Azione di mero accertamento - Dipartimento di Giurisprudenza
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AZIONE DI MERO ACCERTAMENTO<br />
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza, 26-05-1993, n. 5889, in Foro it., 2003, I,<br />
1730, commentata da PAGNI, Note sui limiti <strong>di</strong> ammissibilità della domanda <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>.<br />
Sussiste l’interesse ad agire in <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> ogniqualvolta ricorra una pregiu<strong>di</strong>zievole<br />
situazione d’incertezza relativa a <strong>di</strong>ritti o rapporti giuri<strong>di</strong>ci, la quale non sia eliminabile senza<br />
l’intervento del giu<strong>di</strong>ce; è proponibile, pertanto, la domanda <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> che una serie <strong>di</strong><br />
assenze del lavoratore integrino un grave inadempimento costituente giusta causa o giustificato<br />
motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento, perché essa, ferma rimanendo la necessità che il successivo<br />
eventuale licenziamento <strong>di</strong>sciplinare rispetti la procedura dell’art. 7 l. 300/70, vale a rendere<br />
incontestabile, nell’ambito <strong>di</strong> tale procedura, la situazione giuri<strong>di</strong>ca accertata dal giu<strong>di</strong>ce. (1)<br />
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza, 17-03-2003, n. 3905<br />
È inammissibile la domanda volta ad ottenere il <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>, anziché <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto, <strong>di</strong> un<br />
fatto, qual è la <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> un’infermità da causa <strong>di</strong> servizio, in relazione alla quale l’attore non<br />
chieda la condanna all’esecuzione <strong>di</strong> una specifica prestazione, bensì genericamente l’<strong>accertamento</strong><br />
del <strong>di</strong>ritto «alle relative indennità nella misura <strong>di</strong> giustizia».<br />
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza, 26-04-2000, n. 5339<br />
È inammissibile un’autonoma azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong>retta ad interpretare un<br />
precedente giu<strong>di</strong>cato tra le parti. (1)<br />
Gli orientamenti sul punto sono oscillanti. In alcuni casi si assume come criterio la sussistenza <strong>di</strong><br />
un pregiu<strong>di</strong>zio concreto e attuale:<br />
Cass., sez. II, 25-06-2004, n. 11870.<br />
In tema <strong>di</strong> azione <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong>, perché la situazione <strong>di</strong> incertezza si obiettivizzi è necessario<br />
che su <strong>di</strong> essa intervenga un atto o fatto esteriore che conferisca attualità e concretezza a quello<br />
stato <strong>di</strong> dubbio del quale si vuol rimuovere l’effetto pregiu<strong>di</strong>zievole, cioè il danno che l’attore<br />
soffrirebbe senza la pronuncia <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> del giu<strong>di</strong>ce; atto o fatto esteriore che non è altro che<br />
la contestazione attuale che altri faccia del <strong>di</strong>ritto vantato dall’attore, conseguendo solo a tale<br />
contestazione un pregiu<strong>di</strong>zio concreto e non meramente potenziale.<br />
In altri casi si assume come criterio l’utilità del risultato in<strong>di</strong>viduato nel superamento della<br />
situazione <strong>di</strong> incertezza a prescindere dall’attualità della lesione e finanche dalla contestazione:<br />
Cass., sez. II, 26-05-2008, n. 13556.<br />
L’interesse ad agire con un’azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> non implica necessariamente l’attuale<br />
verificarsi della lesione d’un <strong>di</strong>ritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato <strong>di</strong><br />
incertezza oggettiva sull’esistenza <strong>di</strong> un rapporto giuri<strong>di</strong>co o sull’esatta portata dei <strong>di</strong>ritti e degli<br />
obblighi da esso scaturenti, costituendo la rimozione <strong>di</strong> tale incertezza un risultato utile,<br />
giuri<strong>di</strong>camente rilevante e non conseguibile se con l’intervento del giu<strong>di</strong>ce (nella specie, la corte<br />
ha ritenuto carente l’interesse ad agire del coerede in or<strong>di</strong>ne alla domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’esatta<br />
consistenza della dote conferita, all’atto del matrimonio, dalla propria madre, non essendo<br />
configurabile, nel caso <strong>di</strong> specie, un <strong>di</strong>ritto alla restituzione dei beni dotali per omesso esercizio del<br />
<strong>di</strong>ritto alla restituzione dopo la morte del coniuge).<br />
Cass., sez. III, 28-11-2008, n. 28405.<br />
1
L’interesse ad agire richiede non solo l’<strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> una situazione giuri<strong>di</strong>ca ma anche che la<br />
parte prospetti l’esigenza <strong>di</strong> ottenere un risultato utile giuri<strong>di</strong>camente apprezzabile e non<br />
conseguibile senza l’intervento del giu<strong>di</strong>ce poiché il processo non può essere utilizzato solo in<br />
previsione <strong>di</strong> possibili effetti futuri pregiu<strong>di</strong>zievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni<br />
<strong>di</strong> interpretazioni <strong>di</strong> norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda<br />
principale <strong>di</strong> tutela del <strong>di</strong>ritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal<br />
modo intende perseguire (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata che<br />
aveva escluso la sussistenza in capo all’attrice dell’interesse ad agire in relazione ad una domanda <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> dell’inesistenza <strong>di</strong> un suo obbligo ad emettere fattura a carico del convenuto).<br />
***<br />
(1) CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza, 26-05-1993, n. 5889<br />
Svolgimento del processo. – La società Good Year italiana s.p.a. conveniva, <strong>di</strong>nanzi al Pretore <strong>di</strong><br />
Latina, il proprio <strong>di</strong>pendente, sig. Costantino Porcari, chiedendo fosse accertato:<br />
a) che le assenze dal lavoro del medesimo, verificatesi nel periodo 1984/1988 e giustificate come<br />
causate da malattie, erano in realtà ingiustificate e che «per l’effetto tale comportamento costituisce<br />
giusta causa <strong>di</strong> licenziamento, ai sensi dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 58 ccnl <strong>di</strong> categoria o, in subor<strong>di</strong>ne,<br />
giustificato motivo <strong>di</strong> licenziamento ai sensi dell’art. 3 l. n. 604 del 1964»;<br />
b) in via ulteriormente subor<strong>di</strong>nata, che l’inidoneità fisica al lavoro del Porcari, nei tempi e nelle<br />
modalità con cui si è manifestata nel periodo suin<strong>di</strong>cato, è incompatibile con l’attività produttiva<br />
svolta dalla società e che, per l’effetto, essa costituisce giustificato motivo oggettivo <strong>di</strong> licenziamento<br />
e impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa;<br />
c) ancora più subor<strong>di</strong>natamente, che le assenze per malattia <strong>di</strong> cui sopra erano dovute a<br />
comportamenti colposi del <strong>di</strong>pendente con conseguente inapplicabilità della <strong>di</strong>sciplina del comporto.<br />
Ra<strong>di</strong>catosi il contrad<strong>di</strong>ttorio e contestando il Porcari le domande, il pretore le rigettava ritenendo<br />
che tutte introducessero una domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’esistenza delle con<strong>di</strong>zioni della legge<br />
richieste per procedere al licenziamento del <strong>di</strong>pendente e che, in relazione a tale «concreta richiesta»,<br />
<strong>di</strong>fettasse nella società l’interesse ad agire, posto che essa ben avrebbe potuto porre in essere il<br />
licenziamento ove ne avesse ritenuto sussistenti i presupposti.<br />
La decisione del pretore era gravata d’appello <strong>di</strong>nanzi al tribunale della stessa città, dalla Good<br />
Year, che tra l’altro lamentava come il pretore avesse omesso <strong>di</strong> pronunciare sull’autonoma domanda<br />
<strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento delle obbligazioni gravanti sul prestatore d’opere, contenuta nel<br />
capo a) delle conclusioni (domanda che veniva riproposta esplicitamente, come autonoma, al giu<strong>di</strong>ce<br />
d’appello) nonché sulla domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’esistenza <strong>di</strong> un giustificato motivo oggettivo <strong>di</strong><br />
licenziamento, contenuta nel capo c) delle stesse conclusioni.<br />
Il tribunale, peraltro, rigettava l’appello con sentenza 14 aprile/30 maggio 1990, motivata – per<br />
quanto in questa sede rileva – con le seguenti considerazioni.<br />
Innanzitutto, il tribunale considerava domanda nuova, come tale inammissibile ai sensi dell’art.<br />
437 c.p.c., quella intesa all’autonomo <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento nel quale sarebbe incorso il<br />
Porcari attraverso le assenze poste in essere nel periodo 1984/1988, perché in primo grado<br />
«l’<strong>accertamento</strong> dell’inadempimento non sarebbe stato richiesto come acca<strong>di</strong>mento a sé stante <strong>di</strong><br />
violazione del contratto, ma come il fondamento dell’improseguibilità del rapporto», sì che al pretore<br />
sarebbe stata proposta – con la richiesta <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> del carattere ingiustificato delle assenze e<br />
della qualificazione <strong>di</strong> queste come giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento –<br />
un’unica domanda, avente ad oggetto la declaratoria <strong>di</strong> sussistenza <strong>di</strong> una giusta causa o <strong>di</strong> un<br />
giustificato motivo <strong>di</strong> licenziamento, e non due <strong>di</strong>stinte domande come articolate nell’atto <strong>di</strong> appello.<br />
Quanto alla domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> giu<strong>di</strong>ziale della sussistenza <strong>di</strong> una giusta causa o <strong>di</strong> un<br />
giustificato motivo <strong>di</strong> licenziamento, il tribunale riteneva che essa, in assenza <strong>di</strong> un provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong><br />
licenziamento e quin<strong>di</strong> in aperta violazione della procedura ex art. 7 l. 300/70, <strong>di</strong>fettasse del requisito<br />
dell’interesse ad agire, giacché «il provve<strong>di</strong>mento domandato non potrebbe esprimere una volontà <strong>di</strong><br />
legge suscettibile <strong>di</strong> concreta attuazione in quanto viziato dal mancato rispetto della specifica<br />
normativa in materia».<br />
Analoghe considerazioni, ad avviso del tribunale, varrebbero per le ulteriori domande<br />
dell’appellante, in quanto nella domanda sub c) – punto b) del ricorso <strong>di</strong>nanzi al pretore – si chiede<br />
2
accertarsi un giustificato motivo oggettivo <strong>di</strong> licenziamento ed in quella sub d) – punto c) del ricorso<br />
al pretore – si richiamano le conclusioni <strong>di</strong> cui ai punti precedenti.<br />
Avverso la decisione del tribunale <strong>di</strong> Latina ricorre la società Good Year deducendo tre complessi<br />
motivi <strong>di</strong> annullamento, illustrati anche da memoria, cui il Porcari resiste con controricorso.<br />
Motivi della decisione. – A) Il primo motivo <strong>di</strong> ricorso denuncia violazione e falsa applicazione<br />
degli art. 112 e 437 c.p.c., 1218 ss. c.c. nonché vizio <strong>di</strong> motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e<br />
censura l’impugnata sentenza per aver negato il carattere autonomo, sin dalla proposizione del ricorso<br />
<strong>di</strong>nanzi al pretore, della domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento, rispetto a quella <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> della sussistenza <strong>di</strong> una giusta causa o <strong>di</strong> un giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong><br />
licenziamento; conseguentemente, lamenta l’erroneità dell’affermazione del tribunale secondo cui la<br />
domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento, in<strong>di</strong>pendentemente dalla sua qualificazione come<br />
giusta causa o giustificato motivo <strong>di</strong> licenziamento, esplicitamente riproposta in appello, costituirebbe<br />
domanda nuova, in quanto tale inidonea a fondare il dovere del giu<strong>di</strong>ce a pronunciare in merito.<br />
Deduce che al riconoscimento dell’autonoma proposizione <strong>di</strong> una domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong><br />
dell’inadempimento non avrebbe potuto far velo la circostanza che la ricorrente non avesse chiesto<br />
anche il risarcimento del danno, perché – secondo quanto affermato da questa corte con sentenza<br />
1479/77 (Foro it., Rep. 1977, voce Contratto in genere, n. 270) – è possibile chiedere soltanto<br />
l’<strong>accertamento</strong> dell’inadempimento e azionare in separato giu<strong>di</strong>zio la pretesa al risarcimento dei danni.<br />
Lamenta inoltre la violazione del principio secondo cui la domanda contiene necessariamente la<br />
richiesta <strong>di</strong> statuizioni <strong>di</strong> minore entità, sì che – anche a voler ritenere proposta solo la domanda <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> della sussistenza <strong>di</strong> un inadempimento qualificabile come giusta causa o giustificato<br />
motivo <strong>di</strong> licenziamento – in essa avrebbe dovuto ritenersi compresa anche quella relativa ad un<br />
inadempimento spoglio <strong>di</strong> quella qualificazione. Denuncia infine, e in connessione con le doglianze <strong>di</strong><br />
cui sopra, un vizio <strong>di</strong> motivazione nell’interpretazione della domanda.<br />
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2119 c.c., 3 l. 604/66, 7 l.<br />
300/70, 100 c.p.c. nonché vizio <strong>di</strong> motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e censura l’impugnata<br />
sentenza per aver ritenuto la carenza dell’interesse ad agire in relazione alla domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong><br />
<strong>di</strong> una giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento. Deduce che la situazione<br />
d’incertezza circa il carattere colpevole dell’inadempimento non può essere rimossa altrimenti che<br />
attraverso l’intervento del giu<strong>di</strong>ce che consente la contestazione della certificazione me<strong>di</strong>ca e quin<strong>di</strong><br />
l’<strong>accertamento</strong> della sussistenza o meno <strong>di</strong> un grave inadempimento imputabile al lavoratore. Siffatto<br />
<strong>accertamento</strong> non potrebbe essere surrogabile attraverso l’intimazione del licenziamento, posto che<br />
questo determina l’estinzione del rapporto <strong>di</strong> lavoro, mo<strong>di</strong>ficazione rispetto alla quale il datore non<br />
presenta un interesse attuale in presenza <strong>di</strong> una situazione d’incertezza circa la sussistenza<br />
dell’inadempimento: il licenziamento, oltretutto, potrebbe non essere impugnato nel termine <strong>di</strong><br />
decadenza, così precludendosi irrime<strong>di</strong>abilmente l’<strong>accertamento</strong> dell’inadempimento. Censura inoltre<br />
l’affermazione secondo cui l’<strong>accertamento</strong> della sussistenza dell’inadempimento qualificabile come<br />
giusta causa o giustificato motivo <strong>di</strong> licenziamento implicherebbe una violazione dell’art. 7 l. 300/70,<br />
giacché le esigenze garantiste che una tale <strong>di</strong>sposizione tende a tutelare sono ampiamente sod<strong>di</strong>sfatte<br />
dal processo e dal contrad<strong>di</strong>ttorio che in esso s’instaura. Critica infine l’affermazione secondo cui<br />
l’azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong>fetterebbe dell’interesse ad agire ogni qualvolta il risultato attraverso<br />
<strong>di</strong> essa perseguito sarebbe altrimenti perseguibile: la pluralità <strong>di</strong> azioni a <strong>di</strong>sposizione del cre<strong>di</strong>tore<br />
cambiario e, ancor più, l’in<strong>di</strong>scussa concorrenza dell’azione ex art. 1453 c.c. con l’esercitabilità del<br />
potere unilaterale <strong>di</strong> far valere la clausola risolutiva inserita nel contratto ex art. 1456 c.c.,<br />
<strong>di</strong>mostrerebbero il contrario.<br />
Il terzo motivo <strong>di</strong> ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 3 l. 604/66, 7 l. 300/70<br />
nonché vizio <strong>di</strong> motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e censura la decisione del tribunale nella parte<br />
in cui ha rigettato le autonome domande <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> un giustificato motivo oggettivo e<br />
d’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa richiamando «le considerazioni già svolte» a<br />
proposito della carenza d’interesse ad agire per l’<strong>accertamento</strong> dell’inadempimento qualificabile come<br />
giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Deduce che, così argomentando, il giu<strong>di</strong>ce d’appello ha<br />
equiparato immotivatamente, oltre che erroneamente, la fattispecie dell’inadempimento a quella<br />
dell’impossibilità sopravvenuta, dalla quale esula qualsiasi profilo <strong>di</strong>sciplinare e rispetto alla quale<br />
dunque del tutto inconferenti risulterebbero i pur erronei rilievi, relativi alla pretesa violazione dell’art.<br />
7 l. 300/70, che sorreggono la decisione riguardante il capo <strong>di</strong> domanda teso ad accertare il carattere<br />
ingiustificato delle assenze.<br />
3
B) Tanto premesso, la corte osserva che le doglianze come sopra sintetizzate, tra loro strettamente<br />
connesse, possono essere esaminate congiuntamente e si rivelano fondate per quanto <strong>di</strong> ragione.<br />
Invero, la questione centrale che la presente causa pone all’attenzione della corte riguarda<br />
l’ammissibilità <strong>di</strong> un’azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> un inadempimento particolarmente grave,<br />
tale da costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento, in ipotesi integrato<br />
da una serie <strong>di</strong> assenze del lavoratore, giustificate come dovute a malattia e tali ritenute in occasione<br />
delle visite <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong>sposte ex art. 5 l. 300/70.<br />
Il problema viene posto sotto il profilo della presenza o meno, in tale domanda <strong>di</strong> <strong>mero</strong><br />
<strong>accertamento</strong>, del requisito dell’interesse ad agire <strong>di</strong> cui all’art. 100 c.p.c.<br />
La questione interseca quella più generale dei limiti entro i quali il nostro or<strong>di</strong>namento (nel quale,<br />
a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri or<strong>di</strong>namenti, <strong>di</strong>fetta una <strong>di</strong>sposizione che preveda in via generale la tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong><br />
<strong>accertamento</strong>, pur non mancando previsioni relative a tipiche ipotesi <strong>di</strong> azioni <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>)<br />
ammetta siffatta forma <strong>di</strong> tutela. La giurisprudenza <strong>di</strong> questa corte, com’è noto, si è progressivamente<br />
orientata, sulla scorta <strong>di</strong> un’autorevole dottrina che ha molto influenzato il vigente co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rito, verso<br />
l’ammissibilità della forma <strong>di</strong> tutela in questione per ogni tipo <strong>di</strong> situazione giuri<strong>di</strong>ca soggettiva<br />
protetta come <strong>di</strong>ritto soggettivo, estendendo l’ammissibilità delle azioni <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>,<br />
positivamente ricavabile dal coor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong>sposto degli art. 2653, n. 1, e 2691 c.c. per tutti i <strong>di</strong>ritti reali,<br />
a qualsiasi <strong>di</strong>ritto soggettivo (cfr., per i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, in una fattispecie particolarmente<br />
problematica, Cass. 174/71, id., 1971, I, 342) o rapporto giuri<strong>di</strong>co implicante <strong>di</strong>ritti ed obblighi delle<br />
parti (cfr. Cass. 8513/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2802 e 2921/89, id., Rep. 1989,<br />
voce cit., n. 2001), con esclusione pertanto solo dell’<strong>accertamento</strong> relativo a meri fatti o norme.<br />
In siffatto quadro, l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> un limite alla tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>, per evitare che<br />
la stessa venga utilizzata come strumento vessatorio (c.d. azioni <strong>di</strong> iattanza), è stato dalla dottrina<br />
affidato al rispetto del duplice principio dell’economia dei giu<strong>di</strong>zi e dell’effettività della tutela<br />
giuris<strong>di</strong>zionale, in virtù dei quali la tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> dovrebbe essere esclusa «ogni<br />
qualvolta l’attore sia in grado <strong>di</strong> ottenere già la più incisiva tutela <strong>di</strong> condanna». Si è tuttavia<br />
riconosciuto che l’applicazione dei principî suddetti riceve un forte ri<strong>di</strong>mensionamento a causa<br />
dell’insostenibile durata del processo <strong>di</strong> cognizione, delle <strong>di</strong>sfunzioni del processo <strong>di</strong> esecuzione e<br />
delle limitazioni teoriche e pratiche che tale ultima forma <strong>di</strong> tutela incontra. Da qui l’esigenza <strong>di</strong><br />
ancorare la limitazione della tutela in esame ad una «crisi <strong>di</strong> cooperazione da contestazione del<br />
<strong>di</strong>ritto», o da una negazione o da <strong>di</strong>sconoscimento.<br />
Questo limite la giurisprudenza traduce attraverso il ricorso alla formula dell’interesse ad agire in<br />
via <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>. Un tale interesse – secondo la più recente giurisprudenza della corte (che,<br />
muovendo dalle prime pronunce le quali esigevano che esso fosse «concreto ed attuale»: cfr. Cass.<br />
1064/64, id., 1964, I, 1825, ha insensibilmente abbandonato il riferimento all’«attualità»: cfr. Cass.<br />
4279/76) – consiste nell’esigenza <strong>di</strong> ottenere un risultato utile, giuri<strong>di</strong>camente apprezzabile, e non<br />
conseguibile senza l’intervento del giu<strong>di</strong>ce (cfr. Cass. 5743/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1943).<br />
Formulazione, quest’ultima, che lascia ancora aperto il problema <strong>di</strong> precisare quando possa ritenersi<br />
che il risultato utile non sia raggiungibile senza l’intervento del giu<strong>di</strong>ce.<br />
Nella specie, poiché la domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> della sussistenza <strong>di</strong> un inadempimento<br />
qualificato ha ad oggetto un’asserita mo<strong>di</strong>ficazione del rapporto e quin<strong>di</strong> dei <strong>di</strong>ritti ed obblighi delle<br />
parti e poiché non par contestabile che senza tale <strong>accertamento</strong> la società ricorrente subisce un<br />
pregiu<strong>di</strong>zio giuri<strong>di</strong>camente apprezzabile, il punto realmente controverso riguarda essenzialmente la<br />
possibilità per il datore <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> eliminare il pregiu<strong>di</strong>zio attraverso uno strumento <strong>di</strong>verso<br />
dall’invocata sentenza <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento. La risposta del tribunale è nel<br />
senso che tale possibilità esiste e risiede nel ricorso, da parte della società ricorrente, all’esercizio del<br />
potere <strong>di</strong> licenziare il lavoratore.<br />
L’assunto, però, non può essere con<strong>di</strong>viso. Infatti, l’alternativa, che si in<strong>di</strong>ca al datore per<br />
rimuovere il pregiu<strong>di</strong>zio, non si colloca sullo stesso piano del rime<strong>di</strong>o giuris<strong>di</strong>zionale invocato – il<br />
quale offrirebbe all’attore tutto quello e solo quello ch’egli ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> conseguire (e cioè la certezza<br />
dei rispettivi <strong>di</strong>ritti ed obblighi nel rapporto <strong>di</strong> cui egli è parte) – ma su <strong>di</strong> un piano <strong>di</strong>verso, in quanto<br />
lo costringe all’esercizio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potestativo che egli dovrebbe restar libero <strong>di</strong> esercitare o meno,<br />
quale che sia la configurazione che il rapporto ha assunto a seguito della crisi del sinallagma<br />
funzionale che lo regge. Inoltre, e soprattutto, il preteso rime<strong>di</strong>o alternativo produce conseguenze<br />
<strong>di</strong>verse e ulteriori rispetto a quelle consistenti nella semplice eliminazione del pregiu<strong>di</strong>zio<br />
derivante dall’incertezza oggettiva della configurazione del rapporto. Tali conseguenze,<br />
4
sintetizzabili nella cessazione del rapporto, sono altrettanto impegnative per l’attore che per il<br />
convenuto: il primo si troverebbe esposto, a seguito dell’incertezza che connota la situazione<br />
sostanziale posta a base del recesso, al rischio <strong>di</strong> corrispondere un pesante risarcimento in caso<br />
<strong>di</strong> accertata insussistenza del grave inadempimento; il secondo si troverebbe esposto<br />
nell’imme<strong>di</strong>ato alla per<strong>di</strong>ta del posto <strong>di</strong> lavoro ed alle pesanti conseguenze che un tale evento – in<br />
se e per se ed anche se, in ipotesi, in futuro riparabile – può implicare per l’esistenza e la <strong>di</strong>gnità della<br />
persona. Il bene della certezza giuri<strong>di</strong>ca, che in questo caso potrebbe esser raggiunto attraverso<br />
l’eventuale impugnazione del licenziamento. sarebbe conseguito, non attraverso una strada ritagliata<br />
sulla protezione <strong>di</strong> quel bene della vita cui la richiesta tutela <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> afferisce (come nei casi<br />
<strong>di</strong> azione <strong>di</strong> condanna al pagamento <strong>di</strong> una somma <strong>di</strong> danaro, in relazione ai quali peraltro<br />
comunemente si ammette la tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> del cre<strong>di</strong>to), ma, attraverso l’utilizzazione <strong>di</strong><br />
uno strumento giuri<strong>di</strong>co deputato a proteggere interessi <strong>di</strong>versi e non necessariamente coincidenti con<br />
l’interesse alla tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>. Si avrebbe in sostanza una torsione dell’esercizio del<br />
potere <strong>di</strong> licenziamento per raggiungere un risultato proprio della tutela <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>: il che<br />
constrasterebbe proprio con il principio dell’economia dei giu<strong>di</strong>zi, che giustifica i limiti della tutela in<br />
<strong>di</strong>scussione, giacché un tale principio, rettamente inteso, non soltanto esige che la macchina<br />
processuale non sia gravata per ottenere forme <strong>di</strong> tutela meno incisive <strong>di</strong> quelle che con una <strong>di</strong>versa<br />
azione proteggerebbero più efficacemente l’interesse sostanziale, ma postula anche che il ricorso agli<br />
strumenti giuri<strong>di</strong>ci sia il più possibile adeguato alle finalità pratiche perseguite e sia scoraggiato il<br />
ricorso a strumenti giuri<strong>di</strong>ci eccessivi rispetto a tali finalità, perché siffatto ricorso sarebbe fonte <strong>di</strong> un<br />
appesantimento della vita giuri<strong>di</strong>ca che fatalmente si ritorce in un sovraccarico del processo.<br />
L’economia dei giu<strong>di</strong>zi, insomma, postula un’economia nell’uso delle risorse giuri<strong>di</strong>che.<br />
Le considerazioni ora accennate dovrebbero valere anche per superare le resistenze che alle azioni<br />
<strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> da parte del datore <strong>di</strong> lavoro oppone quella parte della dottrina preoccupata <strong>di</strong><br />
evitare un’eterogenesi dei fini del processo del lavoro: non si tratta, invero, <strong>di</strong> porre a <strong>di</strong>sposizione<br />
della parte più forte uno strumento processuale confezionato per la tutela degli interessi più deboli, ma<br />
ben al contrario <strong>di</strong> non scoraggiare l’utilizzazione <strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong> (ormai purtroppo soltanto<br />
teorica) sollecita definizione delle liti ad iniziativa della parte che, <strong>di</strong>sponendo <strong>di</strong> un potere in<strong>di</strong>viduale<br />
<strong>di</strong> autotutela, tra<strong>di</strong>zionalmente a tale potere fa ricorso per risolvere impropriamente crisi <strong>di</strong><br />
cooperazione da contestazione dei <strong>di</strong>ritti. Un atteggiamento <strong>di</strong> self restraint da parte dei titolari <strong>di</strong><br />
poteri privati – i quali preferiscano accertare giu<strong>di</strong>zialmente il fondamento dei propri poteri, anziché<br />
esercitarli senz’altro lasciando a chi a tali poteri è soggetto l’onere d’impugnare l’esercizio subendone<br />
nelle more del giu<strong>di</strong>zio le conseguenze – costituisce un progresso dello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, e quin<strong>di</strong> anche<br />
delle categorie per la cui protezione è nato il processo del lavoro.<br />
Del resto, per tornare ad un <strong>di</strong>scorso d’or<strong>di</strong>ne sistematico, sarebbe del tutto incongruo ammettere<br />
che il datore <strong>di</strong> lavoro possa agire in via <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> per contestare il risultato <strong>di</strong> una visita<br />
<strong>di</strong> controllo ex art. 5 l. 300/70 (e ora ex l. 638/83) e negargli la medesima azione con riferimento ad<br />
una pluralità <strong>di</strong> visite <strong>di</strong> controllo, in una situazione in cui proprio la pluralità degli episo<strong>di</strong> rende meno<br />
problematico ed incerto l’esito dell’<strong>accertamento</strong> giu<strong>di</strong>ziale.<br />
Né può essere con<strong>di</strong>visa l’osservazione che l’<strong>accertamento</strong> giu<strong>di</strong>ziale <strong>di</strong> un grave inadempimento<br />
frustrerebbe le garanzie derivanti al lavoratore dall’art. 7 l. 300/70, perché – come osserva giustamente<br />
la ricorrente –, per quanto attiene all’oggetto dell’<strong>accertamento</strong>, quelle garanzie trovano piena e anzi<br />
maggiore esplicazione nel processo, mentre d’altro canto l’eventuale esercizio del potere <strong>di</strong><br />
licenziamento – che sull’<strong>accertamento</strong> giu<strong>di</strong>ziale dovesse fondarsi – dovrebbe pur sempre calarsi nelle<br />
forme previste dalla citata <strong>di</strong>sposizione, rimanendo incontestabile solo la situazione accertata in<br />
sentenza.<br />
C) Le considerazioni che precedono valgono a maggior ragione per la domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong><br />
della sussistenza <strong>di</strong> un’idoneità fisica del lavoratore all’espletamento delle mansioni contrattuali, in<br />
subor<strong>di</strong>ne avanzata dalla ricorrente e per la quale il tribunale ha parimenti erroneamente ritenuto la<br />
carenza d’interesse ad agire.<br />
D) Per quanto invece attiene alla domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> d’inadempimento non qualificato, che<br />
la ricorrente ha proposto in via autonoma nell’atto <strong>di</strong> appello, la lettura del ricorso presentato al<br />
pretore – ove la richiesta <strong>di</strong> accertare il carattere ingiustificato delle assenze era strettamente correlata<br />
all’<strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> una giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento (cfr. «e per<br />
l’effetto, che tale comportamento costituisce giusta causa, ecc.») – dà ragione del giu<strong>di</strong>zio del<br />
tribunale secondo cui la domanda originaria era rivolta all’<strong>accertamento</strong> del solo inadempimento<br />
5
qualificato (oltretutto, un’eventuale domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> mera «ingiustificatezza» delle<br />
assenze si sarebbe posta come subor<strong>di</strong>nata a quella relativa all’inadempimento qualificato, secondo<br />
l’or<strong>di</strong>ne logico che governa le conclusioni della ricorrente in primo grado, e non avrebbe aperto<br />
l’elenco delle domande stesse).<br />
Tuttavia la domanda, della cui novità in appello si controverte, è necessariamente ricompresa in<br />
quella originaria, posto che il tribunale – esaminando quest’ultima – non avrebbe potuto esimersi<br />
dall’accertare se e fino a che punto le assenze in<strong>di</strong>cate fossero ingiustificate, prima <strong>di</strong> accertare se esse<br />
costituissero grave inadempimento. Sì che, una volta riconosciuto l’interesse della ricorrente ad agire<br />
per la domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> <strong>di</strong> grave inadempimento, l’interesse della stessa ad ottenere una<br />
pronuncia sulla «ingiustificatezza» delle assenze resta salvaguardato, ad onta dell’erronea ed inutile<br />
pretesa <strong>di</strong> presentare l’originaria domanda come articolata in due <strong>di</strong>stinti ed autonomi capi.<br />
E) In conclusione, accolto il ricorso per quanto <strong>di</strong> ragione, la sentenza impugnata dev’essere<br />
annullata e la causa rinviata ad un giu<strong>di</strong>ce equior<strong>di</strong>nato perché decida l’appello della società ricorrente<br />
facendo applicazione dei seguenti principî <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto:<br />
«a) L’interesse ad agire con azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> sussiste ogni qualvolta ricorra una<br />
pregiu<strong>di</strong>zievole situazione d’incertezza relativa a <strong>di</strong>ritti o rapporti giuri<strong>di</strong>ci, la quale non sia<br />
eliminabile senza l’intervento del giu<strong>di</strong>ce.<br />
b) Tale intervento non può considerarsi surrogabile dall’esercizio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potestativo <strong>di</strong><br />
recesso che, pur legittimandosi in base alle mo<strong>di</strong>ficazioni del rapporto <strong>di</strong> cui si chiede<br />
l’<strong>accertamento</strong>, produce un risultato giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong>verso o ulteriore, rispetto a quello che<br />
deriverebbe dall’<strong>accertamento</strong> chiesto al giu<strong>di</strong>ce, suscettibile <strong>di</strong> contestazione giu<strong>di</strong>ziaria tanto<br />
in or<strong>di</strong>ne alla situazione giuri<strong>di</strong>ca della quale si è chiesto l’<strong>accertamento</strong> quanto in or<strong>di</strong>ne a<br />
ulteriori e <strong>di</strong>versi profili <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto o <strong>di</strong> fatto.<br />
c) La domanda <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> che una serie <strong>di</strong> assenze del lavoratore integrino un<br />
grave inadempimento costituente giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento,<br />
non contrasta con l’art. 7 l. 300/70 e la relativa sentenza non è inutiliter data, perché, ferma<br />
rimanendo la necessità che il successivo eventuale licenziamento <strong>di</strong>sciplinare rispetti la<br />
procedura del citato art. 7, vale a rendere incontestabile, nell’ambito <strong>di</strong> tale procedura, la<br />
situazione giuri<strong>di</strong>ca accertata dal giu<strong>di</strong>ce».<br />
* * *<br />
PAGNI, Licenziamento, poteri privati e interesse ad agire in <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>, nota a Cass. 26<br />
maggio 1993, n. 5889<br />
I. - La sentenza in epigrafe affronta in particolare la questione dell’ammissibilità <strong>di</strong> un’azione <strong>di</strong><br />
<strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>, promossa dal datore <strong>di</strong> lavoro, <strong>di</strong> un inadempimento particolarmente grave del<br />
lavoratore, tale da costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo <strong>di</strong> licenziamento, prima che<br />
il licenziamento stesso venga intimato (nel caso <strong>di</strong> specie si trattava <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> assenze del<br />
lavoratore nell’arco <strong>di</strong> quattro anni, giustificate come causate da malattia e ritenute tali in occasione<br />
delle visite <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong>sposte ex art. 5 l. 300/70).<br />
Dopo aver ricordato come la giurisprudenza della Corte suprema sia ormai orientata verso<br />
l’ammissibilità della tutela meramente <strong>di</strong>chiarativa per ogni tipo <strong>di</strong> situazione giuri<strong>di</strong>ca protetta come<br />
<strong>di</strong>ritto soggettivo (con l’unico limite del rispetto dei principî dell’economia dei giu<strong>di</strong>zi e<br />
dell’effettività della tutela giuris<strong>di</strong>zionale, limite che si traduce nel ricorso alla formula dell’interesse<br />
ad agire inteso come «esigenza <strong>di</strong> ottenere un risultato utile, giuri<strong>di</strong>camente apprezzabile, e non<br />
conseguibile senza l’intervento del giu<strong>di</strong>ce»), la sentenza afferma che nel caso <strong>di</strong> specie l’interesse ad<br />
agire <strong>di</strong>scende dall’impossibilità, per il datore <strong>di</strong> lavoro, <strong>di</strong> rimuovere il pregiu<strong>di</strong>zio derivante<br />
dall’incertezza oggettiva della configurazione del rapporto attraverso uno strumento <strong>di</strong>verso<br />
dall’invocata sentenza <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento.<br />
La presenza <strong>di</strong> uno stato <strong>di</strong> incertezza obiettiva circa il rapporto giuri<strong>di</strong>co oggetto <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio è il<br />
requisito cui la giurisprudenza subor<strong>di</strong>na l’interesse ad agire in <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>; tale incertezza,<br />
peraltro, deve <strong>di</strong> norma risultare da concrete molestie o da atti o fatti esteriori, e tradursi quin<strong>di</strong> in un<br />
pregiu<strong>di</strong>zio attuale del <strong>di</strong>ritto fatto valere (cfr., sul punto, le sentenze riportate da IMPAGNATIELLO,<br />
cit., spec. col. 966).<br />
6
Quando manca il primo <strong>di</strong> questi requisiti (non vi è, cioè, alcuna lite da pretesa contestata, per<br />
riprendere una ben nota terminologia carneluttiana), ma il giu<strong>di</strong>ce è chiamato ad accertare i <strong>di</strong>ritti e gli<br />
obblighi scaturenti da un rapporto giuri<strong>di</strong>co in assenza <strong>di</strong> qualsiasi contestazione, l’interesse<br />
all’<strong>accertamento</strong> <strong>di</strong>scende dal fatto che, pur non essendosi manifestata una lite, tuttavia non ne è<br />
esclusa la possibilità nel futuro (il cosiddetto «pericolo <strong>di</strong> lite», <strong>di</strong> cui Carnelutti fa menzione: cfr.<br />
CARNELUTTI, Sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto processuale civile, Padova, 1936, 151).<br />
In questo caso i problemi che si pongono sono relativi (come si vedrà in rapporto alla fattispecie<br />
oggetto della sentenza in epigrafe): 1) al possibile sconfinamento dell’<strong>accertamento</strong> nel c.d.<br />
<strong>accertamento</strong> preventivo; 2) all’impossibilità <strong>di</strong> sottoporre ad <strong>accertamento</strong> meri fatti, anziché<br />
situazioni soggettive (così SASSANI, Interesse ad agire, cit., 9).<br />
Se infatti la domanda proposta mira a scongiurare future contestazioni <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto che si afferma<br />
esistente, si può affermare che manca un pregiu<strong>di</strong>zio attuale e concreto e che l’intervento del giu<strong>di</strong>ce<br />
ha funzione essenzialmente preventiva (sub 1); ancora, spesso la natura preventiva dell’<strong>accertamento</strong><br />
richiesto <strong>di</strong>pende dal fatto che esso ha ad oggetto <strong>di</strong>ritti per i quali non si sono verificati tutti gli<br />
elementi della fattispecie costitutiva, nel qual caso si nega l’ammissibilità della tutela giuris<strong>di</strong>zionale a<br />
motivo del fatto che essa concerne meri fatti, anziché <strong>di</strong>ritti (sub 2).<br />
La sentenza in rassegna sembra prescindere da qualsiasi considerazione in or<strong>di</strong>ne alla necessità del<br />
requisito dell’attualità dell’interesse ad agire, subor<strong>di</strong>nando quest’ultimo semplicemente alla<br />
circostanza che l’<strong>accertamento</strong> giu<strong>di</strong>ziale sia l’unico mezzo per evitare un pregiu<strong>di</strong>zio giuri<strong>di</strong>camente<br />
apprezzabile: nel caso <strong>di</strong> specie, dunque, il punto realmente controverso riguarda essenzialmente la<br />
possibilità per il datore <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> eliminare il pregiu<strong>di</strong>zio ai propri <strong>di</strong>ritti attraverso uno strumento<br />
<strong>di</strong>verso dall’invocata sentenza <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> dell’inadempimento.<br />
L’argomento utilizzato dalla Cassazione per ammettere l’azione del datore <strong>di</strong> lavoro è in<br />
conseguenza dato da ciò, che si nega che il ricorso all’esercizio del potere <strong>di</strong> licenziare il lavoratore<br />
possa costituire un rime<strong>di</strong>o alternativo per il ricorrente, perché l’esercizio del <strong>di</strong>ritto potestativo<br />
produrrebbe conseguenze <strong>di</strong>verse e ulteriori rispetto a quelle consistenti nella semplice eliminazione<br />
dell’incertezza. Tali conseguenze sono altrettanto impegnative per l’attore che per il convenuto, perché<br />
il primo si espone al rischio <strong>di</strong> corrispondere un pesante risarcimento in caso <strong>di</strong> accertata insussistenza<br />
dell’inadempimento, mentre il secondo perde comunque, nell’imme<strong>di</strong>atezza, il posto <strong>di</strong> lavoro, con<br />
grave pregiu<strong>di</strong>zio all’esistenza e alla <strong>di</strong>gnità della persona.<br />
È evidente (e del resto è detto molto chiaramente dalla stessa corte) che la sentenza mostra <strong>di</strong><br />
apprezzare l’atteggiamento <strong>di</strong> self-restraint da parte dei titolari <strong>di</strong> poteri privati, i quali preferiscano<br />
accertare giu<strong>di</strong>zialmente il fondamento dei propri poteri anziché esercitarli senz’altro, lasciando al<br />
titolare della soggezione l’onere d’impugnarne l’esercizio.<br />
Nella prospettazione offerta dalla Cassazione, <strong>di</strong>remmo che ad oggetto del processo assurge il<br />
<strong>di</strong>ritto potestativo sostanziale prima del suo esercizio, per cui l’esigenza <strong>di</strong> ricorrere al giu<strong>di</strong>ce<br />
(l’interesse ad agire) sorge dalla incertezza nelle relazioni sociali circa l’esistenza e la qualificazione<br />
giuri<strong>di</strong>ca dei fatti cui l’esercizio del potere pretende <strong>di</strong> dare rilevanza. Non è viceversa in <strong>di</strong>scussione<br />
la legittimità formale delle modalità d’esercizio del potere, perché evidentemente l’<strong>accertamento</strong><br />
giu<strong>di</strong>ziale vale solo a rendere incontestabile la situazione giuri<strong>di</strong>ca accertata dal giu<strong>di</strong>ce, ferma<br />
rimanendo la necessità che il successivo eventuale licenziamento <strong>di</strong>sciplinare rispetti la procedura<br />
prevista dalla legge (nella specie, il <strong>di</strong>sposto dell’art. 7 l. 300/70).<br />
II. - Tuttavia dev’essere rilevato che la posizione assunta in questa occasione dalla Cassazione si<br />
scontra con l’opposto punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> chi ritiene che ammettere l’azione <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> della<br />
legittimità <strong>di</strong> un licenziamento non ancora intimato significhi utilizzare la giuris<strong>di</strong>zione contenziosa<br />
per scopi meramente consultivi, consentendo una domanda che si riduce alla petizione della<br />
<strong>di</strong>chiarazione preventiva <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potestativo (cfr. Pret. Bologna 23 gennaio 1974 e Trib. Milano 4<br />
giugno 1981, cit., e in dottrina, CARBONARI, Provve<strong>di</strong>menti d’urgenza, cit.).<br />
È questo dunque il quesito che pone la sentenza in epigrafe: se il titolare <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potestativo<br />
stragiu<strong>di</strong>ziale possa adìre il giu<strong>di</strong>ce per far <strong>di</strong>chiarare sussistenti i presupposti del proprio potere prima<br />
<strong>di</strong> averlo esercitato, o se invece questo tipo <strong>di</strong> domanda giu<strong>di</strong>ziale debba considerarsi un modo<br />
improprio <strong>di</strong> utilizzare la tutela giuris<strong>di</strong>zionale, non avendo il datore <strong>di</strong> lavoro altro interesse al <strong>di</strong> fuori<br />
<strong>di</strong> quello conseguibile <strong>di</strong> per sé attraverso l’estrinsecazione dello stesso potere <strong>di</strong> recesso.<br />
È evidente che la materia offre ampio margine alle opzioni valutative dell’interprete: così che<br />
sembra opportuno che qualsiasi considerazione in proposito, anziché svolgersi in astratto, si muova sul<br />
7
filo delle opinioni espresse dalla giurisprudenza sul tema che qui si affronta; allo stesso modo appare<br />
conveniente, sia per la connessione esistente tra gli argomenti analizzati dalle pronunce, sia perché il<br />
tema dell’interesse ad agire rischia <strong>di</strong> apparire, per così <strong>di</strong>re, inafferabile, se non lo si cala nella<br />
concreta esperienza giurisprudenziale, allargare l’analisi alle altre sentenze ricordate sopra, che<br />
affrontano il tema dell’interesse ad agire nel rapporto <strong>di</strong> lavoro anche in fattispecie <strong>di</strong>verse da quella<br />
ora in esame.<br />
Cominciamo con lo sgomberare il campo da un’obiezione rivolta all’ammissibilità dell’azione <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> della legittimità del licenziamento da Trib. Milano 4 giugno 1981, cit., per il quale è<br />
puramente astratto l’interesse del datore <strong>di</strong> lavoro ad accertare che si siano verificati in concreto i<br />
presupposti del potere <strong>di</strong> licenziamento, dato che la sentenza <strong>di</strong>chiarativa non può apportargli il<br />
vantaggio, che egli si ripromette, <strong>di</strong> evitare una successiva azione giu<strong>di</strong>ziaria una volta esercitato il<br />
<strong>di</strong>ritto potestativo. Osserva il tribunale che «se anche fossero accertati i fatti prospettati dal datore <strong>di</strong><br />
lavoro, il <strong>di</strong>pendente non perderebbe il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> impugnare il provve<strong>di</strong>mento adottato nei suoi<br />
confronti», dal momento che «il licenziamento non può essere ritenuto legittimo o efficace solo per il<br />
fatto che si è verificata una corrispondenza tra l’ipotesi astratta prevista dal contratto collettivo e la<br />
fattispecie concreta». Questa considerazione, in sé abbastanza ovvia, non ci sembra tuttavia risolutiva<br />
ai fini della sussistenza o meno dell’interesse ad agire, poiché, come sopra si osservava, la pronuncia<br />
<strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> è tutt’altro che inutiliter data, se vale a rendere incontestabile, nell’ambito della<br />
procedura <strong>di</strong> licenziamento prevista dall’art. 7 l. 300/70, quantomeno la situazione giuri<strong>di</strong>ca accertata<br />
dal giu<strong>di</strong>ce (id est l’esistenza del potere sostanziale del datore <strong>di</strong> lavoro).<br />
Più stringente appare l’obiezione sollevata da App. Roma 6 giugno 1988, cit., che si è pronunciata<br />
sull’ammissibilità dell’azione del datore <strong>di</strong> lavoro per l’<strong>accertamento</strong> dell’inesistenza dell’obbligo <strong>di</strong><br />
assumere invali<strong>di</strong> (e quin<strong>di</strong> in un settore <strong>di</strong>verso da quello che qui interessa), la cui motivazione<br />
tuttavia si attaglia anche al caso in esame. Osserva la corte che la domanda è inammissibile perché<br />
finalizzata ad ottenere un anticipato <strong>accertamento</strong> dei limiti della soggezione dell’istante all’obbligo,<br />
penalmente sanzionato, <strong>di</strong> far luogo a richieste <strong>di</strong> assunzione <strong>di</strong> lavoratori invali<strong>di</strong> e ciò al fine <strong>di</strong><br />
scongiurare, in via preventiva, una paventata denuncia ed una conseguente imputazione in sede <strong>di</strong><br />
giuris<strong>di</strong>zione criminale (così come, nella fattispecie oggetto della sentenza in epigrafe, ammettere<br />
l’azione del datore <strong>di</strong> lavoro equivale per qualcuno a creare una contrad<strong>di</strong>zione nel sistema normativo<br />
il quale, da un lato, si premurerebbe, in forza dell’art. 18, 2° comma, statuto dei lavoratori, <strong>di</strong><br />
appesantire gli obblighi in capo al datore <strong>di</strong> lavoro che abbia illegittimamente licenziato e, dall’altro,<br />
autorizzerebbe la più comoda scappatoia per evitargli il peso <strong>di</strong> quegli obblighi, alla sola con<strong>di</strong>zione<br />
che si faccia attore in giu<strong>di</strong>zio prima dell’esercizio del potere <strong>di</strong> recesso: in questi termini,<br />
CARBONARI, Provve<strong>di</strong>menti d’urgenza, cit., 1603).<br />
È proprio <strong>di</strong> fronte ad argomentazioni del genere, tuttavia, che si avverte l’ampio margine che la<br />
materia lascia alle opzioni valutative dell’interprete: <strong>di</strong>fatti, è possibile, semplicemente rovesciando il<br />
ragionamento seguito da questa giurisprudenza e da questa dottrina, ritenere che, al contrario, siano<br />
proprio l’esposizione al rischio <strong>di</strong> un’incriminazione o la previsione <strong>di</strong> un risarcimento vincolato, nella<br />
misura minima, alle cinque mensilità <strong>di</strong> retribuzione, a determinare una situazione <strong>di</strong> incertezza<br />
concreta ed oggettiva, che giustifica il ricorso all’autorità giu<strong>di</strong>ziaria (in questo senso, cfr. App. Roma<br />
16 gennaio 1989, nonché la sentenza in epigrafe).<br />
III. - Riassumendo il contenuto delle altre pronunce in cui è sorto il quesito dell’ammissibilità<br />
dell’azione <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> della legittimità <strong>di</strong> un licenziamento non ancora intimato, si osserva che in<br />
esse finiscono per giocare essenzialmente i due fattori che si richiamavano supra:<br />
1) la natura più o meno preventiva dell’<strong>accertamento</strong> richiesto (ha escluso l’interesse ad agire del<br />
datore <strong>di</strong> lavoro, a motivo della preventività dell’<strong>accertamento</strong>, Pret. Bologna 23 gennaio 1974, cit.; v.<br />
anche, sia pure in una fattispecie rovesciata, Pret. Desio 29 gennaio 1987, cit.);<br />
2) la possibilità <strong>di</strong> correlare la tutela giuris<strong>di</strong>zionale a un <strong>di</strong>ritto soggettivo vero e proprio, anziché<br />
a meri fatti (si vedano, sul punto, le osservazioni <strong>di</strong> CARBONARI, Provve<strong>di</strong>menti d’urgenza, cit.,<br />
1601, per il quale non possono entrare in gioco né la posizione soggettiva del datore <strong>di</strong> lavoro, che non<br />
si è ancora formalmente materializzata in un atto giuri<strong>di</strong>camente apprezzabile – il licenziamento –, né<br />
le posizioni soggettive del lavoratore – il <strong>di</strong>ritto al posto, al lavoro –, che allo stato delle cose sono<br />
ancora sod<strong>di</strong>sfatte, o comunque non lese).<br />
Ora, cominciando da questo secondo punto, se è vero che, nel caso <strong>di</strong> licenziamento già intimato,<br />
può essere <strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>viduare la situazione sostanziale cui correlare la richiesta <strong>di</strong> tutela<br />
8
giuris<strong>di</strong>zionale (ed evitare la sensazione che l’iniziativa datoriale sia in realtà una provocazione del<br />
lavoratore ad agire a tutela del proprio <strong>di</strong>ritto alla reintegrazione, questo sì costituente situazione<br />
soggettiva attiva: così MERLIN, nota a Pret. Napoli 14 gennaio 1991, cit.; cfr., sul punto, Pret. Reggio<br />
Emilia 16 febbraio 1987, cit.; Pret. Desio 29 gennaio 1987, cit., Trib. Milano 3 settembre 1988, cit.;<br />
cui adde Pret. Firenze 19 febbraio 1986, cit., sebbene in questo caso vi fosse già stato un precedente<br />
licenziamento e quin<strong>di</strong> l’estinzione del rapporto), nel caso in cui il potere <strong>di</strong> licenziare non sia ancora<br />
stato esercitato non è <strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>viduare nel <strong>di</strong>ritto potestativo sostanziale l’oggetto del processo e<br />
nell’incertezza circa l’esistenza dei fatti cui l’esercizio del potere pretende <strong>di</strong> dare rilevanza la fonte<br />
dell’interesse ad agire del datore <strong>di</strong> lavoro.<br />
Per quanto concerne il caso in cui il licenziamento sia già stato intimato, ci sembra che la<br />
giurisprudenza che nega l’ammissibilità dell’azione <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> (perché il dubbio, oggettivamente<br />
apprezzabile, che dà luogo all’interesse ad agire, deve investire l’esistenza e/o la titolarità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto<br />
che invece, in questo caso, è già stato esercitato), possa essere citata a sostegno della tesi secondo cui<br />
il <strong>di</strong>ritto potestativo sostanziale può costituire <strong>di</strong>ritto fatto valere in giu<strong>di</strong>zio prima del suo esercizio, e<br />
mai dopo, dal momento che dopo l’esercizio esso si estingue per consumazione (così PROTO PISANI,<br />
Appunti sulla tutela c.d. costitutiva (e sulle tecniche <strong>di</strong> produzione degli effetti sostanziali), in Riv. <strong>di</strong>r.<br />
proc., 1991, 79); <strong>di</strong> conseguenza, sembra opportuno sottolineare che si potrebbe arrivare ad una<br />
<strong>di</strong>versa conclusione circa la sussistenza dell’interesse ad agire, solo ove si ritenesse che oggetto del<br />
giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> sia, anziché il <strong>di</strong>ritto potestativo sostanziale, <strong>di</strong>rettamente la situazione<br />
soggettiva costituita, estinta, impe<strong>di</strong>ta o mo<strong>di</strong>ficata dall’esercizio <strong>di</strong> quello stesso <strong>di</strong>ritto. In questo<br />
caso, infatti, non vi sarebbero dubbi sulla situazione soggettiva cui dev’essere correlata la richiesta <strong>di</strong><br />
tutela, e si potrebbe riconoscere l’interesse ad agire tanto del datore <strong>di</strong> lavoro (che vuole ottenere,<br />
tramite il processo, l’<strong>accertamento</strong> immutabile degli effetti ricollegati dalla legge ai fatti costitutivi,<br />
mo<strong>di</strong>ficativi, impe<strong>di</strong>tivi, estintivi che costituiscono il presupposto dell’esercizio del potere) quanto del<br />
lavoratore (il quale, viceversa, mira ad ottenere un <strong>accertamento</strong> immutabile della permanente<br />
esistenza delle situazioni soggettive che chi ha esercitato il potere pretende estinte). Unico problema,<br />
in questa seconda ipotesi, sarebbe sapere se il lavoratore possa agire per il <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>, o se<br />
invece debba <strong>di</strong>rettamente agire per la reintegrazione nel posto <strong>di</strong> lavoro, essendo maturate le<br />
con<strong>di</strong>zioni per richiedere una sentenza <strong>di</strong> condanna.<br />
Per quanto concerne invece la fattispecie <strong>di</strong>rettamente oggetto della sentenza in rassegna, si ripete<br />
che non vi sono <strong>di</strong>fficoltà nell’in<strong>di</strong>viduare la situazione soggettiva cui correlare la richiesta <strong>di</strong> tutela: e<br />
questo, sia ove si accolga la tesi che vede nel <strong>di</strong>ritto potestativo l’oggetto del processo, sia ove si<br />
preferisca porre ad oggetto dell’<strong>accertamento</strong> <strong>di</strong>rettamente il rapporto <strong>di</strong> lavoro su cui il <strong>di</strong>ritto<br />
potestativo pretende <strong>di</strong> incidere.<br />
Osserva a questo proposito Merlin, in nota a Pret. Napoli 14 gennaio 1991, cit., che<br />
l’in<strong>di</strong>viduazione nel <strong>di</strong>ritto potestativo della situazione sostanziale cui collegare la tutela<br />
giuris<strong>di</strong>zionale richiesta è resa <strong>di</strong>fficile dalla idoneità all’autotutela implicita nella figura del potere <strong>di</strong><br />
licenziare (o, come nel caso oggetto della sentenza riportata, <strong>di</strong> trasferire il lavoratore ad altra sede). A<br />
quest’obiezione se ne aggiunge un’altra, sostanzialmente analoga, secondo la quale se la domanda <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> vertesse sul potere sostanziale, essa postulerebbe un’indebita sostituzione del datore <strong>di</strong><br />
lavoro da parte del giu<strong>di</strong>ce nell’esercizio <strong>di</strong> un potere <strong>di</strong> esclusiva titolarità del primo. Come logica<br />
conseguenza <strong>di</strong> queste osservazioni, si chiede che il datore <strong>di</strong> lavoro eserciti <strong>di</strong>rettamente il potere<br />
sostanziale, senza necessità <strong>di</strong> alcun intervento giu<strong>di</strong>ziale, cui altrimenti si finirebbe per attribuire una<br />
valenza «costitutiva» assolutamente superflua in presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti potestativi esercitabili<br />
stragiu<strong>di</strong>zialmente. Queste obiezioni non sembrano decisive, atteso che l’<strong>accertamento</strong> del giu<strong>di</strong>ce<br />
circa l’esistenza e la titolarità del potere sostanziale <strong>di</strong> licenziamento in realtà non determina una<br />
sostituzione del potere pubblico al potere privato in misura maggiore <strong>di</strong> quanto si verifichi in ogni<br />
attività giuris<strong>di</strong>zionale (in questo caso, Pret. Porto Torres 1° giugno 1974, cit.).<br />
Resta invece il dubbio circa l’influenza del principio, generalissimo nel nostro or<strong>di</strong>namento,<br />
dell’economia dei giu<strong>di</strong>zi, che, come potrebbe valere ad escludere l’ammissibilità della tutela <strong>di</strong><br />
<strong>accertamento</strong> ogniqualvolta l’attore sia in grado <strong>di</strong> ottenere già la più incisiva tutela <strong>di</strong> condanna, così<br />
potrebbe essere richiamato ad escludere l’interesse ad agire ove la parte <strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> un potere che<br />
produce le proprie conseguenze <strong>di</strong>rettamente, a prescindere dall’intervento giu<strong>di</strong>ziale: a questo<br />
proposito, tuttavia, ci sembra <strong>di</strong> poter con<strong>di</strong>videre il punto <strong>di</strong> vista della sentenza in epigrafe, per la<br />
quale l’economia dei giu<strong>di</strong>zi impone che il ricorso agli strumenti giuri<strong>di</strong>ci sia il più possibile adeguato<br />
alle finalità pratiche perseguite (in questo senso, la certezza giuri<strong>di</strong>ca sul rapporto giuri<strong>di</strong>co esistente<br />
9
tra le parti), mentre dev’essere scoraggiata a questi fini l’utilizzazione <strong>di</strong> uno strumento eccessivo,<br />
quale l’esercizio del potere <strong>di</strong> licenziamento.<br />
Se con queste osservazioni si ritiene sgombrato il campo anche dall’ultima obiezione, si può<br />
concludere nel senso che l’ammissibilità dell’azione <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong> della legittimità del<br />
licenziamento in realtà non incontra alcun ostacolo <strong>di</strong> rilievo nella <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare la<br />
situazione soggettiva cui correlare la richiesta <strong>di</strong> tutela giuris<strong>di</strong>zionale (supra, sub 2).<br />
Passando invece all’analisi del punto 1), il <strong>di</strong>scorso si fa delicato, perché il riconoscimento<br />
dell’interesse ad agire passa in questo caso attraverso la negazione della natura preventiva<br />
dell’<strong>accertamento</strong> giuris<strong>di</strong>zionale richiesto dal datore <strong>di</strong> lavoro, e la <strong>di</strong>fficoltà nel caso <strong>di</strong> specie è<br />
sottrarsi alla suggestione che il titolare del potere <strong>di</strong> licenziamento, che chieda la <strong>di</strong>chiarazione<br />
dell’esistenza del potere medesimo prima che questo venga esercitato, chieda in realtà al giu<strong>di</strong>ce quale<br />
sia la corretta qualificazione giuri<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> un fatto non ancora avvenuto, allo scopo <strong>di</strong> ottenere un parere<br />
giu<strong>di</strong>ziale, che invece è inammissibile nel nostro or<strong>di</strong>namento.<br />
Si esamini dunque quanto ritenuto dalla giurisprudenza in due <strong>di</strong>verse circostanze, nelle quali era<br />
stato sollevato il dubbio circa la natura preventiva dell’<strong>accertamento</strong> richiesto.<br />
Secondo Cass. 14 maggio 1983, n. 3338, cit., è ammissibile (perché non verte sulla qualificazione<br />
<strong>di</strong> fatti futuri) la domanda del lavoratore che agisca per ottenere il riconoscimento della sussistenza del<br />
rischio ambientale, in quanto il <strong>di</strong>ritto alla tutela assicurativa è un <strong>di</strong>ritto soggettivo già esistente,<br />
<strong>di</strong>stinto dal <strong>di</strong>ritto alla prestazione che nasce solo al verificarsi dell’evento protetto; in occasione <strong>di</strong><br />
una fattispecie completamente <strong>di</strong>versa, già più volte richiamata, App. Roma 6 giugno 1988, cit., ha<br />
ritenuto improponibile, perché volta ad un <strong>accertamento</strong> preventivo, la domanda del datore <strong>di</strong> lavoro<br />
che, anteriormente all’atto amministrativo <strong>di</strong> avviamento <strong>di</strong> soggetti invali<strong>di</strong> appartenenti alle<br />
categorie protette dalla l. n. 482 del 1968, chiede <strong>di</strong> accertarsi l’inesistenza del proprio obbligo <strong>di</strong><br />
inoltrare richiesta <strong>di</strong> assunzione ai sensi dell’art. 23 della suddetta legge.<br />
In entrambe le ipotesi la situazione <strong>di</strong> fatto da cui <strong>di</strong>scende la situazione giuri<strong>di</strong>ca azionata si è<br />
compiutamente realizzata: quel che non si è ancora verificato, in entrambi i casi, è un elemento della<br />
fattispecie che però rileva, nella prima ipotesi, al fine <strong>di</strong> fondare un <strong>di</strong>ritto ulteriore (il <strong>di</strong>ritto alla<br />
prestazione) rispetto a quello per il quale si è agito (il <strong>di</strong>ritto alla tutela assicurativa); e nella seconda<br />
ipotesi, configura solo il momento sanzionatorio del comportamento <strong>di</strong> colui che ha proposto la<br />
domanda <strong>di</strong> <strong>mero</strong> <strong>accertamento</strong>. Come osserva SASSANI, L’azione <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> del datore <strong>di</strong><br />
lavoro «<strong>di</strong>ssenziente» nel proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> avviamento obbligatorio, cit., 1155 ss., a proposito della<br />
sentenza della Corte <strong>di</strong> appello <strong>di</strong> Roma, l’errore in cui è incorso il giu<strong>di</strong>ce nel <strong>di</strong>chiarare<br />
improponibile l’azione, è quello <strong>di</strong> aver considerato la denuncia futura alla stregua del fatto da<br />
localizzare temporalmente per farne <strong>di</strong>scendere la soluzione del problema dell’ammissibilità<br />
dell’azione, mentre oggetto dell’<strong>accertamento</strong> è l’obbligo attuale dell’impren<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> fare la richiesta<br />
<strong>di</strong> avviamento: donde l’erronea equazione: «<strong>accertamento</strong> degli effetti <strong>di</strong> fatto futuro = <strong>accertamento</strong><br />
preventivo = improponibilità della domanda», quando invece al giu<strong>di</strong>ce si è richiesto semplicemente <strong>di</strong><br />
giu<strong>di</strong>care se eventi già verificatisi siano o non siano idonei ad integrare la fattispecie dell’obbligo alla<br />
cui violazione seguirebbe l’iniziativa sanzionatoria dell’altra parte.<br />
Alla luce <strong>di</strong> queste considerazioni, ci sembra <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>re che anche nel caso oggetto della<br />
sentenza che qui si riporta, la domanda del datore <strong>di</strong> lavoro, anziché ridursi alla petizione della<br />
<strong>di</strong>chiarazione preventiva <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potestativo, fondato non su un fatto, ma su un’ipotesi <strong>di</strong> fatto<br />
(come sembra ritenere Pret. Bologna 23 gennaio 1974, cit.), mira a stabilire, con la garanzia del<br />
giu<strong>di</strong>cato, se determinati fatti, già accaduti, possano costituire il presupposto su cui fondare l’eventuale<br />
esercizio del <strong>di</strong>ritto potestativo medesimo, senza incorrere nel pregiu<strong>di</strong>zio derivante dall’applicazione<br />
dell’art. 18 statuto dei lavoratori, per il caso <strong>di</strong> esercizio illegittimo del potere. Secondo questa<br />
ricostruzione, la domanda <strong>di</strong> <strong>accertamento</strong> verte su <strong>di</strong> una situazione soggettiva già esistente, anche se<br />
non ancora esercitata, mentre il fatto (futuro) dell’esercizio si pone, ove sia illegittimo, come elemento<br />
<strong>di</strong> una fattispecie nuova, che è piuttosto la fonte del <strong>di</strong>ritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto<br />
<strong>di</strong> lavoro.<br />
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