raccolte nel seguente<br />
Lemma:<br />
Lemma 3.6. ([81], Chapter 1 passim) Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ, Ψ :<br />
X → R funzionali localmente lipschitziani. Allora, per ogni u, v ∈ X valgono le seguenti<br />
condizioni:<br />
(3.6.1) ∂Φ(u) è convesso e debolmente ∗ compatto;<br />
(3.6.2) la multifunzione ∂Φ : X → 2 X∗<br />
(3.6.3) Φ ◦ (u; v) = max<br />
u ∗ ∈∂Φ(u) 〈u∗ , v〉;<br />
(3.6.4) ∂(λΦ)(u) = λ∂Φ(u) per ogni λ ∈ R;<br />
(3.6.5) ∂(Φ + Ψ)(u) ⊆ ∂Φ(u) + ∂Ψ(u).<br />
è debolmente ∗ s.c.s.;<br />
Rammentiamo che la condizione (3.6.2) significa quanto segue: per ogni u ∈ X e ogni<br />
sottoinsieme V di X ∗ aperto rispetto alla topologia debole ∗ e tale che ∂Φ(u) ⊆ V , esiste<br />
un intorno U di u in X tale che per ogni v ∈ U si ha ∂Φ(v) ⊆ V .<br />
Il classico Teorema di Lagrange trova, in questo contesto, il suo corrispondente nel<br />
Teorema <strong>del</strong> valor medio di Lebourg:
16 Capitolo 3. Teoria dei punti critici<br />
Teorema 3.7. ([81], Theorem 1.1) Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R<br />
un funzionale localmente lipschitziano. Allora, per ogni u, v ∈ X esistono w ∈ [u, v] e<br />
w ∗ ∈ ∂Φ(w) tali che<br />
Φ(v) − Φ(u) = 〈w ∗ , v − u〉.<br />
Concludiamo questa Sezione presentando la nozione fondamentale <strong>del</strong> calcolo differenziale<br />
per funzionali localmente lipschitziani: quella di punto critico, che (come segue dai<br />
Lemmi 3.3 e 3.4) estende le definizioni di punto critico per funzionali derivabili secondo<br />
Gâteaux con derivata continua e per funzionali continui e convessi.<br />
Definizione 3.8. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R un funzionale<br />
localmente lipschitziano, u ∈ X: u è un punto critico di Φ se sono verificate le seguenti<br />
condizioni, fra loro equivalenti:<br />
(3.8.1) 0 ∈ ∂Φ(u);<br />
(3.8.2) Φ ◦ (u; v) ≥ 0 per ogni v ∈ X.<br />
In particolare, si osserva che ogni punto di estremo locale di Φ è un punto critico di Φ<br />
nel senso <strong><strong>del</strong>la</strong> Definizione 3.8.<br />
Secondo una denominazione introdotta da Panagiotopoulos, chiameremo disequazione<br />
emivariazionale (astratta) il problema seguente: trovare u ∈ X verificante (3.8.2).<br />
3.2 Punti critici per funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos<br />
In questa Sezione estenderemo la nozione di punto critico introdotta nella Definizione 3.8<br />
a una più ampia classe di funzionali (che possono assumere anche valori infiniti), senza<br />
peraltro definire per tale classe una vera e propria regola di derivazione: questa <strong>teoria</strong> è<br />
sviluppata da Motreanu e Panagiotopoulos in [81] (ma rimandiamo il lettore anche alla<br />
più recente opera di Motreanu e Rădulescu [82]).<br />
La classe di funzionali di cui ci occuperemo è definita al modo seguente:<br />
Definizione 3.9. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Ψ : X → R ∪ {+∞}: Ψ è un<br />
funzionale di Motreanu–Panagiotopoulos se esistono Φ : X → R localmente lipschitziano<br />
e χ : X → R ∪ {+∞} proprio, convesso, s.c.i. e continuo su dom(χ) tali che Ψ = Φ + χ.<br />
Avvertiamo che, nella precedente Definizione, la condizione di continuità <strong><strong>del</strong>la</strong> restrizione<br />
di χ al suo dominio è “spuria”, cioè non compare in [81], e in effetti non è necessaria<br />
alla <strong>teoria</strong> che esporremo in questa Sezione: tuttavia, come si vedrà nel séguito, questa<br />
condizione è verificata nelle applicazioni più comuni <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong>, sicché abbiamo creduto<br />
bene introdurla subito.<br />
Osserviamo, peraltro, che in letteratura non sono nuove ipotesi di continuità per opportune<br />
restrizioni di χ (si veda ad esempio [79]); e che tali condizioni non sono troppo onerose,<br />
in quanto un funzionale χ proprio, convesso e s.c.i. è ipso facto continuo su int(dom(χ))<br />
(si veda il testo di Deimling [33], p. 296).
Funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos 17<br />
Se, nella Definizione 3.9, si suppone Φ ∈ C 1 (X, R), si rientra nel caso studiato da<br />
Szulkin in [111]: in quel lavoro, si definisce un punto critico di Ψ come un punto u ∈ X<br />
tale che per ogni v ∈ X si abbia<br />
〈Φ ′ (u), v − u〉 + χ(v) − χ(u) ≥ 0<br />
(notiamo che in tal caso deve aversi u ∈ dom(χ)).<br />
In analogia con questa nozione, introduciamo la seguente Definizione:<br />
Definizione 3.10. Siano X, Ψ come nella Definizione 3.9, u ∈ X: u è un punto critico<br />
secondo Szulkin di Ψ se verifica la condizione<br />
(3.10.1) Φ ◦ (u; v − u) + χ(v) − χ(u) ≥ 0 per ogni v ∈ X.<br />
Tutte le applicazioni che presenteremo rientrano nel seguente caso particolare: siano C<br />
un sottoinsieme chiuso, convesso e non vuoto di X, e sia χC : X → R ∪ {+∞} la funzione<br />
indicatrice di C, definita per ogni u ∈ X da<br />
χC(u) =<br />
0 se u ∈ C<br />
+∞ se u /∈ C .<br />
Come si verifica facilmente, χC è un funzionale proprio, convesso, s.c.i. e continuo sul<br />
suo dominio (che è C).<br />
Sia ora Φ : X → R un funzionale localmente lipschitziano; secondo una denominazione<br />
introdotta da Panagiotopoulos, chiamiamo disequazione variazionale–emivariazionale<br />
(astratta) il seguente problema: trovare u ∈ C tale che<br />
(3.1) Φ ◦ (u; v − u) ≥ 0 per ogni v ∈ C.<br />
Si tratta di un problema variazionale molto generale: basti osservare che se, nella<br />
situazione descritta sopra, C = X, il problema (3.1) si riduce a una disequazione emivariazionale<br />
(si veda la Sezione 3.1); se invece Φ ∈ C 1 (X, R), (3.1) diventa una tradizionale<br />
disequazione variazionale <strong>del</strong> tipo<br />
〈Φ ′ (u), v − u〉 ≥ 0 per ogni v ∈ C<br />
(si veda in merito la classica monografia di Kinderlehrer e Stampacchia [59]); se infine,<br />
valgono entrambe le restrizioni sopra, (3.1) è l’equazione di Eulero<br />
Φ ′ (u) = 0.<br />
Il punto è che Ψ := Φ + χC è un funzionale di Motreanu–Panagiotopoulos, e in questo<br />
caso (come si vede facilmente) le condizioni (3.10.1) e (3.1) sono equivalenti: dunque,<br />
risolvere una disequazione variazionale–emivariazionale equivale a trovare i punti critici di<br />
un funzionale di Motreanu–Panagiotopoulos.
18 Capitolo 3. Teoria dei punti critici<br />
Vi è un altro modo di definire i punti critici per funzionali di questo tipo: in [110],<br />
Struwe considera un funzionale Ψ = Φ + χC con Φ ∈ C 1 (X, R) e C ⊂ X chiuso, convesso<br />
e non vuoto, e definisce un punto critico di Ψ come un punto u ∈ X che verifica<br />
sup 〈Φ<br />
v∈C∩B(u,1)<br />
′ (u), u − v〉 = 0.<br />
Si dimostra che le due definizioni di punto critico sono in questo caso equivalenti.<br />
Questo approccio è stato ripreso nel contesto più generale da Kyritsi e Papageorgiou<br />
in [72], donde traiamo la seguente Definizione:<br />
Definizione 3.11. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R localmente<br />
lipschitziano, C un sottoinsieme chiuso, convesso e non vuoto di X, Ψ = Φ + χC, u ∈ C:<br />
denotiamo<br />
mΨ(u) = inf sup 〈u ∗ , u − v〉;<br />
u∗∈∂Φ(u) v∈C∩B(u,1)<br />
u è un punto critico secondo Struwe di Ψ se<br />
mΨ(u) = 0.<br />
Dimostreremo che anche in questo caso le due definizioni di punto critico sono equivalenti;<br />
a tal fine, premettiamo un Lemma che impiega la <strong>teoria</strong> classica <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>:<br />
Lemma 3.12. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R localmente lipschitziano,<br />
C un sottoinsieme chiuso, convesso e non vuoto di X, Ψ = Φ + χC, u ∈ C.<br />
Allora,<br />
mΨ(u) = sup inf<br />
u∗∈∂Φ(u) 〈u∗ , u − v〉;<br />
v∈C∩B(u,1)<br />
Dimostrazione. Applicheremo il Teorema 1.2 alla funzione ψ : ∂Φ(u)×(C ∩ B(u, 1)) →<br />
R definita ponendo per ogni u ∗ ∈ ∂Φ(u), v ∈ C ∩ B(u, 1)<br />
ψ(u ∗ , v) = 〈u ∗ , u − v〉,<br />
adottando su X ∗ la topologia debole ∗ e su X l’ordinaria topologia indotta dalla norma<br />
(entrambe topologie vettoriali di Hausdorff).<br />
Le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 1.2 sono verificate: ∂Φ(u) è convesso e debolmente ∗ compatto<br />
(3.6.1), C ∩ B(u, 1) è convesso e le condizioni su ψ (1.2.1)–(1.2.4) sono soddisfatte.<br />
Ne segue l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, che (con un occhio alla Definizione 3.11) equivale<br />
alla tesi. <br />
Possiamo ora provare il seguente risultato:<br />
Teorema 3.13. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R localmente lipschitziano,<br />
C un sottoinsieme chiuso, convesso e non vuoto di X, Ψ = Φ + χC, u ∈ C. Allora,<br />
le seguenti condizioni sono equivalenti:<br />
(3.13.1) u è un punto critico di Ψ secondo Szulkin;<br />
(3.13.2) u è un punto critico di Ψ secondo Struwe.
Il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna 19<br />
Dimostrazione. Proviamo che (3.13.1) implica (3.13.2), procedendo per assurdo: supponiamo<br />
che mΨ(u) = k > 0 (tale quantità infatti non è mai negativa).<br />
Per il Lemma 3.12, esiste v ∈ C ∩ B(u, 1) tale che<br />
da cui si deduce con un rapido calcolo che<br />
contro (3.13.1).<br />
inf<br />
u∗∈∂Φ(u) 〈u∗ , u − v〉 > k<br />
2 ,<br />
Φ ◦ (u; v − u) ≤ − k<br />
2<br />
Proviamo ora che (3.13.2) implica (3.13.1), procedendo ancora per assurdo: supponiamo<br />
che esista w ∈ C tale che<br />
donde segue w = u; poniamo<br />
ricavandone che ¯v ∈ C ∩ B(u, 1).<br />
da cui<br />
Per ogni u ∗ ∈ ∂Φ(u) si ha<br />
contro (3.13.2).<br />
< 0,<br />
Φ ◦ (u; w − u) = −k < 0,<br />
¯v = u +<br />
1<br />
(w − u),<br />
2w − u<br />
sup 〈u<br />
v∈C∩B(u,1)<br />
∗ , u − v〉 ≥ 〈u ∗ , u − ¯v〉 ≥<br />
mΨ(u) ≥<br />
k<br />
> 0,<br />
2w − u<br />
k<br />
2w − u ,<br />
Così la tesi è acquisita. <br />
In virtù <strong>del</strong> Lemma 3.13, si può parlare a cuor leggero di punti critici per un funzionale<br />
<strong>del</strong> tipo Ψ = Φ + χC (Φ localmente lipschitziano, C ⊆ X non vuoto, chiuso e convesso).<br />
La dimostrazione <strong>del</strong> Lemma 3.13 è nuova, e riteniamo che rappresenti una piccola,<br />
ma originale applicazione <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> classica <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>; vogliamo però osservare che,<br />
in generale, definizioni anche significative di punto critico possono benissimo non essere<br />
equivalenti fra loro (si veda [82], Chapter 2).<br />
3.3 Il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna<br />
Il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna ha avuto, nello sviluppo <strong>del</strong>l’analisi non lineare e dei<br />
metodi variazionali, un ruolo cruciale: esso fornisce lo strumento più naturale per l’individuazione<br />
di punti critici di un funzionale che non rappresentino necessariamente dei punti
20 Capitolo 3. Teoria dei punti critici<br />
di minimo locale (per una trattazione generale dei metodi fondati su questo risultato si<br />
veda, per esempio, il testo di Struwe [110]).<br />
Fra le numerose versioni di questo teorema, ricordiamo quella originaria, presentata da<br />
Ambrosetti e Rabinowitz in [3], e quella, adattata a una geometria più generale, introdotta<br />
da Pucci e Serrin in [88]: da quest’ultima, in particolare, si deduce il seguente risultato di<br />
molteplicità per i punti critici di un funzionale regolare.<br />
Teorema 3.14. ([88], Corollary 1) Siano (X, ·) uno spazio di Banach, Φ ∈ C 1 (X, R)<br />
un funzionale verificante la condizione di Palais–Smale, u0, u1 ∈ X punti di minimo locale<br />
per Φ con u0 = u1. Allora, esiste u2 ∈ X \ {u0, u1} tale che Φ ′ (u2) = 0.<br />
La comparsa di questo terzo punto critico apre la via a nuovi interrogativi: in particolare,<br />
ci si può domandare qual è la natura di tale punto critico (estremo locale o no), qual<br />
è il valore critico Φ(u2), dove si trova u2.<br />
Un’interessante <strong>teoria</strong>, che risponde a tali quesiti, è quella sviluppata da Ghoussoub<br />
in [53] e da Ghoussoub e Preiss in [54], basata su una generalizzazione <strong><strong>del</strong>la</strong> geometria <strong>del</strong><br />
passo di montagna e su certe proprietà <strong>del</strong>le successioni di insiemi compatti.<br />
Le versioni <strong>del</strong> Teorema <strong>del</strong> passo di montagna per funzionali non derivabili hanno pure<br />
avuto uno sviluppo notevole: menzioniamo qui il risultato di Rădulescu [89] per funzionali<br />
convessi, quello di Motreanu e Varga [83] per funzionali localmente lipschitziani e quello<br />
di Motreanu e Panagiotopoulos [81] per la classe di funzionali che porta i loro nomi.<br />
In vista <strong>del</strong>le applicazioni che presenteremo (si veda il Capitolo 5), faremo riferimento<br />
a una forma <strong>del</strong> Teorema <strong>del</strong> passo di montagna che permetta in un certo senso di<br />
“controllare” la localizzazione <strong>del</strong> terzo punto critico e il valore critico corrispondente: un<br />
risultato siffatto è stato stabilito, per i funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos, da Livrea<br />
e Marano in [78], seguendo in parte l’approccio di [53].<br />
Premettiamo la seguente versione <strong><strong>del</strong>la</strong> condizione di Palais–Smale per funzionali di<br />
Motreanu–Panagiotopoulos:<br />
Definizione 3.15. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, Φ : X → R localmente<br />
lipschitziano, χ : X → R∪{+∞} proprio, convesso, s.c.i. e continuo su dom(χ), Ψ = Φ+χ<br />
e c ∈ R: Ψ soddisfa la condizione di Palais–Smale a quota c se ogni successione {un} in<br />
X, verificante<br />
(3.15.1) lim<br />
n→∞ Ψ(un) = c;<br />
(3.15.2) esiste una successione {εn} in ]0, +∞[ tale che lim<br />
n→∞ εn = 0 e per ogni n ∈ N,<br />
v ∈ X<br />
Φ ◦ (un; v − un) + χ(v) − χ(un) ≥ −εnv − un,<br />
ammette una sottosuccessione convergente.<br />
Riportiamo il risultato di Livrea e Marano in una forma adatta ai nostri fini:<br />
Teorema 3.16. ([78], Theorem 3.3) Siano (X, · ), Ψ = Φ + χ come nella Definizione<br />
3.15, u0, u1 ∈ dom(χ) con u0 = u1. Siano definiti<br />
Γ = {γ ∈ C([0, 1], X) : γ(i) = ui, i = 0, 1} ,
Il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna 21<br />
c = inf<br />
γ∈Γ sup Ψ(γ(τ)),<br />
τ∈[0,1]<br />
e Ψ soddisfi la condizione di Palais–Smale a quota c. Sia infine F ⊆ X un insieme chiuso<br />
verificante le seguenti condizioni:<br />
(3.16.1) (γ([0, 1]) ∩ F ) \ {u0, u1} = ∅ per ogni γ ∈ Γ;<br />
(3.16.2) Ψ(ui) ≤ inf Ψ(u) (i = 0, 1).<br />
u∈F<br />
Allora, esiste u2 ∈ X, punto critico per Ψ, tale che Ψ(u2) = c; se inoltre<br />
si ha u2 ∈ F .<br />
inf Ψ(u) = c,<br />
u∈F<br />
Osserviamo che c ∈ R: infatti, dom(χ) è convesso, quindi in particolare, definito il<br />
cammino γ ∈ Γ ponendo per ogni τ ∈ [0, 1]<br />
γ(τ) = τu1 + (1 − τ)u0,<br />
si ha γ(τ) ∈ dom(χ) per ogni τ ∈ [0, 1]; inoltre, γ([0, 1]) è compatto, sicché si può stimare<br />
c ≤ max Ψ(γ(τ)) < +∞.<br />
τ∈[0,1]<br />
Dal Teorema 3.16 si trae la seguente estensione <strong>del</strong> Teorema 3.14:<br />
Teorema 3.17. Siano (X, · ), Ψ = Φ + χ come nella Definizione 3.15, u0, u1 ∈<br />
dom(χ), con u0 = u1, punti di minimo locale per Ψ. Siano Γ, c definiti come nel Teorema<br />
3.16 e Ψ soddisfi la condizione di Palais–Smale a quota c. Allora, esiste u2 ∈ X \ {u0, u1},<br />
punto critico per Ψ, tale che Ψ(u2) = c.<br />
Dimostrazione. Senza perdita di generalità possiamo supporre<br />
e individuare R ∈]0, u1 − u0[ tale che<br />
Ψ(u1) ≤ Ψ(u0) ≤ c,<br />
Ψ(u0) = inf<br />
u∈B(u0,R)<br />
Ψ(u).<br />
Sia F = S(u0, R): chiaramente F è chiuso; inoltre vale (3.16.1) perché ogni cammino<br />
continuo che congiunge u0 e u1 interseca F ; vale anche (3.16.2) perché F ⊂ B(u0, R).<br />
Per il Teorema 3.16 esiste un punto critico u2 ∈ X per Ψ tale che Ψ(u2) = c; rimane<br />
da provare che u2 non coincide con ui (i = 0, 1), distinguendo due casi:<br />
• se Ψ(u0) < c, ovviamente u2 = ui (i = 0, 1);<br />
• se Ψ(u0) = c, si deduce facilmente che inf<br />
u∈F Ψ(u) = c, da cui segue u2 ∈ F , in<br />
particolare u2 = ui (i = 0, 1).<br />
Così la tesi è acquisita.
22 Capitolo 3. Teoria dei punti critici<br />
3.4 Il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica<br />
Studiando un problema variazionale che presenta una simmetria, è in generale proficuo<br />
cercare soluzioni che siano dotate <strong><strong>del</strong>la</strong> stessa simmetria; lo studio può essere decisamente<br />
semplificato allorché sia possibile considerare solo gli elementi <strong>del</strong>lo spazio <strong>del</strong>le soluzioni<br />
dotati di questa simmetria.<br />
Uno strumento fondamentale, in questo contesto, è il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica,<br />
introdotto da Palais in [85] e in séguito esteso a <strong>problemi</strong> sempre più generali.<br />
Prima di introdurre questo risultato, occorre rendere l’idea intuitiva di simmetria più<br />
rigorosa: a tal fine, si può impiegare il concetto di azione di un gruppo su uno spazio di<br />
Banach.<br />
Definizione 3.18. Siano (X, · ) uno spazio di Banach, G un gruppo topologico.<br />
Un’azione di G su X è un’applicazione continua (g, u) ↦→ gu da G × X in X, tale che per<br />
ogni g, h ∈ G e ogni u ∈ X si abbia<br />
(gh)u = g(hu).<br />
L’azione è lineare isometrica se u ↦→ gu è un’isometria lineare per ogni g ∈ G. Un sottoinsieme<br />
K di X è G–invariante se gu ∈ K per ogni g ∈ G, u ∈ K. Un funzionale<br />
Φ : X → R ∪ {+∞} è G–invariante se Φ(gu) = Φ(u) per ogni g ∈ G, u ∈ X.<br />
Un’azione lineare isometrica di G su X induce un’azione di G sul duale (X ∗ , · ∗),<br />
definita per ogni g ∈ G, u ∗ ∈ X ∗ e per ogni u ∈ X da<br />
〈gu ∗ , u〉 = 〈u ∗ , g −1 u〉.<br />
In entrambe le azioni sono individuati gli insiemi dei punti fissi<br />
XG = {u ∈ X : gu = u per ogni g ∈ G} ,<br />
X ∗ G = {u∗ ∈ X ∗ : gu ∗ = u ∗ per ogni g ∈ G} ,<br />
che nelle applicazioni rappresentano gli elementi simmetrici di X e X∗ rispettivamente;<br />
tanto XG che X∗ G sono sottospazi chiusi di X e X∗ rispettivamente, e X∗ G è linearmente<br />
isometrico al duale di XG.<br />
Denotando con ΦG la restrizione a XG di un funzionale Φ definito su X, enunciamo<br />
come segue il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica di Palais:<br />
Teorema 3.19. ([85], Theorem 5.4) Siano (X, · ) uno spazio di Banach riflessivo,<br />
G un gruppo topologico compatto che agisce su X linearmente e isometricamente, Φ ∈<br />
C 1 (X, R) un funzionale G–invariante e u ∈ XG un punto critico per ΦG. Allora, u è un<br />
punto critico per Φ.<br />
Successivamente, il risultato è stato esteso a classi di funzionali invarianti sempre più<br />
ampie: in [63], Krawcewicz e Marzantowicz hanno provato una versione per funzionali<br />
localmente lipschitziani e gruppi finiti; in [61], Kobayashi e Ôtani hanno studiato i funzionali<br />
di Szulkin, e in [71] Kristály, Cs. Varga e V. Varga hanno infine esteso la <strong>teoria</strong> ai<br />
funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos.
Il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità simmetrica 23<br />
Teorema 3.20. ([71], Theorem 2.1) Siano (X, · ) uno spazio di Banach riflessivo, G<br />
un gruppo topologico compatto che agisce su X linearmente e isometricamente, Φ : X →<br />
R un funzionale localmente lipschitziano e G–invariante, χ : X → R ∪ {+∞} proprio,<br />
convesso, s.c.i., continuo su dom(χ) e G–invariante, Ψ = Φ + χ e u ∈ XG un punto critico<br />
per ΨG. Allora, u è un punto critico per Ψ.<br />
Nei Capitoli 5 e 6, applicheremo questo risultato a <strong>problemi</strong> variazionali di diversa<br />
natura su dominî illimitati, sfruttando la simmetria dei dati e ottenendo soluzioni<br />
simmetriche.
24 Capitolo 3. Teoria dei punti critici
Capitolo 4<br />
Problemi variazionali: uno sguardo<br />
d’insieme<br />
Utilizzando la <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, si possono ricavare dei risultati di esistenza e molteplicità<br />
per i punti critici di funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos, che si traducono in<br />
teoremi relativi alle soluzioni di <strong>problemi</strong> variazionali non lineari di diversi tipi.<br />
In questo Capitolo ci proponiamo di offrire un’impostazione generale di tali <strong>problemi</strong>,<br />
presentando alcuni risultati che saranno sfruttati nel séguito: introdurremo le disequazioni<br />
emivariazionali (Sezione 4.1) e le disequazioni variazionali–emivariazionali (Sezioni 4.2 e<br />
4.3), quindi mostreremo come si possano ricondurre ai mo<strong>del</strong>li precedenti certi <strong>problemi</strong><br />
al contorno con nonlinearità discontinue (Sezione 4.4).<br />
I risultati presentati di séguito saranno impiegati nei Capitoli 5 e 6; nel Capitolo 7 ci si<br />
occuperà invece di sistemi hamiltoniani, seguendo un approccio solo in parte variazionale,<br />
quindi introdurremo qualche elemento di <strong>teoria</strong> per tali <strong>problemi</strong> solo nel Capitolo a essi<br />
dedicato.<br />
4.1 Disequazioni emivariazionali<br />
Nella Sezione 3.1, abbiamo introdotto le disequazioni emivariazionali (astratte), definendole<br />
come il problema di trovare i punti critici di un funzionale localmente lipschitziano:<br />
in questa Sezione, daremo a questo problema una forma più concreta, riferendoci a una<br />
particolare classe di funzionali localmente lipschitziani, definiti sugli spazi di Lebesgue (o<br />
sui loro sottospazi); la nostra fonte principale sarà il libro di Motreanu e Panagiotopoulos<br />
[81], ma facciamo anche riferimento al lavoro di Chang [22].<br />
Premettiamo alla descrizione <strong>del</strong> problema una breve ricognizione bibliografica: le disequazioni<br />
emivariazionali furono introdotte da Panagiotopoulos in [86], come una generalizzazione<br />
<strong>del</strong>le disequazioni variazionali al caso (frequente in meccanica) di potenziali<br />
non convessi; lo studio di disequazioni emivariazionali su dominî illimitati fu inaugurato<br />
da Gazzola e Rădulescu in [52] e sviluppato nei lavori di Kristály [66], [64], di Dályai e<br />
Varga [31], di Varga [114].<br />
25
26 Capitolo 4. Problemi variazionali<br />
Qui cercheremo di offrire una trattazione generale, valida per dominî sia limitati che<br />
illimitati, distinguendo i due casi quando servirà.<br />
Siano N ∈ N (N > 1), Ω ⊆ R N un dominio con frontiera regolare; sia poi H : Ω×R → R<br />
una funzione, detta potenziale, tale che H(·, s) è misurabile per ogni s ∈ R e H(x, ·) è<br />
localmente lipschitziana per q.o. x ∈ Ω.<br />
Assumeremo anche che H soddisfi una condizione di crescita: dati un numero reale<br />
r > 1 e una funzione a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) a valori quasi ovunque non negativi, supponiamo<br />
che si abbia<br />
(4.1) |ξ| ≤ a(x)(1 + |s| r−1 ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂sH(x, s)<br />
(osserviamo che ovviamente L ∞ (Ω) ⊂ L 1 (Ω) se Ω ha misura finita, mentre la stessa<br />
inclusione si perde se Ω ha misura infinita).<br />
Sullo spazio di Lebesgue (Lr (Ω), · r) definiamo un funzionale JH ponendo per ogni<br />
u ∈ Lr (Ω)<br />
<br />
JH(u) = H(x, u(x))dx.<br />
Il prossimo Lemma fornisce le prime proprietà di JH:<br />
Ω<br />
Lemma 4.1. Siano Ω e H come sopra. Allora, il funzionale JH : L r (Ω) → R è ben<br />
definito e localmente lipschitziano, e verifica:<br />
(4.1.1) u ∗ (x) ∈ ∂sH(x, u(x)) per ogni u ∈ L r (Ω), u ∗ ∈ ∂JH(u) e q.o. x ∈ Ω;<br />
<br />
(4.1.2) ∂JH(u) ⊆<br />
Ω<br />
(4.1.3) J ◦ <br />
H(u; v) ≤<br />
∂sH(x, u(x))dx per ogni u ∈ L r (Ω);<br />
H<br />
Ω<br />
◦ s (x, u(x); v(x))dx per ogni u, v ∈ Lr (Ω).<br />
Dimostrazione. Per il Teorema 3.7, per q.o. x ∈ Ω e per ogni s ∈ R si ha<br />
|H(x, s)| ≤ a(x) (|s| + |s| r ) ;<br />
osservando che a ∈ Lr′ (Ω), da quanto sopra deduciamo che per ogni u ∈ Lr (Ω)<br />
<br />
|H(x, u(x))|dx ≤ ar ′ur + a∞u r r,<br />
ergo JH è ben definito.<br />
Ω<br />
Proviamo ora che JH è lipschitziano sui sottoinsiemi limitati di L r (Ω): siano M > 0 e<br />
u, v ∈ L r (Ω) con ur, vr ≤ M, allora<br />
|JH(u) − JH(v)| ≤ ar ′ + 2M r−1 <br />
a∞ u − vr.<br />
Le relazioni (4.1.1), (4.1.2) e (4.1.3) si dimostrano come in [81] (Section 1.3 passim):<br />
osserviamo solo che, giacché r > 1, il duale di L r (Ω) si identifica con lo spazio di Lebesgue
Disequazioni emivariazionali 27<br />
Lr′ elemento di Lr′ (Ω) e porre per ogni v ∈ Lr (Ω)<br />
〈u ∗ <br />
, v〉 = u ∗ (x)v(x)dx.<br />
(Ω); in particolare, per ogni u ∈ L r (Ω) e u ∗ ∈ ∂JH(u), si può vedere u ∗ come un<br />
Ω<br />
Ciò chiarisce, ci sembra, il significato di (4.1.1). <br />
Presentiamo ora una situazione generica, alla quale ricondurremo alcuni <strong>problemi</strong> specifici<br />
nel séguito: siano p > 1 un numero reale e (X, · ) uno spazio di Banach con duale<br />
(X ∗ , · ∗) strettamente convesso, A : X → X ∗ la mappa di dualità indotta dalla funzione<br />
peso t ↦→ tp<br />
p (vedi Sezione 2.2); assumiamo inoltre che l’immersione X ↩→ Lr (Ω) sia<br />
continua (identificheremo pertanto X con un sottospazio di L r (Ω)).<br />
che<br />
Chiameremo disequazione emivariazionale il seguente problema: trovare u ∈ X tale<br />
<br />
(4.2) 〈A(u), v − u〉 ≤ H ◦ s (x, u(x); v(x) − u(x))dx per ogni v ∈ X.<br />
Ω<br />
Non v’è ambiguità fra questa definizione e quella astratta data nella Sezione 3.1: difatti,<br />
introdotto il funzionale Φ : X → R ponendo per ogni u ∈ X<br />
Φ(u) = up<br />
p<br />
− JH(u),<br />
il problema (4.2) è ricondotto a una disequazione variazionale in senso astratto:<br />
Lemma 4.2. Siano Ω, H, X e Φ come sopra. Allora, il funzionale Φ : X → R è ben<br />
definito e localmente lipschitziano, e ogni punto critico di Φ è una soluzione di (4.2).<br />
Dimostrazione. Per i Lemmi 2.6, 3.4, 3.5 e 4.1, Φ è localmente lipschitziano e verifica<br />
per ogni u, v ∈ X<br />
Φ ◦ (u; u − v) ≤ 〈A(u), u − v〉 + J ◦ H(u; v − u);<br />
ergo, se u ∈ X è un punto critico per Φ, da (4.1.3) si ottiene (4.2). <br />
Le disequazioni emivariazionali hanno anche una forma multivoca, in cui appaiono<br />
come inclusioni differenziali <strong>del</strong> tipo seguente: trovare u ∈ X tale che<br />
(4.3) A(u) ∈ ∂sH(x, u) per q.o. x ∈ Ω.<br />
Anche questo problema, infatti, si riconduce a una disequazione variazionale astratta:<br />
Lemma 4.3. Siano Ω, H, X e Φ come sopra. Allora, ogni punto critico di Φ è una<br />
soluzione di (4.3).<br />
Dimostrazione. Sia u ∈ X un punto critico di Φ: prima di tutto, estenderemo il<br />
funzionale lineare continuo A(u) ∈ X ∗ allo spazio L r (Ω).<br />
Proviamo dapprima che A(u) è continuo anche rispetto alla topologia indotta su X<br />
dalla norma · r: siano {vn} una successione in X con vnr → 0, e L > 0 una costante<br />
di Lipschitz per JH in un intorno di u; allora, per il Lemma 3.5 si ha<br />
〈A(u), vn〉 ≤ J ◦ H(u; vn) ≤ Lvnr,
28 Capitolo 4. Problemi variazionali<br />
da cui<br />
analogamente si prova che<br />
da cui 〈A(u), vn〉 → 0.<br />
lim sup〈A(u),<br />
vn〉 ≤ 0;<br />
n→∞<br />
lim inf<br />
n→∞ 〈A(u), vn〉 ≥ 0,<br />
Dunque A(u) appartiene al duale di (X, · r), JH(u, ·) è una seminorma su L r (Ω) e<br />
per ogni v ∈ X si ha<br />
〈A(u), v〉 ≤ J ◦ H(u; v);<br />
dal Teorema di Hahn–Banach segue allora l’esistenza di u∗ ∈ Lr′ (Ω) tale che<br />
<br />
<br />
〈A(u), v〉 =<br />
Ω<br />
u ∗ (x)v(x)dx per ogni v ∈ X,<br />
u<br />
Ω<br />
∗ (x)v(x)dx ≤ J ◦ H(u; v) per ogni v ∈ L r (Ω).<br />
Per la prima <strong>del</strong>le eguaglianze sopra, A(u) si può identificare con la funzione u ∗ ; dalla<br />
seconda si evince che u ∗ ∈ ∂JH(u): applicando il Lemma 4.1, si ottiene che per q.o. x ∈ Ω<br />
u ∗ (x) ∈ ∂sH(x, u(x)),<br />
dunque A(u) è soluzione di (4.3). <br />
4.2 Disequazioni variazionali–emivariazionali in dimensione<br />
maggiore di uno<br />
Anche le disequazioni variazionali–emivariazionali (astratte) introdotte nella Sezione 3.2<br />
si possono rivestire di una forma più concreta, che consente di adoperarle come mo<strong>del</strong>lo<br />
di <strong>problemi</strong> differenziali in cui alle soluzioni sono imposti dei vincoli, espressi attraverso<br />
l’appartenenza a un conveniente sottoinsieme convesso e chiuso <strong>del</strong>lo spazio <strong>del</strong>le soluzioni:<br />
nella presente Sezione esporremo alcune caratteristiche di questo mo<strong>del</strong>lo, rifacendoci<br />
ancora a [81]; quindi prenderemo in esame il caso <strong>del</strong> cono <strong>del</strong>le funzioni non–negative,<br />
seguendo un approccio adottato da Kyritsi e Papageorgiou in [72].<br />
Siano N, Ω, e H come nella Sezione 4.1, e sia verificata (4.1); siano inoltre X, p, A,<br />
JH e Φ definiti come sopra, sia C un sottoinsieme non vuoto, chiuso e convesso di X, la<br />
cui funzione indicatrice χC è definita come nella Sezione 3.2: ponendo per ogni u ∈ X<br />
Ψ(u) = Φ(u) + χC(u),<br />
introduciamo un funzionale di Motreanu–Panagiotopoulos Ψ : X → R∪{+∞} che assume<br />
valori finiti solo nei punti di C.
Disequazioni variazionali–emivariazionali 29<br />
Chiamiamo disequazione variazionale–emivariazionale il seguente problema: trovare<br />
u ∈ C tale che<br />
<br />
(4.4) 〈A(u), v − u〉 ≤ H ◦ s (x, u(x); v(x) − u(x))dx per ogni v ∈ C.<br />
Ω<br />
Il problema (4.4) è ricondotto alla forma astratta (3.1) grazie al seguente Lemma:<br />
Lemma 4.4. Siano Ω, H e X come sopra. Allora, ogni punto critico di Ψ è una soluzione<br />
di (4.4).<br />
Dimostrazione. Basta ricordare le definizione di punto critico secondo Szulkin e quanto<br />
osservato nella Sezione 4.1. <br />
Per le disequazioni variazionali–emivariazionali, passare alla forma multivoca è più<br />
complicato rispetto al caso <strong>del</strong>le disequazioni emivariazionali: tale difficoltà si può far<br />
risalire al fatto che la derivata <strong>del</strong> funzionale Φ nel punto u non è calcolata in tutte le<br />
possibili direzioni <strong>del</strong>lo spazio, bensì solo in quelle rappresentate da vettori <strong>del</strong> tipo v − u<br />
con v ∈ C.<br />
Non stupisce, pertanto, che per trasformare (4.4) in un’inclusione differenziale con<br />
vincoli occorra restringersi a un caso particolare, seguendo un metodo che dobbiamo alla<br />
lettura di [72].<br />
Assumiamo dunque che Ω sia limitato, che p ∈]1, N[ e r ∈]p, p ∗ [, poniamo X =<br />
W 1,p<br />
0 (Ω); sia<br />
C = {u ∈ X : u(x) ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω} ;<br />
oltre a (4.1), supponiamo che H verifichi, per un opportuno M > 0, le seguenti condizioni:<br />
(4.5) ξ ≥ 0 (oppure ξ ≤ 0) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ≥ m, ξ ∈ ∂sH(x, s);<br />
(4.6) ξ ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω e ogni ξ ∈ ∂sH(x, 0).<br />
Rileviamo come, in questo caso, la mappa di dualità si identifichi con −∆p, dove ∆p è<br />
l’operatore p–laplaciano, ossia per ogni u, v ∈ X<br />
<br />
〈A(u), v〉 =<br />
Ω<br />
|∇u(x)| p−2 ∇u(x) · ∇v(x)dx.<br />
Consideriamo quindi il seguente problema: trovare u ∈ C tale che<br />
(4.7) A(u) ∈ ∂sH(x, u) per q.o. x ∈ Ω.<br />
Anche questo problema si riduce a una ricerca di punti critici:<br />
Lemma 4.5. Siano Ω, H, X e Ψ come sopra. Allora, ogni punto critico di Ψ è una<br />
soluzione di (4.7).
30 Capitolo 4. Problemi variazionali<br />
Dimostrazione. Sia u ∈ C un punto critico per Ψ: richiamando questa volta la definizione<br />
di punto critico secondo Struwe, risulta mΨ(u) = 0, cioè<br />
inf<br />
sup<br />
u∗∈∂Φ(u) v∈C∩B(u,1)<br />
〈u ∗ , u − v〉 = 0.<br />
Poiché l’insieme ∂Φ(u) è debolmente ∗ compatto (Lemma 3.6) e la funzione<br />
u ∗ ↦→ sup<br />
v∈C∩B(u,1)<br />
〈u ∗ , u − v〉<br />
è debolmente ∗ s.c.i., esiste u ∗ ∈ ∂Φ(u) tale che<br />
sup 〈u<br />
v∈C∩B(u,1)<br />
∗ , u − v〉 = 0.<br />
Per le proprietà <strong>del</strong> gradiente di Clarke (Lemma 3.6), esiste w ∗ ∈ ∂JH(u) tale che<br />
u ∗ = A(u) − w ∗ .<br />
Per ogni v ∈ X, ε > 0 denotiamo vε = (u + εv) + (si noti che vε ∈ C) e proviamo che<br />
(4.8) 〈u ∗ , u − vε〉 ≤ 0.<br />
Occorre distinguere due casi:<br />
• se u − vε < 1, risulta vε ∈ C ∩ B(u, 1) e non vi è altro da provare;<br />
• se u − vε ≥ 1, per un arbitrario δ > 1 poniamo<br />
così che vε ∈ C ∩ B(u, 1) e<br />
vε = u +<br />
1<br />
(u − vε),<br />
δu − vε<br />
〈u ∗ , u − vε〉 = δu − vε〈u ∗ , u − vε〉 ≤ 0.<br />
Il prossimo passo consiste nel provare che u ∗ = 0, o equivalentemente che per ogni<br />
v ∈ X<br />
〈u ∗ , v〉 ≥ 0.<br />
A tal fine, siano ε > 0 e vε come sopra, quindi vε = u + εv + (u + εv) − : da (4.8) segue<br />
(omettiamo la dipendenza <strong>del</strong>le integrande da x)<br />
〈u ∗ , εv〉 ≥ −〈u ∗ , (u + εv) − 〉<br />
= −〈A(u), (u + εv) − 〉 + 〈w ∗ , (u + εv) − 〉<br />
=<br />
<br />
Ωε<br />
|∇u| p−2 <br />
∇u · ∇(u + εv)dx −<br />
Ωε<br />
w ∗ (u + εv)dx,
Disequazioni variazionali–emivariazionali in dimensione uno 31<br />
dove si è posto<br />
Osserviamo che<br />
<br />
|∇u| p−2 ∇u · ∇(u + εv)dx =<br />
Ωε<br />
Ωε = {x ∈ Ω : u(x) + εv(x) < 0} .<br />
<br />
<br />
≥ ε<br />
{x∈Ωε : u(x)>0}<br />
{x∈Ωε : u(x)>0}<br />
|∇u| p−2 ∇u · ∇(u + εv)dx<br />
|∇u| p−2 ∇u · ∇v dx.<br />
È il momento di sfruttare le ipotesi fatte su H: da (4.1) e dal Lemma 4.1 segue che,<br />
per q.o. x ∈ Ωε tale che u(x) ≤ M, si ha |w ∗ (x)| ≤ K (dove K = a∞(1 + M r−1 )); in<br />
(4.5), supponiamo che per q.o. x ∈ Ω tale che u(x) ≥ M si abbia w ∗ (x) ≥ 0 (se vale la<br />
diseguaglianza opposta si procede in modo simile); da (4.6) segue che, per q.o. x ∈ Ωε tale<br />
che u(x) = 0, si ha w ∗ (x) ≥ 0.<br />
Da queste relazioni si ricava che<br />
<br />
− w ∗ <br />
(u + εv)dx ≥ −<br />
Ωε<br />
<br />
≥ K<br />
<br />
≥ εK<br />
{x∈Ωε : 0
32 Capitolo 4. Problemi variazionali<br />
Lemma 4.6. L’immersione X ↩→ C 0 ([0, 1], R) è compatta e per ogni u ∈ X si ha<br />
(4.6.1) u∞ ≤ 1<br />
2 u.<br />
Dimostrazione. La compattezza <strong>del</strong>l’immersione è assicurata da un risultato classico<br />
(si veda per esempio [17], Teorema VIII.7).<br />
u ∈ C ∞ 0<br />
da cui<br />
Poiché C ∞ 0<br />
(]0, 1[) è un sottospazio denso di X, è sufficiente dimostrare (4.6.1) per ogni<br />
(]0, 1[): per ogni t ∈]0, 1[ si ha<br />
2|u(t)| ≤<br />
t<br />
0<br />
u(t) =<br />
t<br />
0<br />
|u ′ (x)|dx +<br />
u ′ (x)dx = −<br />
1<br />
t<br />
1<br />
t<br />
|u ′ (x)|dx =<br />
u ′ (x)dx,<br />
1<br />
0<br />
|u ′ (x)|dx ≤ u;<br />
ne segue (4.6.1). <br />
Siano ora C un sottoinsieme non vuoto, convesso, chiuso di X, H : R → R un potenziale<br />
localmente lipschitziano, α : [0, +∞[→ [0, +∞[ una funzione continua, verificanti<br />
(4.9) |ξ| ≤ α(|s|) per ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂H(s)<br />
(si può, senza perdita di generalità, supporre α non–decrescente).<br />
Come di consueto, si definisce un funzionale JH ponendo per ogni u ∈ X<br />
JH(u) =<br />
1<br />
0<br />
H(u(x))dx,<br />
le cui proprietà trovano espressione nel seguente Lemma.<br />
Lemma 4.7. Il funzionale JH : X → R è ben definito, localmente lipschitziano,<br />
sequenzialmente debolmente continuo e verifica<br />
(4.7.1) J ◦ H(u; v) ≤<br />
1<br />
0<br />
H ◦ (u(x); v(x))dx per ogni u, v ∈ X.<br />
Dimostrazione. Per ogni u ∈ X, la funzione H(u(·)) è continua su [0, 1] (Lemma 4.6),<br />
ergo JH è ben definito.<br />
Proviamo ora che JH è lipschitziano sugli insiemi limitati: siano M > 0, u, v ∈ X con<br />
u, v ≤ M; applicando il Teorema 3.7 e (4.6.1), si ottiene<br />
1<br />
|JH(u) − JH(v)| ≤ |H(u(x)) − H(v(x))|dx<br />
≤<br />
≤<br />
0<br />
<br />
M<br />
α |u(x) − v(x)|dx<br />
2<br />
1<br />
2 α<br />
<br />
M<br />
u − v.<br />
2
Problemi al contorno 33<br />
Proviamo ora che JH è sequenzialmente debolmente continuo: sia {un} una successione<br />
in X, debolmente convergente a u ∈ X; a meno di estratte, si può assumere che {un}<br />
converga a u uniformemente su [0, 1], da cui JH(un) → JH(u).<br />
Infine, (4.7.1) si prova come in [81] (Section 1.3 passim), il che conclude la dimostrazione.<br />
<br />
Consideriamo la seguente disequazione variazionale–emivariazionale: trovare u ∈ C<br />
tale che<br />
1 ′ ′ ′ ◦<br />
(4.10) u (x) v (x) − u (x) + H (u(x); u(x) − v(x)) dx ≥ 0 per ogni v ∈ C.<br />
0<br />
Il precedente problema si può studiare secondo i dettami <strong>del</strong> metodo variazionale<br />
facendo uso <strong>del</strong> funzionale di Motreanu–Panagiotopoulos Ψ definito ponendo per ogni<br />
u ∈ X<br />
Ψ(u) = u2<br />
2 − JH(u) + χC(u),<br />
come si evince dal seguente Lemma.<br />
Lemma 4.8. Siano C e H come sopra. Allora, ogni punto critico <strong>del</strong> funzionale Ψ è<br />
una soluzione di (4.10).<br />
Dimostrazione. Basta rammentare la Definizione 3.10 e (4.7.1). <br />
Nella Sezione 5.4 studieremo un problema <strong>del</strong>l’ostacolo sotto la specie di una disequazione<br />
<strong>del</strong> tipo (4.10).<br />
4.4 Problemi al contorno con nonlinearità discontinue<br />
Una <strong>del</strong>le più diffuse applicazioni <strong>del</strong> calcolo differenziale per funzioni localmente lipschitziane,<br />
descritta da Chang in [22], è l’elaborazione di un metodo variazionale generale per<br />
<strong>problemi</strong> al contorno su equazioni alle derivate parziali con nonlinearità discontinue: in<br />
questa Sezione, studieremo un problema di Dirichlet con condizioni al contorno omogenee<br />
e nonlinearità fortemente discontinua, riconducendolo al caso esaminato nella Sezione 4.1;<br />
adopereremo idee tratte dall’articolo [79] di Marano e Motreanu.<br />
Siano N ∈ N (N > 2), Ω ⊂ R N un dominio con frontiera ∂Ω regolare, Ω0 un sottoinsieme<br />
misurabile di Ω con misura nulla, h : Ω × R → R una funzione tale che h(·, s) è<br />
misurabile per ogni s ∈ R e verificante le seguenti condizioni: siano a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω)<br />
una funzione tale che a(x) ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω e r > 1 tali che<br />
(4.11) |h(x, s)| ≤ a(x)(1 + |s| r−1 ) per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ R;<br />
(4.12) D = <br />
x∈Ω\Ω0<br />
{s ∈ R : h(x, ·) è discontinua in s} ha misura nulla.<br />
In particolare, h(x, ·) è localmente limitata, sicché si possono definire (quasi ovunque)<br />
due funzioni ausiliarie h−, h+ : Ω × R → R ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
h−(x, s) = lim ess inf<br />
δ→0 + |t−s|
34 Capitolo 4. Problemi variazionali<br />
su di esse facciamo ulteriori ipotesi: h− e h+ siano sup–misurabili e verifichino<br />
(4.13) h(x, s) = 0 per (x, s) ∈ (Ω \ Ω0) × D tali che h−(x, s) ≤ 0 ≤ h+(x, s).<br />
Alcune osservazioni: la condizione (4.12) rappresenta un’ipotesi di regolarità molto<br />
debole sulla funzione h(x, ·), in quanto (si pensi al caso autonomo) a tale funzione è<br />
concesso avere un insieme infinito di punti di discontinuità, anche dotato di punti di<br />
accumulazione; la condizione (4.13), d’altra parte, annulla i valori <strong><strong>del</strong>la</strong> funzione h non in<br />
tutti i punti di discontinuità, bensì solo in quelli in cui essa cambia segno.<br />
Introdotta la funzione H : Ω × R → R ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
H(x, s) =<br />
s<br />
0<br />
h(x, t)dt,<br />
si definisce il funzionale integrale JH come nella Sezione 4.1; esso ha le consuete proprietà:<br />
Lemma 4.9. Siano Ω e h come sopra. Allora, il funzionale JH : L r (Ω) → R è ben<br />
definito e localmente lipschitziano, e verifica:<br />
(4.9.1) u ∗ (x) ∈ [h−(x, u(x)), h+(x, u(x))] per ogni u ∈ L r (Ω), u ∗ ∈ ∂JH(u) e q.o. x ∈ Ω.<br />
Dimostrazione. Si ricava facilmente che, per q.o. x ∈ Ω \ Ω0, la funzione H(x, ·) è<br />
localmente lipschitziana e per ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂sH(x, s) si ha<br />
(si veda [81], Proposition 1.7).<br />
ξ ∈ [h−(x, s), h+(x, s)]<br />
Dunque H verifica (4.1), da cui segue (per il Lemma 4.1) che JH è ben definito e<br />
localmente lipschitziano; infine, (4.9.1) segue da (4.1.1) e da quanto sopra. <br />
Consideriamo il seguente problema di Dirichlet:<br />
(4.14)<br />
<br />
−∆u = h(x, u)<br />
u = 0<br />
in Ω<br />
su ∂Ω<br />
Seguendo Chang [22], conveniamo su quanto segue: una soluzione di (4.14) è una<br />
funzione u ∈ W 1,2<br />
(Ω) tale che per q.o. x ∈ Ω<br />
0 (Ω) ∩ W 2,2<br />
loc<br />
−∆u(x) = h(x, u(x)).<br />
Posto X = W 1,2<br />
0 (Ω), definiamo il funzionale Φ : X → R ponendo per ogni u ∈ X<br />
Φ(u) = u2<br />
2<br />
− JH(u),<br />
che fornisce un’impostazione variazionale al problema (4.14): infatti, ogni suo punto critico<br />
che sia anche una funzione sufficientemente regolare è una soluzione di (4.14).<br />
Lemma 4.10. Siano Ω, h e X come sopra. Allora, il funzionale Φ : X → R è ben<br />
definito e localmente lipschitziano, e per ogni punto critico u ∈ X ∩ W 2,2<br />
loc (Ω) di Φ, u è una<br />
soluzione di (4.14).
Problemi al contorno 35<br />
Dimostrazione. Innanzitutto ricordiamo che, essendo X uno spazio di Hilbert, la relativa<br />
mappa di dualità è l’identità (si veda la Sezione 2.2). Sia u ∈ X ∩ W 2,2<br />
loc (Ω) un punto<br />
critico per Φ: ragionando come nel Lemma 4.3, si deduce l’esistenza di u∗ ∈ Lr′ (Ω) tale<br />
che per ogni v ∈ X <br />
<br />
∇u(x) · ∇v(x)dx = u<br />
Ω<br />
Ω<br />
∗ (x)v(x)dx,<br />
ossia, u è una soluzione debole <strong>del</strong>l’equazione di Laplace<br />
−∆u = u ∗<br />
(sicché possiamo identificare −∆u con la funzione u ∗ ).<br />
D’altra parte, applicando i Lemmi 4.3 e 4.9, risulta che u verifica per q.o. x ∈ Ω<br />
l’inclusione<br />
−∆u(x) ∈ [h−(x, u(x)), h+(x, u(x))];<br />
definito l’insieme<br />
E = {x ∈ Ω \ Ω0 : u(x) ∈ D} ,<br />
per (4.12), impiegando un risultato di De Giorgi, Buttazzo e Dal Maso (si veda [32], Lemma<br />
1) si può porre per ogni x ∈ E<br />
∆u(x) = 0.<br />
Sia ora x ∈ Ω \ Ω0; dimostriamo che<br />
distinguendo due casi:<br />
−∆u(x) = h(x, u(x)),<br />
• se x /∈ E, l’inclusione diventa chiaramente<br />
• se x ∈ E, per quanto sopra si ha<br />
da cui, per (4.13),<br />
−∆u(x) = h(x, u(x));<br />
h−(x, u(x)) ≤ 0 ≤ h+(x, u(x)),<br />
h(x, u(x)) = 0 = −∆u(x).<br />
Con ciò, la tesi è provata. <br />
Ovviamente, non v’è ragione per cui, in generale, un punto critico <strong>del</strong> funzionale Φ<br />
ricada nello spazio W 2,2<br />
loc (Ω): questo problema di regolarità dovrà essere affrontato caso<br />
per caso, nelle applicazioni.<br />
Nei Capitoli 5 e 6, presenteremo alcuni teoremi di esistenza e di molteplicità per le<br />
soluzioni di <strong>problemi</strong> simili a (4.14).
36 Capitolo 4. Problemi variazionali
Capitolo 5<br />
Teoremi di molteplicità per<br />
<strong>problemi</strong> con due parametri<br />
Questo Capitolo è dedicato alle conseguenze <strong>del</strong> Teorema 1.6 nello studio di <strong>problemi</strong><br />
variazionali: la natura eminentemente astratta di quel risultato ci consentirà di adattarlo,<br />
di volta in volta, a contesti differenti, sempre nell’àmbito <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei punti critici per<br />
funzionali non differenziabili, ove lo applicheremo insieme al Teorema 3.17.<br />
Ripercorriamo, seguendo l’articolo riassuntivo di Ricceri [101] (al quale rimandiamo il<br />
lettore anche per ulteriori riferimenti bibliografici), la storia di questo metodo: il punto<br />
di partenza è rappresentato dal seguente risultato di Ricceri, comparso in [94] (si vedano<br />
anche [92], [93]) e noto come Teorema dei tre punti critici.<br />
Teorema 5.1. Siano (X, · ) uno spazio di Banach riflessivo e separabile, Φ ∈<br />
C 1 (X, R) un funzionale sequenzialmente debolmente s.c.i. tale che Φ ′ : X → X ∗ ammette<br />
un inverso continuo, Ψ ∈ C 1 (X, R) un funzionale tale che Ψ ′ : X → X ∗ è compatto,<br />
Λ ⊆ R un intervallo, δ ∈ R verificanti<br />
(5.1.1) sup inf [Φ(u) + λ(δ − Ψ(u))] < inf<br />
u∈X sup [Φ(u) + λ(δ − Ψ(u))];<br />
λ∈Λ u∈X<br />
λ∈Λ<br />
(5.1.2) lim [Φ(u) − λΨ(u)] = +∞ per ogni λ ∈ Λ.<br />
u→+∞<br />
Allora, esistono λ0, λ1 ∈ Λ e σ1 > 0 tali che λ0 < λ1 e che per ogni λ ∈ [λ0, λ1] l’equazione<br />
ammette almeno tre soluzioni in B(0, σ1).<br />
Φ ′ (u) − λΨ ′ (u) = 0<br />
Il Teorema 5.1 è un risultato di molteplicità per i punti critici di una certa classe di<br />
funzionali derivabili secondo Gâteaux con derivata continua, che fornisce anche una stima<br />
<strong>del</strong>le norme dei punti critici.<br />
Su di esso si fonda il metodo <strong><strong>del</strong>la</strong> diseguaglianza di <strong>minimax</strong>, che nel corso degli anni<br />
è stato applicato con successo a numerosi <strong>problemi</strong> variazionali classici: senza accampare<br />
pretese di completezza, citiamo qui i lavori di Barletta e Livrea [7], Bonanno [10] e [11]<br />
37
38 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
(su cui ritorneremo in séguito), Bonanno e Candito [13], Cordaro [29], [30], Kristály [65],<br />
Kristály e Varga [70], Livrea [77], nonché <strong>del</strong>lo stesso Ricceri [91].<br />
Parallelamente, il Teorema 5.1 ha conosciuto diverse estensioni: fra queste appare particolarmente<br />
importante, nella prospettiva <strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi, quella stabilita da Marano e<br />
Motreanu in [79], in cui Φ e Ψ sono sostituiti da funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos;<br />
questa nuova versione <strong>del</strong> risultato consente applicazioni a quella vasta classe di <strong>problemi</strong><br />
variazionali (descritti nel Capitolo 4) che si riconducono al mo<strong>del</strong>lo generale <strong>del</strong>le disequazioni<br />
variazionali–emivariazionali (si vedano, per esempio, l’articolo di Bonanno [12],<br />
quello di Bonanno e Candito [14] e quello di Kristály [64]); segnaliamo inoltre i lavori<br />
di Kristály, Lisei e Varga [68] e di Kristály e Rădulescu [69], in cui sono esaminati altri<br />
<strong>problemi</strong> differenziali.<br />
Il Teorema 5.1, com’è ovvio, è basato sulla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>: grosso modo, l’idea alla<br />
base <strong><strong>del</strong>la</strong> sua dimostrazione è che, se la funzione ψ : X × Λ → R definita da<br />
ψ(u, λ) = Φ(u) + λ(δ − Ψ(u))<br />
non verifica l’eguaglianza <strong>del</strong> <strong>minimax</strong> (come risulta da (5.1.1)), in virtù di un risultato<br />
simile al Teorema 1.4 (si veda Saint Raymond [104]), per opportuni valori λ ∈ Λ il funzionale<br />
ψ(·, λ) deve ammettere un minimo locale non globale; d’altra parte, (5.1.2) e le<br />
altre ipotesi implicano l’esistenza di un minimo globale per lo stesso funzionale, e un’applicazione<br />
<strong>del</strong> Teorema <strong>del</strong> passo di montagna (Teorema 3.14) permette a questo punto di<br />
trovare un terzo punto critico per ψ(·, λ) (che differisce dal funzionale <strong><strong>del</strong>la</strong> tesi per una<br />
costante).<br />
Fermiamoci, per il momento, al passaggio dei due punti di minimo locale: applicando<br />
un risultato di <strong>minimax</strong> più raffinato, come il Teorema 1.5, si può, sotto le medesime<br />
ipotesi, provare una tesi più significativa, che asserisce l’esistenza di almeno due punti di<br />
minimo locale per un funzionale che differisca da ψ(·, λ) per una piccola perturbazione;<br />
questo è il senso <strong>del</strong> Teorema 1.6, stabilito da Ricceri in [98] (si veda anche [96]).<br />
Se, inoltre, si fa ricorso a una versione <strong>del</strong> Teorema <strong>del</strong> passo di montagna più precisa, è<br />
possibile individuare un terzo punto critico per il funzionale perturbato e stimare le norme<br />
di tutti e tre i punti critici in modo uniforme, ossia indipendente dalla perturbazione: nel<br />
campo dei <strong>problemi</strong> variazionali classici, risultati di questo tipo sono stati stabiliti da<br />
Cammaroto, Chinnì e Di Bella in [19], [18], [20]; in [49], Faraci, Kupán, Varga e l’autore<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi hanno applicato questo nuovo metodo alle disequazioni emivariazionali<br />
su dominî illimitati.<br />
Questo Capitolo contiene alcuni contributi al metodo <strong><strong>del</strong>la</strong> diseguaglianza di <strong>minimax</strong>:<br />
i risultati esposti sono in massima parte nuovi, ma generalizzano le idee di [49] al caso<br />
<strong>del</strong>le disequazioni variazionali–emivariazionali; per ragioni tecniche, non abbiamo ritenuto<br />
conveniente formulare un Teorema dei tre punti critici per funzionali di Motreanu–<br />
Panagiotopoulos, preferendo stabilire in astratto solo l’esistenza dei due punti di minimo<br />
locale e indagando la questione <strong>del</strong> terzo punto critico nelle applicazioni, caso per caso;<br />
inevitabilmente, ciò comporterà alcune ripetizioni ma consentirà di adottare ipotesi e<br />
tecniche ad ogni singola applicazione.
Due minimi locali 39<br />
La struttura <strong>del</strong> Capitolo è la seguente: dapprima stabiliremo una versione <strong>del</strong> Teorema<br />
1.6 per una certa classe di funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos, corredata di un<br />
Lemma tecnico finalizzato alle applicazioni (Sezione 5.1); quindi adopereremo il risultato<br />
astratto, provando teoremi di molteplicità per le soluzioni di un’inclusione differenziale<br />
con vincolo di positività (Sezione 5.2), di un problema di Dirichlet su una striscia con<br />
nonlinearità discontinue e simmetriche (Sezione 5.3) e <strong>del</strong> problema <strong>del</strong>l’ostacolo su una<br />
disequazione emivariazionale in dimensione uno (Sezione 5.4).<br />
5.1 Due minimi locali per funzionali di<br />
Motreanu–Panagiotopoulos perturbati<br />
Il risultato principale <strong><strong>del</strong>la</strong> presente Sezione consiste in una riformulazione <strong>del</strong> Teorema 1.6:<br />
sotto opportune ipotesi, potremo dimostrare l’esistenza di almeno due punti di minimo<br />
locale per una classe di funzionali di Motreanu–Panagiotopoulos perturbati su spazi di<br />
Banach rispetto alla topologia forte; tali punti, ricordiamo, sono punti critici (cui nelle<br />
applicazioni si aggiungerà un terzo punto critico di natura imprecisata individuato col<br />
metodo <strong>del</strong> passo di montagna).<br />
Inoltre, il nostro risultato fornisce una stima a priori <strong>del</strong>le norme dei punti critici<br />
ottenuti, che non dipende dalla perturbazione (sulla quale, peraltro, sono fatte ipotesi<br />
molto blande).<br />
Nel seguito, (X, · ) denota uno spazio di Banach riflessivo e separabile; I : X →<br />
R un funzionale localmente lipschitziano, sequenzialmente debolmente s.c.i.; J : X →<br />
R un funzionale localmente lipschitziano, sequenzialmente debolmente continuo; C un<br />
sottoinsieme non vuoto, chiuso, convesso di X; χC : X → R∪{+∞} la funzione indicatrice<br />
di C (definita come nella Sezione 3.2); δ un numero reale; si pone poi Λ = [0, +∞[, e si<br />
definisce una funzione ψ : X × Λ → R ∪ {+∞} ponendo per ogni (u, λ) ∈ X × Λ<br />
ψ(u, λ) = I(u) + λ (δ − J(u)) + χC(u).<br />
Nel presente contesto, il Teorema 1.6 si può riformulare come segue.<br />
Teorema 5.2. Siano X, I, J, C, δ, Λ e ψ come sopra, e siano verificate le seguenti<br />
condizioni:<br />
(5.2.1) sup inf ψ(u, λ) < inf<br />
u∈C sup ψ(u, λ);<br />
λ∈Λ u∈C<br />
λ∈Λ<br />
(5.2.2) lim ψ(u, λ) = +∞ per ogni λ ∈ Λ.<br />
u→+∞<br />
Allora, esistono λ0, λ1 ∈ Λ e σ1 > 0 tali che λ0 < λ1 e che per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni<br />
funzionale Φ : X → R localmente lipschitziano, sequenzialmente debolmente s.c.i., esiste<br />
µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[ il funzionale ψ(·, λ) + µΦ(·) ammette almeno due punti<br />
di minimo locale giacenti in C ∩ B(0, σ1).
40 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Dimostrazione. Applicheremo il Teorema 1.6 denotando τ la topologia debole su X,<br />
ponendo Λ1 =]0, +∞[ e scegliendo ρ0 ∈ R verificante<br />
sup inf<br />
u∈C ψ(u, λ) < ρ0 < inf<br />
u∈C sup ψ(u, λ).<br />
λ∈Λ<br />
Tutte le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 1.6 sono soddisfatte: in primo luogo osserviamo che ψ(u, ·)<br />
è una funzione affine (in particolare, continua) per ogni u ∈ X.<br />
La condizione (1.6.1) è verificata in quanto equivale a (5.2.1), come si vede facilmente.<br />
La condizione (1.6.2) è verificata per quanto osservato sopra in merito alla funzione<br />
ψ(u, ·).<br />
La condizione (1.6.3) è verificata in quanto, per ogni λ ∈ Λ1, il funzionale ψ(·, λ)<br />
è proprio, sequenzialmente debolmente s.c.i. e coercivo (5.2.2), sicché per ogni ρ < ρ0<br />
l’insieme ψ(·, λ) ρ risulta limitato e sequenzialmente debolmente chiuso: pertanto, per il<br />
Teorema di Eberlein–Smulyan, ψ(·, λ) ρ è (sequenzialmente) debolmente compatto.<br />
Siano dunque λ0, λ1 ∈ Λ come nel Teorema 1.6, e sia definito l’insieme<br />
S = <br />
ψ(·, λ) ρ0 .<br />
Si ha<br />
λ∈[λ0,λ1]<br />
λ∈Λ<br />
S = ψ(·, λ0) ρ0 ∪ ψ(·, λ1) ρ0 ;<br />
infatti, per ogni u ∈ S esiste λ ∈ [λ0, λ1] tale che ψ(u, λ) < ρ0 e si possono distinguere due<br />
casi:<br />
• se J(u) ≤ δ, si ha ψ(u, λ0) ≤ ψ(u, λ) < ρ0;<br />
• se J(u) > δ, si ha ψ(u, λ1) ≤ ψ(u, λ) < ρ0.<br />
In particolare, poiché gli insiemi ψ(·, λ0) ρ0 , ψ(·, λ1) ρ0 sono limitati, esiste σ1 > 0 tale<br />
che<br />
(5.1) S ⊆ B(0, σ1)<br />
(questo procedimento è stato introdotto da Anello in [4]).<br />
Siamo ora in una posizione propizia per provare la nostra tesi: siano λ ∈ [λ0, λ1], Φ un<br />
funzionale localmente lipschitziano, sequenzialmente debolmente s.c.i. e sia µ0 > 0 scelto<br />
ad arbitrio.<br />
La condizione (1.6.4) è verificata in quanto Φ è sequenzialmente debolmente s.c.i. e<br />
ψ(·, λ) ρ0<br />
è sequenzialmente debolmente compatto.<br />
La condizione (1.6.5) è verificata in quanto, per ogni µ ∈]0, µ0[, ψ(·, λ)+µΦ(·) è somma<br />
di due funzionali sequenzialmente debolmente s.c.i.<br />
Per il Teorema 1.6, esiste µ1 > 0 tale che, per ogni µ ∈]0, µ1[, esistono u0, u1 ∈ ψ(·, λ) ρ0<br />
(u0 = u1) punti di minimo locale per ψ(·, λ) + µΦ(·) rispetto alla topologia τ ψ(·,λ): da (5.1)<br />
segue che<br />
u0, u1 ∈ C ∩ B(0, σ1).
Due minimi locali 41<br />
Inoltre, per ogni i ∈ {0, 1} il funzionale ψ(·, λ) + µΦ(·) ha in ui un minimo locale<br />
forte: infatti, per definizione di τ ψ(·,λ) esistono un sottoinsieme U debolmente aperto di X<br />
e ρ ∈ R tali che per ogni u ∈ U ∩ ψ(·, λ) ρ si ha<br />
(5.2) ψ(u, λ) + µΦ(u) ≥ ψ(ui, λ) + µΦ(ui).<br />
Giacché la restrizione di ψ(·, λ)+µΦ(·) all’insieme C è continua, esiste un sottoinsieme<br />
V aperto (rispetto alla topologia forte) di X tale che<br />
ψ(·, λ) ρ = V ∩ C;<br />
si vede subito che per ogni u ∈ U ∩ V vale (5.2), di modo che ui risulta essere un punto di<br />
minimo locale per ψ(·, λ) + µΦ(·) rispetto alla topologia forte.<br />
Questo conclude la dimostrazione. <br />
Un commento: nell’ultima parte <strong><strong>del</strong>la</strong> dimostrazione <strong>del</strong> Teorema 5.2, è imprescindibile<br />
la continuità <strong><strong>del</strong>la</strong> funzione χC (e quindi <strong>del</strong> funzionale in esame) sull’insieme dom(χC) =<br />
C; rammentiamo, in proposito, quanto osservato a margine <strong><strong>del</strong>la</strong> Definizione 3.9.<br />
Nelle applicazioni <strong>del</strong> Teorema 5.2 a <strong>problemi</strong> variazionali, occorre trovare condizioni<br />
sui dati che garantiscano le sue ipotesi fondamentali: in particolare, la condizione (5.2.1)<br />
può essere garantita attraverso ipotesi intermedie tutt’altro che banali; Bonanno, in [11],<br />
ha introdotto alcune condizioni che implicano la diseguaglianza (5.2.1) o sono ad essa<br />
equivalenti.<br />
Il seguente Lemma è analogo a un risultato di [11] (Proposition 2.1).<br />
Lemma 5.3. Siano X, I, J, C, Λ e ψ come sopra, e siano δ ∈ R, w0, w1 ∈ C verificanti<br />
le seguenti condizioni:<br />
(5.3.1) J(w0) < δ < J(w1);<br />
(5.3.2) inf<br />
u∈C∩J δ<br />
I(u) > (J(w1) − δ)I(w0) + (δ − J(w0))I(w1)<br />
.<br />
J(w1) − J(w0)<br />
Allora, vale la diseguaglianza (5.2.1).<br />
Dimostrazione. Sia<br />
m = inf<br />
u∈C∩J δ<br />
I(u)<br />
(si ha m ∈ R in quanto w1 ∈ C ∩ J δ); da (5.3.1), (5.3.2) segue<br />
(5.3)<br />
Fissato λ ∈ Λ, vanno distinti due casi:<br />
I(w1) − m<br />
J(w1) − δ < I(w0) − m<br />
J(w0) − δ .<br />
• se λ > I(w1) − m<br />
J(w1) − δ , si ha ψ(w1, λ) < m;<br />
• se λ ≤ I(w1) − m<br />
J(w1) − δ , applicando (5.3) si ha ψ(w0, λ) < m.
42 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Ergo, in ogni caso si ha<br />
inf ψ(u, λ) < m;<br />
u∈C<br />
peraltro, la funzione λ ↦→ inf ψ(u, λ) è s.c.s. in Λ e<br />
u∈C<br />
esiste allora ¯ λ ∈ Λ tale che<br />
Ne segue<br />
lim<br />
λ→+∞ inf ψ(u, λ) ≤ lim<br />
u∈C λ→+∞ ψ(w1, λ) = −∞;<br />
sup inf<br />
λ∈Λ u∈C<br />
ψ(u, λ) = inf<br />
u∈C ψ(u, ¯ λ).<br />
(5.4) sup inf ψ(u, λ) < m.<br />
λ∈Λ u∈C<br />
D’altra parte, fissato u ∈ C, si incontra un altro bivio:<br />
• se J(u) < δ, si ha sup ψ(u, λ) = +∞;<br />
λ∈Λ<br />
• se J(u) ≥ δ, si ha sup ψ(u, λ) = I(u).<br />
λ∈Λ<br />
Ne segue<br />
(5.5) inf<br />
u∈C sup ψ(u, λ) = m.<br />
λ∈Λ<br />
Da (5.4) e (5.5), infine, è dedotta (5.2.1). <br />
Nelle Sezioni 5.2, 5.3 dimostreremo la diseguaglianza di <strong>minimax</strong> (5.2.1) direttamente,<br />
mentre nella Sezione 5.4 faremo uso <strong>del</strong> Lemma 5.3.<br />
5.2 Tre soluzioni positive per un’inclusione differenziale<br />
In questa Sezione studieremo le soluzioni non–negative di un’inclusione differenziale, seguendo<br />
il metodo <strong>del</strong>ineato nella Sezione 4.2.<br />
Siano N ∈ N (N > 1), Ω ⊂ R N un dominio limitato con frontiera ∂Ω regolare,<br />
p ∈]1, N[; introduciamo F, G : Ω×R → R tali che le funzioni F (·, s), G(·, s) siano misurabili<br />
per ogni s ∈ R e F (x, ·), G(x, ·) siano localmente lipschitziane per q.o. x ∈ Ω.<br />
Siano, per opportuni k, h > 0, q ∈]1, p[, r ∈]p, p ∗ [, verificate le seguenti condizioni di<br />
crescita su F e sugli elementi <strong>del</strong> suo gradiente:<br />
(5.6) |ξ| ≤ k(|s| p−1 + |s| r−1 ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂sF (x, s);<br />
(5.7) F (x, s) ≤ h(1 + |s| q ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R.
Soluzioni positive 43<br />
Inoltre, esistano s1 > 0 e un insieme aperto Ω1 con m(Ω1) > 0, cl(Ω1) ⊂ Ω tali che<br />
(5.8) F (x, 0) = 0 per q.o. x ∈ Ω, F (x, s1) > 0 per q.o. x ∈ Ω1.<br />
Completano le ipotesi su F le seguenti condizioni di segno sugli elementi <strong>del</strong> gradiente,<br />
verificate per un conveniente M > 0:<br />
(5.9) ξ ≥ 0 (oppure ξ ≤ 0) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ≥ M, ξ ∈ ∂sF (x, s);<br />
(5.10) ξ ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω e ogni ξ ∈ ∂sF (x, 0).<br />
Imponiamo alcune condizioni anche su G:<br />
(5.11) |ξ| ≤ k(1 + |s| r−1 ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂sG(x, s);<br />
(5.12) ξ ≥ 0 (oppure ξ ≤ 0) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ≥ M, ξ ∈ ∂sG(x, s);<br />
(5.13) ξ ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω e ogni ξ ∈ ∂sG(x, 0).<br />
Sotto le precedenti ipotesi, siamo interessati alla ricerca <strong>del</strong>le soluzioni positive di<br />
un’inclusione differenziale dipendente da due parametri λ, µ > 0:<br />
(5.14)<br />
⎧<br />
⎨<br />
⎩<br />
−∆pu ∈ λ∂sF (x, u) + µ∂sG(x, u) in Ω<br />
u ≥ 0 in Ω<br />
u = 0 in ∂Ω<br />
Applicando il Teorema 5.2 e il Teorema 3.17, stabiliremo per il problema (5.14) l’esistenza<br />
di almeno due (o tre) soluzioni per opportuni λ, µ, e una stima uniforme <strong>del</strong>le<br />
norme di tali soluzioni.<br />
Come già ricordato (Sezione 4.2), un’inclusione differenziale con il vincolo di non–<br />
negatività <strong>del</strong>le soluzioni è stata studiata da Kyritsi e Papageorgiou in [72].<br />
Denotiamo X = W 1,p<br />
0 (Ω) e ricordiamo che l’immersione X ↩→ L ν (Ω) è continua (con<br />
costante cν > 0) per ogni ν ∈ [1, p ∗ ] e compatta per ogni ν ∈ [1, p ∗ [ (si veda il testo di<br />
Evans [42], p. 272).<br />
Poniamo<br />
C = {u ∈ X : u(x) ≥ 0 per q.o. x ∈ Ω} ,<br />
osservando che C è un cono chiuso e convesso; definiamo, inoltre, la funzione indicatrice<br />
χC al solito modo.<br />
Introduciamo due funzionali ponendo per ogni u ∈ X<br />
<br />
<br />
JF (u) = F (x, u(x))dx, JG(u) = G(x, u(x))dx.<br />
Ω<br />
Ω<br />
.
44 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
In forza <strong>del</strong>le condizioni (5.6) e (5.11), JF e JG sono funzionali localmente lipschitziani<br />
e verificano per ogni u, v ∈ X<br />
<br />
J ◦ F (u; v) ≤<br />
(si veda il Lemma 4.1).<br />
F<br />
Ω<br />
◦ s (x, u(x); v(x))dx, J ◦ G(u; v) ≤<br />
<br />
Ω<br />
G ◦ s(x, u(x); v(x))dx<br />
Per ogni λ, µ > 0, il funzionale <strong>del</strong>l’energia associato al problema (5.14) è definito<br />
ponendo per ogni u ∈ X<br />
Vale infatti quanto segue:<br />
Eλ,µ(u) = up<br />
p − λJF (u) − µJG(u) + χC(u).<br />
Lemma 5.4. Per ogni λ, µ > 0, Eλ,µ : X → R ∪ {+∞} è un funzionale di Motreanu–<br />
Panagiotopoulos, e ogni suo punto critico è una soluzione di (5.14).<br />
Dimostrazione. Rammentiamo quanto stabilito nella Sezione 4.2 e poniamo per ogni<br />
(x, s) ∈ Ω × R<br />
H(x, s) = λF (x, s) + µG(x, s);<br />
chiaramente H soddisfa le condizioni (4.1), (4.5) e (4.6), mentre il problema (4.7) è<br />
equivalente al nostro (5.14): quindi basta applicare il Lemma 4.5. <br />
Grazie al Teorema 5.2, proveremo, sotto opportune restrizioni sui parametri λ, µ,<br />
l’esistenza di almeno due punti di minimo locale in C per Eλ,µ; quindi, servendoci <strong>del</strong><br />
Teorema 3.17, affiancheremo a essi un terzo punto critico; poiché la dimostrazione <strong>del</strong><br />
nostro risultato è alquanto laboriosa, preferiamo alleggerirla introducendo alcuni lemmi<br />
preliminari.<br />
Lemma 5.5. Il funzionale JF : X → R è sequenzialmente debolmente continuo e per<br />
ogni λ ≥ 0 si ha<br />
<br />
up (5.5.1) lim<br />
u→+∞ p − λJF<br />
<br />
(u) = +∞.<br />
Dimostrazione. Proviamo che JF è sequenzialmente debolmente continuo, ragionando<br />
per assurdo: siano {vn} una successione in X debolmente convergente a v ∈ X e ε > 0 tali<br />
che per ogni n ∈ N<br />
(5.15) |JF (vn) − JF (v)| ≥ ε.<br />
Poiché l’immersione X ↩→ Lr (Ω) è compatta, esiste una sottosuccessione, ancora denotata<br />
{vn}, tale che vn − vr → 0; possiamo anche assumere che vnr, vr ≤ K per<br />
ogni n ∈ N (per un opportuno K > 0): applicando il Teorema 3.7 e (5.6) si ottiene<br />
<br />
|JF (vn) − JF (v)| ≤ |F (x, vn(x)) − F (x, v(x))|dx<br />
Ω<br />
<br />
≤ 2k 1 + |vn(x)| r−1 + |v(x)| r−1 |vn(x) − v(x)|dx<br />
≤ 2k<br />
Ω<br />
<br />
m(Ω) r−1<br />
r + 2K r−1<br />
vn − vr,
Soluzioni positive 45<br />
da cui JF (vn) → JF (v), contro (5.15).<br />
Proviamo ora (5.5.1): basta ricordare (5.7) e osservare che per ogni λ ≥ 0 e ogni u ∈ X<br />
u p<br />
p − λJF (u) ≥ up<br />
p<br />
<br />
− λh (1 + |u(x)|<br />
Ω<br />
q ) dx<br />
≥ up<br />
p − λh m(Ω) + c q qu q .<br />
Così la dimostrazione è conclusa. <br />
Lemma 5.6. Il funzionale JG : X → R è sequenzialmente debolmente continuo.<br />
Dimostrazione. Si procede come per il Lemma 5.5. <br />
Lemma 5.7. Esiste w ∈ C tale che JF (w) > 0.<br />
Dimostrazione. Sia ε ∈ R verificante<br />
<br />
0 < ε <<br />
Ω1<br />
F (x, s1)dx.<br />
Usando (5.6) e il Teorema 3.7 si prova che la funzione<br />
x ↦→ max |F (x, s)|<br />
|s|≤s1<br />
è sommabile: pertanto esiste ζ > 0 tale che per ogni sottoinsieme misurabile A di Ω con<br />
m(A) < ζ si ha<br />
<br />
(5.16)<br />
max |F (x, s)|dx < ε.<br />
A |s|≤s1<br />
Sia dunque Ω2 un aperto tale che cl(Ω1) ⊂ Ω2, cl(Ω2) ⊂ Ω e m(Ω2 \ Ω1) < ζ: per<br />
risultati classici, esiste una funzione w ∈ C ∞ 0 (Ω) tale che w(x) ∈ [0, s1] per ogni x ∈ Ω e<br />
chiaramente w ∈ C e<br />
JF (w) =<br />
<br />
s1 se x ∈ Ω1<br />
w(x) =<br />
;<br />
0 se x ∈ Ω \ Ω2<br />
<br />
Ω1<br />
<br />
> ε −<br />
<br />
F (x, s1)dx +<br />
Ω2\Ω1<br />
Ω2\Ω1<br />
max |F (x, s)|dx,<br />
|s|≤s1<br />
F (x, w(x))dx<br />
che per (5.16) implica la tesi. <br />
Il prossimo Lemma è il cuore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente Sezione: esso consente di acquisire (per<br />
via diretta, senza adoperare esplicitamente il Lemma 5.3) la diseguaglianza di <strong>minimax</strong><br />
(5.2.1).
46 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Per semplificare le cose, introduciamo a questo punto una notazione che ricalca quella<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> Sezione 5.1: per ogni u ∈ X poniamo<br />
inoltre, denotiamo Λ = [0, +∞[.<br />
I(u) = up<br />
p , J(u) = JF (u);<br />
Lemma 5.8. Esiste δ > 0 tale che, definita ψ : X × Λ → R ∪ {+∞} come nella Sezione<br />
5.1, si ha<br />
(5.8.1) sup inf ψ(u, λ) < inf<br />
u∈C sup ψ(u, λ).<br />
λ∈Λ u∈C<br />
λ∈Λ<br />
Dimostrazione. Per ogni t > 0 poniamo<br />
η(t) = sup<br />
u∈C∩I t<br />
J(u),<br />
osservando che η(t) ≥ 0 per ogni t > 0; proveremo che<br />
(5.17) lim<br />
t→0 +<br />
η(t)<br />
= 0.<br />
t<br />
A tal fine, sia ε > 0: per (5.6) esiste kε > 0 tale che per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R,<br />
ξ ∈ ∂sF (x, s)<br />
|ξ| ≤ ε|s| p−1 + kε|s| r−1 ,<br />
da cui, usando il solito Teorema 3.7, per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R si ottiene<br />
|F (x, s)| ≤ ε|s| p + kε|s| r .<br />
Da quanto sopra ricaviamo che per ogni u ∈ X<br />
da cui per ogni t > 0<br />
che a sua volta implica (5.17).<br />
J(u) ≤ εc p pu p + kεc r ru r ,<br />
η(t) ≤ εc p p(pt) + kεc r r(pt) r<br />
p ,<br />
Richiamando il Lemma 5.7, determiniamo t ∈]0, I(w)[ e δ ∈ R tali che<br />
(5.18) η(t) < δ < tJ(w)<br />
I(w) ,<br />
sicché in particolare J(w) > δ.<br />
Possiamo ora provare la diseguaglianza (5.8.1): in primo luogo, osserviamo che la<br />
funzione<br />
λ ↦→ inf ψ(u, λ)<br />
u∈C
Soluzioni positive 47<br />
è s.c.s. (come inviluppo inferiore di funzioni continue) e verifica<br />
ergo esiste ¯ λ ∈ Λ tale che<br />
Dimostriamo che<br />
lim<br />
λ→+∞ inf ψ(u, λ) = −∞,<br />
u∈C<br />
sup inf<br />
λ∈Λ u∈C<br />
ψ(u, λ) = inf<br />
u∈C ψ(u, ¯ λ).<br />
(5.19) inf<br />
u∈C ψ(u, ¯ λ) < t,<br />
distinguendo due casi:<br />
• se ¯ λ < t<br />
, si ricava<br />
δ<br />
• se ¯ λ ≥ t<br />
, da (5.18) si ricava<br />
δ<br />
D’altra parte si ha<br />
ψ(0, ¯ λ) = ¯ λδ < t;<br />
ψ(w, ¯ λ) ≤ I(w) + t<br />
(δ − J(w)) < t.<br />
δ<br />
(5.20) inf<br />
u∈C sup ψ(u, λ) ≥ t.<br />
λ∈Λ<br />
Infatti, fissato u ∈ C, si possono ancora distinguere due casi:<br />
• se J(u) < δ, si ricava<br />
• se J(u) ≥ δ, per definizione di η si ricava<br />
sup ψ(u, λ) = +∞;<br />
λ∈Λ<br />
sup ψ(u, λ) ≥ t.<br />
λ∈Λ<br />
Da (5.19) e (5.20) segue infine (5.8.1). <br />
Introduciamo ora il risultato principale:<br />
Teorema 5.9. Siano Ω, F come sopra. Allora, esistono λ0, λ1 > 0 e σ1, σ2 > 0 tali<br />
che λ0 < λ1 e<br />
(5.9.1) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni G come sopra, esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[<br />
il problema (5.14) ammette almeno due soluzioni in C ∩ B(0, σ1);
48 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
(5.9.2) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni G come sopra, verificante anche<br />
G(x, s) ≤ h(1 + |s| p ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R,<br />
esiste µ2 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ2[ il problema (5.14) ammette almeno tre<br />
soluzioni in C ∩ B(0, σ2);<br />
Dimostrazione. Proviamo (5.9.1) applicando il Teorema 5.2: i dati sono conformi alle<br />
sue ipotesi, in quanto X è uno spazio di Banach riflessivo e separabile, I è localmente<br />
lipschitziano e sequenzialmente debolmente s.c.i. (in quanto è convesso), J è localmente<br />
lipschitziano e sequenzialmente debolmente continuo (Lemma 5.5), C è non vuoto, chiuso<br />
e convesso; inoltre, scelto δ come nel Lemma 5.8, da (5.8.1) segue (5.2.1), mentre da (5.5.1)<br />
segue (5.2.2).<br />
Siano dunque λ0, λ1 ∈ Λ (possiamo supporre λ0 > 0) e σ1 > 0 come nel Teorema 5.2:<br />
dati λ ∈ [λ0, λ1] e G come in (5.9.1), si ponga<br />
Φ = −JG;<br />
allora, Φ è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente continuo (Lemma 5.6),<br />
sicché esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[ il funzionale ψ(·, λ) + µΦ(·) ammette<br />
almeno due punti di minimo locale u0, u1 ∈ C ∩ B(0, σ1).<br />
Poiché per ogni u ∈ X si ha<br />
Eλ,µ(u) = ψ(u, λ) + µΦ(u) − λδ,<br />
segue che u0 e u1 sono punti di minimo locale per Eλ,µ, e quindi soluzioni di (5.14) (Lemma<br />
5.4).<br />
Proviamo ora (5.9.2), non senza aver premesso alcuni calcoli: acquisiti λ0, λ1 e σ1, sia<br />
fissato ¯µ ∈ R tale che<br />
0 < ¯µ < 1<br />
phc p p<br />
e si ponga per ogni t > 0<br />
chiaramente<br />
ϑ(t) =<br />
<br />
1<br />
p − ¯µhcp <br />
p t p − λ1hc q qt q − (λ1 + ¯µ)hm(Ω);<br />
(5.21) lim ϑ(t) = +∞,<br />
t→+∞<br />
quindi, posto<br />
esiste σ2 > σ1 tale che per ogni t ≥ σ2<br />
R = σp 1<br />
p + λ1k c p pσ p<br />
1 + crrσ r 1 + ¯µk (c1σ1 + c r rσ r 1) ,<br />
(5.22) ϑ(t) > R.
Soluzioni positive 49<br />
Siano ora λ ∈ [λ0, λ1] e G come in (5.9.2): determinato µ1 > 0 come in (5.9.1), poniamo<br />
µ2 = min{µ1, ¯µ}.<br />
Fissato µ ∈]0, µ2[, per ogni u ∈ X si ha<br />
Eλ,µ(u) ≥ up<br />
<br />
− λh<br />
p<br />
(1 + |u(x)| q <br />
) dx − µh<br />
Ω<br />
Ω<br />
(1 + |u(x)| p ) dx<br />
≥ up<br />
p − λ1h m(Ω) + c q qu q − ¯µh m(Ω) + c p pu p = ϑ(u);<br />
questo, insieme a (5.21), implica che Eλ,µ è coercivo.<br />
Proviamo ora che Eλ,µ soddisfa la proprietà di Palais–Smale a qualunque quota (si<br />
veda la Definizione 3.15): siano, a tal fine, {vn} una successione in C tale che {Eλ,µ(vn)} è<br />
limitata e {εn} una successione infinitesima di numeri reali positivi, in modo che per ogni<br />
n ∈ N, v ∈ C (omettendo la dipendenza <strong>del</strong>le integrande da x)<br />
<br />
|∇vn|<br />
Ω<br />
p−2 ∇un · (∇vn − ∇v)dx ≤ λJ ◦ F (vn; vn − v) + µJ ◦ G(vn; vn − v) + εnvn − v.<br />
Dunque, {vn} è limitata, e, passando a una sottosuccessione, possiamo assumere che<br />
esista v ∈ C tale che {vn} converga a v debolmente in X e fortemente in ciascuno degli<br />
spazi L 1 (Ω), L p (Ω) e L r (Ω); dalla stima<br />
<br />
Ω<br />
|∇vn| p−2 ∇vn · (∇vn − ∇v)dx ≤<br />
λk vn p−1<br />
p vn − vp + vn r−1 <br />
r vn − vr +µk vn − v1 + vn r−1 <br />
r vn − vr +εnvn−v<br />
si deduce allora che<br />
<br />
lim sup |∇vn|<br />
n Ω<br />
p−2 ∇vn · (∇vn − ∇v)dx ≤ 0;<br />
d’altra parte, poiché vn ⇀ v si ha<br />
<br />
lim |∇v|<br />
n<br />
p−2 ∇v · (∇vn − ∇v)dx = 0,<br />
Ω<br />
sicché<br />
<br />
<br />
lim sup |∇vn|<br />
n Ω<br />
p−2 ∇vn − |∇v| p−2 ∇v · (∇vn − ∇v)dx ≤ 0.<br />
Rammentando le proprietà <strong>del</strong>le mappe di dualità (Lemma 2.6) segue<br />
vn − v → 0.<br />
È il momento di ricorrere al Teorema 3.17: siano u0, u1 ∈ C ∩ B(0, σ1) i due punti di<br />
minimo locale di Eλ,µ individuati da (5.9.1), e siano Γ, c definiti come nella Sezione 3.3;<br />
esiste allora un punto critico u2 ∈ C \ {u0, u1} per Eλ,µ tale che<br />
Eλ,µ(u2) = c.
50 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Dimostreremo adesso che<br />
(5.23) c ≤ R;<br />
a tal fine, definiamo il cammino ¯γ ∈ Γ ponendo per ogni τ ∈ [0, 1]<br />
¯γ(τ) = τu1 + (1 − τ)u0<br />
e osserviamo che per ogni τ ∈ [0, 1] si ha ¯γ(τ) ∈ C ∩ B(0, σ1) e<br />
Eλ,µ(¯γ(τ)) ≤ I(¯γ(τ)) + λ1|JF (¯γ(τ))| + ¯µ|JG(¯γ(τ))|<br />
≤ I(¯γ(τ)) + λ1k ¯γ(τ) p p + ¯γ(τ) r r + ¯µk [¯γ(τ)1 + ¯γ(τ) r r] ≤ R,<br />
quindi, poiché<br />
si ha (5.23).<br />
Da (5.22) e (5.23) segue che<br />
c ≤ sup Eλ,µ(¯γ(τ)),<br />
τ∈[0,1]<br />
u2 < σ2,<br />
di modo che u0, u1, u2 ∈ C ∩ B(0, σ2); inoltre, per il Lemma 5.4, si tratta di tre soluzioni<br />
<strong>del</strong> problema (5.14).<br />
Questo conclude la dimostrazione. <br />
Due brevi osservazioni: per il problema (5.14), che coinvolge due parametri reali λ, µ e<br />
una perturbazione rappresentata dalla funzione G, il Teorema 5.9 garantisce l’esistenza di<br />
due (o tre) soluzioni le cui norme sono dominate da una costante σ1 (o σ2) indipendente<br />
da λ, µ e G; inoltre, diversamente da quanto accade sovente nello studio di <strong>problemi</strong> di<br />
questo tipo, le ipotesi non implicano che il problema (5.14) ammetta la soluzione nulla (si<br />
veda, in particolare, (5.11)), sicché nessuna sua soluzione può dirsi “banale”.<br />
D’altra parte, è doveroso osservare come il metodo esposto nella presente Sezione non<br />
sia l’unico atto a trovare soluzioni non–negative per inclusioni differenziali: nelle stesse<br />
ipotesi, infatti (con particolare riferimento alle condizioni (5.10) e (5.13)), è possibile<br />
trattare il problema attraverso il metodo dei troncamenti senza ricorrere ai funzionali di<br />
Motreanu–Panagiotopoulos (per una applicazione <strong>del</strong> metodo dei troncamenti a <strong>problemi</strong><br />
simili a quello qui studiato si veda il lavoro di Kyritsi e Papageorgiou [74]).<br />
In conclusione, presentiamo un esempio tipico di potenziali localmente lipschitziani che<br />
soddisfano le nostre ipotesi: ci sia consentito rilevare qui come questa classe di potenziali<br />
appaia particolarmente adatta all’applicazione <strong>del</strong> metodo esposto; infatti, le condizioni<br />
imposte sul potenziale principale F (segnatamente (5.6)) richiedono che esso mostri comportamenti<br />
diversi in prossimità di zero e all’infinito, il che è perfettamente normale per<br />
un potenziale localmente lipschitziano, ma non troppo comune per un potenziale di classe<br />
C 1 .
Nonlinearità discontinue e simmetriche 51<br />
Esempio 5.10. Siano Ω, p come sopra e siano q ∈]1, p[, r ∈]p, p ∗ [: dette a, b ∈ L ∞ (Ω)<br />
due funzioni non–negative, siano F , G le funzioni definite ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
F (x, s) = a(x) min{|s| q , |s| r },<br />
G(x, s) = b(x) min{|s| p , |s| r } + s;<br />
allora, applicando (5.9.2), si prova l’esistenza di λ0, λ1 > 0 e di σ2 > 0 tali che per ogni<br />
λ ∈ [λ0, λ1] esiste µ2 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ2[ il problema (5.14) ammette almeno<br />
tre soluzioni con norme minori di σ2 (e tali soluzioni sono non–nulle).<br />
5.3 Tre soluzioni per un problema di Dirichlet con nonlinearità<br />
discontinue e simmetriche<br />
Nella presente Sezione studieremo un problema di Dirichlet con nonlinearità fortemente<br />
discontinue (<strong>del</strong> tipo introdotto nella Sezione 4.4) su una striscia illimitata: per ovviare<br />
agli inconvenienti dovuti al tipo di dominio considerato, supporremo che le nonlinearità<br />
coinvolte abbiano una simmetria cilindrica e sfrutteremo il Principio <strong><strong>del</strong>la</strong> criticità<br />
simmetrica.<br />
Siano m, N ∈ N tali che N ≥ m + 2, ω ⊂ R m un dominio limitato con frontiera ∂ω<br />
regolare tale che 0 ∈ ω, e Ω = ω × R N−m .<br />
Denotiamo O(R N ) il gruppo <strong>del</strong>le isometrie lineari di R N e G il sottogruppo di O(R N )<br />
formato dalle isometrie lineari che lasciano invariate le prime m coordinate (vale a dire G =<br />
{idR m} × O(RN−m )): osserviamo che Ω è G–invariante; nel séguito, diremo simmetriche le<br />
funzioni definite su Ω invarianti rispetto a G (geometricamente, si tratta di una simmetria<br />
assiale o cilindrica).<br />
Siano Ω0 un sottoinsieme di Ω di misura nulla e f, g : Ω × R → R due funzioni tali che<br />
f(·, s) e g(·, s) sono misurabili e simmetriche per ogni s ∈ R.<br />
Occorre formulare alcune ipotesi sulla funzione f, che rappresenta la nonlinearità principale<br />
<strong>del</strong> problema che siamo in procinto di studiare: in primo luogo, assumiamo che<br />
esistano r ∈]2, 2 ∗ [ e una funzione a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) a valori quasi ovunque non negativi,<br />
non identicamente nulla, tali che<br />
(5.24) |f(x, s)| ≤ a(x) |s| + |s| r−1 per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ R.<br />
Inoltre, concediamo alla funzione f(x, ·) (per q.o. x ∈ Ω) un forte grado di discontinuità,<br />
richiedendo solo la seguente condizione:<br />
(5.25) Df = <br />
{s ∈ R : f(x, ·) è discontinua in s} ha misura nulla.<br />
x∈Ω\Ω0<br />
Le precedenti ipotesi consentono di definire, per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R, il potenziale<br />
F ponendo<br />
F (x, s) =<br />
s<br />
0<br />
f(x, t)dt;
52 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
su esso è altresì necessario imporre le seguenti condizioni, verificate per un opportuno<br />
q ∈]1, 2[ e una funzione b ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) a valori quasi ovunque non negativi:<br />
(5.26) F (x, s) ≤ b(x) (1 + |s| q ) per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ R.<br />
(5.27) esistano s1 ∈ R, R1 > 0 tali che F (x, s1) > 0 per ogni x ∈ Ω \ Ω0, |x| < R1.<br />
La funzione g, che nel problema in esame avrà il ruolo di una perturbazione, è soggetta<br />
a vincoli più lievi:<br />
(5.28) |g(x, s)| ≤ a(x) 1 + |s| r−1 per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ R.<br />
(5.29) Dg = <br />
x∈Ω\Ω0<br />
Poniamo inoltre per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R<br />
{s ∈ R : g(x, ·) è discontinua in s} ha misura nulla.<br />
G(x, s) =<br />
s<br />
0<br />
g(x, t)dt.<br />
Definite le funzioni f−, f+, g−, g+ come nella Sezione 4.4, ipotizziamo infine che esse<br />
siano sup–misurabili e verifichino, per ogni λ, µ > 0, la seguente condizione:<br />
(5.30) λf(x, s) + µg(x, s) = 0 per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ Df ∪ Dg tali che<br />
λf−(x, s) + µg−(x, s) ≤ 0 ≤ λf+(x, s) + µg+(x, s).<br />
Sotto le precedenti ipotesi, studieremo il seguente problema di Dirichlet con condizioni<br />
al contorno omogenee, dipendente dai due parametri positivi λ, µ:<br />
<br />
−∆u = λf(x, u) + µg(x, u) in Ω<br />
(5.31)<br />
u = 0 in ∂Ω .<br />
In particolare, il risultato principale di questa Sezione assicura l’esistenza, per opportuni<br />
λ, µ > 0, di due (o tre) soluzioni simmetriche di (5.31) e fornisce una stima uniforme<br />
<strong>del</strong>le loro norme; rammentiamo che le soluzioni di (5.31) sono definite come nella Sezione<br />
4.4.<br />
Problemi <strong>del</strong> tipo (5.31) sono stati studiati da Chang in [22], da Marano e Motreanu<br />
in [79], da Bonanno in [12] e da Kyritsi e Papageorgiou in [73].<br />
Per fornire (5.31) di una conveniente formulazione variazionale, occorre svolgere alcune<br />
considerazioni: in primo luogo, denotiamo Y lo spazio W 1,2<br />
0 (Ω) dotato <strong><strong>del</strong>la</strong> norma<br />
<br />
u =<br />
|∇u(x)|<br />
Ω<br />
2 1<br />
2<br />
dx<br />
Lemma 5.11. Y è uno spazio di Hilbert separabile e l’immersione Y ↩→ L ν (Ω) è<br />
continua (con costante cν > 0) per ogni ν ∈ [2, 2 ∗ ].<br />
.
Nonlinearità discontinue e simmetriche 53<br />
Dimostrazione. È lecito adottare la norma definita sopra in quanto sulla striscia Ω<br />
vale la diseguaglianza di Poincaré (si veda Esteban [40], Lemma 3), che in generale non è<br />
verificata nel caso di dominî illimitati.<br />
Inoltre, Ω gode <strong><strong>del</strong>la</strong> cosiddetta proprietà <strong>del</strong> cono, il che garantisce la continuità <strong>del</strong>le<br />
immersioni (si veda la classica monografia di Adams [1], Theorem 5.4). <br />
Notiamo che le immersioni di cui al Lemma 5.11 non sono compatte; per superare<br />
questa difficoltà, dovremo restringerci a un opportuno sottospazio.<br />
Il gruppo G esercita su Y un’azione definita come segue: per ogni g ∈ G, u ∈ Y , sia<br />
per ogni x ∈ Ω<br />
gu(x) = u(g −1 x);<br />
si dimostra che G è un gruppo topologico compatto e che esercita su Y un’azione lineare<br />
e isometrica, i cui punti fissi costituiscono il sottospazio vettoriale chiuso<br />
(si rammenti la Sezione 3.4).<br />
X = {u ∈ Y : gu = u per ogni g ∈ G}<br />
Riportiamo il seguente risultato, dovuto a Esteban e Lions:<br />
Lemma 5.12. ([41], Theorem 1) L’immersione X ↩→ L ν (Ω) è compatta per ogni ν ∈<br />
]2, 2 ∗ [.<br />
Poniamo, come di consueto, per ogni u ∈ Lr (Ω),<br />
<br />
<br />
JF (u) = F (x, u(x))dx, JG(u) =<br />
Ω<br />
Ω<br />
G(x, u(x))dx;<br />
per il Lemma 4.9, i funzionali JF , JG : L r (Ω) → R sono ben definiti e localmente lipschitziani.<br />
Per ogni λ, µ > 0 e ogni u ∈ Y poniamo altresì<br />
Eλ,µ(u) = u2<br />
2 − λJF (u) − µJG(u),<br />
così definendo il funzionale <strong>del</strong>l’energia relativo al problema in esame; vale infatti il<br />
seguente Lemma, dalla dimostrazione innegabilmente tortuosa.<br />
Lemma 5.13. Per ogni λ, µ > 0, il funzionale Eλ,µ : Y → R è ben definito, localmente<br />
lipschitziano e ogni suo punto critico è una soluzione <strong>del</strong> problema (5.31).<br />
Dimostrazione. Il funzionale u ↦→ u2<br />
è localmente lipschitziano (Lemma 3.4); inoltre,<br />
2<br />
per il Lemma 5.11, le restrizioni di JF e JG a Y sono localmente lipschitziane: dunque<br />
Eλ,µ lo è a sua volta.<br />
Sia u ∈ Y un punto critico di Eλ,µ: in primo luogo, dimostriamo che u ∈ W 2,2<br />
loc (Ω);<br />
introdotto un dominio limitato Ω ′ ⊂ RN tale che cl(Ω ′ ) ⊂ Ω, è sufficiente provare che<br />
u ∈ W 2,2<br />
loc (Ω′ ) (in quel che segue, identificheremo le funzioni definite su Ω con le rispettive<br />
restrizioni a Ω ′ ).
54 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Per le proprietà <strong>del</strong> gradiente di un funzionale localmente lipschitziano (Lemma 3.6),<br />
esistono v ∗ ∈ ∂JF (u) e w ∗ ∈ ∂JG(u) tali che per ogni z ∈ Y si ha<br />
<br />
Ω<br />
<br />
∇u(x) · ∇z(x)dx =<br />
ossia u è una soluzione debole <strong>del</strong>l’equazione lineare<br />
[λv<br />
Ω<br />
∗ (x) + µw ∗ (x)] z(x)dx,<br />
(5.32) −∆u = λv ∗ (x) + µw ∗ (x).<br />
Osserviamo che v∗ , w∗ ∈ Lr′ (Ω ′ ), e che per q.o. x ∈ Ω ′ si ha<br />
v ∗ (x) ∈ [f−(x, u(x)), f+(x, u(x))], w ∗ (x) ∈ [g−(x, u(x)), g+(x, u(x))]<br />
(si veda il Lemma 4.9), da cui, per (5.24) e (5.28), segue che per q.o. x ∈ Ω ′<br />
Posto<br />
e denotati<br />
|v ∗ (x)| ≤ 2a(x) 1 + |u(x)| r−1 , |w ∗ (x)| ≤ a(x) 1 + |u(x)| r−1 .<br />
A = x ∈ Ω ′<br />
p = r<br />
r − 2 ,<br />
: |u(x)| < 1 , B = x ∈ Ω ′<br />
: |u(x)| ≥ 1 ,<br />
dalle stime sopra riportate si deduce che<br />
<br />
Ω ′<br />
<br />
|v∗ p<br />
(x)|<br />
dx<br />
1 + |u(x)|<br />
≤ 2 p<br />
<br />
Ω ′<br />
a(x) p<br />
≤<br />
<br />
1 + |u(x)| r−1 p<br />
dx<br />
1 + |u(x)|<br />
2 p<br />
<br />
a(x)<br />
A<br />
p dx + 2 p<br />
<br />
a(x)<br />
B<br />
p<br />
<br />
|u(x)| r−2 + |u(x)| r−1 p<br />
dx<br />
1 + |u(x)|<br />
≤ 2 p a p p + 2 p a p ∞u r r;<br />
similmente si ricava che <br />
sicché in definitiva<br />
Ω ′<br />
<br />
|w∗ p<br />
(x)|<br />
dx ≤ a<br />
1 + |u(x)|<br />
p p + a p ∞u r r,<br />
λv ∗ + µw ∗<br />
1 + |u| ∈ Lp (Ω ′ ).<br />
Poiché p > N<br />
2 e Ω′ è limitato, ciò implica<br />
λv ∗ + µw ∗<br />
1 + |u|<br />
∈ L N<br />
2 (Ω ′ );<br />
possiamo quindi applicare all’equazione (5.32) un potente teorema di regolarità (si veda<br />
Struwe [110], Lemma B.3) e stabilire che u ∈ L ν loc (Ω′ ) per ogni ν ≥ 1, da cui in particolare<br />
(usando ancora le stime di cui sopra) deduciamo che<br />
λv ∗ + µw ∗ ∈ L 2 loc (Ω′ ).
Nonlinearità discontinue e simmetriche 55<br />
A questo punto, un altro, più classico risultato di regolarità assicura che u ∈ W 2,2<br />
loc (Ω′ )<br />
(si veda per esempio il testo di Gilbarg e Trudinger [55], Theorem 8.8).<br />
Dal Lemma 4.10 segue allora che per q.o. x ∈ Ω<br />
−∆u(x) = λf(x, u(x)) + µg(x, u(x)),<br />
ovvero u è una soluzione di (5.31). <br />
Lo studio <strong>del</strong> problema (5.31) sarà ambientato nello spazio X, quindi introduciamo<br />
due funzionali ponendo per ogni u ∈ X<br />
I(u) = u2<br />
2 , J(u) = JF (u);<br />
inoltre denotiamo Λ = [0, +∞[; i prossimi Lemmi serviranno a predisporre l’applicazione<br />
<strong>del</strong> Teorema 5.2.<br />
Lemma 5.14. Il funzionale J : X → R è localmente lipschitziano, sequenzialmente<br />
debolmente continuo e per ogni λ ∈ Λ si ha<br />
(5.14.1) lim [I(u) − λJ(u)] = +∞.<br />
u→+∞<br />
Dimostrazione. Per il Lemma 5.12, J è localmente lipschitziano.<br />
Proviamo che J è sequenzialmente debolmente continuo, ragionando per assurdo: siano<br />
{vn} una successione in X debolmente convergente a un punto v ∈ X, e ε > 0 tale che<br />
per ogni n ∈ N<br />
(5.33) |J(vn) − J(v)| ≥ ε;<br />
per il Lemma 5.12, vi è una sottosuccessione, ancora denotata {vn}, tale che vn−vr → 0,<br />
da cui, giacché JF è continuo su L r (Ω),<br />
contro (5.33).<br />
J(vn) − J(v) → 0,<br />
Infine, proviamo (5.14.1), sfruttando (5.26): per ogni u ∈ X si ha infatti<br />
da cui (5.14.1).<br />
I(u) − λJ(u) ≥ u2<br />
2<br />
≥ u2<br />
2<br />
<br />
− λ<br />
− λ<br />
Ω<br />
b(x)(1 + |u(x)| q )dx<br />
<br />
b1 + b r<br />
r−q cq ru q<br />
,<br />
Così la dimostrazione è conclusa. <br />
Lemma 5.15. Esiste w ∈ X tale che J(w) > 0.
56 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Dimostrazione. Senza perdita di generalità, in (5.27) possiamo assumere che s1 > 0 e<br />
che B(0, R1) ⊂ Ω; scelto ε > 0 tale che<br />
<br />
F (x, s1)dx > ε,<br />
la sommabilità <strong><strong>del</strong>la</strong> funzione<br />
B(0,R1)<br />
x ↦→ max |F (x, s)|<br />
|s|≤s1<br />
implica l’esistenza di ζ > 0 tale che per ogni sottoinsieme misurabile A di Ω con m(A) < ζ<br />
si ha <br />
max |F (x, s)|dx < ε.<br />
A |s|≤s1<br />
Sia R2 > R1 tale che B(0, R2) ⊂ Ω e<br />
m B(0, R2) \ B(0, R1) < ζ;<br />
esiste una funzione simmetrica w ∈ C ∞ 0 (Ω) tale che w∞ = s1 e<br />
di modo che si ha w ∈ X e<br />
<br />
J(w) =<br />
w(x) =<br />
B(0,R1)<br />
<br />
> ε −<br />
s1 se x ∈ B(0, R1)<br />
0 se x ∈ Ω \ B(0, R2) ,<br />
<br />
F (x, s1)dx +<br />
F (x, w(x))dx<br />
B(0,R2)\B(0,R1)<br />
B(0,R2)\B(0,R1) |s|≤s1<br />
max |F (x, s)|dx > 0.<br />
Dunque w è la funzione richiesta. <br />
Lemma 5.16. Esiste δ > 0 tale che, definita ψ : X ×Λ → R∪{+∞} come nella Sezione<br />
5.1, si ha<br />
(5.16.1) sup inf ψ(u, λ) < inf<br />
u∈X sup ψ(u, λ).<br />
λ∈Λ u∈X<br />
λ∈Λ<br />
Dimostrazione. Per ogni t > 0 poniamo<br />
η(t) = sup<br />
u∈I t<br />
J(u),<br />
osservando che η(t) ≥ 0 per ogni t > 0; proveremo che<br />
(5.34) lim<br />
t→0 +<br />
η(t)<br />
= 0.<br />
t<br />
A tal fine, sia ε > 0: per (5.24) esiste kε > 0 tale che per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R,<br />
ξ ∈ ∂sF (x, s)<br />
|ξ| ≤ ε|s| + kε|s| r−1 ,
Nonlinearità discontinue e simmetriche 57<br />
da cui, usando il Teorema 3.7, per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R si ottiene<br />
|F (x, s)| ≤ ε|s| 2 + kε|s| r .<br />
Da quanto sopra ricaviamo che per ogni u ∈ X<br />
da cui per ogni t > 0<br />
che a sua volta implica (5.34).<br />
J(u) ≤ εc 2 2u 2 + kεc r ru r ,<br />
η(t) ≤ εc 2 2(2t) + kεc r r(2t) r<br />
2 ,<br />
Richiamando il Lemma 5.15, determiniamo t ∈]0, I(w)[ e δ ∈ R tali che<br />
(5.35) η(t) < δ < tJ(w)<br />
I(w) ,<br />
sicché in particolare J(w) > δ.<br />
Possiamo ora provare la diseguaglianza (5.16.1): in primo luogo, osserviamo che la<br />
funzione<br />
λ ↦→ inf ψ(u, λ)<br />
u∈X<br />
è s.c.s. (come inviluppo inferiore di funzioni continue) e verifica<br />
ergo esiste ¯ λ ∈ Λ tale che<br />
Dimostriamo che<br />
lim<br />
λ→+∞ inf ψ(u, λ) = −∞,<br />
u∈X<br />
sup inf<br />
λ∈Λ u∈X<br />
ψ(u, λ) = inf<br />
u∈X ψ(u, ¯ λ).<br />
(5.36) inf<br />
u∈X ψ(u, ¯ λ) < t,<br />
distinguendo due casi:<br />
• se ¯ λ < t<br />
, si ricava<br />
δ<br />
• se ¯ λ ≥ t<br />
, da (5.35) si ricava<br />
δ<br />
ψ(0, ¯ λ) = ¯ λδ < t;<br />
ψ(w, ¯ λ) ≤ I(w) + t<br />
(δ − J(w)) < t.<br />
δ
58 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
D’altra parte si ha<br />
(5.37) inf<br />
u∈X sup ψ(u, λ) ≥ t.<br />
λ∈Λ<br />
Infatti, fissato u ∈ X, si possono ancora distinguere due casi:<br />
• se J(u) < δ, si ricava<br />
• se J(u) ≥ δ, per definizione di η si ricava<br />
sup ψ(u, λ) = +∞;<br />
λ∈Λ<br />
sup ψ(u, λ) ≥ t.<br />
λ∈Λ<br />
Da (5.36) e (5.37) segue infine (5.16.1). <br />
Il risultato principale <strong><strong>del</strong>la</strong> presente Sezione è il seguente.<br />
Teorema 5.17. Siano Ω, f come sopra. Allora, esistono λ0, λ1 > 0 e σ1, σ2 > 0 tali<br />
che λ0 < λ1 e<br />
(5.17.1) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni g come sopra, esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[<br />
il problema (5.31) ammette almeno due soluzioni simmetriche in B(0, σ1);<br />
(5.17.2) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni g come sopra, verificante anche<br />
G(x, s) ≤ b(x)(1 + |s| 2 ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R,<br />
esiste µ2 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ2[ il problema (5.31) ammette almeno tre<br />
soluzioni simmetriche in B(0, σ2)<br />
Dimostrazione. Le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 5.2 (con C = X) sono tutte soddisfatte nel<br />
presente contesto: X è uno spazio di Hilbert separabile (come sottospazio di Y e per<br />
il Lemma 5.11); il funzionale I è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente<br />
s.c.i. (in quanto è convesso); J è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente<br />
continuo (Lemma 5.14); scelto δ come nel Lemma 5.16, le condizioni (5.2.1) e (5.2.2) sono<br />
verificate (Lemmi 5.14, 5.16).<br />
Siano dunque λ0, λ1 ∈ Λ e σ1 > 0 come nel Teorema 5.2 (possiamo assumere λ0 > 0).<br />
Siano λ, g come in (5.17.1): posto per ogni u ∈ X<br />
Φ(u) = −JG(u),<br />
si prova (ragionando come nel Lemma 5.14) che Φ : X → R è localmente lipschitziano e<br />
sequenzialmente debolmente continuo: pertanto esiste µ1 > 0 tale che, per ogni µ ∈]0, µ1[,<br />
vi sono due punti u0, u1 ∈ X di minimo locale per il funzionale ψ(·, λ) + µΦ(·), tali che<br />
u0 = u1 e u0, u1 < σ1.
Nonlinearità discontinue e simmetriche 59<br />
Dimostriamo che u0, u1 sono punti critici di Eλ,µ : Y → R: difatti tale funzionale è<br />
G–invariante, come si prova osservando che per ogni g ∈ G e ogni u ∈ Y<br />
Eλ,µ(gu) = gu2<br />
2<br />
= gu2<br />
2<br />
= u2<br />
2<br />
<br />
− λ<br />
<br />
− λ<br />
Ω<br />
Ω<br />
F (x, u(g −1 <br />
x))dx − µ G(x, u(g<br />
Ω<br />
−1 x))dx<br />
<br />
F (gy, u(y))dy − µ G(gy, u(y))dy<br />
<br />
− λ F (y, u(y))dy − µ<br />
Ω<br />
<br />
Ω<br />
Ω<br />
G(y, u(y))dy = Eλ,µ(u).<br />
Inoltre, la restrizione di Eλ,µ a X differisce da ψ(·, λ)+µΦ(·) per una costante: dunque,<br />
per il Teorema 3.20 (ridotto al caso χ ≡ 0), u0 e u1 sono punti critici di Eλ,µ.<br />
Per il Lemma 5.13, si conclude che per ogni µ ∈]0, µ1[ il problema (5.31) ha almeno<br />
due soluzioni simmetriche con norme minori di σ1 e (5.17.1) è acquisita.<br />
e<br />
Prima di dimostrare (5.17.2), occorre svolgere un po’ di calcoli: siano ¯µ ∈ R tale che<br />
R = σ2 1<br />
2<br />
posto per ogni t > 0<br />
si ha chiaramente<br />
ϑ(t) =<br />
0 < ¯µ <<br />
1<br />
2b∞c 2 2<br />
2<br />
+ λ1a∞ c2σ 2 1 + c r rσ r 1 + ¯µ (a2c2σ1 + a∞c r rσ r 1) ;<br />
<br />
1<br />
2 − ¯µb∞c 2 <br />
2 t 2 − λ1b r<br />
r−q cqrt q − (λ1 + ¯µ)b1,<br />
(5.38) lim ϑ(t) = +∞;<br />
t→+∞<br />
in particolare, esiste σ2 > σ1 tale che per ogni t ≥ σ2<br />
(5.39) ϑ(t) > R.<br />
Siano ora λ, g come in (5.17.2): trovato µ1 > 0 come in (5.17.2), si ponga<br />
µ2 = min{µ1, ¯µ};<br />
fissato µ ∈]0, µ2[, si ricava per ogni u ∈ X (rammentiamo che δ > 0)<br />
Eλ,µ(u) ≥ u2<br />
2<br />
≥ u2<br />
2<br />
= ϑ(u);<br />
<br />
− λ<br />
− λ1<br />
Ω<br />
b(x) (1 + |u(x)| q <br />
) dx − µ b(x)<br />
Ω<br />
1 + |u(x)| 2 dx<br />
<br />
b1 + b r<br />
r−q cq ru q<br />
− ¯µ b1 + b∞c 2 2u 2
60 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
in particolare, il funzionale ψ(·, λ) + µΦ(·) risulta coercivo per (5.38).<br />
Dimostriamo che Eλ,µ soddisfa la condizione di Palais–Smale a qualunque quota (si<br />
veda la Definizione 3.15, nel caso χ ≡ 0): siano {vn} una successione in X e {εn} una<br />
successione in ]0, +∞[ tali che {Eλ,µ(vn)} è limitata, εn → 0 e per ogni n ∈ N, v ∈ X<br />
<br />
∇vn(x) · (∇vn(x) − ∇v(x))dx ≤ λJ<br />
Ω<br />
◦ F (vn; vn − v) + µJ ◦ G(vn; vn − v) + εnvn − v.<br />
Dunque, {vn} è limitata, e, passando a una sottosuccessione, possiamo assumere che<br />
esista v ∈ X tale che {vn} converga a v debolmente in X e fortemente in ciascuno degli<br />
spazi L 2 (Ω) e L r (Ω); dalla stima<br />
<br />
λ a(x)<br />
Ω<br />
|vn| + |vn| r−1 |vn − v|dx + µ<br />
λa∞<br />
<br />
vn2vn − v2 + vn r−1<br />
r vn − vr<br />
∇vn · (∇vn − ∇v)dx − εnvn − v ≤<br />
Ω<br />
<br />
Ω<br />
a(x) 1 + |vn| r−1 |vn − v|dx + εnvn − v ≤<br />
+µ a2vn − v2 + a∞vn r−1<br />
r vn − vr<br />
(in cui abbiamo omesso la dipendenza <strong>del</strong>le integrande da x) si deduce allora che<br />
<br />
lim sup ∇vn · (∇vn − ∇v)dx ≤ 0;<br />
n Ω<br />
d’altra parte, poiché vn ⇀ v si ha<br />
<br />
lim<br />
n<br />
sicché<br />
cioè<br />
Ω<br />
∇v · (∇vn − ∇v)dx = 0,<br />
<br />
lim sup (∇vn − ∇v) · (∇vn − ∇v)dx ≤ 0,<br />
n Ω<br />
vn − v → 0.<br />
Rammentiamo ora il Teorema 3.17: siano u0, u1 ∈ B(0, σ1) i due punti di minimo locale<br />
di Eλ,µ individuati da (5.17.1), e siano Γ, c definiti come nella Sezione 3.3; esiste allora un<br />
punto critico u2 ∈ X \ {u0, u1} per Eλ,µ tale che<br />
Dimostreremo adesso che<br />
Eλ,µ(u2) = c.<br />
(5.40) c ≤ R;<br />
a tal fine, definiamo il cammino ¯γ ∈ Γ ponendo per ogni τ ∈ [0, 1]<br />
¯γ(τ) = τu1 + (1 − τ)u0<br />
,
Disequazione con ostacolo 61<br />
e osserviamo che per ogni τ ∈ [0, 1] si ha ¯γ(τ) ∈ B(0, σ1) e<br />
Eλ,µ(¯γ(τ)) ≤<br />
¯γ(τ) 2 2<br />
+ λ1a∞ c<br />
2<br />
2¯γ(τ) 2 + c r r¯γ(τ) r + ¯µ (a2c2¯γ(τ)2 + a∞c r r¯γ(τ) r ) ≤ R;<br />
quindi, poiché<br />
c ≤ sup Eλ,µ(¯γ(τ)),<br />
τ∈[0,1]<br />
si ha (5.40).<br />
Da (5.39) e (5.40) segue che<br />
u2 < σ2,<br />
di modo che u0, u1, u2 ∈ B(0, σ2); inoltre, ragionando come sopra, deduciamo che si tratta<br />
di tre soluzioni <strong>del</strong> problema (5.31), ovviamente simmetriche.<br />
Questo conclude la dimostrazione. <br />
Al termine di questa Sezione, proponiamo un esempio di applicazione <strong>del</strong> Teorema 5.17:<br />
rileviamo che la nonlinearità principale <strong>del</strong> problema di séguito considerato ha infiniti punti<br />
di discontinuità.<br />
Esempio 5.18. Siano Ω, q, r come sopra e sia a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) una funzione<br />
simmetrica e non–negativa: la funzione f definita ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
<br />
f(x, s) = a(x) [|s|] q−1 + |s| r−1 sin |s| 2−2∗<br />
(dove [·] denota la parte intera di un numero reale) soddisfa le condizioni (5.24), (5.25),<br />
(5.26), (5.27).<br />
Dunque, per il Teorema 5.17, esistono λ0 < λ1 e σ1 (tutti positivi) tali che, per ogni<br />
λ ∈ [λ0, λ1] e ogni funzione di Carathéodory g : Ω × R → R, non–negativa e verificante<br />
(5.28), esiste µ1 > 0 tale per ogni µ ∈]0, µ1[ il problema (5.31) ammette almeno due<br />
soluzioni simmetriche in B(0, σ1).<br />
5.4 Tre soluzioni per il problema <strong>del</strong>l’ostacolo su una disequazione<br />
emivariazionale<br />
Nella presente Sezione ci occuperemo di una disequazione variazionale–emivariazionale in<br />
dimensione uno <strong>del</strong> tipo studiato nella Sezione 4.3: la scelta dei dati (in particolare <strong>del</strong>l’insieme<br />
convesso C) configura la disequazione in esame come una versione generalizzata<br />
<strong>del</strong> classico problema <strong>del</strong>l’ostacolo.<br />
I dati numerici che andiamo a introdurre sono da considerare esemplificativi: per esem-<br />
1 3<br />
pio, non vi è nulla di speciale nell’intervallo , (si veda sotto, la definizione di C); si<br />
4 4<br />
è scelto, in questo caso, di sacrificare in una certa misura la generalità <strong>del</strong>le ipotesi alla<br />
semplicità <strong>del</strong>le condizioni e dei calcoli.
62 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
Il dominio considerato è l’intervallo ]0, 1[, e sia a > 0; passiamo dunque a definire i potenziali<br />
(in questo caso autonomi) come due funzioni F, G : R → R localmente lipschitziane<br />
soddisfacenti alcune condizioni.<br />
Per quanto riguarda F , assumiamo che esistano una funzione continua α : [0, +∞[→<br />
[0, +∞[ e numeri reali h > 0, q ∈]1, 2[ tali che<br />
(5.41) |ξ| ≤ α(|s|) per ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂F (s);<br />
(5.42) F (s) ≤ h (1 + |s| q ) per ogni s ∈ R.<br />
(5.43)<br />
Esistano inoltre k0, k1 > 2a e ζ ∈]0, 1[ tali che<br />
1<br />
k0<br />
k 02<br />
0<br />
F (s)ds = 1<br />
(5.44) max<br />
|s|≤ 1<br />
2 [ζk2 0 +(1−ζ)k2 1 ] 1 F (s) <<br />
2<br />
2ζ<br />
k02 k0 0<br />
k1<br />
k 12<br />
0<br />
F (s)ds;<br />
2(1 − ζ)<br />
F (s)ds +<br />
k1<br />
k 12<br />
0<br />
F (s)ds.<br />
In merito a G, richiediamo che, per un’opportuna funzione continua β : [0, +∞[→<br />
[0, +∞[, si abbia<br />
(5.45) |ξ| ≤ β(|s|) per ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂G(s).<br />
Osserviamo che in (5.41) e in (5.45) si può sempre supporre che α e β siano non–<br />
decrescenti in [0, +∞[.<br />
Nello spazio W 1,2<br />
0 (]0, 1[) consideriamo l’insieme<br />
C =<br />
<br />
u ∈ W 1,2<br />
0 (]0, 1[) : u(x) ≥ a per ogni x ∈<br />
<br />
1 3<br />
, ,<br />
4 4<br />
che risulta essere non vuoto, convesso e chiuso (in particolare, che C è chiuso segue dal<br />
Lemma 4.6).<br />
Studieremo la seguente disequazione variazionale–emivariazionale, dipendente dai parametri<br />
λ, µ > 0: trovare u ∈ C tale che per ogni v ∈ C<br />
(5.46)<br />
1<br />
0<br />
u ′ (v ′ − u ′ ) + λF ◦ (u; u − v) + µG ◦ (u; u − v) dx ≥ 0<br />
(dove abbiamo tralasciato per brevità la dipendenza di u e v da x).<br />
Il risultato principale <strong><strong>del</strong>la</strong> Sezione assicura, sotto opportune restrizioni su λ e µ,<br />
l’esistenza di due (o tre) soluzioni <strong><strong>del</strong>la</strong> disequazione (5.46) e una stima uniforme <strong>del</strong>le<br />
loro norme.
Disequazione con ostacolo 63<br />
Come premesso, la disequazione (5.46) generalizza il problema <strong>del</strong>l’ostacolo, data la<br />
natura <strong>del</strong>l’insieme C: un problema simile è stato studiato da Kyritsi e Papageorgiou in<br />
[75] (ma in dimensione maggiore di uno).<br />
Nello studio <strong>del</strong> problema (5.46) si può applicare lo schema generale descritto nella<br />
Sezione 4.3: poniamo X = W 1,2<br />
0 (]0, 1[) e per ogni u ∈ X<br />
1<br />
1<br />
JF (u) ≤<br />
0<br />
F (u(x))dx, JG(u) ≤<br />
0<br />
F (u(x))dx.<br />
Per il Lemma 4.7 i funzionali JF , JG : X → R sono localmente lipschitziani e verificano<br />
per ogni u, v ∈ X<br />
J ◦ 1<br />
F (u; v) ≤ F<br />
0<br />
◦ (u(x); v(x))dx, J ◦ 1<br />
G(u; v) ≤<br />
0<br />
G ◦ (u(x); v(x))dx.<br />
Detta χC la funzione indicatrice di C, per ogni λ, µ > 0 il funzionale <strong>del</strong>l’energia<br />
associato al problema (5.46) si definisce ponendo per ogni u ∈ X<br />
Infatti:<br />
Eλ,µ(u) = u2<br />
2 − λJF (u) − µJG(u) + χC(u).<br />
Lemma 5.19. Per ogni λ, µ > 0, Eλ,µ : X → R ∪ {+∞} è un funzionale di Motreanu–<br />
Panagiotopoulos, e ogni suo punto critico è una soluzione di (5.46).<br />
Dimostrazione. Rammentiamo quanto stabilito nella Sezione 4.3 e poniamo per ogni<br />
s ∈ R<br />
H(s) = λF (s) + µG(s);<br />
chiaramente H soddisfa la condizione (4.9), mentre il problema (4.10) è equivalente al<br />
nostro (5.46): quindi basta applicare il Lemma 4.8. <br />
Anche in questo caso, preferiamo articolare il ragionamento in più tappe, introducendo<br />
alcuni lemmi preliminari.<br />
Lemma 5.20. Il funzionale JF : X → R è sequenzialmente debolmente continuo e per<br />
ogni λ ≥ 0 si ha<br />
<br />
u2 (5.20.1) lim<br />
u→+∞ 2 − λJF<br />
<br />
(u) = +∞.<br />
Dimostrazione. Proviamo che JF è sequenzialmente debolmente continuo, ragionando<br />
per assurdo: siano {vn} una successione in X debolmente convergente a v ∈ X e ε > 0<br />
tale che per ogni n ∈ N<br />
(5.47) |JF (vn) − JF (v)| ≥ ε.<br />
Per il Lemma 4.6, esiste una sottosuccessione, che denotiamo ancora {vn}, tale che<br />
vn − v∞ → 0: pertanto, per ogni x ∈]0, 1[ si ha<br />
lim n [F (vn(x)) − F (v(x))] = 0;
64 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
inoltre, possiamo assumere che vn∞, v∞ ≤ K per ogni n ∈ N (per un opportuno<br />
K > 0), da cui, per il Teorema 3.7, si ha per ogni n ∈ N, x ∈]0, 1[<br />
|F (vn(x)) − F (v(x))| ≤ 2Kα(K),<br />
quindi, applicando il Teorema <strong><strong>del</strong>la</strong> convergenza dominata di Lebesgue, otteniamo<br />
contro (5.47).<br />
lim n [JF (vn) − JF (v)] = 0,<br />
Sia ora λ ≥ 0: applicando (5.42) e (4.6.1) si ricava per ogni u ∈ X<br />
da cui (5.20.1).<br />
u 2<br />
2 − λJF (u) ≥ u2<br />
2<br />
≥ u2<br />
2<br />
− λh<br />
− λh<br />
1<br />
(1 + |u(x)|<br />
0<br />
q )dx<br />
<br />
1 + uq<br />
2q <br />
,<br />
Questo conclude la dimostrazione. <br />
Lemma 5.21. Il funzionale JG : X → R è sequenzialmente debolmente continuo.<br />
Dimostrazione. Si procede come nel Lemma 5.20. <br />
Diversamente da quanto avviene nei casi precedenti, per il problema studiato in questa<br />
Sezione la diseguaglianza di <strong>minimax</strong> (5.2.1) si ottiene indirettamente, ricorrendo al<br />
Lemma 5.3; introduciamo alcune notazioni, ponendo Λ = [0, +∞[ e per ogni u ∈ X<br />
I(u) = u2<br />
2 , J(u) = JF (u).<br />
Lemma 5.22. Esistono δ ∈ R e w0, w1 ∈ C verificanti (5.3.1) e (5.3.2).<br />
Dimostrazione. Innanzitutto definiamo una funzione w ∈ X ponendo per ogni x ∈]0, 1[<br />
⎧<br />
⎪⎨ x<br />
w(x) =<br />
⎪⎩<br />
se x ≤ 1<br />
1 − x<br />
2<br />
se x > 1<br />
2<br />
;<br />
quindi poniamo wi = kiw (i = 0, 1): si vede subito che wi ∈ C (ki ≥ 2a), e risulta<br />
mentre<br />
J(wi) =<br />
I(wi) = 1<br />
1<br />
2<br />
|ki|<br />
2 0<br />
2 dx + 1<br />
2<br />
1<br />
2<br />
0<br />
F (kix)dx +<br />
1<br />
1<br />
2<br />
1<br />
1<br />
2<br />
| − ki| 2 dx = k2 i<br />
2 ,<br />
F (ki(1 − x))dx = 2<br />
ki<br />
k i<br />
2<br />
0<br />
F (s)ds.
Disequazione con ostacolo 65<br />
Senza perdita di generalità, in (5.43) supponiamo<br />
allora, posto<br />
1<br />
k0<br />
k 02<br />
0<br />
F (s)ds < 1<br />
k1<br />
k 12<br />
δ = ζJ(w0) + (1 − ζ)J(w1)<br />
= 2ζ<br />
k0<br />
si deduce agevolmente (5.3.1).<br />
k 02<br />
0<br />
2(1 − ζ)<br />
F (s)ds +<br />
0<br />
k1<br />
F (s)ds;<br />
k 12<br />
0<br />
F (s)ds,<br />
Proviamo ora (5.3.2), ponendo (secondo il simbolismo di [11])<br />
A = (J(w1) − δ)I(w0) + (δ − J(w0))I(w1)<br />
J(w1) − J(w0)<br />
= 1<br />
2 [ζk0 + (1 − ζ)k1] ,<br />
B =<br />
1<br />
A 2<br />
2<br />
= 1<br />
2 [ζk0 + (1 − ζ)k1] 1<br />
2 ;<br />
per ogni u ∈ J δ vale (grazie a (5.44)) la catena di diseguaglianze<br />
da cui, usando (4.6.1), si ottiene<br />
ovvero<br />
max F (s) < δ ≤ J(u) ≤ max F (s),<br />
|s|≤B |s|≤u∞<br />
B < u∞ ≤ 1<br />
2 u,<br />
A < I(u).<br />
Il funzionale I è coercivo e sequenzialmente debolmente s.c.s. e l’insieme J δ è sequenzialmente<br />
debolmente chiuso (Lemma 5.20), quindi<br />
inf I(u) > A.<br />
u∈J δ<br />
Ciò prova (5.3.2) e conclude la dimostrazione. <br />
Possiamo ora introdurre il risultato principale:<br />
Teorema 5.23. Siano a, F come sopra. Allora, esistono λ0, λ1 > 0 e σ1, σ2 > 0 tali<br />
che λ0 < λ1 e<br />
(5.23.1) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni G come sopra, esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[<br />
il problema (5.46) ammette almeno due soluzioni in C ∩ B(0, σ1);
66 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
(5.23.2) per ogni λ ∈ [λ0, λ1] e ogni G come sopra, verificante anche<br />
G(s) ≤ h(1 + s 2 ) per ogni s ∈ R,<br />
esiste µ2 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ2[ il problema (5.46) ammette almeno tre<br />
soluzioni in C ∩ B(0, σ2).<br />
Dimostrazione. Proviamo (5.23.1) applicando il Teorema 5.2 e il Lemma 5.3: X è uno<br />
spazio di Hilbert separabile, I è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente<br />
s.c.i., J è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente continuo (Lemma 5.20),<br />
C è non vuoto, chiuso e convesso; inoltre, scelto δ come nel Lemma 5.22 e definita ψ<br />
ponendo per ogni (u, λ) ∈ X × Λ<br />
ψ(u, λ) = I(u) + λ(δ − J(u)) + χC(u),<br />
dai Lemmi 5.22 e 5.3 segue la condizione (5.2.1); infine, da (5.20.1) segue immediatamente<br />
(5.2.2).<br />
Siano dunque λ0, λ1 ∈ Λ (possiamo supporre λ0 > 0) e σ1 > 0 come nel Teorema 5.2:<br />
dati λ ∈ [λ0, λ1] e G come in (5.23.1), si ponga<br />
Φ = −JG;<br />
allora, Φ è localmente lipschitziano e sequenzialmente debolmente continuo (Lemma 5.21),<br />
sicché esiste µ1 > 0 tale che per ogni µ ∈]0, µ1[ il funzionale ψ(·, λ)+µΦ(·) ammette almeno<br />
due punti di minimo locale u0, u1 ∈ C ∩ B(0, σ1).<br />
Poiché per ogni u ∈ X si ha<br />
Eλ,µ(u) = ψ(u, λ) + µΦ(u) − λδ,<br />
segue che u0 e u1 sono punti di minimo locale per Eλ,µ, e quindi soluzioni di (5.46).<br />
Come al solito, la parte <strong>del</strong>icata è la dimostrazione <strong><strong>del</strong>la</strong> seconda parte <strong><strong>del</strong>la</strong> tesi: ad<br />
essa premettiamo alcuni passaggi, fissando λ0, λ1, σ1 come in (5.23.1).<br />
<br />
Sia ¯µ ∈ 0, 2<br />
<br />
e sia per ogni t > 0<br />
h<br />
ovviamente,<br />
ϑ(t) =<br />
<br />
1 1<br />
−<br />
2 4 ¯µh<br />
<br />
t 2 − λ1h<br />
2q tq − (λ1 + ¯µ)h;<br />
(5.48) lim ϑ(t) = +∞,<br />
t→+∞<br />
sicché, posto<br />
R = σ2 1<br />
2<br />
<br />
+ λ1h 1 + σq 1<br />
2q <br />
+ ¯µh 1 + σ2 <br />
1<br />
,<br />
4
Disequazione con ostacolo 67<br />
si trova un numero reale σ2 > σ1 tale che per ogni t ≥ σ2<br />
(5.49) ϑ(t) > R.<br />
Proviamo ora (5.23.2): siano λ ∈ [λ0, λ1] e G come in (5.23.2); allora esiste µ1 come in<br />
(5.23.1), da cui ricaviamo<br />
µ2 = min{µ1, ¯µ}.<br />
Fissato µ ∈]0, µ2[, il funzionale Eλ,µ ammette almeno due punti di minimo locale<br />
u0, u1 ∈ C ∩ B(0, σ1); inoltre, applicando (4.6.1), (5.42) e l’ipotesi di crescita su G, si ha<br />
per ogni u ∈ X<br />
1<br />
Eλ,µ(u) ≥ u2<br />
− λh<br />
2<br />
(1 + |u(x)|<br />
0<br />
q )dx − µh (1 + |u(x)|<br />
0<br />
2 )dx<br />
≥ u2<br />
2 − λ1h (1 + u q ∞) − µh 1 + u 2 ≥<br />
<br />
∞<br />
u2<br />
<br />
− λ1h 1 +<br />
2 uq<br />
2q <br />
− µh 1 + u2<br />
<br />
= ϑ(u),<br />
4<br />
di modo che Eλ,µ risulta coercivo (per (5.48)).<br />
Dimostriamo ora che Eλ,µ soddisfa la condizione di Palais–Smale a qualunque quota<br />
(Definizione 3.15): siano {vn} una successione in C tale che {Eλ,µ(vn)} è limitata e {εn}<br />
una successione infinitesima di numeri reali positivi tale che per ogni n ∈ N, v ∈ C<br />
1<br />
0<br />
v ′ n(x)(v ′ n(x) − v ′ (x)) dx ≤ λJ ◦ F (vn; vn − v) + µJ ◦ G(vn; vn − v) + εnvn − v.<br />
Poiché Eλ,µ è coercivo, {vn} è limitata: inoltre, passando a una sottosuccessione, possiamo<br />
assumere che esista v ∈ C tale che {vn} converga a v debolmente in X e fortemente<br />
in C 0 ([0, 1]) (Lemma 4.6); inoltre supponiamo che vn − v ≤ K, vn∞ ≤ H per ogni<br />
n ∈ N (per opportuni H, K > 0): si ha allora<br />
1<br />
0<br />
v ′ n(x)(v ′ n(x) − v ′ (x)) dx ≤ λα(H)vn − v∞ + µβ(H)vn − v∞ + εnK<br />
per ogni n ∈ N, da cui<br />
lim sup<br />
n<br />
1<br />
mentre per convergenza debole si ha<br />
Dunque<br />
lim n<br />
1<br />
0<br />
0<br />
1<br />
v ′ n(x)(v ′ n(x) − v ′ (x)) dx ≤ 0,<br />
v ′ (x)(v ′ n(x) − v ′ (x)) dx = 0.<br />
lim sup vn − v<br />
n<br />
2 ≤ 0,
68 Capitolo 5. Problemi con due parametri<br />
cioè vn → v.<br />
Siano Γ, c definiti come nella Sezione 3.3: per il Teorema 3.17 esiste un punto critico<br />
u2 ∈ C \ {u0, u1} per Eλ,µ tale che<br />
Proviamo che<br />
Eλ,µ(u2) = c.<br />
(5.50) c ≤ R.<br />
Infatti, definito il cammino ¯γ ∈ Γ ponendo per ogni τ ∈ [0, 1]<br />
si ha per ogni τ ∈ [0, 1]<br />
sicché<br />
Eλ,µ(¯γ(τ)) ≤ ¯γ(τ)2<br />
2<br />
≤ σ2 1<br />
2<br />
Da (5.49) e (5.50) segue che<br />
¯γ(τ) = τu1 + (1 − τ)u0,<br />
+ λ1h<br />
<br />
+ λ1h 1 + ¯γ(τ)q<br />
<br />
+ ¯µh 1 + ¯γ(τ)2<br />
<br />
<br />
1 +<br />
2q 4<br />
σ1q 2q <br />
σ12 + ¯µh 1 + = R,<br />
4<br />
c ≤ max<br />
τ∈[0,1] Eλ,µ(¯γ(τ)) ≤ R.<br />
u2 < σ2,<br />
ergo u0, u1, u2 ∈ C ∩B(0, σ2); inoltre, per il Lemma 5.19 si tratta di tre soluzioni di (5.46).<br />
Così la dimostrazione può dirsi conclusa. <br />
Un breve commento: questa applicazione <strong>del</strong> metodo <strong><strong>del</strong>la</strong> diseguaglianza di <strong>minimax</strong> si<br />
distingue dalla maggior parte <strong>del</strong>le precedenti in quanto prescinde completamente dall’uso<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> funzione nulla; in particolare, il problema (5.46) non può ammettere la soluzione<br />
nulla.<br />
In coda, presentiamo un esempio di potenziale verificante tutte le ipotesi <strong>del</strong> Teorema<br />
5.23.<br />
Esempio 5.24. Siano a = 1<br />
, q ∈]1, 2[ e F definita ponendo per ogni s ∈ R<br />
2<br />
⎧<br />
⎨<br />
F (s) =<br />
⎩<br />
s se s ≤ 1<br />
s 5 se 1 < s ≤ 2<br />
s q − 2 q + 32 se s > 2<br />
essa soddisfa le condizioni (5.41) per α(s) = max{1, 5s 4 }, (5.42) per h = 32, (5.43) e (5.44)<br />
per ζ = 6<br />
7 , k0 = √ 2 e k1 = 4.<br />
Pertanto, con questi dati vale quanto stabilito dal Teorema 5.23.<br />
;
Capitolo 6<br />
Un teorema di molteplicità per<br />
<strong>problemi</strong> con perturbazione<br />
interna<br />
Nella Sezione 2.3 abbiamo introdotto gli insiemi di Chebyshev e presentato un risultato<br />
di Tsar’kov, il Teorema 2.14: già alla sua prima comparsa in [113], questo risultato che<br />
appartiene alla <strong>teoria</strong> <strong>del</strong>l’approssimazione metrica appariva legato alla molteplicità di<br />
soluzioni per certe equazioni differenziali.<br />
Ricceri, in [97], ha offerto un contributo a questo inedito connubio, aggiungendo un<br />
collegamento con la <strong>teoria</strong> topologica <strong>del</strong> <strong>minimax</strong>, e stabilendo il seguente risultato di<br />
molteplicità per le soluzioni di un’equazione astratta in uno spazio di Hilbert.<br />
Teorema 6.1. ([97], Theorem 2) Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert, S un sottoinsieme<br />
convesso e denso di X, J ∈ C 1 (X, R) un funzionale verificante le seguenti<br />
condizioni:<br />
(6.1.1) esiste ρ ∈<br />
J(u)<br />
(6.1.2) lim inf ≥ 0;<br />
u→+∞ u2 <br />
<br />
inf J(u), sup J(u) tale che J<br />
u∈X u∈X<br />
ρ non è convesso;<br />
(6.1.3) J ′ : X → X è un operatore compatto.<br />
Allora esistono ū ∈ S, ¯ λ > 0 tali che l’equazione<br />
ammette almeno tre soluzioni in X.<br />
u − ū + ¯ λJ ′ (u) = 0<br />
La dimostrazione <strong>del</strong> Teorema 6.1 è <strong>del</strong>icata, ma a livello euristico si può riassumere<br />
come segue: l’insieme J ρ è sequenzialmente debolmente chiuso e non convesso, quindi per<br />
il Teorema 2.14 esiste ū ∈ S che ha almeno due distinte proiezioni metriche su di esso;<br />
69
70 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
tramite il Teorema 1.4, si deduce l’esistenza di ¯ λ > 0 tale che il funzionale<br />
u ↦→<br />
u − ū2<br />
2<br />
+ ¯ λ(J(u) − ρ)<br />
ha almeno due minimi locali; quindi, applicando il Teorema <strong>del</strong> passo di montagna (Teorema<br />
3.14), si trova un terzo punto critico, e tutti e tre sono soluzioni <strong>del</strong>l’equazione in<br />
esame.<br />
Il Teorema 6.1 trova un’immediata applicazione nel campo <strong>del</strong>le equazioni differenziali<br />
semilineari, che rientrano nello schema rappresentato dall’equazione astratta: i due elementi<br />
da cui questa dipende, ¯ λ e ū, sono visti rispettivamente come un autovalore e come<br />
una perturbazione interna <strong>del</strong> problema.<br />
Si è lavorato a lungo sugli sviluppi e sulle applicazioni di questo risultato di Ricceri:<br />
in [46], Faraci e l’autore di questa tesi hanno applicato il Teorema 6.1 alle equazioni alle<br />
differenze finite; in [45], gli stessi hanno esteso il Teorema 6.1 a una classe più ampia di<br />
spazi di Banach, guadagnando un’applicazione a <strong>problemi</strong> al contorno (con condizioni sia<br />
di Dirichlet che di Neumann) per equazioni quasilineari coinvolgenti il p–laplaciano su<br />
dominî limitati; in [67], Kristály ha applicato il risultato a un’equazione di Schrödinger<br />
su R N ; in [50], Faraci, Lisei, Varga e l’autore hanno esteso il risultato ai funzionali localmente<br />
lipschitziani puntando a un’applicazione alle disequazioni emivariazionali su dominî<br />
illimitati; infine, in [16], Breckner, Horváth e Varga hanno stabilito un risultato analogo<br />
per i sistemi di disequazioni emivariazionali su dominî illimitati.<br />
Si è così <strong>del</strong>ineato un nuovo metodo, esposto nella sua forma più generale nell’articolo<br />
[56] (pubblicato nel volume [9] curato da Blaga, Kristály e Varga), di cui il presente<br />
Capitolo riprende più o meno i contenuti: riteniamo che il pregio maggiore <strong>del</strong> metodo in<br />
questione sia la sua estrema generalità, in quanto l’ipotesi qualificante che J non sia quasi<br />
convesso (6.1.1) è decisamente facile da verificare, mentre la condizione di crescita (6.1.2)<br />
è molto comune nell’approccio variazionale; d’altra parte, la presenza di ciò che abbiamo<br />
chiamato una perturbazione interna rende problematiche le applicazioni.<br />
Il Capitolo ha la seguente struttura: dapprima dimostreremo il risultato generale (Sezione<br />
6.1), quindi esporremo alcune applicazioni a un problema di Dirichlet con nonlinearità<br />
discontinua (Sezione 6.2) e a un’inclusione differenziale su una striscia (Sezione<br />
6.3)<br />
6.1 Il risultato generale<br />
Questa Sezione è dedicata al seguente risultato generale, che estende il Teorema 6.1:<br />
Teorema 6.2. Siano (X, · ) uno spazio di Banach uniformemente convesso con<br />
duale (X∗ , · ∗) strettamente convesso, S un sottoinsieme convesso, denso di X, p > 1<br />
un numero reale, J : X → R un funzionale localmente lipschitziano, sequenzialmente<br />
debolmente s.c.i. e verificante le seguenti condizioni:<br />
<br />
<br />
(6.2.1) esiste ρ ∈ inf J(u), sup J(u) tale che J<br />
u∈X u∈X<br />
ρ non è convesso;
Il risultato generale 71<br />
J(u)<br />
(6.2.2) lim inf ≥ 0;<br />
u→+∞ up (6.2.3) per ogni successione {un} in X, debolmente convergente a u ∈ X, esiste una<br />
sottosuccessione {unk } tale che lim sup J(unk ; u − unk ) ≤ 0.<br />
k→∞<br />
Allora esistono ū ∈ S, ¯ λ > 0 tali che il funzionale<br />
u ↦→<br />
ammette almeno tre punti critici in X.<br />
u − ūp<br />
p<br />
+ ¯ λJ(u)<br />
Dimostrazione. L’insieme J ρ non è convesso; inoltre, poiché J è sequenzialmente debolmente<br />
s.c.i., esso è sequenzialmente debolmente chiuso: per il Teorema 2.14, esistono<br />
ū ∈ S e due punti v1, v2 ∈ J ρ (v1 = v2) tali che<br />
v1 − ū = v2 − ū = inf v − ū.<br />
ρ<br />
v∈J<br />
Ovviamente, si ha J(ū) > ρ; inoltre, J(vi) = ρ (i = 1, 2), come si vede facilmente<br />
per assurdo: per esempio, se si avesse J(v1) < ρ, esisterebbe w = τū + (1 − τ)v1, per un<br />
conveniente τ ∈]0, 1[, tale che J(w) = ρ; ne seguirebbe<br />
una contraddizione.<br />
w − ū = τv1 − ū < inf v − ū,<br />
ρ<br />
v∈J<br />
Siamo ora in grado di provare l’asserto, e lo faremo procedendo per assurdo: per ogni<br />
λ > 0, sia Φλ : X → R definito ponendo per ogni u ∈ X<br />
Φλ(u) =<br />
u − ūp<br />
p<br />
+ λJ(u)<br />
(un funzionale localmente lipschitziano in forza <strong>del</strong> Lemma 3.4), e supponiamo che esso<br />
ammetta al più due punti critici in X.<br />
Adottando su X la topologia debole e denotando Λ = [0, +∞[, applicheremo il Teorema<br />
1.4 alla funzione ψ definita da<br />
ψ(u, λ) =<br />
u − ūp<br />
p<br />
+ λ (J(u) − ρ) .<br />
Naturalmente, occorre controllare le ipotesi di quel teorema di <strong>minimax</strong>: la condizione<br />
(1.4.1) è ovviamente verificata, in quanto ψ(u, ·) è una funzione affine per ogni u ∈ X.<br />
Per vagliare la condizione (1.4.2), fissiamo un vettore u0 ∈ Jρ, λ0 = 0 e un numero<br />
reale<br />
ρ0 > u0 − ūp ;<br />
p
72 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
è la palla chiusa di centro ū e raggio (pρ0) 1<br />
p , insieme debolmente<br />
così l’insieme ψ(·, λ0) ρ0<br />
compatto (qui ricordiamo che X è riflessivo in quanto è uniformemente convesso).<br />
La verifica <strong><strong>del</strong>la</strong> condizione (1.4.3) è un poco più laboriosa: fissato λ > 0 (il caso λ = 0<br />
è banale), da (6.2.2) traiamo facilmente<br />
lim ψ(u, λ) = +∞;<br />
u→+∞<br />
il funzionale ψ(·, λ) è dunque coercivo, oltre che sequenzialmente debolmente s.c.i. in quan-<br />
u − ūp<br />
to somma di u ↦→ , convesso e continuo, e di u ↦→ λ(J(u) − ρ), sequenzialmente<br />
p<br />
debolmente s.c.i.; per il Teorema di Eberlein–Smulyan, ψ(·, λ) risulta debolmente s.c.i.<br />
Per provare la seconda parte di (1.4.3), dobbiamo prima dimostrare che il funzionale<br />
localmente lipschitziano ψ(·, λ) soddisfa la condizione di Palais–Smale (Definizione 3.15,<br />
adattata al caso χ ≡ 0): siano dunque {un} una successione in X tale che {ψ(un, λ)} è<br />
limitata e {εn} una successione infinitesima in ]0, +∞[ tale che per ogni n ∈ N, v ∈ X<br />
ψ ◦ (un, λ; v − un) + εnv − un ≥ 0;<br />
proviamo che {un} ha una sottosuccessione convergente.<br />
Per la coercività di ψ(·, λ), {un} è limitata, quindi ha un’estratta, ancora denotata<br />
{un}, che converge debolmente a un certo u ∈ X: fissato ε > 0, possiamo assumere<br />
(applicando (6.2.3) e passando ancora a un’estratta) che<br />
εnu − un < ε<br />
4 , J ◦ (un; u − un) < ε<br />
4λ , 〈A(u − ū), u − un〉 < ε<br />
2 ,<br />
ove denotiamo A la mappa di dualità indotta su X dalla funzione peso t ↦→ tp<br />
(si veda la<br />
p<br />
Sezione 2.2).<br />
Usando il Lemma 2.6, ricaviamo<br />
che a sua volta implica<br />
0 ≤ ψ ◦ (un, λ; u − un) + εnu − un<br />
≤ 〈A(un − ū), u − un〉 + λJ ◦ (un; u − un) + εnu − un<br />
< 〈A(un − ū), u − un〉 + ε<br />
2 ,<br />
ε > 〈A(un − ū) − A(u − ū), (un − ū) − (u − ū)〉<br />
≥ un − ū p−1 − u − ū p−1 (un − ū − u − ū) .<br />
Pertanto, un − ū tende a u − ū: ciò prova che {un} converge (fortemente) a u.<br />
Dimostriamo ora la seconda parte di (1.4.3), per assurdo: supponiamo che ψ(·, λ) ammetta<br />
un minimo locale non globale; essendo debolmente s.c.i. e coercivo, questo funzionale<br />
ha anche un minimo globale, cioè ha due distinti punti di minimo locale; allora il Teorema<br />
3.17 (sempre per χ ≡ 0) garantisce l’esistenza di un terzo punto critico, così che anche il
Un problema di Dirichlet 73<br />
funzionale Φλ (che differisce da ψ(·, λ) per una costante) avrebbe almeno tre punti critici,<br />
contro l’ipotesi iniziale.<br />
Possiamo applicare il Teorema 1.4 e ottenere l’eguaglianza di <strong>minimax</strong> seguente:<br />
(6.1) sup inf ψ(u, λ) = inf<br />
u∈X sup ψ(u, λ) =: α.<br />
λ∈Λ u∈X<br />
λ∈Λ<br />
Poiché la funzione λ ↦→ inf ψ(u, λ) è s.c.s. e vale<br />
u∈X<br />
esiste ¯ λ ∈ Λ tale che<br />
lim<br />
λ→+∞ inf ψ(u, λ) = −∞,<br />
u∈X<br />
α = inf<br />
u∈X ψ(u, ¯ λ).<br />
D’altra parte, un ragionamento analogo a quello svolto all’inizio <strong><strong>del</strong>la</strong> dimostrazione<br />
permette di stabilire che<br />
α = inf<br />
u∈J −1 u − ū<br />
(ρ)<br />
p<br />
p<br />
(in particolare, α > 0); di conseguenza, (6.1) assume la forma seguente:<br />
(6.2) inf<br />
u∈X Φ¯ λ (u) = inf<br />
J(u)=ρ Φ¯ λ (u).<br />
A questo punto, vediamo che ¯ λ > 0 (altrimenti avremmo α = 0); inoltre, osserviamo<br />
che v1, v2 sono punti di minimo globale per la restrizione di Φ¯ λ all’insieme J −1 (ρ), sicché,<br />
per (6.2), punti di minimo globale per Φ¯ λ tout court: ancora dal Teorema 3.17, allora, Φ¯ λ<br />
(che ovviamente soddisfa la condizione di Palais–Smale) ammette almeno tre punti critici,<br />
contro l’ipotesi iniziale.<br />
La contraddizione raggiunta prova l’asserto. <br />
Due parole sulla condizione (6.2.3): essa è stata formulata in modo da adattare al contesto<br />
generale dei funzionali localmente lipschitziani l’idea di compattezza <strong><strong>del</strong>la</strong> derivata<br />
espressa dalla condizione (6.1.3), che nel risultato originario era usata per provare la condizione<br />
di Palais–Smale; nelle applicazioni, come si vedrà nelle Sezioni 5.2 e 5.3, (6.2.3)<br />
segue dalle immersioni compatte degli spazi di Sobolev in convenienti spazi di Lebesgue, e<br />
osserviamo che (6.2.3) implica la più usuale condizione (S+) per la derivata generalizzata<br />
di Φλ (si veda il teso di Motreanu e Panagiotopoulos [81]).<br />
6.2 Un problema di Dirichlet con nonlinearità discontinua<br />
In questa Sezione presentiamo, come applicazione <strong>del</strong> Teorema 6.2, un risultato di molteplicità<br />
per le soluzioni di un problema di Dirichlet su un dominio limitato con nonlinearità<br />
fortemente discontinua, <strong>del</strong> genere di quelli esaminati nella Sezione 4.4.<br />
Siano Ω un dominio limitato in R N (N ∈ N, N > 2) con frontiera regolare ∂Ω,<br />
f : Ω × R → R una funzione tale che f(·, s) è misurabile per ogni s ∈ R; siamo inoltre Ω0
74 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
un sottoinsieme misurabile di Ω con misura nulla, k > 0 e r ∈]1, 2[ tali che siano verificate<br />
le seguenti condizioni:<br />
(6.3) |f(x, s)| ≤ k(1 + |s| r−1 ) per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ R;<br />
(6.4) D = <br />
x∈Ω\Ω0<br />
{s ∈ R : f(x, ·) è discontinua in s} ha misura nulla.<br />
Definite f− e f+ come nella Sezione 4.4, assumiamo che esse siano sup–misurabili e<br />
verifichino<br />
(6.5) f(x, s) = 0 per ogni x ∈ Ω \ Ω0, s ∈ D tali che f−(x, s) ≤ 0 ≤ f+(x, s).<br />
Definito il potenziale F : Ω × R → R ponendo<br />
F (x, s) =<br />
s<br />
0<br />
f(x, t)dt,<br />
introduciamo la seguente, cruciale ipotesi di non–convessità: esistano un sottoinsieme<br />
aperto e non vuoto Ω1 di Ω e s1, s2, s3, σ1, σ2 ∈ R con s1 < s2 < s3, σ1 < σ2, tali<br />
che<br />
(6.6) F (x, s2) ≤ σ1 < σ2 ≤ min{F (x, s1), F (x, s3)} per q.o. x ∈ Ω1.<br />
Sotto queste ipotesi, studiamo il problema di Dirichlet<br />
(6.7)<br />
<br />
−∆u = λf(x, ¯ u + ū(x))<br />
u = 0<br />
in Ω<br />
in ∂Ω ,<br />
dipendente dai dati ¯ λ ∈]0, +∞[, ū ∈ C ∞ 0<br />
molteplicità:<br />
(Ω); possiamo enunciare il seguente risultato di<br />
Teorema 6.3. Siano Ω, f come sopra. Allora, esistono ¯ λ > 0 e ū ∈ C∞ 0 (Ω) tali che il<br />
problema (6.7) ammette almeno tre soluzioni.<br />
Dimostrazione. Applicheremo il Teorema 6.2 ponendo X = W 1,2<br />
0 (Ω) (che come spazio<br />
di Hilbert ha tutte le proprietà richieste), S = C∞ 0 (Ω) (sottospazio vettoriale denso di X),<br />
p = 2 e definendo J = −JF : dai risultati <strong><strong>del</strong>la</strong> Sezione 4.4, infatti, segue che J è localmente<br />
lipschitziano (cambia solo il nome <strong><strong>del</strong>la</strong> funzione...).<br />
Per dimostrare che J è sequenzialmente debolmente continuo, rammentiamo che per<br />
ogni ν ∈ [1, 2 ∗ [ l’immersione X ↩→ L ν (Ω) è compatta, con costante cν > 0 ([110], Theorem<br />
A.5); da (6.3) e dal Teorema 3.7 segue che per ogni u, v ∈ X si ha<br />
(6.8) |J(u) − J(v)| ≤ ku − v1 + k u r−1<br />
r<br />
+ v r−1<br />
r u − vr.<br />
Sia {un} una successione in X debolmente convergente a u ∈ X: esiste una sottosuccessione<br />
{unk } tale che unk − u1 e unk − ur tendono entrambe a 0, da cui, usando
Un problema di Dirichlet 75<br />
(6.8), è facile dedurre che J(unk ) → J(u); si può poi risalire alla successione originaria,<br />
concludendo che J(un) → J(u).<br />
Proviamo adesso che J soddisfa l’ipotesi (6.2.1): senza perdita di generalità possiamo<br />
assumere, in (6.6), che s1 > 0; poniamo quindi<br />
K = k(s3 + s r 3), ρ = − σ1 + σ2<br />
2<br />
m(Ω1)<br />
e denotiamo Ω2 un insieme aperto tale che cl(Ω1) ⊂ Ω2 e cl(Ω2) ⊂ Ω, richiedendo anche<br />
che<br />
m(Ω2 \ Ω1) < σ2 − σ1<br />
2K m(Ω1).<br />
Con tecniche usuali, costruiamo u1 ∈ C ∞ 0 (Ω) tale che u1∞ = s1 e<br />
inoltre, poniamo u2 = s2<br />
u1 e u3 =<br />
s1<br />
s3<br />
s1<br />
<br />
s1 se x ∈ Ω1<br />
u1(x) =<br />
;<br />
0 se x ∈ Ω \ Ω2<br />
u3. Da (6.3) segue che per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R<br />
(6.9) |F (x, s)| ≤ k (|s| + |s| r ) ,<br />
da cui<br />
<br />
J(u1) = −<br />
Ω1<br />
u1, così che u2 giace sul segmento di estremi u1 e<br />
<br />
F (x, s1)dx − F (x, u1(x))dx<br />
Ω2\Ω1<br />
≤ −σ2m(Ω1) + Km(Ω2 \ Ω1)<br />
< −σ2m(Ω1) + σ2 − σ1<br />
2<br />
m(Ω1) = ρ.<br />
Similmente, ricaviamo J(u2) > ρ , J(u3) < ρ; dunque l’insieme J ρ non è convesso.<br />
Proviamo ora che J soddisfa l’ipotesi (6.2.2): per ogni u ∈ X si ha<br />
che implica<br />
|J(u)| ≤ k (c1u + c r ru r ) ,<br />
J(u)<br />
lim = 0.<br />
u→+∞ u2 Infine proviamo che J soddisfa l’ipotesi (6.2.3): sia {un} una successione in X debolmente<br />
convergente a u ∈ X; possiamo allora assumere che, per un opportuno M > 0, si<br />
abbia un ≤ M per ogni n ∈ N e che esista una sottosuccessione {unk } tale che<br />
sicché<br />
lim k unk − u1 = lim k unk − ur = 0,<br />
J ◦ (unk ; u − unk ) ≤<br />
<br />
Ω<br />
k 1 + |unk |r−1 dx<br />
≤ ku − unk 1 + kc r−1<br />
r Mu − unk r,
76 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
da cui chiaramente segue<br />
lim sup J<br />
k<br />
◦ (unk ; u − unk ) ≤ 0.<br />
Il Teorema 6.2, a questo punto, assicura l’esistenza di ū ∈ S e di ¯ λ > 0 tali che il<br />
funzionale Φ¯ λ : X → R definito ponendo per ogni u ∈ X<br />
Φ¯ λ (u) =<br />
ammette almeno tre punti critici in X.<br />
u − ū2<br />
2<br />
+ ¯ λJ(u)<br />
Rimane da provare che questi inducono altrettante soluzioni di (6.7): ragioniamo come<br />
nella Sezione 4.4, definendo una funzione h ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
poiché ū ∈ C ∞ 0<br />
(4.13).<br />
h(x, s) = ¯ λf(x, s + ū(x));<br />
(Ω), non è difficile stabilire che h soddisfa le condizioni (4.11), (4.12) e<br />
Detto u ∈ X un punto critico di Φ¯ λ , ragionando come nel Lemma 4.3, si individua una<br />
funzione u∗ ∈ Lr′ (Ω) tale che per ogni v ∈ X<br />
<br />
<br />
(∇u(x) − ∇ū(x)) · ∇v(x)dx =<br />
ovvero si ha, in senso debole,<br />
Ω<br />
−∆u = u ∗ ;<br />
Ω<br />
u ∗ (x)v(x)dx,<br />
poiché r ′ < 2, si ha u ∗ ∈ L 2 (Ω), da cui per classici risultati di regolarità si deduce che<br />
u − ū ∈ W 2,2<br />
loc<br />
(Ω) (si veda per esempio Evans [42], p. 309).<br />
Applichiamo infine il Lemma 4.10, stabilendo che u − ū è una soluzione di (6.7): tale<br />
problema ha pertanto almeno tre soluzioni distinte, e la dimostrazione può dirsi conclusa.<br />
<br />
Chiudiamo questa Sezione presentando due esempî in cui, per semplicità, esaminiamo<br />
<strong>problemi</strong> autonomi: il secondo è probabilmente più interessante, a dispetto di una definizione<br />
poco maneggevole <strong><strong>del</strong>la</strong> nonlinearità, perché essa presenta un insieme infinito e non<br />
discreto di punti di discontinuità.<br />
Esempio 6.4. Siano Ω come sopra e f : R → R definita da<br />
<br />
0 se s ≤ 1<br />
f(s) =<br />
ln(s) − 1 se s > 1 .<br />
Si vede facilmente che le condizioni (6.3), (6.4), (6.5), (6.6) sono soddisfatte (in particolare,<br />
il solo punto di discontinuità di f è 1): dunque, per il Teorema 6.3, esistono ¯ λ > 0<br />
e ū ∈ C∞ 0 (Ω) tali che il problema<br />
<br />
−∆u = λ¯ ln(u + ū(x)) − 1 in Ω<br />
u = 0 in ∂Ω<br />
ammette almeno tre soluzioni.
Un’inclusione differenziale 77<br />
Esempio 6.5. Siano Ω come sopra, r ∈]1, 2[ e f : R → R definita da<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
−1 se s ≤ 0<br />
f(s) = s<br />
⎪⎩<br />
r−1 n + 1<br />
− se<br />
n<br />
1 1<br />
≤ s < (n ∈ N, n > 1)<br />
n n − 1<br />
sr−1 .<br />
− 1 se s ≥ 1<br />
Questa nonlinearità soddisfa tutte le nostre ipotesi: la condizione (6.3) è banalmente<br />
verificata per k = 2; la condizione (6.4) segue da<br />
D =<br />
1<br />
n<br />
<br />
: n ∈ N ;<br />
per verificare la condizione (6.5) basta considerare il punto di discontinuità s = 1, e<br />
osservare che f(1) = 0; la condizione (6.6) si prova rilevando che<br />
di modo che esiste ¯s > 1 tale che<br />
lim F (s) = +∞,<br />
s→+∞<br />
F (0) = 0 < 1 = min{F (−1), F (¯s)}.<br />
Dunque, per il Teorema 6.3, esistono ¯ λ > 0 e ū ∈ C ∞ 0<br />
ammette almeno tre soluzioni.<br />
6.3 Un’inclusione differenziale su una striscia<br />
(Ω) tali che il problema (6.7)<br />
In questa Sezione applichiamo il Teorema 6.2 per stabilire un risultato di molteplicità per<br />
un’inclusione differenziale su un dominio illimitato di tipo particolare: una striscia, vale a<br />
dire un dominio dotato di una palese simmetria assiale, sul quale studieremo un problema<br />
incentrato su un potenziale che presenta lo stesso tipo di simmetria.<br />
Siano m, N ∈ N tali che N ≥ m + 2, ω ⊂ R m un dominio limitato con frontiera ∂ω<br />
regolare tale che 0 ∈ ω, e Ω = ω × R N−m ; nel trattare <strong>problemi</strong> variazionali su dominî<br />
illimitati, la mancanza di immersioni compatte degli spazi di Sobolev in opportuni spazi<br />
di Lebesgue rappresenta un impedimento severo, che in casi particolari quale è quello in<br />
esame può essere eluso tramite il ricorso ai gruppi di isometrie.<br />
Denotiamo O(R N ) il gruppo <strong>del</strong>le isometrie lineari di R N e G il sottogruppo di O(R N )<br />
formato dalle isometrie lineari che lasciano invariate le prime m coordinate (vale a dire G =<br />
{idR m} × O(RN−m )): osserviamo che Ω è G–invariante; nel séguito, diremo simmetriche le<br />
funzioni definite su Ω invarianti rispetto a G (geometricamente, si tratta di una simmetria<br />
assiale o cilindrica).<br />
Sia p ∈]1, N[; definiamo l’azione di G sullo spazio W 1,p (Ω) ponendo per ogni (g, u) ∈<br />
G × W 1,p (Ω) e ogni x ∈ Ω<br />
gu(x) = u(g −1 x).
78 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
Si vede facilmente che G è un gruppo topologico compatto e che la sua azione su<br />
W 1,p (Ω) è lineare e isometrica; i punti fissi rispetto a tale azione formano un sottospazio<br />
chiuso<br />
W 1,p<br />
G (Ω) = {u ∈ W 1,p (Ω) : gu = u per ogni g ∈ G}<br />
(richiamiamo qui i contenuti <strong><strong>del</strong>la</strong> Sezione 3.4).<br />
Restringendoci a questo sottospazio, riguadagniamo la compattezza <strong>del</strong>le immersioni,<br />
grazie al seguente Lemma dovuto a Lions:<br />
Lemma 6.6. ([76], Lemme III.2) L’immersione W 1,p<br />
G (Ω) ↩→ Lν (Ω) è continua (con<br />
costante d’immersione cν > 0) per ogni ν ∈ [p, p ∗ ], e compatta per ogni ν ∈]p, p ∗ [.<br />
(In effetti, il risultato originale di Lions riguarda il caso p = 2, ma nel caso generale<br />
qui considerato la dimostrazione è praticamente identica.)<br />
Siano inoltre F : Ω × R → R una funzione tale che F (x, 0) = 0 per q.o. x ∈ Ω, F (·, s) è<br />
misurabile e simmetrica per ogni s ∈ R e F (x, ·) è localmente lipschitziana per q.o. x ∈ Ω,<br />
r ∈]1, p[, a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) una funzione non–negativa, R ∈]0, 1[ tale che B(0, R) ⊂ Ω e<br />
s1 < s2 < s3, σ1 < σ2 numeri reali, e siano verificate le seguenti condizioni:<br />
(6.10) |ξ| ≤ a(x)(1 + |s| r−1 ) per q.o. x ∈ Ω e ogni s ∈ R, ξ ∈ ∂F (x, s);<br />
(6.11) F (x, s2) ≤ σ1 < σ2 ≤ min{F (x, s1), F (x, s3)} per q.o. x ∈ B(0, R).<br />
Sotto queste ipotesi, studiamo la seguente inclusione differenziale: trovare u ∈ W 1,p (Ω)<br />
tale che<br />
(6.12) −∆pu + |u| p−2 u ∈ ¯ λ∂sF (x, u + ū(x)) per q.o. x ∈ Ω,<br />
dipendente dai dati ¯ λ ∈]0, +∞[, ū ∈ C ∞ (Ω); possiamo enunciare il seguente risultato di<br />
molteplicità:<br />
Teorema 6.7. Siano Ω, p, F come sopra. Allora, esistono ¯ λ > 0 e ū ∈ C ∞ (Ω)<br />
simmetrica tali che il problema (6.12) ammette almeno tre soluzioni simmetriche.<br />
Dimostrazione. S’intende applicare il Teorema 6.2 nel seguente contesto: siano X =<br />
W 1,p<br />
G (Ω) (spazio di Banach uniformemente convesso con duale strettamente convesso, si<br />
veda Adams [1]), S = X ∩ C∞ (Ω) (sottospazio vettoriale denso di X), J : X → R definito<br />
per ogni u ∈ X da<br />
J(u) = −JF (u).<br />
Scelto q ∈]p, p ∗ [, per il Lemma 6.6 l’immersione X ↩→ L q (Ω) è continua (con costante<br />
cq > 0) e compatta: per il Lemma 4.1, J è localmente lipschitziano.<br />
Al fine di dimostrare che questo funzionale è sequenzialmente debolmente continuo,<br />
consideriamo una successione {un} in X debolmente convergente a u ∈ X: passando a<br />
un’estratta, possiamo supporre che un, u ≤ M per ogni n ∈ N (per un conveniente
Un’inclusione differenziale 79<br />
M > 0) e che un −uq → 0, mentre si vede facilmente che a ∈ Lν (Ω) per ogni ν ∈]1, +∞[;<br />
per ogni n ∈ N si ha<br />
<br />
|J(un) − J(u)| ≤ a(x)(1 + |un(x)| r−1 + |u(x)| r−1 )|un(x) − u(x)|dx<br />
da cui J(un) → J(u).<br />
≤<br />
Ω<br />
<br />
aq ′ + 2a q<br />
q−r cr−1 q M r−1<br />
un − uq,<br />
Proviamo ora che è verificata la condizione (6.2.1): assumendo (senza perdita di generalità)<br />
che s1 > 0, fissiamo un numero reale δ tale che<br />
e R1 > R tale che B(0, R1) ⊂ Ω e<br />
denotiamo poi<br />
ρ = − σ1 + σ2<br />
2<br />
e proviamo che l’insieme J ρ non è convesso.<br />
0 < δ < (σ2 − σ1)m(B(0, R))<br />
2a∞(s3 + s r 3 )<br />
m(B(0, R1) \ B(0, R)) < δ;<br />
m(B(0, R)) − a∞(s3 + s r 3)δ<br />
È possibile costruire una funzione simmetrica u1 ∈ C∞ (Ω) tale che u∞ = s1 e<br />
<br />
s1 se x ∈ B(0, R)<br />
u1(x) =<br />
0 se x ∈ Ω \ B(0, R1) ;<br />
inoltre poniamo u2 = s2<br />
u1 e u3 =<br />
s1<br />
s3<br />
s1<br />
Da quanto sopra segue che<br />
<br />
J(u1) = −<br />
B(0,R))<br />
u1, così che u2 giace sul segmento [u1, u3].<br />
<br />
F (x, s1)dx −<br />
B(0,R1)\B(0,R)<br />
F (x, u1(x))dx<br />
<br />
<br />
≤ − σ2dx −<br />
a(x)(|u1(x)| + |u1(x)|<br />
B(0,R))<br />
B(0,R1)\B(0,R)<br />
r )dx<br />
≤ −σ2 m(B(0, R)) + a∞(s3 + s r 3)δ < ρ;<br />
analogamente si ricava J(u2) > ρ, J(u3) < ρ, ergo l’insieme J ρ non è convesso.<br />
Le condizioni (6.2.2) e (6.2.3) sono verificate <strong>del</strong> pari: per provarlo, si procede come<br />
nel Teorema 6.3.<br />
Dunque, per il Teorema 6.2, esistono ū ∈ S e ¯ λ > 0 tali che la restrizione a X <strong>del</strong><br />
funzionale Φ : W 1,p (Ω) → R definito per ogni u ∈ W 1,p (Ω) da<br />
Φ(u) =<br />
u − ūp<br />
p<br />
+ ¯ λJ(u)
80 Capitolo 6. Problemi con perturbazione interna<br />
ammette almeno tre punti critici.<br />
Osserviamo che Φ è G–invariante: infatti, rammentando che l’azione di G su W 1,p (Ω) è<br />
lineare e isometrica, che ū è una funzione simmetrica e che F (·, s) è anch’essa simmetrica<br />
per ogni s ∈ R, si deduce che per ogni g ∈ G e ogni u ∈ W 1,p (Ω)<br />
gu − ūp<br />
Φ(gu) = −<br />
p<br />
¯ <br />
λ F (x, u(g<br />
Ω<br />
−1 x))dx<br />
= g(u − ū)p<br />
−<br />
p<br />
¯ <br />
λ F (g<br />
Ω<br />
−1 x, u(g −1 x))dx<br />
= u − ūp<br />
−<br />
p<br />
¯ <br />
λ F (y, u(y))dy = Φ (u).<br />
Per il Teorema 3.20 (adattato al caso χ ≡ 0), il funzionale Φ ha tre punti critici: rimane<br />
solo da constatare che, se u ∈ X è un punto critico di Φ, u − ū è una soluzione di (6.12),<br />
e questo segue dal Lemma 4.3.<br />
Possiamo concludere la dimostrazione stabilendo che (6.12) ammette almeno tre distinte<br />
soluzioni simmetriche. <br />
Presentiamo un esempio di problema <strong>del</strong> tipo (6.12) che si presta a essere risolto<br />
mediante il Teorema 6.7: in esso appare un tipico potenziale localmente lipschitziano,<br />
ottenuto “incollando” i grafici di funzioni con derivata continua.<br />
Esempio 6.8. Si consideri la striscia Ω =]−1, 1[×R 2 , e si scelgano numeri reali 1 < r <<br />
p < 3; sia poi a ∈ L ∞ (Ω) ∩ L 1 (Ω) una funzione non–negativa e simmetrica e si definisca il<br />
potenziale F ponendo per ogni (x, s) ∈ Ω × R<br />
F (x, s) = a(x) (1 − ||s| r − 1|) .<br />
Tutte le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 6.7 sono soddisfatte: pertanto, per un’opportuna funzione<br />
simmetrica ū ∈ C ∞ (Ω) e un opportuno ¯ λ > 0, l’inclusione differenziale (6.12) ammette<br />
almeno tre soluzioni simmetriche.<br />
Ω
Capitolo 7<br />
Punti di biforcazione per sistemi<br />
hamiltoniani<br />
La <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> biforcazione è una disciplina complessa e dotata di applicazioni in vari<br />
settori <strong>del</strong>l’analisi matematica: in modo alquanto grossolano ma efficace, possiamo descriverne<br />
lo spirito dicendo che questa <strong>teoria</strong> studia <strong>problemi</strong> dipendenti da un parametro,<br />
con particolare attenzione a quei valori <strong>del</strong> parametro in prossimità dei quali il numero<br />
<strong>del</strong>le soluzioni <strong>del</strong> problema cambia.<br />
Un’esposizione esauriente <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> biforcazione si può trovare nella monografia<br />
[23] che Chow e Hale hanno dedicato all’argomento (rimandiamo il lettore anche al testo<br />
di Ambrosetti e Prodi [2], che contiene diversi interessanti risultati): da essa traiamo la<br />
seguente, generalissima Definizione.<br />
Definizione 7.1. ([23], p. 2) Siano (X, τX), (Y, τY ) spazi topologici, Σ ⊂ X × Y un<br />
insieme non vuoto e x ∈ X: x è un punto di biforcazione per Σ se esistono y ∈ Σx e tre<br />
successioni {xn} in X, {y 1 n}, {y 2 n} in Y tali che y 1 n, y 2 n ∈ Σxn, y 1 n = y 2 n per ogni n ∈ N e<br />
lim n xn = x, lim n y 1 n = lim n y 2 n = y.<br />
La Definizione 7.1 formalizza l’idea seguente: si consideri un problema, dipendente<br />
da un parametro x ∈ X, le cui soluzioni sono da cercare in Y , e Σ sia definito come<br />
l’insieme <strong>del</strong>le coppie (x, y) tali che y è soluzione <strong>del</strong> problema indotto dal valore x <strong>del</strong><br />
parametro; allora x ∈ X è un punto di biforcazione per Σ se induce un problema che<br />
ammette (almeno) una soluzione y ∈ Y tale che, per valori <strong>del</strong> parametro prossimi a x, i<br />
<strong>problemi</strong> corrispondenti hanno due soluzioni distinte prossime a y.<br />
Di solito, questo approccio viene seguito nello studio di <strong>problemi</strong> dipendenti da un<br />
parametro reale (X = R): in questo Capitolo esamineremo invece (nello stesso spirito <strong>del</strong><br />
Capitolo 6) <strong>problemi</strong> dipendenti da un elemento <strong>del</strong>lo stesso spazio in cui cerchiamo le<br />
soluzioni (X = Y ), riprendendo i risultati stabiliti da Faraci e dall’autore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente<br />
tesi in [47].<br />
Più precisamente, ci occuperemo di sistemi hamiltoniani, stabilendo che, sotto opportune<br />
ipotesi, i punti di biforcazione per un sistema non lineare costituiscono un insieme<br />
81
82 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
“grande” (ovvero, non σ–compatto); seguendo un metodo simile, proveremo anche un<br />
risultato di esistenza di soluzioni non banali per un sistema lineare dipendente da un<br />
parametro reale e da una funzione.<br />
Il Capitolo ha la seguente scansione: dapprima introdurremo alcune definizioni sugli<br />
operatori non lineari fra spazi di Hilbert e due recenti risultati di Ricceri [100] sui punti<br />
singolari di tali operatori, che saranno i nostri strumenti principali (Sezione 7.1); quindi<br />
presenteremo in termini generali l’impostazione variazionale per i sistemi hamiltoniani<br />
(Sezione 7.2); infine esporremo i nostri risultati relativi a sistemi non lineari (Sezione 7.3)<br />
e lineari (Sezione 7.4).<br />
7.1 Punti singolari di operatori non lineari<br />
Premettiamo ai risultati di questa Sezione alcune Definizioni che saranno utilizzate nel<br />
séguito: la prima è espressa in forma di chiasmo.<br />
Definizione 7.2. Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert, T : X → X un operatore: un<br />
punto regolare di T è un punto u ∈ X tale che esistono due sottoinsiemi aperti U e V di X<br />
tali che u ∈ U, T (u) ∈ V e la restrizione di T a U è un omeomorfismo fra U e V ; un punto<br />
singolare di T è un punto non regolare, e ST denota l’insieme dei punti singolari di T ; un<br />
valore singolare è un punto v ∈ T (ST ); un valore regolare è un punto v ∈ T (X) \ T (ST ).<br />
Infine, se T ∈ C 1 (X, X), si pone<br />
ˆST = u ∈ X : T ′ (u) ∈ L(X, X) non è suriettivo .<br />
In margine alla Definizione 7.2, precisiamo quanto segue: dati uno spazio di Hilbert<br />
(X, · ) e un operatore T ∈ C 1 (X, X), per ogni u ∈ X la derivata secondo Gâteaux<br />
di T in u è definita come un operatore lineare continuo T ′ (u) ∈ L(X, X), e la mappa<br />
T ′ : X → L(X, X) è continua.<br />
Osserviamo anche che, nelle medesime ipotesi, l’insieme ˆ ST è chiuso: difatti, si verifica<br />
facilmente che l’insieme degli operatori suriettivi è aperto in L(X, X) (si usa [2], Proposition<br />
1.1), e X \ ˆ ST coincide con la retroimmagine di tale insieme tramite la mappa continua<br />
T ′ ; quindi X \ ˆ ST è aperto.<br />
Rammentiamo anche la seguente nozione topologica:<br />
Definizione 7.3. Siano (X, τ) uno spazio topologico, S un sottoinsieme di X: S è<br />
σ–compatto se esiste una successione {Sn} di sottoinsiemi compatti di X tale che<br />
S = <br />
Sn.<br />
n∈N<br />
Osserviamo che, se X è uno spazio di Hilbert di dimensione infinita, gli insiemi σ–<br />
compatti in X si possono considerare “piccoli” in quanto, per esempio, tali insiemi non<br />
possiedono punti interni: a converso, un insieme non σ–compatto sarà considerato “grande”.<br />
Il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> “grandezza” <strong>del</strong>l’insieme dei punti singolari di un operatore non<br />
lineare è classico: in spazi di dimensione finita, un celebre risultato di Sard assicura che,
Punti singolari 83<br />
sotto opportune ipotesi, tale insieme ha misura nulla (si veda [105]); Smale ha in un certo<br />
senso esteso questo risultato al caso di spazi di dimensione infinita, provando in [108] che<br />
i punti singolari di una certa classe di operatori formano insiemi di prima categoria (nel<br />
senso di Baire); altri importanti risultati di struttura per l’insieme dei punti singolari di<br />
un operatore non lineare sono quelli di Plastock [87] e di Sadyrkhanov [103].<br />
In [100], Ricceri ha individuato per la prima volta una classe generale di operatori<br />
potenziali fra spazi di Hilbert che hanno insiemi di punti (e di valori) singolari non σ–<br />
compatti, servendosi di ipotesi di non–quasi–convessità e, indirettamente, <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>minimax</strong> (come nel Teorema 6.1), sotto una ulteriore condizione di positiva omogeneità:<br />
di séguito richiamiamo il risultato principale.<br />
Teorema 7.4. ([100], Theorem 1) Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert con dim(X) =<br />
∞, J ∈ C 1 (X, R) un funzionale verificante le seguenti condizioni:<br />
(7.4.1) J è sequenzialmente debolmente s.c.i.;<br />
<br />
<br />
(7.4.2) esiste ρ ∈ inf J(u), sup J(u)<br />
u∈X u∈X<br />
tale che J ρ non è convesso;<br />
(7.4.3) esiste α ∈]1, 2[ tale che J(µu) = µ α J(u) per ogni µ > 0, u ∈ X.<br />
Inoltre, l’operatore T : X → X definito per ogni u ∈ X da<br />
T (u) = u + J ′ (u)<br />
sia chiuso. Allora, gli insiemi ST e T (ST ) non sono σ–compatti.<br />
Nel seguente risultato, anch’esso dovuto a Ricceri, la positiva omogeneità <strong>del</strong> funzionale<br />
espressa dalla condizione (7.4.3) è rimpiazzata dalla comparsa di un parametro reale, e la<br />
tesi è decisamente più tecnica.<br />
Teorema 7.5. ([100], Theorem 3) Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert con dim(X) ≥<br />
3, J ∈ C 2 (X, R) un funzionale verificante le seguenti condizioni:<br />
(7.5.1) J ′ : X → X è compatto;<br />
<br />
<br />
(7.5.2) esiste ρ ∈ inf J(u), sup J(u)<br />
u∈X u∈X<br />
tale che J ρ non è convesso;<br />
J(u)<br />
(7.5.3) lim inf ≥ 0.<br />
u→+∞ u2 Inoltre, per ogni λ > 0 sia definito l’operatore Tλ : X → X ponendo per ogni u ∈ X<br />
e sia verificata<br />
(7.5.4) lim<br />
u→+∞ Tλ(u) = +∞.<br />
Tλ(u) = u + λJ ′ (u),
84 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
Allora, esiste ¯ λ > 0 tale che l’insieme ˆ ST¯ λ contiene almeno un punto di accumulazione.<br />
Un’altra nozione cui faremo riferimento nel séguito è quella di operatore proprio, di<br />
cui ricordiamo la definizione.<br />
Definizione 7.6. Siano (X; τ) uno spazio topologico, T : X → X un operatore: T è<br />
proprio se T −1 (K) è compatto per ogni sottoinsieme compatto K di X.<br />
Un’importante classe di operatori proprî è individuata dal seguente risultato di Sadyrkhanov.<br />
Teorema 7.7. ([103], Theorem 1.1) Siano (X, ·) uno spazio di Hilbert con dim(X) =<br />
∞, T : X → X un operatore continuo, chiuso e non costante. Allora, T è proprio.<br />
Infine, includiamo per completezza il classico Teorema <strong>del</strong>l’invarianza <strong>del</strong> dominio,<br />
enunciato in una forma adatta ai nostri scopi.<br />
Teorema 7.8. ([117], Theorem 16.C) Siano (X, · ) uno spazio di Hilbert, O un<br />
sottoinsieme aperto di X, R : O → X un operatore continuo e compatto. Inoltre l’operatore<br />
T : O → X definito per ogni u ∈ O da<br />
sia iniettivo. Allora, T è aperto.<br />
T (u) = u + R(u)<br />
7.2 Alcuni richiami sui sistemi <strong>del</strong> secondo ordine<br />
In questa Sezione richiamiamo alcuni elementi <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>teoria</strong> dei sistemi di equazioni differenziali<br />
ordinarie <strong>del</strong> secondo ordine con condizioni agli estremi periodiche, quale è esposta nel<br />
testo di Mawhin e Willem [80]: denotato I = [0, 1], siano N ∈ N (N > 1) e A(·) = [aij(·)]<br />
una matrice simmetrica N × N i cui termini sono funzioni aij ∈ L ∞ (I) (i, j = 1, . . . N), e<br />
sia verificata, per un opportuno ν > 0, la seguente condizione:<br />
(7.1) (A(x)s) · s ≥ ν|s| 2 per q.o. x ∈ I e ogni s ∈ R N .<br />
Il simbolo H1 1 indica lo spazio <strong>del</strong>le funzioni u ∈ L2 (I, RN ) che ammettono derivata<br />
debole ˙u ∈ L2 (I, RN ) e verificano u(0) = u(1): in particolare, ogni u ∈ H1 1 è una funzione<br />
assolutamente continua, sicché ammette una derivata classica, coincidente con ˙u, quasi<br />
si può definire un prodotto scalare ponendo per ogni<br />
ovunque in I; in forza di (7.1), su H1 1<br />
u, v ∈ H1 1<br />
1<br />
〈u, v〉 =<br />
0<br />
[ ˙u(x) · ˙v(x) + (A(x)u(x)) · v(x)] dx,<br />
e questo induce una norma definita per ogni u ∈ H 1 T da<br />
<br />
1<br />
u = [| ˙u(x)| 2 + (A(x)u(x)) · u(x)] dx.<br />
Il seguente Lemma stabilisce le proprietà di H 1 1 :<br />
0
Sistemi non lineari 85<br />
Lemma 7.9. ([80], Chapter 1 passim) (H1 1 , · ) è uno spazio di Hilbert di dimensione<br />
infinita, e l’immersione H1 1 ↩→ C0 (I, R) è compatta (con costante c > 0).<br />
Sia G : I × R N → R N una funzione di Carathéodory; ci occuperemo di sistemi <strong>del</strong> tipo<br />
seguente:<br />
(7.2)<br />
⎧<br />
⎨<br />
⎩<br />
ü = A(x)u + G(x, u) in I<br />
u(1) − u(0) = ˙u(1) − ˙u(0) = 0<br />
Secondo la definizione corrente, una soluzione di (7.2) è una funzione u ∈ H1 1<br />
per ogni v ∈ H1 1 si abbia<br />
1<br />
(7.3)<br />
0<br />
[ ˙u(x) · ˙v(x) + (A(x)u(x)) · v(x) + G(x, u(x)) · v(x)] dx = 0.<br />
La precedente definizione è motivata dal ragionamento che segue: se u ∈ H1 1<br />
sopra, si dimostra che in realtà u ∈ C1 (I, RN ) con derivata ˙u ∈ H1 1<br />
tale che<br />
è come<br />
; ne segue che ˙u(1) =<br />
˙u(0), e che ˙u ammette una derivata debole ü, che verifica per q.o. x ∈ I<br />
(si veda [80], Section 1.4).<br />
ü(x) = A(x)u(x) + G(x, u(x))<br />
7.3 Biforcazione per sistemi non lineari<br />
Nella presente Sezione studieremo un sistema <strong>del</strong> tipo (7.2) in cui la nonlinearità è rappresentata<br />
dal gradiente di una funzione scalare, detta potenziale: questi sistemi sono chiamati<br />
hamiltoniani e per essi si può formulare una <strong>teoria</strong> variazionale (alcuni autori riservano la<br />
denominazione di “sistemi hamiltoniani” a un altro tipo di <strong>problemi</strong>, e chiamano questi,<br />
invece, “sistemi gradienti”).<br />
Siano I, A come nella Sezione 7.2, e sia F : I × RN → R una funzione tale che F (·, s)<br />
è misurabile per ogni s ∈ RN e F (x, ·) ∈ C1 (RN , R) per q.o. x ∈ I; supponiamo inoltre<br />
che esistano a ∈ C0 (R, R) e b ∈ L1 (I) non–negative tali che per q.o. x ∈ I e ogni s ∈ RN <br />
<br />
(7.4) max |F (x, s)| , <br />
∂F <br />
(x, s) <br />
∂si<br />
<br />
<br />
: i = 1, . . . N ≤ a(|s|)b(x).<br />
Inoltre, assumiamo che F non sia convessa rispetto alla seconda variabile, ovvero che<br />
esistano un intervallo chiuso I0 ⊂]0, 1[, s1, s2 ∈ R N (s1 = s2), τ ∈]0, 1[ e σ1, σ2 ∈ R tali<br />
che per q.o. x ∈ I0<br />
(7.5) max {F (x, s1), F (x, s2)} ≤ σ1 < σ2 ≤ F (x, τs1 + (1 − τ)s2) .<br />
Infine, supponiamo che F sia positivamente omogenea rispetto alla seconda variabile<br />
con esponente α ∈]1, 2[, cioè che per q.o. x ∈ I e ogni s ∈ R N<br />
(7.6) F (x, µs) = µ α F (x, s).
86 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
Notiamo che in (7.4) si può scegliere, senza perdita di generalità, a crescente, mentre<br />
da (7.6) segue che F (x, 0) = 0 per q.o. x ∈ I.<br />
(7.7)<br />
Data una funzione v ∈ H1 1 , studieremo il seguente sistema hamiltoniano:<br />
⎧<br />
⎨<br />
⎩<br />
ü = A(x)u + ∇F (x, u + v(x)) in I<br />
u(1) − u(0) = ˙u(1) − ˙u(0) = 0<br />
Qui v è considerata un parametro <strong>del</strong> problema, e ci interesseremo in particolare a<br />
quelle funzioni v che sono punti di biforcazione per l’insieme<br />
Σ := (v, u) ∈ H 1 1 × H 1 1 : u è soluzione di (7.7) ;<br />
servendoci <strong>del</strong> Teorema 7.4, proveremo che l’insieme di tali punti di biforcazione non è σ–<br />
compatto, e che, ogni volta che si scelga una funzione v che non è un punto di biforcazione<br />
per Σ, il problema (7.7) da essa indotto ammette un numero finito di soluzioni.<br />
Il nostro approccio è fondato sulla riscrittura di (7.7) nella forma di un’equazione in<br />
H1 1 coinvolgente un certo operatore non lineare T : come si vedrà, i punti di biforcazione<br />
per Σ coincidono coi valori singolari di T ; questa identificazione fra punti di biforcazione<br />
di un problema e valori singolari di un operatore è già stata impiegata da ˇ Durikovič e<br />
ˇDurikovičová in [37], nello studio di una singola equazione differenziale.<br />
Né è nuova l’ipotesi di positiva omogeneità espressa dalla condizione (7.6): per esempio,<br />
Ben–Naoum, Troestler e Willem hanno provato in [8] l’esistenza di una soluzione<br />
non costante per un sistema hamiltoniano con un potenziale positivamente omogeneo di<br />
esponente α > 1, α = 2.<br />
La nostra scelta pone F nella classe dei potenziali sub–quadratici: vi sono diversi<br />
risultati relativi a sistemi hamiltoniani con siffatti potenziali, fra i quali ricordiamo quello<br />
stabilito da Tang e Wu in [112] (per un sistema con una matrice A non necessariamente<br />
definita positiva); un risultato di molteplicità per sistemi con potenziale quadratico è stato<br />
invece provato, usando metodi topologici, da Faraci e dall’autore <strong><strong>del</strong>la</strong> presente tesi in [44].<br />
Una diversa condizione asintotica compare invece nel teorema di molteplicità per sistemi<br />
hamiltoniani stabilito da Faraci in [43] (che contiene anche una disamina su alcuni<br />
teoremi classici sui sistemi); rammentiamo anche il lavoro di Faraci e Livrea [51], ove è presentato<br />
un risultato di biforcazione per sistemi hamiltoniani dipendenti da un parametro<br />
reale.<br />
Per preparare il terreno, denotiamo X = H 1 1<br />
J ponendo per ogni u ∈ X<br />
J(u) =<br />
1<br />
0<br />
e definiamo su questo spazio un funzionale<br />
F (x, u(x))dx.<br />
Di séguito studiamo il funzionale J e la sua derivata:<br />
Lemma 7.10. Siano X, J come sopra. Allora, J ∈ C 1 (X, R) e J ′ : X → X è un<br />
operatore compatto; inoltre, sono verificate le seguenti condizioni:
Sistemi non lineari 87<br />
(7.10.1) esiste ρ ∈<br />
<br />
<br />
inf J(u), sup J(u) tale che J<br />
u∈X u∈X<br />
ρ non è convesso;<br />
(7.10.2) J(µu) = µ α J(u), J ′ (µu) = µ α−1 J ′ (u) per ogni µ > 0, u ∈ X.<br />
Dimostrazione. Con metodi classici si dimostra che J ∈ C 1 (X, R) e che la sua derivata<br />
secondo Gâteaux è un operatore J ′ : X → X (identificando X con il suo duale in virtù<br />
<strong>del</strong> Teorema di Riesz) definito da<br />
per ogni u, v ∈ X.<br />
〈J ′ (u), v〉 =<br />
1<br />
0<br />
∇F (x, u(x)) · v(x)dx<br />
Proviamo che J ′ è compatto: sia {un} una successione limitata in X; per il Lemma<br />
7.9 esistono una sottosuccessione, ancora denotata {un}, e una funzione u ∈ X tali che<br />
un − u∞ → 0, e poiché per ogni n ∈ N<br />
J ′ (un) − J ′ 1<br />
(u) ≤ c<br />
0<br />
|∇F (x, un(x)) − ∇F (x, u(x))| dx,<br />
ne segue che J ′ (un) → J ′ (u) per il Teorema di Lebesgue (si sfrutta (7.4)).<br />
Per provare (7.10.1), si procede come segue: sia<br />
M = max{|s1|, |s2|},<br />
e sia δ > 0 tale che per ogni sottoinsieme misurabile Ω di I con m(Ω) < δ si abbia<br />
<br />
b(x)dx < (σ2 − σ1)m(I0)<br />
;<br />
2 a(M)<br />
Ω<br />
senza perdita di generalità possiamo supporre che<br />
<br />
I1 := inf(I0) − δ<br />
3 , sup(I0) + δ<br />
<br />
⊂]0, 1[,<br />
3<br />
sicché m(I1 \ I0) < δ.<br />
Per i = 1, 2 si costruisce una funzione ui ∈ C ∞ ([0, 1], R N ) tale che ui∞ = |si| e<br />
pertanto ui ∈ X, e si ricava<br />
J(ui) =<br />
<br />
si se x ∈ I0<br />
ui(x) =<br />
;<br />
0 se x ∈ I \ I1<br />
<br />
I0<br />
<br />
F (x, si)dx +<br />
<br />
≤ σ1m(I0) + a(M)<br />
< (σ1 + σ2)m(I0)<br />
.<br />
2<br />
I1\I0<br />
I1\I0<br />
F (x, ui(x))dx<br />
b(x)dx
88 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
D’altra parte, definita u0 = τu1 + (1 − τ)u2, calcoli analoghi conducono a<br />
di modo che J ρ , per<br />
non è convesso.<br />
J(u0) > (σ1 + σ2)m(I0)<br />
,<br />
2<br />
ρ = (σ1 + σ2)m(I0)<br />
,<br />
2<br />
Infine, (7.10.2) segue da (7.6), e con questo la dimostrazione è conclusa. <br />
L’operatore T : X → X che regge il problema (7.7) è definito da<br />
per ogni u ∈ X, e ha le seguenti proprietà:<br />
T (u) = u + J ′ (u)<br />
Lemma 7.11. Siano X, J, T come sopra. Allora, è verificata la condizione<br />
(7.11.1) lim T (u) = +∞;<br />
u→+∞<br />
inoltre, T è un operatore chiuso e proprio.<br />
Dimostrazione. Da (7.10.2) si deduce agevolmente che<br />
d’altra parte, per ogni u ∈ X si ha<br />
il che implica (7.11.1).<br />
J<br />
lim<br />
u→+∞<br />
′ (u)<br />
= 0;<br />
u<br />
T (u) ≥ u<br />
<br />
1 − J ′ <br />
(u)<br />
,<br />
u<br />
Ora dimostriamo che T è una mappa chiusa: sia C un sottoinsieme chiuso di X,<br />
proveremo che T (C) è parimenti chiuso; sia dunque {un} una successione in C tale che<br />
T (un) → v per un opportuno v ∈ X, allora esiste un’estratta {unk } tale che J ′ (unk ) → w<br />
per qualche w ∈ X (Lemma 7.10).<br />
Dunque<br />
unk = T (unk ) − J ′ (unk ) → v − w,<br />
da cui v − w ∈ C; inoltre, risulta J ′ (v − w) = w, donde<br />
cioè in particolare v ∈ T (C).<br />
T (v − w) = v<br />
Infine, T è proprio per il Teorema 7.7. <br />
Possiamo ora introdurre il risultato principale, che descrive la struttura <strong>del</strong>l’insieme<br />
dei punti di biforcazione per il problema (7.7) e fornisce anche informazioni sulle soluzioni<br />
di (7.7) quando v non è un punto di biforcazione:
Sistemi non lineari 89<br />
Teorema 7.12. Siano I, A, F come sopra. Allora, le seguenti condizioni sono verificate:<br />
(7.12.1) l’insieme dei punti di biforcazione per l’insieme Σ è chiuso e non σ–compatto;<br />
(7.12.2) per ogni v ∈ H 1 1<br />
che non è un punto di biforcazione per l’insieme Σ, l’insieme<br />
<strong>del</strong>le soluzioni <strong>del</strong> problema (7.7) è non vuoto e finito.<br />
Dimostrazione. Proveremo (7.12.1) facendo ricorso al Teorema 7.4: tutte le ipotesi di<br />
quel risultato sono verificate (in particolare, J è sequenzialmente debolmente continuo<br />
perché J ′ è compatto).<br />
Dunque gli insiemi ST e T (ST ) non sono σ–compatti: inoltre, si vede facilmente che<br />
ST è chiuso, ergo anche T (ST ) è chiuso (Lemma 7.11).<br />
Rimane da provare che T (ST ) coincide con l’insieme dei punti di biforcazione per Σ: a<br />
tal fine osserviamo che per ogni v ∈ X si ha<br />
(7.8) Σv = {u ∈ X : T (u + v) = v} ,<br />
in quanto, per ogni u ∈ X, la condizione<br />
equivale a<br />
che a sua volta equivale a<br />
1<br />
0<br />
T (u + v) = v<br />
u + J ′ (u + v) = 0,<br />
[ ˙u(x) · ˙w(x) + (A(x)u(x)) · w(x) + ∇F (x, u(x) + v(x)) · w(x)] dx = 0<br />
per ogni w ∈ X, e questo vuol dire che (v, u) ∈ Σ.<br />
Sia v ∈ T (ST ): per (7.8), esiste u ∈ Σv tale che u + v ∈ ST ; poiché u + v è<br />
un punto<br />
singolare per T , per ogni n ∈ N la restrizione di T alla palla aperta Bn := B u + v, 1<br />
<br />
n<br />
non è un omeomorfismo.<br />
In effetti, T : Bn → T (Bn) non è una mappa iniettiva: infatti, se lo fosse, per il Teorema<br />
7.8 sarebbe anche aperta, cioè un omeomorfismo, contro quanto appena acclarato.<br />
Dunque, per ogni n ∈ N esistono w 1 n, w 2 n ∈ Bn, w 1 n = w 2 n, tali che T (w 1 n) = T (w 2 n) =: vn;<br />
chiaramente<br />
lim n w 1 n = lim n w 2 n = u + v, lim n vn = v,<br />
così, posto u i n = w i n − vn (i = 1, 2), si ha<br />
lim n u 1 n = lim n u 2 n = u<br />
e pertanto v è un punto di biforcazione per Σ in base alla Definizione 7.1.
90 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
D’altra parte, sia v ∈ X \ T (ST ): allora, da (7.8) segue facilmente<br />
Σv ∩ (ST − v) = ∅.<br />
Quindi v non è un punto di biforcazione per Σ: infatti, per ogni u ∈ Σv si ha che<br />
u + v /∈ ST , sicché T è un omeomorfismo locale in u + v; in particolare esiste un intorno U<br />
di u tale che la restrizione T : U + v → T (U + v) è iniettiva, quindi v non può verificare<br />
la Definizione 7.1.<br />
Con ciò, (7.12.1) è dimostrata.<br />
Proviamo ora (7.12.2): sia v ∈ X \ T (ST ), e sia definito un funzionale Φ : X → R<br />
ponendo per ogni u ∈ X<br />
Φ(u) = u2<br />
2<br />
+ J(u + v);<br />
si vede subito che Ψ ∈ C 1 (X, R), con derivata espressa per ogni u ∈ X da<br />
Φ ′ (u) = u + J ′ (u + v) = T (u + v) − v,<br />
sicché, per (7.8), Σv coincide con l’insieme dei punti critici di Φ.<br />
Il funzionale Φ è coercivo: per dimostrarlo, osserviamo che J, essendo un funzionale<br />
con derivata continua e compatta, è sequenzialmente debolmente continuo (si veda [118]),<br />
quindi la sua restrizione alla palla B(0, 1) ammette minimo m ∈ R; applicando (7.6),<br />
otteniamo allora che per ogni u ∈ X, u = −v,<br />
rammentando che α < 2, si deduce che<br />
Φ(u) = u2<br />
2 + u + vα <br />
u + v<br />
J<br />
u + v<br />
≥ u2<br />
2 + mu + vα ;<br />
lim Φ(u) = +∞.<br />
u→+∞<br />
Inoltre, Φ è sequenzialmente debolmente s.c.i., dunque ammette minimo globale in X:<br />
dunque Σv = ∅.<br />
Dal Teorema 7.11, T è proprio, il che, congiunto con (7.8), implica che Σv è compatto;<br />
inoltre, poiché v /∈ T (ST ), ogni u ∈ Σv ammette un intorno U tale che la restrizione di T<br />
all’insieme U + v è iniettiva e in particolare<br />
Σv ∩ U = {u},<br />
cioè Σv è discreto: un insieme compatto e discreto in uno spazio di Hilbert è finito, e ciò<br />
prova (7.12.2).
Sistemi lineari 91<br />
La scelta di formulare il Teorema 7.12 nel contesto dei sistemi di equazioni è, in qualche<br />
modo, obbligata: infatti, per conformarsi alle ipotesi (7.5) e (7.6), il potenziale F dev’essere,<br />
rispetto alla seconda variabile, positivamente omogeneo con esponente maggiore di 1 e non<br />
quasi–convesso, e queste restrizioni sono incompatibili per una funzione di una variabile<br />
reale.<br />
Invece, per N > 1, non è difficile trovare un potenziale confacente alle nostre condizioni,<br />
come il seguente esempio mostra.<br />
Esempio 7.13. Siano N = 2, A(·) = [aij(·)] una matrice 2 × 2 come sopra, α ∈]1, 2[<br />
un numero reale, e si consideri il seguente sistema autonomo, dipendente dalla funzione<br />
v ∈ H 1 1 :<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
ü1 = a11(x)u1 + a12(x)u2 + α|u1 + v1(x)| α−2 (u1 + v1(x)) in I<br />
ü2 = a21(x)u1 + a22(x)u2 − α|u2 + v2(x)| α−2 (u2 + v2(x)) in I<br />
u1(1) − u1(0) = ˙u1(1) − ˙u1(0) = 0<br />
u2(1) − u2(0) = ˙u2(1) − ˙u2(0) = 0<br />
Siamo ricondotti allo studio <strong>del</strong> potenziale F : R 2 → R definito per ogni (s1, s2) ∈ R 2<br />
F (s1, s2) = |s1| α − |s2| α ,<br />
che soddisfa tutte le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 7.12: dunque l’insieme dei punti di biforcazione<br />
v per il problema non è σ–compatto, e quando v non è un punto di biforcazione l’insieme<br />
<strong>del</strong>le soluzioni è non vuoto e finito.<br />
7.4 Esistenza per sistemi lineari<br />
In questa Sezione studieremo un sistema di equazioni differenziali ordinarie <strong>del</strong> secondo<br />
ordine lineari con condizioni agli estremi periodiche, dipendente da un parametro lineare<br />
e da una funzione di H 1 1 .<br />
Siano I, A come nella Sezione 7.2, e sia F : I × RN → R una funzione tale che F (·, s)<br />
è misurabile per ogni s ∈ RN e F (x, ·) ∈ C2 (RN , R) per q.o. x ∈ I (denotiamo HF (x, ·)<br />
la matrice hessiana di F (x, ·)), e che F (x, 0) = 0 per q.o. x ∈ I; supponiamo inoltre che<br />
esistano a ∈ C0 (R, R) e b ∈ L1 (I) non–negative tali che per q.o. x ∈ I e ogni s ∈ RN <br />
<br />
(7.9) max |F (x, s)| , <br />
∂F <br />
(x, s) <br />
∂si<br />
,<br />
<br />
<br />
<br />
∂<br />
<br />
2 <br />
F <br />
(x, s) <br />
∂si∂sj<br />
<br />
<br />
: i, j = 1, . . . N ≤ a(|s|)b(x).<br />
Inoltre, assumiamo che F non sia convessa rispetto alla seconda variabile, ovvero che<br />
esistano un intervallo chiuso I0 ⊂]0, 1[, s1, s2 ∈ R N (s1 = s2), τ ∈]0, 1[ e σ1, σ2 ∈ R tali<br />
che per q.o. x ∈ I0<br />
(7.10) max {F (x, s1), F (x, s2)} ≤ σ1 < σ2 ≤ F (x, τs1 + (1 − τ)s2) .
92 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
Infine, supponiamo che F verifichi la seguente condizione di crescita:<br />
|∇F (x, s)|<br />
(7.11) lim ess sup<br />
= 0.<br />
|s|→+∞ x∈I |s|<br />
(7.12)<br />
Come nella Sezione 7.3, in (7.9) si può scegliere, senza perdita di generalità, a crescente.<br />
Dati un numero reale λ > 0 e una funzione v ∈ H1 1 , studieremo il seguente sistema:<br />
⎧<br />
⎨<br />
⎩<br />
ü = A(x)u + λHF (x, v(x))u in I<br />
u(1) − u(0) = ˙u(1) − ˙u(0) = 0<br />
Denotando X = H1 1 , definiamo il funzionale J come nella Sezione 7.3.<br />
Lemma 7.14. Siano X, J come sopra. Allora, J ∈ C2 (X, R), J ′ : X → X è un<br />
operatore compatto e J ′′ (u) è un operatore lineare compatto e auto–aggiunto per ogni<br />
u ∈ X; inoltre, sono verificate le seguenti condizioni:<br />
<br />
<br />
(7.14.1) esiste ρ ∈ inf J(u), sup J(u)<br />
u∈X u∈X<br />
tale che J ρ non è convesso;<br />
J<br />
(7.14.2) lim<br />
u→+∞<br />
′ (u)<br />
= 0;<br />
u<br />
J(u)<br />
(7.14.3) lim = 0.<br />
u→+∞ u2 Dimostrazione. Procedendo come nel Lemma 7.10, si dimostra che J ∈ C 2 (X, R), che<br />
J ′ è compatto e che vale (7.14.1) (si noti che in questo caso si è assunto esplicitamente<br />
che F (·, 0) ≡ 0); la derivata seconda di J si identifica per ogni u ∈ X con un operatore<br />
J ′′ (u) ∈ L(X, X) tale che per ogni v, w ∈ X<br />
〈J ′′ (u)(v), w〉 =<br />
1<br />
0<br />
(HF (x, u(x))v(x)) · w(x)dx.<br />
Dimostriamo ora che, per ogni u ∈ X, J ′′ (u) è un operatore compatto: sia {vn} una successione<br />
in X con vn ≤ M per ogni n ∈ N (M > 0); intendiamo provare che {J ′′ (u)(vn)}<br />
ha un’estratta convergente.<br />
Fissato ε > 0, esiste δ > 0 tale che<br />
J ′ (u + v) − J ′ (u) − J ′′ (u)(v)<br />
v<br />
per ogni v ∈ X con v < δ; scelto µ ∈<br />
<br />
0, δ<br />
M<br />
< ε<br />
3M<br />
<br />
, la successione {u + µvn} è limitata:<br />
giacché J ′ è compatto, troviamo una sottosuccessione, denotata ancora {vn}, tale che<br />
{J ′ (u + µvn)} converge in X, quindi in particolare è una successione di Cauchy.
Sistemi lineari 93<br />
Allora esiste ν ∈ N tale che<br />
for all n, m > ν; si deduce allora che<br />
J ′ (u − µvn) − J ′ (u − µvm) < εµ<br />
3<br />
J ′′ (u)(vn) − J ′′ (u)(vm) < ε<br />
per ogni n, m > ν, e così, per completezza di X, è provata la convergenza di {J ′′ (u)(vn)}.<br />
Osserviamo che, poiché la matrice HF (·, u(·)) è simmetrica, tale operatore risulta auto–<br />
aggiunto.<br />
I comportamenti di J ′ e J all’infinito sono determinati da quelli di ∇F e F rispettivamente:<br />
pertanto, (7.14.2) segue da (7.11).<br />
Similmente, (7.14.3) segue dal fatto che<br />
F (x, s)<br />
lim ess sup<br />
|s|→+∞ x∈I |s| 2 = 0.<br />
Così la dimostrazione è conclusa. <br />
Anche il problema (7.12) si può studiare tramite un operatore non lineare: per ogni<br />
λ > 0, definiamo Tλ : X → X ponendo per ogni u ∈ X<br />
Tλ(u) = u + λJ ′ (u);<br />
le proprietà di Tλ sono descritte dal seguente Lemma.<br />
Lemma 7.15. Siano X, J come sopra. Allora, per ogni λ > 0 si ha Tλ ∈ C 1 (X, X) ed<br />
è verificata la seguente condizione:<br />
(7.15.1) lim<br />
u→+∞ Tλ(u) = +∞.<br />
Dimostrazione. Sia fissato λ > 0: la derivata di Tλ in u ∈ X è l’operatore T ′ λ (u) ∈<br />
L(X, X) definito da<br />
T ′ λ (u) = Id + λJ ′′ (u)<br />
(dove Id ∈ L(X, X) è l’identità). Per provare (7.15.1), si ragiona come nel Lemma 7.11,<br />
usando (7.14.2). <br />
Il risultato principale di questa Sezione studia i dati λ, v che inducono <strong>problemi</strong> (7.12)<br />
dotati di almeno una soluzione non banale: per ogni λ > 0, si ponga<br />
Γλ := {v ∈ X : esiste u ∈ X, u = 0 soluzione di (7.12)} ;<br />
il prossimo Teorema fornisce, per un appropriato λ, informazioni sulla struttura <strong>del</strong>l’insieme<br />
Γλ.<br />
Teorema 7.16. Siano I, A, F come sopra. Allora, esiste ¯ λ > 0 tale che l’insieme Γ¯ λ<br />
contiene almeno un punto di accumulazione.
94 Capitolo 7. Biforcazione per sistemi hamiltoniani<br />
Dimostrazione. Applicheremo il Teorema 7.5, le cui ipotesi sono verificate in forza dei<br />
Lemmi 7.14 e 7.15: dunque esiste ¯ λ > 0 tale che l’insieme ˆ ST¯ λ (che raccoglie, lo ricordiamo,<br />
tutti i punti v ∈ X tali che T ′ ¯ λ (v) non è suriettivo) ammette un punto di accumulazione<br />
¯v ∈ X; già sappiamo che ˆ ST¯ λ è chiuso, quindi ¯v ∈ ˆ ST¯ λ .<br />
(7.13)<br />
Si tratta ora di dimostrare che, per ogni λ > 0,<br />
STλ<br />
ˆ = Γλ.<br />
Sia v ∈ X: l’operatore lineare T ′ λ (v) soddisfa le ipotesi <strong>del</strong> classico Teorema di alternativa<br />
di Fredholm, in quanto J ′′ (v) è compatto e auto–aggiunto (Lemma 7.14); dunque,<br />
T ′ λ (v) è iniettivo se e solo se è suriettivo.<br />
Quanto stabilito equivale a dire che v ∈ ˆ STλ se e solo se esiste u ∈ X, u = 0 tale che,<br />
per ogni w ∈ X,<br />
〈u + λJ ′′ (v)(u), w〉 = 0;<br />
ovvero<br />
1<br />
0<br />
[ ˙u(x) · ˙w(x) + (A(x)u(x)) · w(x) + λ(HF (x, v(x))u(x)) · w(x)] dx = 0.<br />
In sintesi, abbiamo provato che v ∈ ˆ STλ se e solo se (7.12) ammette una soluzione non<br />
banale.<br />
Con ciò (7.13) è provata, e con essa la tesi. <br />
Concludiamo la Sezione con un esempio.<br />
Esempio 7.17. Siano N > 1, A(·) = [aij(·)] una matrice N × N simmetrica come nella<br />
Sezione 7.3, e si consideri il seguente problema lineare, dipendente dai dati v ∈ H1 1 e λ > 0:<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
üi = <br />
N<br />
j=1 aij(x) + 2λe−|v(x)|2 <br />
(2vi(x)vj(x) − δij) uj in I<br />
ui(1) − ui(0) = ˙ui(1) − ˙ui(0) = 0<br />
i = 1, . . . N<br />
(dove δij è il simbolo di Kronecker). Il potenziale F : RN → R legato a questo problema è<br />
definito per ogni s ∈ RN da<br />
F (s) = e −|s|2<br />
− 1,<br />
e soddisfa tutte le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 7.16: dunque, esiste ¯ λ > 0 tale che l’insieme Γ¯ λ<br />
contiene almeno un punto di accumulazione.
Capitolo 8<br />
Buona posizione e insiemi di<br />
Chebyshev non convessi<br />
Riprendendo l’argomento lumeggiato nella Sezione 2.3, torniamo a occuparci <strong>del</strong> problema<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> convessità degli insiemi di Chebyshev, esaminando in particolare il caso degli spazi<br />
di Hilbert: dal Teorema 2.10 segue che, in uno spazio di Hilbert di dimensione finita, gli<br />
insiemi di Chebyshev sono tutti e soli gli insiemi chiusi e convessi (si rammenti quanto<br />
osservato nella Sezione 2.1).<br />
Per gli spazi di Hilbert di dimensione infinita, invece, il problema è ancora aperto<br />
(né, purtroppo, sarà risolto in questa sede): alcuni interessanti risultati di Asplund [5]<br />
forniscono condizioni sufficienti per la convessità di un insieme di Chebyshev in uno spazio<br />
di Hilbert; Klee, invece, ha avanzato in [60] la congettura che esista uno spazio di Hilbert<br />
contenente almeno un insieme di Chebyshev non convesso.<br />
In [48], Faraci e l’autore di questa tesi hanno presentato una congettura analoga,<br />
basandosi su un teorema di buona posizione per un certo tipo di <strong>problemi</strong> di miglior<br />
approssimazione in spazi di Hilbert: nel presente Capitolo riprendiamo i contenuti di [48],<br />
esponendo dapprima il risultato di buona posizione (Sezione 8.1), quindi la congettura, le<br />
sue motivazioni e un confronto con gli argomenti di Klee (Sezione 8.2).<br />
8.1 Buona posizione per un problema di miglior approssimazione<br />
Richiamiamo dalla monografia di Dontchev e Zolezzi [35] la seguente definizione:<br />
Definizione 8.1. Siano (X, τ) uno spazio topologico, Φ : X → R un funzionale: il<br />
problema di minimizzare Φ su X è ben posto (secondo Tychonov) se esiste x ∈ X tale che<br />
(8.1.1) Φ(y) > Φ(x) per ogni y ∈ X, y = x;<br />
(8.1.2) lim n yn = x per ogni successione {yn} in X tale che lim n Φ(yn) = Φ(x).<br />
95
96 Capitolo 8. Buona posizione e insiemi di Chebyshev<br />
In [99], Ricceri ha provato un teorema di buona posizione per <strong>problemi</strong> di minimizzazione<br />
relativi a funzionali derivabili secondo Gâteaux con derivata localmente lipschitziana<br />
su spazi di Hilbert: il suo metodo è basato sul concetto di punto di sella (si veda la Sezione<br />
1.4).<br />
Il teorema esposto in questa Sezione stabilisce, sotto opportune ipotesi, la buona posizione<br />
<strong>del</strong> problema <strong><strong>del</strong>la</strong> miglior approssimazione di un punto in uno spazio di Hilbert per<br />
mezzo di punti di un certo sottoinsieme <strong>del</strong>lo stesso spazio: non si tratta, stricto sensu,<br />
di una conseguenza <strong>del</strong> risultato di [99] in quanto il funzionale che regge il problema si<br />
guarda bene dall’essere derivabile; tuttavia, la dimostrazione deve a quella <strong>del</strong> risultato di<br />
Ricceri la sua idea centrale, ovvero l’uso di un teorema di punto di sella (Teorema 1.8).<br />
Introduciamo ora i dati: siano (X, · ) uno spazio di Hilbert, C un sottoinsieme non<br />
vuoto di X, u0 ∈ X e per ogni λ ∈ [0, 1] sia definito il funzionale Iλ : X → R ponendo per<br />
ogni u ∈ X<br />
Iλ(u) = u − u0 2 − λd 2 (u, C);<br />
inoltre, per ogni t > 0 si ponga<br />
Mt = {v ∈ X : d(v, C) ≥ t} .<br />
Di séguito enunciamo e proviamo il risultato generale:<br />
Teorema 8.2. Siano X, C, u0 come sopra e sia verificata la seguente condizione:<br />
(8.2.1) I1(u0) > inf<br />
u∈X I1(u).<br />
Allora, esiste τ ∈ R ∪ {+∞}, τ > d(u0, C), tale che per ogni t ∈]d(x0, C), τ[ esiste ū ∈ Mt<br />
verificante le seguenti condizioni:<br />
(8.2.2) PMt(u0) = ū;<br />
(8.2.3) lim n vn = ū per ogni successione {vn} minimizzante per u0 in Mt.<br />
Dimostrazione. Per prima cosa, dimostriamo che il funzionale I1 è convesso: infatti,<br />
per ogni u ∈ X si ha<br />
<br />
I1(u) = sup 2〈v − u0, x〉 + u0<br />
v∈C<br />
2 − v 2 ,<br />
sicché I1 risulta convesso come inviluppo superiore di una famiglia di funzionali affini; ne<br />
segue anche che Iλ è strettamente convesso per ogni λ ∈ [0, 1[.<br />
Sia Q l’insieme dei punti di minimo globale di I1 (che sono poi tutti i punti di minimo<br />
locale), e si ponga<br />
<br />
d(u0, Q)<br />
ρ =<br />
+∞<br />
se Q = ∅<br />
se Q = ∅<br />
(poiché Q è chiuso, da (8.2.1) segue che ρ > 0); quindi sia<br />
<br />
sup d(u, C) se ρ < +∞<br />
τ = u∈B(u0,ρ)<br />
.<br />
+∞ se ρ = +∞
Buona posizione 97<br />
Proviamo ora che<br />
τ > d(u0, C),<br />
osservando dapprima che ovviamente τ ≥ d(u0, C); inoltre, se fosse τ = d(u0, C), per ogni<br />
u ∈ B(u0, ρ) avremmo<br />
I1(u) = u − u0 2 − d 2 (u, C) ≥ −d 2 (u0, C) = I1(u0),<br />
il che farebbe di u0 un punto di minimo di I1, contro l’ipotesi (8.2.1).<br />
Sia ora t ∈]d(u0, C), τ[, scelto ad arbitrio.<br />
Proviamo che d(u0, Mt) ∈]0, ρ[: difatti, d(u0, Mt) > 0 discende da u0 /∈ Mt (rammentiamo<br />
che Mt è chiuso); d’altra parte, d(u0, Mt) < ρ in quanto, avendosi t < τ, deve esistere<br />
u ∈ B(u0, ρ) ∩ Mt, così che<br />
d(u0, Mt) ≤ u0 − u < ρ.<br />
Applicheremo il Teorema 1.8, ponendo Λ = [0, 1] e per ogni (u, λ) ∈ X × Λ<br />
ψ(u, λ) = u − u0 2 + λ t 2 − d 2 (u, C) ;<br />
le ipotesi <strong>del</strong> Teorema 1.8 sono soddisfatte (con λ0 ∈ [0, 1[ arbitrario in (1.8.3)), ergo esiste<br />
una coppia (ū, ¯ λ) ∈ X × Λ verificante<br />
ū − u0 2 + ¯ λ t 2 − d 2 (ū, C) <br />
= inf u − u0<br />
u∈X<br />
2 − ¯ λd 2 (u, C) + ¯ λt 2<br />
= ū − u0 2 + sup<br />
λ∈Λ<br />
λ t 2 − d 2 (ū, C) .<br />
La precedente eguaglianza ci fornisce molte informazioni su ū e ¯ λ: in primo luogo,<br />
osserviamo che<br />
(8.1) d(ū, C) ≤ t.<br />
Ragionando per assurdo, supponiamo che d(ū, C) > t: ne segue ¯ λ = 0, che a sua volta<br />
implica ū = u0 cioè d(ū, C) < t, una contraddizione.<br />
(8.2)<br />
Proviamo ora che<br />
¯ λ < 1.<br />
Infatti, si supponga ¯ λ = 1: ne segue ū ∈ Q, da cui ū − u0 ≥ ρ; questo, insieme a<br />
(8.1), rende<br />
I1(ū) ≥ ρ 2 − t 2 .<br />
Poiché t < τ, esiste v ∈ B(u0, ρ) tale che d(v, C) > t e così<br />
il che è incompatibile col fatto che ū ∈ Q.<br />
I1(v) < ρ 2 − t 2 ,
98 Capitolo 8. Buona posizione e insiemi di Chebyshev<br />
A questo punto, (8.1) può essere migliorata in<br />
(8.3) d(ū, C) = t<br />
(in particolare, ū ∈ Mt); procediamo ancora per assurdo, assumendo d(ū, C) < t, il che<br />
implica ¯ λ = 1, contro (8.2).<br />
Osserviamo che ū è un punto di minimo globale per il funzionale I¯ λ ; inoltre, per (8.2),<br />
I¯ λ è strettamente convesso, continuo e coercivo, sicché ū è in effetti l’unico punto di minimo<br />
e ogni successione {un} in X, tale che I¯ λ (un) → I¯ λ (ū), converge debolmente a ū (si veda<br />
[35], Example 8, p. 3).<br />
Dimostreremo ora la tesi, articolata come segue:<br />
• proviamo che PMt(u0) = {ū}, ovvero che per ogni v ∈ Mt, v = ū, si ha v − u0 ><br />
ū − u0: difatti si ha I¯ λ (v) > I¯ λ (ū), che per (8.3) implica<br />
v − u0 2 > ū − u0 2 + ¯ λ d 2 (v, C) − t 2 ≥ ū − u0 2 ;<br />
• proviamo che ogni successione {vn} in Mt tale che vn − u0 → ū − u0 converge a<br />
ū: infatti, per ogni n ∈ N si ha<br />
I¯ λ (vn) ≤ vn − u0 2 − ¯ λt 2 ,<br />
e il secondo membro tende a I¯ λ (ū), quindi {vn} converge debolmente a ū; inoltre, per<br />
risultati classici, la convergenza debole implica in questo caso la convergenza forte.<br />
Con ciò la dimostrazione è completa. <br />
In particolare, la condizione “variazionale” (8.2.1) è verificata se il punto u0 non<br />
appartiene alla chiusura convessa di C: questo caso è studiato nel prossimo risultato.<br />
Teorema 8.3. Siano X e C come sopra, sia K la chiusura convessa di C, u0 ∈ X \ K.<br />
Allora, per ogni t > 0, esiste ū ∈ Mt verificante le seguenti condizioni:<br />
(8.3.1) PMt(u0) = ū;<br />
(8.3.2) lim n vn = ū per ogni successione {vn} minimizzante per u0 in Mt.<br />
Dimostrazione. Fissato t > 0, distinguiamo i due casi seguenti:<br />
• se d(u0, C) ≥ t, si ha x0 ∈ Mt, e non vi è nulla da provare;<br />
• se d(u0, C) < t, applichiamo il Teorema 8.2: a tal fine proviamo che<br />
inf<br />
u∈X I1(u) = −∞.<br />
Difatti, poiché u0 /∈ K, possiamo avvalerci <strong>del</strong> Teorema di separazione nella sua<br />
forma più forte, che assicura l’esistenza di ¯v ∈ X, ¯v = 0, e di un numero reale ε > 0<br />
tali che per ogni u ∈ K<br />
〈¯v, u〉 ≤ 〈¯v, u0〉 − ε;
Insiemi di Chebyshev 99<br />
allora, per ogni µ > 0 otteniamo<br />
da cui<br />
I1(u0 + µ¯v) = µ¯v 2 − inf<br />
=<br />
<br />
sup −u0 − u<br />
u∈C<br />
2 + 2µ〈¯v, u − u0〉 <br />
≤ −d 2 (u0, C) − 2µε,<br />
u∈C u0 + µ¯v − u 2<br />
lim<br />
µ→+∞ I1(u0 + µ¯v) = −∞.<br />
Dunque l’insieme Q è vuoto: in particolare, (8.2.1), donde la tesi <strong>del</strong> Teorema 8.2<br />
con τ = +∞.<br />
Così la dimostrazione è conclusa. <br />
Nella prossima Sezione, il Teorema 8.3 sarà impiegato per uno studio sugli insiemi di<br />
Chebyshev.<br />
8.2 Una congettura sugli insiemi di Chebyshev non convessi<br />
Come accennato all’inizio di questo Capitolo, Klee ha formulato in [60] la congettura che<br />
esista uno spazio di Hilbert contenente insiemi di Chebyshev non convessi (in effetti, in<br />
[60] si argomenta che ciò equivale all’esistenza di insiemi di Chebyshev con complementare<br />
convesso, le cosiddette caverne di Klee, ma questo ci porterebbe troppo lontano dal nostro<br />
tema).<br />
A suffragio <strong><strong>del</strong>la</strong> propria ipotesi, Klee presenta il seguente Esempio:<br />
Esempio 8.4. Nello spazio di Hilbert X = ℓ2 si consideri l’insieme<br />
<br />
∞<br />
K := {xn} ∈ X : nx 2 <br />
n < 1<br />
e si definisca<br />
n=1<br />
M := {{xn} ∈ X : d({xn}, K) ≥ 1} ;<br />
allora, M non è convesso, e il comportamento <strong><strong>del</strong>la</strong> proiezione metrica PM : X → 2 M si<br />
può descrivere completamente:<br />
• per ogni {xn} ∈ X \ K, PM({xn}) è un singoletto;<br />
• per ogni {xn} ∈ K si ha PM({xn}) = ∅.<br />
Ovviamente, l’Esempio 8.4 non presenta un insieme di Chebyshev non convesso, però<br />
i punti “anomali” (cioè quelli che non ammettono punti di miglior approssimazione in M)<br />
sono localizzati nell’insieme K, convesso e limitato.<br />
Il nostro approccio è simile a quello esposto sopra, e conduce alla seguente Congettura:
100 Capitolo 8. Buona posizione e insiemi di Chebyshev<br />
Congettura 8.5. Esistono uno spazio di Hilbert (X, ·), un sottoinsieme non vuoto<br />
C di X e un numero reale t > 0 tali che, denotata K la chiusura convessa di C e definito<br />
sono verificate le seguenti condizioni:<br />
(8.5.1) Mt non è convesso;<br />
Mt = {v ∈ X : d(v, C) ≥ t} ,<br />
(8.5.2) PMt(u) è un singoletto per ogni u ∈ K.<br />
La Congettura 8.5 è motivata come segue: supponendola vera, Mt sarebbe un insieme<br />
di Chebyshev non convesso in X, in virtù <strong>del</strong> Teorema 8.3.<br />
Alcune osservazioni sulla Congettura 8.5: ripensando al Teorema 2.12, si vede che, affinché<br />
la Congettura 8.5 possa essere vera, occorre che l’insieme Mt non sia sequenzialmente<br />
debolmente chiuso (ovvero, approssimativamente compatto); d’altra parte, dal Teorema<br />
8.3 sappiamo che per ogni u ∈ X \ K e ogni successione {vn} in Mt minimizzante per u si<br />
ha vn → u (8.3.2), quindi occorre che esistano almeno un punto ū ∈ K e una successione<br />
{vn} in Mt minimizzante per ū che non converge a ū (si veda anche il Lemma 2.13).<br />
In effetti, è alquanto facile scegliere i dati in modo che l’insieme Mt non sia convesso<br />
né sequenzialmente debolmente chiuso: si pensi al caso in cui dim(X) = ∞ e C è un<br />
singoletto, allora per ogni t > 0 l’insieme Mt è il complementare di una palla aperta di<br />
raggio t.<br />
Naturalmente, la difficoltà maggiore risiede nella condizione (8.5.2): questa appare<br />
infatti molto difficile da verificare; tuttavia, se si ponesse tale difficoltà su un piatto <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
bilancia, e sull’altro l’importanza <strong>del</strong> problema che sarebbe risolto qualora si provasse la<br />
Congettura 8.5, riteniamo che quest’ultima prevarrebbe.
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