L'Iddio ridente - Zona Editrice
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PREFAZIONE<br />
di Stefano Verdino<br />
Non è la prima volta che Di Ruscio si confronta con una misura<br />
breve, epigrafica o epigrammatica, del verso, ma il precedente<br />
Epigramma (Valore d’uso edizioni, Roma 1982) indicava più un atteggiamento<br />
che una precisa stilistica: i testi avevano misura assai<br />
variabile, alcuni anche lunghi e a tratto discorsivo. Quando la misura<br />
era propriamente epigrafica inoltre, poteva anche capitare di contraddirla<br />
felicemente con una tonalità diversa, magari micronarrativa:<br />
prendevo le vespe delicatamente per le ali<br />
le mettevo educatamente dentro una scatola di fiammiferi<br />
[svedesi<br />
sarete tutte liberate da una bella che mi chiederà un<br />
[fiammifero<br />
aspettavo con calma la liberazione delle vespe<br />
In altri casi invece l’epigramma scatta nelle sue precise dimensioni<br />
e nella sua connaturata violenza espressiva<br />
ammiriamo l’infinita sapienza divina<br />
che ha capito subito che senza infiniti piaceri sessuali<br />
questa luridissima specie umana non si sarebbe mai<br />
[tramandata<br />
È a tale tonalità che questo nuovo Di Ruscio fa riferimento: il<br />
controverso rapporto con il divino, l’esibizione erotica, il duro giudizio<br />
sull’umanità, la rabbia e la provocazione, sono tutti elementi che a<br />
piene mani possiamo raccogliere in L’Iddio <strong>ridente</strong>, ma ventisei anni