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Il Dante politico negli inediti di Augusto Del Noce - PoliticaMente

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<strong>Il</strong> <strong>Dante</strong> <strong>politico</strong> <strong>negli</strong> <strong>ine<strong>di</strong>ti</strong> <strong>di</strong> <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> 1<br />

<strong>di</strong> Mario Ciampi<br />

1. <strong>Dante</strong> e la storiografia del Novecento, tra immanenza e trascendenza<br />

Sappiamo che la presenza <strong>di</strong> <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> nella storia della critica dantesca deve essere<br />

spiegata. Non è per nulla scontato, infatti, che un filosofo che per sua stessa ammissione non fu<br />

«dantista, né me<strong>di</strong>evista, né filologo» 2 , possa <strong>di</strong>re una parola, forse perfino conclusiva, su <strong>Dante</strong> e le<br />

sue interpretazioni novecentesche. Ma <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> sui temi danteschi ha scritto e pensato cose <strong>di</strong><br />

indubbio valore, che non possono attendere ancora per venire alla luce, tanto ci sembrano rilevanti<br />

per la lettura dantesca e per la stessa storiografia filosofico-politica.<br />

<strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> ci ricorda che la Monarchia, tra le opere classiche della filosofia politica, è sicuramente la<br />

più negletta. Un’opera non del tutto compresa, come <strong>di</strong>mostrano già le prime reazioni che suscitò<br />

nel Trecento: basti pensare che venne tolta dall’In<strong>di</strong>ce solo nel 1881, ad opera <strong>di</strong> Leone XIII che la<br />

ascrisse alla scuola del tomismo per liberarla da quelle interpretazioni risorgimentali che ne<br />

facevano una sorta <strong>di</strong> manifesto dell’Italia laicista e del “Regno scomunicato”. Sono proprio queste<br />

interpretazioni che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> vuole confutare con il suo <strong>Dante</strong> <strong>politico</strong>: per il Nostro, <strong>Dante</strong> non può<br />

essere letto alla luce <strong>di</strong> quel conflitto tra umanesimo e trascendenza, tra civiltà moderna e<br />

cattolicesimo, portato avanti dagli immanentisti. Croce e Gentile, infatti, pur avendo idee molto<br />

<strong>di</strong>verse sul Trattato <strong>politico</strong>, non potevano evitare <strong>di</strong> interpretarla a partire dalla loro visione<br />

immanentistica, e per questo motivo non compresero appieno il problema <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>. L’Alighieri<br />

veniva fatto oggetto <strong>di</strong> contesa tra i fautori della fine della trascendenza, che lo vedevano come il<br />

profeta <strong>di</strong> una modernità intesa in senso assiologico, e quanti, invece, ne facevano l’ultimo baluardo<br />

del Me<strong>di</strong>oevo e delle sue categorie. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> parte proprio da qui, dalla comprensione del<br />

problema <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, consapevole che se si intende bene la conciliazione dantesca tra natura e grazia,<br />

anche molti dei problemi interpretativi del Novecento possono essere risolti. E questo spiega anche<br />

il motivo per cui <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> sceglie <strong>di</strong> confrontarsi con i temi danteschi.<br />

<strong>Il</strong> filosofo torinese, fedele al suo metodo, e prima <strong>di</strong> esprimersi sulla questione dei rapporti tra<br />

umanesimo e trascendenza, riscontra all’interno della critica dantesca due possibili interpretazioni<br />

«assolutamente non me<strong>di</strong>abili»: l’interpretazione laico-razionalistica e quella teologico-politica.<br />

Secondo la prima, la Monarchia sarebbe sintetizzabile nell’affermazione dell’autonomia del potere<br />

temporale dalle pretese ierocratiche del Papato. Ma questa autonomia, per gli interpreti razionalisti,<br />

porta all’ammissione <strong>di</strong> un certo naturalismo, secondo il quale la natura basta ad assicurare la piena<br />

saggezza umana e non ha bisogno della grazia, che semmai può estrinsecamente apportare alla<br />

natura qualcosa che essa trova già in se stessa. Da queste premesse filosofiche, l’interpretazione<br />

laico-razionalistica ricava un rigido separatismo tra ragione e fede, e quin<strong>di</strong> tra l’or<strong>di</strong>ne spirituale e<br />

l’or<strong>di</strong>ne temporale. Se fosse valida questa lettura, sarebbe giustificata l’accusa <strong>di</strong> eresia che subito<br />

dopo l’uscita della Monarchia venne lanciata, tra gli altri, da Guido Vernani da Rimini e dal<br />

car<strong>di</strong>nale Bertrando del Poggetto.<br />

1 Gli Appunti delnociani sulla Monarchia <strong>di</strong> <strong>Dante</strong> sono straor<strong>di</strong>nariamente compositi. Si <strong>di</strong>stingue una parte organica,<br />

che presenta il titolo “Postilla aggiuntiva sull’interpretazione della Monarchia dantesca – L’Imperium come reme<strong>di</strong>um<br />

peccati, secondo Fr. Ercole e Br. Nar<strong>di</strong>”. Viene poi una seconda parte più voluminosa e assai <strong>di</strong>sorganica, che ha<br />

necessitato <strong>di</strong> un lungo lavoro <strong>di</strong> ricostruzione per dare ai fogli il senso logico che probabilmente presentava il<br />

manoscritto. Senso logico, si ba<strong>di</strong>, che non significa compiutezza del ragionamento, perché l’Autore intendeva ancora<br />

ritornare sulle sue carte, come ci avverte l’Introduzione a <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> <strong>di</strong> Gian Franco Lami, e plasmarle per una<br />

stesura definitiva. Una terza parte, ancora più frammentata, costituisce quelli che abbiamo chiamato “Appunti <strong>di</strong><br />

lavoro”.<br />

2 A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Sconfitto ieri, ma oggi?, in “<strong>Il</strong> Tempo”, 28 gennaio 1985.<br />

1


L’altra interpretazione, quella teologico-politica, invece ha come tema centrale quello del reme<strong>di</strong>um<br />

contra infirmitatem peccati: l’autonomia dell’Impero si giustificherebbe solo all’interno della<br />

teologia del peccato originale e della Redenzione. Sarebbe quin<strong>di</strong> la lotta contro l’infirmitas peccati<br />

a rendere necessaria la <strong>di</strong>stinzione tra la Chiesa e l’Impero. La <strong>di</strong>pendenza imme<strong>di</strong>ata<br />

dell’imperatore da Dio non ha nulla del laicismo moderno: in <strong>Dante</strong>, il Me<strong>di</strong>oevo resiste nella<br />

ricerca <strong>di</strong> una concor<strong>di</strong>a tra il potere temporale e il potere spirituale, attraverso la parallela<br />

purificazione <strong>di</strong> entrambi.<br />

Due interpretazioni nettamente contrapposte e inconciliabili, che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> porta alle loro estreme<br />

conseguenze per decidere della verità dell’una o dell’altra. Partiamo dalla seconda. In questo filone,<br />

la posizione più estrema è sicuramente quella <strong>di</strong> Luigi Valli. Nel suo scritto del 1922 3 , l’Aquila e la<br />

Croce sono messe sullo stesso piano: l’Impero è necessario per rendere effettiva la Redenzione <strong>di</strong><br />

Cristo. Tesi eterodossa, quella del Valli, nella quale però sussiste un elemento <strong>di</strong> verità che<br />

Francesco Ercole, uno dei maggiori stu<strong>di</strong>osi della Monarchia, non mancherà <strong>di</strong> evidenziare: Valli<br />

ha ragione quando afferma che l’ideale cristiano non può essere realizzato con le sole virtù<br />

teologali, ma necessita delle virtù intellettuali e morali, e <strong>di</strong> una società che faccia la sua parte al<br />

fianco della Chiesa. Sono due i reme<strong>di</strong>a contra infirmitatem peccati. L’errore del Valli, che si<br />

spinge verso un’interpretazione gnostica della Monarchia, sta nel <strong>di</strong>stinguere due redenzioni<br />

ugualmente necessarie: quella dell’Aquila, che libera l’uomo dall’incapacità <strong>di</strong> operare secondo il<br />

bene (<strong>di</strong>fficultas), e quella della Croce, che, invece, libera l’uomo dall’incapacità <strong>di</strong> conoscere il<br />

vero bene (ignorantia). <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> lo cita per sottolineare con forza che l’autonomia, e la stessa<br />

necessità dell’Impero, non possono essere comprese senza il peccato e le sue conseguenze. Tanto<br />

grave è la necessità del monarca universale, che <strong>Dante</strong> sente l’urgenza <strong>di</strong> contestare quella politica<br />

ecclesiastica che non la riconosce. Ma questa contestazione, sia chiaro, rimane nei limiti della<br />

teologia del peccato originale. Quello dei rapporti tra Chiesa e Impero è, quin<strong>di</strong>, problema<br />

secondario, che non avrebbe senso fuori dal contesto della cupi<strong>di</strong>tas, sulla cui natura <strong>Dante</strong> non<br />

dubita mai, associandola sempre al «lapsus primorum parentum, qui <strong>di</strong>verticulum fuit totius nostre<br />

deviationis» 4 . Una volta centrato il problema della cupi<strong>di</strong>gia, <strong>Dante</strong> lo sposta in campo sociale e<br />

<strong>politico</strong>, dove essa si presenta come libido possiden<strong>di</strong>. Sotto tale veste, corrompe quella «realis et<br />

personalis hominis ad hominem proportio» sulla quale si fondavano l’or<strong>di</strong>ne sociale e la giustizia, e<br />

impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> fatto agli uomini <strong>di</strong> attuare l’ideale cristiano, compromettendo così la loro stessa<br />

salvezza. Di fronte a questo pericolo, si rende necessaria l’istituzione dell’impero, che, nel <strong>di</strong>rimere<br />

le controversie che sorgono fra i regni particolari, rende possibile il compimento del fine che per<br />

natura compete alle singole communitates, e cioè il conseguimento della vita felice.<br />

<strong>Il</strong> ragionamento <strong>di</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, fino a questa deduzione, segue l’interpretazione dell’Ercole 5 ,<br />

mo<strong>di</strong>ficandola più nel metodo che nella sostanza degli argomenti: la monarchia universale è<br />

necessaria, dato il peccato originale, per ristabilire la pace e la giustizia tra gli Stati e permettere<br />

l’adempimento della loro missione naturale. L’insigne dantista si arresta a questo punto e non<br />

resiste alla tentazione del “perio<strong>di</strong>zzamento”, pagando pure lui il tributo all’immanentismo; e il suo<br />

<strong>Dante</strong> <strong>di</strong>venta l’audace promotore <strong>di</strong> quella filosofia moderna che passando per Marsilio e<br />

Machiavelli giungerà fino a Croce e Gentile. Ma quel compromesso ercoliano tra i temi teologici e<br />

la fedeltà al criterio idealistico verrà risolto definitivamente dal Nar<strong>di</strong> e dalla sua marcata<br />

interpretazione laico-razionalistica, motivata peraltro dalla sua reazione contro la leggenda del<br />

tomismo <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>. Anche sul Nar<strong>di</strong>, però, è necessaria una precisazione, che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> non manca<br />

<strong>di</strong> mettere in rilievo: la sua raccolta del 1960 (Dal «Convivio» alla «Comme<strong>di</strong>a») presenta, in<br />

effetti, delle novità interpretative che non possono passare inosservate. Ci riferiamo, in particolare,<br />

3<br />

L. Valli, L’allegoria <strong>di</strong> <strong>Dante</strong> secondo G. Pascoli, Zanichelli, Bologna 1922.<br />

4<br />

Mon., I, 16 e II, 12.<br />

5<br />

Cfr. F. Ercole, Introduzione a <strong>Il</strong> Trattato della Monarchia <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, a cura <strong>di</strong> B. Siragusa, Milano-Firenze 1923.<br />

2


al tema dell’Impero come reme<strong>di</strong>um, che viene messo in nuova luce, tanto da escludere che per<br />

<strong>Dante</strong> si possa parlare <strong>di</strong> rottura con la trascendenza me<strong>di</strong>evale. Tuttavia, il Nar<strong>di</strong>, anche nei suoi<br />

ultimi scritti danteschi, non abbandona il para<strong>di</strong>gma averroistico, sebbene considerato nelle sue<br />

accezioni più moderate. E <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> non riesce a spiegarsi questa convivenza, nell’ultimo Nar<strong>di</strong>, tra<br />

l’appartenenza dantesca alla scuola dell’averroismo e l’idea della natura corrupta e del conseguente<br />

reme<strong>di</strong>um imperiale, perché non c’è averroismo che non escluda dai suoi argomenti quelli che<br />

vengono dalla rivelazione o dalla teologia, secondo la formula «Nihil ad me de Dei miraculis, cum<br />

ego de naturabilis <strong>di</strong>sseram».<br />

Se poi si passa al tema dei rapporti tra Chiesa e Impero, il Nar<strong>di</strong> sostiene giustamente una<br />

cooperazione che si fonda sulla <strong>di</strong>stinzione dei due or<strong>di</strong>ni; «È però da osservare – ribatte <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong><br />

– che si tratta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>stinzione che non è in alcun modo separazione. Perciò una certa<br />

subor<strong>di</strong>nazione, quella <strong>di</strong> cui si parla nelle righe finali della Monarchia, bisogna pur ammetterla,<br />

per la semplice ragione che il valore della vita eterna è indubbiamente superiore a quello della vita<br />

umana nel mondo» 6 . Qui <strong>Dante</strong> raggiungerebbe il punto più prossimo al pensiero <strong>di</strong> San Tommaso,<br />

in questa «continuità <strong>di</strong> aristotelismo e cristianesimo contro la separazione che caratterizza invece<br />

l’averroismo» 7 . E una tale continuità il Nar<strong>di</strong> la scopre nella Comme<strong>di</strong>a, dove il rapporto tomistico<br />

tra ragione e fede viene simboleggiato dall’incontro tra l’umanesimo virgiliano e il profetismo<br />

biblico. Per quale motivo, allora, insiste sull’averroismo dantesco? La risposta delnociana ci<br />

persuade: il Nar<strong>di</strong> contesta ai teorici ierocratici l’assimilazione del rapporto Chiesa-Impero a quello<br />

anima-corpo, sostenendo correttamente che la beatitudo huius vite non consiste per <strong>Dante</strong> nella<br />

beatitu<strong>di</strong>ne del corpo, se ha la sua norma nei philosophica documenta, e, quin<strong>di</strong>, nelle virtù morali e<br />

intellettuali. Insomma, dal sinolo aristotelico e da una più giusta interpretazione della beatitu<strong>di</strong>ne<br />

naturale, gli averroisti cristiani ricavavano una spiritualità immanente all’Impero, e, per il Nar<strong>di</strong>,<br />

<strong>Dante</strong> era uno <strong>di</strong> loro. Da questa spiritualità dell’Impero, <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> muoverà per proporre la sua<br />

definizione <strong>di</strong> laicità, <strong>di</strong>mostrando, insieme a Gilson e contro Nar<strong>di</strong>, che non è necessario professare<br />

l’averroismo per <strong>di</strong>chiararsi a favore <strong>di</strong> una certa religiosità della politica.<br />

Quanto all’averroismo, il Gilson esclude categoricamente che <strong>Dante</strong> possa averlo accettato, se si<br />

pensa che la sua essenza sta nella subor<strong>di</strong>nazione totale della religione alla filosofia. Peraltro, la<br />

stessa esclusione vale per l’averroismo latino, perché in nessuna opera dantesca si può trovare un<br />

<strong>di</strong>saccordo tra le assunzioni della filosofia e i dati della rivelazione. La trascendenza <strong>di</strong>vina, nella<br />

Monarchia, è una realtà indubitabile e «Nessun artificio interpretativo potrà infatti portare a<br />

<strong>di</strong>sconoscere l’esistenza per <strong>Dante</strong>, <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne soprannaturale <strong>di</strong>stinto e valido in sé, e i cui mezzi<br />

propri, <strong>di</strong>retti verso il suo fine proprio, si impongono egualmente a tutti gli uomini, compresi i<br />

filosofi» 8 . Tant’è che la definizione della monarchia universale e della sua autonomia non avrebbe<br />

senso se si negasse la trascendenza <strong>di</strong> Dio. <strong>Il</strong> valore dantesco del soprannaturale risulta ancora più<br />

nitido se si pensa che per Marsilio, al quale qualcuno vorrebbe accostarlo, il fine delle religioni è un<br />

fine temporale, quello <strong>di</strong> mantenere la pace nelle città e <strong>di</strong> migliorare il comportamento degli<br />

uomini. Per il Gilson, tutto lo sforzo <strong>di</strong> <strong>Dante</strong> è rivolto alla fondazione <strong>di</strong> un suo separatismo<br />

<strong>politico</strong> sulla morale <strong>di</strong> Aristotele 9 . E questo aristotelismo gli consentirebbe <strong>di</strong> accettare l’armonia<br />

tomistica tra ragione e fede, pur rifiutando, del tomismo, «quel magistero della teologia sulla<br />

filosofia che porta con sé inevitabilmente quello della Chiesa sull’Impero» 10 . Si tratta, con<strong>di</strong>videndo<br />

il commento <strong>di</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, <strong>di</strong> un incontro che <strong>Dante</strong> fa non «con il sistema tomista, ma con lo spirito<br />

del tomismo» 11 , che è comunque un’ere<strong>di</strong>tà notevole per il pensiero dantesco.<br />

6<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro (materiale ine<strong>di</strong>to).<br />

7<br />

Ibidem.<br />

8<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 25.<br />

9<br />

Cfr Ibidem, p. 23.<br />

10<br />

E. Gilson, L’ideale <strong>politico</strong> e religioso <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, in <strong>Dante</strong> e la filosofia, Jaca Book, Milano 1987, p. 277.<br />

11 A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 38.<br />

3


Fin qui <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> è in piena sintonia con Gilson. Subito dopo, però, si sente <strong>di</strong> andare oltre<br />

l’interpretazione gilsoniana 12 . <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> riconosce al filosofo francese «il merito incomparabile […]<br />

<strong>di</strong> avere fissato l’unicità della posizione dantesca» 13 , a prescindere dalle classificazioni. Ma gli<br />

contesta, nel contempo, <strong>di</strong> aver aperto altri problemi, nei quali «tornano in una forma <strong>di</strong>versa da<br />

quelle che precedentemente avevano assunto, le questioni dell’averroismo e del tomismo» 14 .<br />

L’obiezione delnociana parte da questa domanda dalla quale, a nostro parere, si evince un<br />

allontanamento non trascurabile dall’impostazione del Gilson: «Ora, la sua [<strong>di</strong> <strong>Dante</strong>] <strong>di</strong>sposizione<br />

è essenzialmente etico-politica o etico-religiosa? Cioè la sua passione è per l’autonomia e<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza dell’impero, o invece, almeno nel suo periodo <strong>di</strong> piena maturità, l’autonomia<br />

dell’impero gli appare come con<strong>di</strong>zione per la purificazione della vita religiosa? Ha inteso<br />

combattere l’ideale teocratico, o invece ha inteso raggiungere la sua forma più pura, <strong>di</strong>ssociando<br />

teocrazia da ierocrazia?» 15 . <strong>Il</strong> Gilson ha battuto la via dell’interpretazione etico-politica, che lo ha<br />

condotto ad avallare la tesi dell’attitu<strong>di</strong>ne separatistica e ad accettarla come «una specie <strong>di</strong> forma a<br />

priori» <strong>di</strong> una mentalità dantesca tutta secolaristica e temporale: «Ciò che veramente gli<br />

premerebbe, sarebbe il decalco laico della Chiesa nell’idea <strong>di</strong> Umanità» 16 . E l’idea dell’armonia<br />

degli or<strong>di</strong>ni, che gli ha permesso <strong>di</strong> escludere l’appartenenza dantesca all’averroismo, «potrebbe<br />

venire spiegata come l’artificio escogitato al servizio <strong>di</strong> quelle idee dell’Umanità e della Pace, che<br />

sono il fulcro della sua politica» 17 .<br />

In sostanza, quello che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> rimprovera al Gilson è <strong>di</strong> aver dato una lettura dantesca troppo<br />

incline agli schemi del separatismo averroistico, accentuando l’aspetto etico-<strong>politico</strong> a scapito <strong>di</strong><br />

quello etico-religioso. In altri termini, l’idea gilsoniana del <strong>Dante</strong> riformatore <strong>politico</strong>, il cui<br />

problema è soltanto quello <strong>di</strong> fissare funzioni e giuris<strong>di</strong>zioni, portata alla sua coerenza più rigorosa,<br />

non si <strong>di</strong>stingue tanto dalle interpretazioni averroistiche: «E se non si trova, nella lettera dei suoi<br />

scritti, alcuna affermazione che lo possa presentare come sostenitore dell’idea del fine temporale<br />

delle religioni, <strong>di</strong> fatto si sarebbe servito della metafisica e della teologia per una costruzione<br />

politica e avrebbe vissuto questa tesi, senza poterla affermare (o forse senza neanche pronunciarla a<br />

se stesso), perché la possibilità della realizzazione del suo ideale <strong>politico</strong> gli vietava <strong>di</strong><br />

pronunciarla» 18 . Ma, se si nota bene, nella stessa lettura del Gilson ci sono i motivi del suo<br />

superamento. Così, quell’autonomia che è assoluta all’interno <strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>ne, non è però tale per<br />

quanto riguarda il rapporto tra gli or<strong>di</strong>ni, tanto che risulta <strong>di</strong>fficile negare una certa subor<strong>di</strong>nazione e<br />

una certa gerarchia. Per <strong>di</strong>mostrarlo, <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> riprende un importante passo del Gilson: «<strong>Il</strong> mondo<br />

<strong>di</strong> <strong>Dante</strong> ci appare […] come un sistema <strong>di</strong> rapporti d’autorità e d’obbe<strong>di</strong>enza. La filosofia vi regna<br />

sulla ragione, ma la volontà dei filosofi deve obbe<strong>di</strong>enza all’imperatore e la loro fede deve<br />

sottomissione al Papa. L’imperatore regna, solo, sulle volontà, ma la sua ragione deve obbe<strong>di</strong>enza al<br />

Filosofo e la sua fede al Papa. <strong>Il</strong> Papa regna senza spartizioni sulle anime, ma la sua ragione deve<br />

obbe<strong>di</strong>enza al Filosofo e la sua volontà all’Imperatore. Tutti e tre devono non<strong>di</strong>meno obbe<strong>di</strong>enza e<br />

fede a Colui dal quale ciascuno <strong>di</strong> essi deriva <strong>di</strong>rettamente l’autorità suprema che esercita nel<br />

proprio or<strong>di</strong>ne: Dio, il Sovrano Imperatore del mondo terreno come del mondo celeste, nell’unità<br />

del quale si ricongiungono tutte le <strong>di</strong>versità» 19 . Ammesse queste relazioni tra i <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni, il<br />

Gilson conclude sostenendo, a fil <strong>di</strong> logica, l’impossibilità <strong>di</strong> una reductio ad unum, che, invece,<br />

può riguardare il singolo genere. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> non è d’accordo: «Ma se l’intelletto ha per <strong>Dante</strong><br />

12<br />

Questo superamento dell’interpretazione gilsoniana è contenuto nelle pagine ine<strong>di</strong>te sotto l’eloquente titolo “Dopo<br />

Gilson”.<br />

13<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 42.<br />

14 Ibidem.<br />

15 Ibidem, p. 48.<br />

16 Ibidem.<br />

17 Ibidem, p. 46.<br />

18 Ibidem, p. 36.<br />

19 E. Gilson, <strong>Dante</strong> e la filosofia, op. cit., p. 184.<br />

4


maggior nobiltà della volontà, in quanto ne è la guida, e se la fede ha maggior certezza della<br />

ragione, se anzi ci fa vedere le evidenze filosofiche più perfettamente <strong>di</strong> quel che non ce le mostri la<br />

ragione naturale, si potrà <strong>di</strong>sconoscere una certa subalternità in<strong>di</strong>retta dell’or<strong>di</strong>ne <strong>politico</strong>?» 20 . La<br />

critica delnociana si fonda, ma questa è solo una nostra congettura, sulla stessa idea <strong>di</strong> autorità e<br />

sulla conseguente attenzione all’in<strong>di</strong>viduo, che <strong>di</strong>venta il punto <strong>di</strong> partenza del ragionamento,<br />

spiegando la <strong>di</strong>fferenza con l’analisi oggettiva del Gilson. Per un in<strong>di</strong>viduo, in effetti, il problema<br />

dei rapporti tra volontà, ragione e fede si pone immancabilmente nel concreto della sua esperienza,<br />

e questo è chiaro nella <strong>di</strong>namica della decisione umana 21 : le <strong>di</strong>versità si ricompongono in Dio, ma<br />

anche nella coscienza dell’uomo. Ora, come <strong>di</strong>ce il Gilson, il mondo <strong>di</strong> <strong>Dante</strong> ci appare «come un<br />

sistema <strong>di</strong> rapporti d’autorità e d’obbe<strong>di</strong>enza»: ma, tra le autorità, tutte sono degne della stessa<br />

obbe<strong>di</strong>enza 22 ? È qui che ci viene in aiuto <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, che trova l’etimologia della parola “autorità”<br />

nel verbo latino augere, che significa “far crescere” 23 . Deve ammettersi, quin<strong>di</strong>, una <strong>di</strong>versa<br />

capacità delle tre autorità – l’imperatore, il filosofo e il pontefice – a far crescere (l’in<strong>di</strong>viduo), in<br />

relazione alla maggiore o minore nobiltà (così si esprime <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>) dello strumento che adoperano,<br />

o del fine a cui sono orientate, o ancora in funzione del livello <strong>di</strong> perfezione della loro scienza, che è<br />

comunque partecipazione della Scientia Dei. Questo ci sembra il senso che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> attribuisce alla<br />

comune derivazione dei tre or<strong>di</strong>ni dall’unica Fonte <strong>di</strong>vina. E questa comune derivazione si esprime<br />

in una generale filosofia dell’umiltà: «Di più, nessuna delle autorità umane è creatrice. Aristotele è<br />

stato umile rispetto alla verità oggettiva, l’imperatore è umile rispetto all’or<strong>di</strong>ne morale, il servo de’<br />

servi conserva umilmente il deposito della Rivelazione. Essi sono tali in quanto rispettano l’or<strong>di</strong>ne<br />

stabilito da Dio, che non può venire inteso come volontà arbitraria» 24 . Nell’obbe<strong>di</strong>enza all’or<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong>vino, che rende <strong>di</strong>fficile esagerare l’aspetto etico-<strong>politico</strong> del pensiero dantesco a scapito <strong>di</strong> quello<br />

etico-religioso, sta forse il senso <strong>di</strong> quella teocrazia pura auspicata da <strong>Dante</strong>, nella quale «La<br />

<strong>di</strong>stinzione […] tra la gerarchia <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità assolute e la loro autonomia <strong>di</strong> giuris<strong>di</strong>zione è meno<br />

rigida <strong>di</strong> quel che il Gilson sembri affermare» 25 .<br />

2. La laicità sacrale e la politica nel pensiero dantesco<br />

Esiste quin<strong>di</strong> per <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> una <strong>di</strong>fferenza tra teocrazia e ierocrazia. Ma l’ideale teocratico, per la<br />

politica, significa una caratterizzazione “religiosa” o “sacrale” che non è <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata<br />

comprensione. Sulla sacralità o religiosità della politica, anche il Nar<strong>di</strong> si era soffermato, parlando<br />

<strong>di</strong> una “spiritualità” immanente all’impero, sulla scorta dell’impostazione averroistica che aveva<br />

dato alla sua interpretazione. E <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> non può che concordare con il grande dantista,<br />

contestandogli, però, l’appartenenza <strong>di</strong> <strong>Dante</strong> all’averroismo, seppure latino o cristiano. Si può<br />

acconsentire alla religiosità della politica senza essere averroisti, o forse proprio non essendolo:<br />

questa è la lezione che ci ha lasciato il filosofo torinese.<br />

Sul significato dell’espressione che <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> mutua da Noventa, occorre non<strong>di</strong>meno un’attenta<br />

precisazione. Si è già escluso che si tratti <strong>di</strong> una politica totalizzante, sacralizzata a motivo <strong>di</strong> un<br />

intervento esterno o <strong>di</strong> una filosofia priva del senso della trascendenza <strong>di</strong>vina. E si è detto che il suo<br />

presupposto si trova nella conciliazione Dio-mondo, il cui rifiuto apre la strada ai due opposti vizi<br />

20<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 2.<br />

21<br />

Cfr H. Thomae, Dinamica della decisione umana, Zürich 1964; A.R. Luño, La scelta etica. <strong>Il</strong> rapporto fra libertà e<br />

virtù, Milano 1988.<br />

22<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che per <strong>Dante</strong> la parola “autorità” significa “atto d’autore”, e che la parola “autore” viene da autentin,<br />

che vuol <strong>di</strong>re “atto degno <strong>di</strong> fede e d’obbe<strong>di</strong>enza”. Cfr Conv., IV, 6, 5.<br />

23<br />

Cfr A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Autorità, in Enciclope<strong>di</strong>a del Novecento, vol. 1, Istituto dell’Enciclope<strong>di</strong>a Italiana, Roma 1975, pp.<br />

416-426; Id., Sul concetto <strong>di</strong> autorità, in G.F. Lami, Introduzione a <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Pellicani, Roma 1999, pp. 315-<br />

356.<br />

24<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, voce “Gilson Etienne”, in Enciclope<strong>di</strong>a dantesca, vol. III, Roma 1971, p. 164.<br />

25 A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 2.<br />

5


del clericalismo e del laicismo, che non accettano la <strong>di</strong>stinzione degli or<strong>di</strong>ni perché strutturalmente<br />

impostati sulla negazione della continuità tra fenomeno e fondamento. Partendo da queste premesse,<br />

quin<strong>di</strong>, non sarà <strong>di</strong>fficile arrivare ad una definizione <strong>di</strong> laicità che possa spiegare l’esigenza <strong>di</strong> una<br />

religiosità della politica. A tale scopo, conviene forse prestare attenzione alla figura del Monarca<br />

universale, perché non è <strong>di</strong> certo casuale che <strong>Dante</strong> faccia ruotare tutta la sua politica intorno a lui.<br />

<strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> ci mette in guar<strong>di</strong>a dal considerarlo come «un automa», come «un sovrano necessitato<br />

dall’esterno – si starebbe per <strong>di</strong>re condannato – alla giustizia» 26 . In verità, questa idea può venire a<br />

chiunque entri in contatto con la Monarchia: come gli altri utopisti, <strong>Dante</strong> avrebbe trovato il suo<br />

piccolo meccanismo capace <strong>di</strong> rendere il mondo perfetto? <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> risponde a questa domanda<br />

cruciale, richiamando un importante passo del primo libro: «Sed Monarcha solus est ille qui potest<br />

optime esse <strong>di</strong>spositus ad regendum» (13, 6). Ci sembra una posizione molto realistica, che<br />

smentisce le eventuali accuse <strong>di</strong> utopismo: «senza la monarchia universale il dominio della<br />

cupi<strong>di</strong>gia è del tutto inevitabile; soltanto con questa monarchia è possibile un mondo or<strong>di</strong>nato<br />

secondo giustizia, anche se manchi una garanzia assoluta che esso si realizzi, pur in questa<br />

con<strong>di</strong>zione» 27 . In altri termini, la migliore con<strong>di</strong>zione per essere giusto non toglie la libertà <strong>di</strong> non<br />

esserlo. Inoltre, la definizione <strong>di</strong> cupi<strong>di</strong>tas non esprime solo l’assenza <strong>di</strong> bramosie, ma tutto ciò che<br />

si oppone alla carità, che, più della giustizia, è il suo vero opposto 28 : «cupi<strong>di</strong>tas namque, perseitate<br />

hominum spreta, querit alia; karitas vero, spretis aliis omnibus, querit Deum et hominem, et per<br />

consequens bonum hominis» 29 . Qui sta il punto: non è per nulla scontato che l’imperatore possa<br />

incarnare questa carità. E <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> può <strong>di</strong>re: «Lungi da essere un Leviatano accettato perché<br />

garantisce la pace, il monarca è colui per cui il singolo uomo è oggetto <strong>di</strong> amore; i termini <strong>di</strong> pace,<br />

giustizia e amore si trovano in <strong>Dante</strong> uniti» 30 . Si noti che in questa carità, nella quale c’è già la<br />

sintesi della sacralità della politica, si realizza la coincidenza armonica tra l’amore <strong>di</strong> Dio e<br />

l’attenzione all’umano, che, nel caso del monarca universale, deve portare fino al punto <strong>di</strong><br />

desiderare che tutti <strong>di</strong>ventino buoni: «quia cum Monarcha maxime <strong>di</strong>ligat homines […] vult omnes<br />

homines bonos fieri» 31 . La funzione del monarca è essenzialmente ministeriale: egli «è colui che<br />

permette agli uomini […] il conseguimento del loro fine, o l’attuazione del libero arbitrio; il suo<br />

carattere è sacrale perché è l’uomo destinato a condurre a un fine l’universalità degli uomini;<br />

l’autorità morale del suo or<strong>di</strong>ne» 32 . È evidente allora che la sacralità della politica sia tutta nella<br />

funzione dell’autorità imperiale, e nelle conseguenze del suo operare. Si noti il realismo dantesco: la<br />

funzione etico-religiosa dell’Impero reme<strong>di</strong>um contra infirmitatem peccati non si estrinseca in<br />

astratto, su una struttura come può essere quella statuale, bensì nel concreto dell’esperienza <strong>di</strong> ogni<br />

singolo uomo, che nell’autorità vede una particolare <strong>di</strong>gnità e una possibilità <strong>di</strong> crescita in libertà.<br />

Chi è idoneo a governare trasmette questa sua idoneità agli altri, perché in ogni azione l’agente<br />

tende a produrre qualcosa <strong>di</strong> simile a se stesso: «Adhuc, ille qui potest esse optime <strong>di</strong>spositus ad<br />

regendum, optime alios <strong>di</strong>sponere potest: nam in omni actione principaliter inten<strong>di</strong>tur ab agente,<br />

sive necessitate nature sive volontarie agat, propriam similitu<strong>di</strong>nem explicare» 33 . Una volta<br />

realizzato questo passaggio, quel reme<strong>di</strong>um sarà realmente portato a segno, perché si tratta <strong>di</strong> un<br />

rime<strong>di</strong>o alla cupi<strong>di</strong>gia, che necessita <strong>di</strong> un intervento non generico. L’autorità, in questo modo,<br />

traccia la <strong>di</strong>rettrice della tensione ascetica, in<strong>di</strong>cando i criteri <strong>di</strong> quella perfezione nella quale essa<br />

26<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 82.<br />

27<br />

Ibidem, p. 83.<br />

28<br />

Cfr V. Frosini, Misericor<strong>di</strong>a e giustizia in <strong>Dante</strong>, in “Rivista internazionale <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto”, 1965, pp. 318-<br />

319; Gillet, Justice et charité, in “Revue des sciences phil. et théol.”, XVIII (1929), pp. 5-22.<br />

29<br />

Mon., I, 11, 14; cit. in A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 77.<br />

30<br />

Ibidem, pp. 77-78.<br />

31<br />

Mon., I, 12, 9.<br />

32<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 57; a proposito della concezione delnociana del libero arbitrio, si veda C. Vasale,<br />

Etica e politica in <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, in AA.VV., <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>. <strong>Il</strong> problema della modernità, Stu<strong>di</strong>um, Roma<br />

1995, pp. 193-223; C. Vasale, <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>: una “filosofia della libertà e dello spirito”, in AA.VV., <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong><br />

<strong>Noce</strong> e la libertà. Incontri filosofici, a cura <strong>di</strong> C. Vasale e G. Dessì, S.E.I., Torino 1996, pp. 3-25.<br />

33<br />

Mon., I, 13, 1.<br />

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stessa è impegnata. È una funzione soprannaturale la sua? <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> lo smentisce, prendendo, su<br />

questo punto, le <strong>di</strong>stanze da Montano 34 : se inten<strong>di</strong>amo correttamente, egli vuole con ciò escludere<br />

qualsiasi confusione tra i due rime<strong>di</strong>, mantenendo quella <strong>di</strong>stinzione degli or<strong>di</strong>ni che continuava a<br />

con<strong>di</strong>videre con il Gilson, e che gli sembrava rispettosa della volontà <strong>di</strong>vina. Ma la separazione<br />

degli or<strong>di</strong>ni non è comunque un ostacolo all’affermazione <strong>di</strong> «una funzione sacrale del laicato»,<br />

intendendo però il laicato non come una massa in<strong>di</strong>stinta, ma come composto <strong>di</strong> tante singolarità<br />

che incarnano nella loro vita quella continuità tra natura e grazia, che può ben congiungere il mondo<br />

con il suo Creatore.<br />

Se si volesse inquadrare il tema della laicità sacrale <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, si potrebbero allora ricavare alcune<br />

considerazioni finali: l’autonomia dell’autorità imperiale si fonda sulla stessa autonomia della<br />

natura rispetto alla grazia; ma per <strong>Dante</strong> la natura non può essere in<strong>di</strong>fferente alla grazia, come<br />

l’Impero non può essere in<strong>di</strong>fferente alla Chiesa, perché entrambi cooperano ad un unico vero fine,<br />

che consiste nella «continuazione dell’opera della Redenzione dalle tracce del peccato originale» 35 .<br />

Questo definisce l’originalità dantesca, che «non sta nell’affermazione <strong>di</strong> una laicità destinata a una<br />

qualsiasi forma <strong>di</strong> laicismo moderno – al modo stesso che il suo pensiero non può venire, non <strong>di</strong>rò<br />

incluso, ma neppure riaccostato ad alcuna forma <strong>di</strong> eresia me<strong>di</strong>evale, anche se ne enuclea l’esigenza<br />

positiva, ma per riportarla all’ortodossia – ma nell’idea che egli pensava, come poi fu riconosciuto,<br />

pienamente conforme all’ortodossia cattolica, delle due guide entrambe <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong>rettamente da<br />

Dio…» 36 . <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> vede, quin<strong>di</strong>, in <strong>Dante</strong>, la prima reazione «all’arbitraria estensione del termine<br />

“autonomia” collegato agli equivoci della secolarizzazione» 37 : raccogliendo il suggerimento <strong>di</strong><br />

Rocco Montano, egli vede nell’Ulisse dantesco 38 la condanna <strong>di</strong> quel sapere orizzontale che si<br />

sarebbe imposto a partire da Marsilio. Ancora una volta, come si vede, il <strong>di</strong>scorso si fa<br />

storiografico. Ma il merito <strong>di</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong> sta proprio qui: nell’aver guadagnato l’Alighieri al nostro<br />

tempo, dopo averne scoperto la perennità.<br />

34<br />

Cfr A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, pp. 149 ss.; R. Montano, <strong>Dante</strong> filosofo e poeta, Napoli 1985; Id., Suggerimenti<br />

per una lettura <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, Napoli 1956; Id., Storia della poesia <strong>di</strong> <strong>Dante</strong>, Napoli 1962.<br />

35<br />

A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Appunti <strong>di</strong> lavoro, p. 75.<br />

36<br />

Ibidem.<br />

37<br />

P. Armellini, Laicismo e laicità in <strong>Augusto</strong> <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, in “Poietica”, IX (2000), n. 11-suppl., p. 155.<br />

38<br />

Cfr A. <strong>Del</strong> <strong>Noce</strong>, Perché Ulisse è calato nell’Inferno, in “<strong>Il</strong> Tempo”, XLII, n. 243, 22 settembre 1985.<br />

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